Roma finanzia l’offensiva dell’Azerbaigian contro l’Armenia (Today.it 14.02.23)

L’Azerbaigian ha lanciato una nuova offensiva contro l’Armenia per riappropriarsi del Nagorno-Karabakh, un territorio conteso tra le due nazioni. Questa volta però non si tratta di una offensiva militare, ma legale. Baku accusa Erevan di stare distruggendo l’ambiente dell’enclave a maggioranza armena e per questo intende dare il via a un arbitrato interstatale ai sensi della Convenzione di Berna del Consiglio d’Europa sulla conservazione della vita selvatica e degli habitat naturali europei. Entrambi i Paesi sono firmatari del trattato internazionale vincolante, insieme all’Ue e ad altri 50 Stati, ma il trattato non è mai stato utilizzato per arbitrare questioni ecologiche tra due nazioni, e questo sarebbe il primo caso.

Il patto “Roma-Baku”: ora il raddoppio del gasdotto Tap è fondamentale

“Negli ultimi due anni abbiamo scoperto prove scioccanti di danni ambientali nei territori liberati nella guerra del 2020”, ha dichiarato a Politico il viceministro degli Esteri azero Elnur Mammadov, secondo cui ci sarebbero stato “danni alla vita animale e alla biodiversità”, in quanto “c’è stato e continua ad esserci uno sfruttamento delle risorse naturali e un inquinamento industriale che danneggia i nostri ecosistemi ancora oggi”. Secondo Mammadov, nel Nagorno-Karabakh sarebbero a rischio oltre 500 specie, tra cui leopardi, orsi bruni, lupi grigi e aquile. Un portavoce del Consiglio d’Europa ha detto al giornale che al momento non è arrivata alcuna richiesta ufficiale. In ogni caso, secondo il testo della convenzione, un comitato permanente composto da tutte le parti contraenti dovrebbe “fare del suo meglio per facilitare un accordo amichevole”. Se ciò non dovesse accadere, si potrà avviare un processo di arbitrato formale: verranno nominati tre arbitri e verrà istituito un tribunale arbitrale. Ma gli esiti della eventuale procedura o che tipo di risarcimento si potrebbe richiedere è difficile sapere.

L’offensiva legale sembra essere solo una continuazione di quella militare. Lo scorso agosto l’esercito azero ha ripreso il controllo la città di Lachin e i villaggi vicini di Zabukh e Sus, di fatto tagliando il corridoio che collega l’Armenia con il territorio popolato da armeni e che dal 1992 si è proclamato indipendente dall’Azerbaigian, costituendosi nella Repubblica dell’Artsakh, uno Stato non riconosciuto da nessun Paese Onu. La regione azera di Lachin, dove si trova il corridoio, era controllata dalle truppe armene fin dalla prima guerra del Nagorno-Karabakh, conclusasi nel 1994 con la vittoria di Erevan.

Nel 2020, durante il secondo conflitto, dove si stima che abbiano perso la vita oltre 6.500 persone, Baku, supportata dalla Turchia di Recep Tayyip Erdogan, da sempre sua alleata, ha ripreso il controllo della regione, così come di altri sei distretti intorno al Nagorno-Karabakh e parte dell’enclave separatista. Secondo l’accordo di cessazione delle ostilità sponsorizzato e garantito dalla Russia di Vladimir Putin entro tre anni le parti avrebbero dovuto costruire una via di comunicazione terrestre alternativa tra l’Armenia e la Repubblica dell’Artsakh ma l’Azerbaigian ha violato i patti e ha chiesto agli armeni di lasciare Lachin.

Da metà dicembre, azeri che dicono di essere ambientalisti e che sostengono di protestare contro l’estrazione mineraria illegale hanno bloccato il corridoio e a causa di ciò ora l’enclave separatista, che conta circa 120mila abitanti, sta affrontando interruzioni di corrente e di internet, oltre a problemi di riscaldamento e di accesso a cibo e medicinali. A sostenere le mosse dell’Azerbaijan del presidente Ilham Aliyev, al potere dal 2003 dopo aver preso le redini del governo dal padre, c’è anche l’Italia, visto che lo Stivale importa dal Paese ex sovietico oltre il 13% del suo gas e che la nazione, insieme all’Iraq, è il nostro maggior fornitore di greggio, con circa 5,5 miliardi di euro di media nell’ultimo decennio. I flussi di gas in particolare dal Paese asiatico arrivano attraverso il Corridoio meridionale in Italia dalla Puglia, tramite la Tap, la Trans Adriatic pipeline. La capacità della Tap è al momento di circa 10 miliardi di metri cubi l’anno. Nel futuro, il governo conta di aumentarla gradualmente raddoppiandola a 20 miliardi di metri cubi entro il 2027.

L’Italia è da diversi anni il primo partner commerciale al mondo dell’Azerbaijan, con le nostre importazioni che sono in continua crescita, e sono passate dai 2,9 miliardi di euro del 2016 ai circa 5 miliardi a fine 2019, a fronte di esportazioni pari a circa 300 milioni di euro ed un valore di commesse vinte da aziende italiane intorno ai 7 miliardi negli ultimi 15 anni. Dopo gli annunci sugli accordi stretti da Eni in Algeria e Libia alla presenza di Giorgia Meloni, il governo intende consolidare il ruolo degli azeri nei nostri piani energetici. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso è stato ieri in visita a Baku, per presenziare alla cerimonia per la posa della prima pietra della centrale di Mingachevir in cui Ansaldo Energia realizzerà quattro turbine a gas da 320 MW ciascuna per un importo complessivo di 160 milioni di euro, primo di una serie di progetti che riguarderà le imprese italiane del settore.

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