Pressalert II: Il Giornalista Martelloni ribadisce le sue tesi di matrice Azera sul Nagorno Karabakh. La disinformazione continua….

n data 19 luglio 2014 La testata “L’Opinione” ha pubblicato un articoletto fazioso a firma del giornalista Martelloni dal titolo ll “silenzio stampa”  sul Nagorno Karabakh. >> http://www.opinione.it/esteri/2014/07/19/martelloni_esteri-19-07.aspx

Ci siamo immediatamente attivati inviando una nota di protesta alla testata ed invitando i nostro lettori a fare altrettanto. Ed in effetti alla redazione di L’Opinione ne sono giunte delle lettere di cui alcune sono state pubblicate. Ecco i relativi link: 

 

In data 26 luglio 2014 il giornalista Martelloni ha voluto controreplicare alle repliche di cui sopra ed ha pubblicato un nuovo articolo  col titolo Il Nagorno Karabakh e la verità dei fatti” continuando a sostenere le tesi di matrice Azera.http://www.opinione.it/esteri/2014/07/26/martelloni_esteri-26-07.aspx

Abbiamo ritenuto opportuno riformulare, in data odierna (27/7), una lettera di protesta al direttore della testata che riportiamo di seguito:

Egr. dott. Diaconale,

abbiamo letto la replica, a dire il vero piuttosto stizzita…,  del giornalista Romolo Martelloni pubblicata il 26 luglio 2014 col titolo “Il Nagorno Karabakh e la verità dei fatti” e non possiamo nascondere il nostro stupore di fronte a certe categoriche esternazioni che non fanno altro che consolidare l’idea che le tesi sostenute dal giornalista non possono ambire a rappresentare la verità dei fatti. Si limitano, invece, a sostenere sic et simpliciter le tesi del regime azero che in questi ultimi tempi sta investendo ingenti somme di denaro nel tentativo di presentare uno dei paesi agli ultimi posti della classifica della libertà di informazione e di rispetto dei diritti umani, come un modello da seguire.

 

Siamo invero pienamente concordi con il giornalista che “nel nostro paese (l’Italia) è in atto una campagna contro coloro che vogliono scoprire la verità su questo conflitto”. Ma dobbiamo rilevare che la verità non si scopre riportando le sole ragioni di una delle parti in conflitto, semmai vanno approfondite le ricerche e le informazioni e vanno messe a confronto le ragioni degli uni e degli altri. In caso contrario, e come afferma lo stesso Martelloni in un passaggio “per quanto ne so io”, i fatti riportati si riducono a idee e convinzioni personali, lontani da una seria ricerca giornalistica sulla verità.

A questo punto sorvoliamo volutamente dall’entrare in merito alle “idee chiare e oggettive sul conflitto”che il Martelloni sostiene di aver basato su “documenti e fatti inconfutabili adottati dalle organizzazioni internazionali”, poiché potremmo citarne altrettanti che sostengono l’esatto contrario di quanto riportato nell’articolo pubblicato.

Anche noi siamo ferventi sostenitori della pace, e non solo per la regione caucasica, visto che il popolo armeno è sparso in ogni angolo della terra, avendo già subito nel 1915 il primo genocidio del XX secolo ad opera del governo turco di allora (i cugini degli azeri di oggi peraltro convinti negazionisti). 

Sosteniamo la pace e siamo consapevoli che per il suo raggiungimento non ci sia bisogno di persone e di mezzi che fomentano odio, rabbia e inimicizia. Una pace che deve essere basata sul rispetto dell’altro e dei suoi diritti. Pace che deve essere raggiunta con la strada del dialogo; non quella percorsa da Martelloni che prima lamenta il silenzio sull’argomento, poi lo tratta a senso unico appoggiando il nazionalismo guerrafondaio della dittatura azera.

Con i migliori saluti.

Consiglio per la comunità armena di Roma

Anche “Iniziativa Italiana per il Karabakh”, ch è stata chiamata in causa da Martelloni, ha ribadito in una nuova lettera la propria posizione sementendo le tesi sostenute dal giornalista. Di seguito il testo:

ANCORA SUL NAGORNO KARABAKH: DOVEROSE PRECISAZIONI SULLA “VERITA’ DEI FATTI”

Leggiamo la replica del sig. Martelloni e ci paiono doverose alcune precisazioni. Non per mero spirito polemico, ma perché i lettori di questa testata abbiano contezza del problema.

