Sessantacinquesimo giorno del #ArtsakhBlockade. «L’indifferenza del mondo permette l’Azerbajgian e la Turchia di “finire il lavoro” lontano dai sguardi» (Korazym 14.02.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 14.02.2023 – Vik van Brantegem] – «Nel mondo si infittiscono le tenebre dell’odio, che spesso provengono dalla dimenticanza e dall’indifferenza» (Papa Francesco, parlando in generale nel discorso il 13 febbraio 2023 alla Delegazione dell’Università Sulkhan-Saba Orbeliani di Tbilisi, Georgia).

Foto di David Ghahramanyan @Davidphotograp6 – Fotoreporter di Stepanakert, capitale della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh ghahramanyan91@internet.ru +37497363738.

65° giorno di assedio dell’Artsakh. L’Azerbajgian continua la sua politica genocida, lasciando 120.000 Armeni con carenza di beni di prima necessità. Con l’interruzione totale della fornitura dall’Armenia di elettricità dal 9 gennaio e di gas dall’8 febbraio, il sistema elettrico locale sovraccarico con continui blackout sta provocando frequenti incendi nell’Artsakh. In un caso un residente di 50 anni è rimasto ferito ed è ricoverato in ospedale.

«Oggi è la festa dell’amore e in Artsakh non ci sono nemmeno fiori da regalare alle proprie mogli o ai propri cari. E hanno trovato questa soluzione» (Liana Margaryan, giornalista a Stepanakert).

Ieri, come abbiamo riferito, nel 64° giorno del #ArtsakhBlockade, gli Armeni dell’Artsakh si sono riuniti per celebrare Trndez (Tyarndarach) in occasione della presentazione di Cristo al tempio di Gerusalemme, 40 giorni dopo Natale. È consuetudine che tutti, in particolare gli sposi novelli, saltino insieme sul fuoco.

Oggi, 14 febbraio 2023, nella Cattedrale dell’Intercessione della Santa Madre di Dio a Stepanakert, si è tenuta una cerimonia di consegna delle croci benedette ai bambini nati nell’Artsakh bloccato. In Artsakh sotto assedio sono nati 244 bambini.

«I bambini dell’Artsakh invitano la società internazionale a stare con l’Artsakh e ad aprire la strada della vita. L’Azerbajgian, ricorrendo ad azioni criminali e terroristiche, sta tenendo sotto blocco circa 120.000 persone dell’Artsakh, con l’obiettivo di eseguire la pulizia etnica nell’Artsakh. La gente dell’Artsakh vuole vivere pacificamente nella propria patria» (Liana Margaryan, giornalista a Stepanakert).

I geni della propaganda azera del dittatore Aliyev all’opera. Nasimi Aghayev, Ambasciatore dell’Azerbajgian in Germania: «43 civili Armeni hanno utilizzato oggi la strada di Lachin con veicoli del Comitato Internazionale della Croce Rossa. Rimane aperto ai civili e a tutte le forniture di cui i nostri cittadini Armeni hanno bisogno. Eppure, per mantenere la sua farsa di “blocco”, la giunta Vardanyan continua a impedire ai civili di utilizzare la strada da soli».

Adnan Huseyn risponde a Nasimi Aghayev e ICRC: «Coinvolgono intenzionalmente il CICR nel tentativo di creare una falsa impressione di una crisi e usano il coinvolgimento del CICR come prova. In 2 mesi non ho visto un solo tentativo civile di attraversare la strada. Invece, persistono nel loro modello tradizionale di mendicare, piangere e mentire».

Si trovano ancora gente problematiche, che nel 65° giorno di #ArtsakhBlockade negano che gli “eco-attivisti” sostenuti dal governo dell’Azerbajgian stanno bloccando il Corridoio (parola oscena per i stipendiati di Aliyev) di Lachin per oltre 2 mesi, violando i diritti fondamentali di movimento e impedendo l’accesso adeguato a beni e servizi essenziali.

Ironia della sorte, il dittatore guerrafondaio genocida Aliyev parteciperà il prossimo 27 febbraio alla 52ª sessione ordinaria del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite (27 febbraio-4 aprile 2023) a Ginevra.

La Comunità armena della Svizzera organizza per lo stesso giorno dalle ore 14.00 una manifestazione presso la Place des Nations.

La vergogna di @ItalyinBaku

Adolfo Urso, Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Senatore di Fratelli d’Italia: «Un accordo importante che apre la strada ad una più ampia presenza del Made in Italy e delle nostre eccellenze produttive industriali in Azerbajgian».
MIMIT-Ministero delle Imprese e del Made in Italy: «A Baku il Ministro Adolfo Urso e il Presidente azero hanno presenziato alla firma dell’accordo tra Ansaldo Energia e Azerenerji. @ItalyinBaku

Jeyhun Bayramov, Ministro degli Esteri della Repubblica di Azerbaigian: «Ho avuto un ampio scambio con la delegazione guidata da Adolfo Urso, Ministro delle Imprese e del Made in Italy. Abbiamo discusse opportunità per rafforzare ulteriormente il partenariato strategico multidimensionale tra l’Azerbajgian e l’Italia. L’ho informato sulla situazione postbellica, sul processo di riabilitazione e reintegrazione».