Certo l’uso parziale delle fonti non giova alla comprensione dei fatti.

Su quanto accaduto a Khojaly sarebbe stato allora opportuno citarne anche altre, alcune delle quali di stessa provenienza azera.

È ampiamente noto agli esperti del conflitto (fra i quali non ci pare figuri il sig. Martelloni) che il comune di Khojaly era un avamposto dei lanciarazzi Grad delle forze armate azere che bombardavano la popolazione civile armena. Alcune settimane prima del 25 febbraio 1992, il comando delle forze armene di autodifesa del Nagorno-Karabakh cominciò a informare via radio le autorità militari e la popolazione civile azera sull’imminenza di un’azione militare armena tesa a neutralizzare i lanciarazzi azeri posti all’interno di Khojaly e sulla presenza di un corridoio umanitario per l’evacuazione dei civili. Come riportato da fonti azere (Khojaly: chronicle of genocide, Baku, 1993, pag. 31), Salman Abbasov, un abitante di Khojaly, dice: «Alcuni giorni prima della tragedia, gli armeni hanno ripetutamente annunciato via radio che sarebbero avanzati nella nostra direzione e ci chiedevano di lasciare la città (…). Infine quando fu possibile evacuare donne, bambini e anziani, loro, gli azeri, ce lo vietarono». Nella stessa fonte (Khojaly: chronicle of genocide, Baku, 1993, pag. 16), Elman Mamedov, all’epoca sindaco di Khojaly, dichiara: «Alle 20.30 del 25 febbraio fummo informati che i mezzi militari armeni erano in posizione di combattimento nelle vicinanze della città. Informammo tutti via radio. Io chiesi elicotteri per evacuare anziani, donne e bambini. L’aiuto non arrivò mai…». Illuminante è anche la testimonianza di Ramiz Fataliev, Presidente della Commissione di indagine sugli eventi di Khojaly: «Quattro giorni prima degli eventi di Khojaly: il 22 febbraio, alla presenza del Presidente, del Primo Ministro, del capo del KGB e di altri, ebbe luogo una sessione del Consiglio di sicurezza nazionale (dell’Azerbaijan) durante la quale venne presa la decisione di non evacuare i civili da Khojaly». Da questa dichiarazione risulta più che evidente l’utilizzo criminale dei civili azeri come scudo per i lanciarazzi da parte delle stesse autorità azere. Inoltre, nella sua intervista alla Nezavisimaya Gazeta del 2 aprile 1992, il deposto Presidente azero Mutalibov affermò: «Gli armeni avevano lasciato un corridoio per la fuga dei civili. Quindi perché avrebbero dovuto aprire il fuoco? Specialmente nell’area intorno ad Agdam, dove, all’epoca c’erano abbastanza forze (azere) per aiutare i civili». Nei dintorni di Agdam (a molti chilometri di distanza dal teatro delle operazioni) erano dislocate le formazioni paramilitari del Fronte Popolare Azero. Sempre Mutalibov, in un’intervista alla rivista «Novoye Vremia» del 6 marzo 2001 ribadisce: «Era ovvio che qualcuno aveva organizzato il massacro per cambiare il potere in Azerbaijan», alludendo così al Fronte Popolare Azero le cui truppe erano di stanza nei pressi di Khojaly, quelle stesse truppe che, alcuni giorni dopo i fatti di Khojaly, organizzarono il golpe a Baku. E dichiarazioni e valutazioni di questo tipo sugli eventi di Khojaly sono state fatte da diverse personalità azere e da giornalisti. Alcuni dei quali sono stati incarcerati o sono morti in circostanze sospette.

Insomma perché gli armeni, dopo aver ripetutamente lanciato appelli affinché la popolazione civile abbandonasse la cittadina, avrebbero dovuto inseguire i fuggiaschi fino quasi a fronteggiare le linee nemiche per poi ucciderli? Perché i cadaveri (numero assolutamente imprecisato, non è mai esistita una contabilità precisa, il numero è andato aumentando mese dopo mese…) furono trovati in territorio controllato dagli azeri ad una manciata di chilometri da Agdam dove erano radunate migliaia di soldati dell’Azerbaigian? Perché alcuni cadaveri furono mostrati ai giornalisti a più riprese e uno dei corrispondenti, invitato per errore una seconda volta, notò che molti corpi erano stati nel frattempo “arrangiati” (scalpati, mutilati…) dagli stessi azeri? Perché le foto su internet dei corpi di Khojaly si riferiscono a cadaveri di terremoti o altri massacri?

Legga per favore i documenti sul nostro sito (“Dossier Khojaly” e “Undici domande su Khojaly”)

Egr. sig. Martelloni, su temi così delicati un serio giornalista non si limita a ricercare alcune fonti, ma le esamina tutte. Le risoluzioni ONU da Lei citate sono state votate (su iniziativa di Turchia e Pakistan…) nel pieno del conflitto nel tentativo di far cessare l’avanzata armena sull’esercito azero in rotta; avrebbe potuto anche citare la risoluzione del nostro Parlamento Europeo del 1988 contro i pogrom antiarmeni di Sumgait;  i riconoscimenti da Lei citati di alcuni stati fanno il paio con le altrettante risoluzioni a favore del diritto all’autodeterminazione del popolo del Nagorno Karabakh, che è uno stato distinto dall’Armenia e formatosi in modo assolutamente legale e democratico.

La legge sovietica del 7 aprile 1990 prevedeva infatti che in caso di fuoriuscita di una repubblica socialista dall’Unione eventuali entità regionali autonome (come all’epoca era il NK, una oblast) avrebbero potuto liberamente scegliere se seguire la repubblica secessionista o rimanere nell’Urss.

Quando a fine agosto 1991 l’Azerbaigian fece la sua scelta gli armeni del NK si ritrovarono su un piatto di argento la possibilità di autodeterminarsi e tre giorni dopo costituirono la nuova entità statale; la Corte Costituzionale dell’Urss (26 novembre 1991), un referendum popolare (10 diembre 1991) ed elezioni politiche democratiche (26 dicembre 1991) sancirono il diritto di questo piccolo stato a vivere libero ed indipendente. Il 6 gennaio 1992 fu ufficialemnete dichiarata la nascita del nuovo stato, il 30 gennaio i carri armati azeri cominciarono ad avanzare nel suo territorio.

I rifugiati non furono un milione come gli azeri vanno reclamando ancora venti anni dopo: la città più popolosa fuori dall’Oblast Autonomo del Nagorno Karabakh era Agdam e contava sessantamila abitanti, in tutto l’oblast gli azeri erano non più di trentamila e nei territori circostanti (quasi disabitati) poche altre decine di migliaia. Uno stato che vive di petrolio e spende tre miliardi di dollari (sic!) all’anno per comprare armi può avere dei profughi venti anni dopo la fine del conflitto?

Nel 1988 un violento terremoto causo decine di migliaia di vittime nell’Armenia settentrionale. Il mondo si mobilitò in una gara di solidarietà senza precedenti e quella della Protezione Civile italiana fu la prima missione ufficiale all’estero. Si era ancora in regime di cortina di ferro. Anche l’Azerbaigian volle aiutare i fratelli armeni sovietici ed un carro merci di aiuti giunse nella capitale Yerevan; quando l’aprirono scoprirono al suo interno decine di cadaveri di armeni trucidati in Azerbaigian…

Lei, caro Martelloni, è ovviamente libero di scrivere tutto quello che ritiene opportuno e che il Suo direttore Le permette di pubblicare: ma non confonda un articolo come il Suo con un reportage storico e politico sulla questione.

Non venda come “verità dei fatti” solo una versione di parte, non si limiti a scopiazzare dati da Wikipedia, ma esamini cause e circostanze, cerchi di capire il problema e di analizzare tutti i fatti.

Perché ci domandiamo, un giornalista deve all’improvviso (in concomitanza con la visita del presidente azero a Roma…) prendere una posizione così netta (e ci consenta anche superficiale) su un tema come questo a favore di un regime come quello dell’Azerbaigian? Che, lo dice Reporter Senza Frontiere non gli armeni, è al 160° posto su 180 paesi nella classifica sulla libertà di informazione (l’Armenia con tutti i suoi problemi è 78a, l’Italia 49a).

Forse la democrazia e la libertà di Opinione non conteranno molto parlando di storia e politica, ma prima di schierarsi decisamente a favore di una parte qualche riflessione a 360° sarebbe pure necessaria.

Distinti saluti

INIZIATIVA ITALIANA PER IL NAGORNO KARABAKH

www.karabakh.it