Il Ministro di Fratelli d’Italia avrà chiesto a questo punto spiegazioni “sulla situazione postbellica” nel Corridoio di Lachin? E espresso la preoccupazione del Governo Meloni per il “processo di riabilitazione e reintegrazione” attraverso la pulizia etnica con l’assedio degli Armeni in Artsakh?

Ripetiamo le parole di Antonia Arslan dall’intervista che segue, sulla “fascinazione dell’Italia” per l’Azerbajgian: «Subito dopo la Guerra dei Quaranta Giorni, un nutrito gruppo di parlamentari di tutti i partiti si è recato a Baku (sottolineo: tutte le forze politiche) a rendere omaggio a Baku. E tutte queste dimostrazioni, che noi riteniamo essere solo “di facciata”, per i popoli mediorientali sono simboli che valgono più di mille parole. Il gesto di Erdoğan che riserva solo uno strapuntino alla von der Leyen, ad esempio, non è solo un gesto scortese, ma un simbolo. Così come l’omaggio reso dai politici italiani è un simbolo. Ed anche il convegno internazionale tenuto a Shushi, storico crocevia della Via della Seta, città nelle mani degli Azeri dal 2020, vicina a Stepanakert, è un simbolo potente: sono stati invitati tutti gli ambasciatori, solo pochi hanno rifiutato (Francia, Stati Uniti e pochi altri) e l’Italia era presente».

I Ministri italiani che fanno la staffetta a Baku e con loro il Governo Meloni si coprono di vergogna. A futura memoria, quando diranno, sazio del caviale di Aliyev: «Wir haben es nicht gewußt» (Non lo sapevamo).

«L’indifferenza generale del mondo è la sfortuna degli Armeni. Dà l’opportunità all’Azerbajgian e alla Turchia, che sono forze del pan-turchismo, responsabili del genocidio del 1915, di “finire il lavoro” lontano dai sguardi» (Nanou Likjan).

«Questo video racconta uno dei molteplici episodi che descrivono le vere intenzioni degli agenti “eco-attivisti” del governo azero, che hanno bloccato per 2 mesi l’unica strada che collega l’Artsakh all’Armenia e al mondo. Insultano i cittadini dell’Artsakh, una parte indivisibile del popolo armeno, e si rallegrano per il loro blocco della strada. Questo è indicativo del loro atteggiamento e delle loro vere intenzioni. Questa registrazione video è del 14 dicembre 2022, il 2° giorno della chiusura della strada. Questo video è stato incluso e analizzato in un prossimo rapporto, in cui le prove hanno identificato ed esposto molti cosiddetti “eco-attivisti”» (Center for Law and Justice “Tatoyan” Foundation, 14 febbraio 2023).

Oggi, entrati nel terzo mese del #ArtsakhBlockade, rileggiamo l’intervista ad Antonia Arslan per La Nuova Bussola Quotidiana di esattamente un mese fa, quando il #ArtsakhBlockade era entrato nel secondo mese.

Nagorno Karabakh, gli armeni aggrappati alla loro terra
di Stefano Magni
La Nuova Bussola Quotidiana, 14 gennaio 2023

La prossima guerra potrebbe scoppiare nel Caucaso, fra Armenia e Azerbajgian. Si tratta di una profezia facile su una crisi di cui pochi ancora parlano. Da più di un mese, ormai, il Nagorno-Karabakh, un pezzo di Armenia storica incastonato nell’Azerbajgian, è completamente assediato e la popolazione è priva di ogni mezzo di sostentamento.

Dietro al pretesto di una manifestazione ecologista, gli Azeri hanno chiuso il Corridoio di Lachin, impedendo l’arrivo, dall’Armenia, di viveri, carburante e beni di prima necessità ai 120mila armeni che abitano nella regione (di fatto indipendente, anche se non riconosciuta internazionalmente). La situazione umanitaria è critica. Manca letteralmente tutto, nel pieno del rigido inverno delle montagne caucasiche. Impossibile non vedere anche l’aspetto religioso del lungo conflitto che scoppia a intermittenza da trent’anni. Il Nagorno-Karabakh (Artsakh) è un’enclave cristiana nell’Azerbajgian musulmano. E rientra in un conflitto più ampio, con l’Armenia tradizionale alleata della Russia contrapposta all’Azerbajgian sostenuto dalla Turchia.

La scrittrice Antonia Arslan, autrice del celebre romanzo sul genocidio armeno La Masseria delle Allodole, è una delle poche voci in Italia che lanciano l’allarme sulla crisi del Caucaso. La Nuova Bussola Quotidiana l’ha intervistata sulla tragedia degli Armeni del Karabakh e sullo strano silenzio della stampa occidentale. “Mai come ora, dal 1915, gli armeni rischiano l’annientamento”, spiega a La Nuova Bussola Quotidiana, constatando come “un allineamento terribile” di eventi e di congiunture internazionali faccia sì che tutto il mondo stia voltando le spalle al suo popolo.

Antonia Arslan, siamo alle soglie di una nuova guerra?
L’Armenia è in una condizione di debolezza e certamente non si sogna neppure di attaccare. Purtroppo, dall’altra parte, l’Azerbajgian, con la Guerra dei Quaranta Giorni del 2020, ha dimostrato di essere armato fino ai denti, con equipaggiamenti di ultima generazione. Se vuole, se il suo Presidente Ilham Aliyev decide di attaccare, purtroppo c’è ben poco da fare per fermarlo. Io spero con tutto il cuore e prego che ciò non si verifichi. La situazione è molto delicata, anche perché è ancora in corso la guerra in Ucraina.

Come gli Armeni stanno vivendo la loro alleanza con la Russia?
Con molto rancore. Perché gli Armeni si sentono abbandonati. Il sentimento comune è quello di isolamento. La politica del Caucaso e delle regioni vicine è talmente complessa, un intreccio di nazionalismi, vecchi rancori, odio religioso, che ogni cosa che accade su un fronte si ripercuote su un altro. La Russia ha aggredito l’Ucraina ed è impegnata enormemente su quel fronte. Mentre il cessate il fuoco del 2020 in Armenia lo si deve all’intervento della Russia, che tuttora schiera truppe di interposizione fra Azerbajgian e quel che resta del Karabakh indipendente. Al momento non sono proprio in grado di intervenire.

L’ultimo blocco del Corridoio di Lachin dura da più di un mese…
È questo il punto. La strada di Lachin è sempre stata regolarmente interrotta, per brevi periodi, anche di un giorno, dal 2020 ad oggi. Questo prolungarsi del blocco che sta causando una terribile situazione umanitaria, è la novità. Non si può entrare e uscire dal Karabakh neppure per via aerea, perché tutti gli aeroporti sono ormai sotto il controllo degli azeri ed è impossibile aggirare il blocco. Solo la Croce Rossa è autorizzata a passare, ma ha potuto attraversare il blocco per non più di cinque volte stando a fonti giornalistiche in loco. I generi di prima necessità sono razionati, frutta e verdura scomparse. Siamo nel Caucaso ed è pieno inverno e tutto quel che arrivava dall’Armenia è bloccato.

Come fanno a sopravvivere gli Armeni del Nagorno Karabakh?
Da montanari. Coraggiosissimi, aggrappati alla loro terra come ostriche allo scoglio, si accontentano, si arrangiano, non si lamentano. Manca il riscaldamento, le scuole sono chiuse: abbiamo cercato di riaprire la nostra scuola a Stepanakert (Scuola professionale armeno-italiana Antonia Arslan, ndr). Sono gli Armeni del Caucaso: i più autentici, quelli che a suo tempo non hanno subito il genocidio perché erano sotto la Russia zarista e non sotto l’Impero Ottomano. E adesso però sono sotto una minaccia costante di genocidio, una minaccia dichiarata. Erdogan lo disse chiaro e tondo: “Dobbiamo finire il lavoro iniziato dai nostri antenati”. L’odio coltivato è praticato con la distruzione di ogni traccia di memoria armena: le lettere armene scalpellate via dai muri, le chiese distrutte. Per reazione, gli Armeni vogliono restare e resisteranno più che possono.

Le distruzioni di cui parla non sono di epoche remote…
Alcune sono recentissime, dopo la guerra del 2020. Ci sono foto che ci mostrano spianate dove prima sorgevano chiese. E questo avviene in tutti i territori conquistati. Ma l’esempio più significativo è in un’altra regione, quella del Nakhichivan, su cui il professor Ferrari (docente di Letteratura armena all’Università di Venezia) sta preparando un libro molto importante. Abitata da una maggioranza di Armeni, era stata attribuita all’Azerbajgian da Stalin. Gli Armeni, sin dagli albori dell’URSS, sono stati cacciati dal Nakhichivan, verso l’Armenia con cui confina. Tutte le tracce della presenza armena, edifici, chiese, cimiteri, sono state sistematicamente distrutte. Una serie di fotografie dimostrano, ad esempio, come al posto località delle Sette Chiese vi fosse una spianata con le fondamenta però ancora visibili. Ora non si vedono più neppure quelle. Secondo gli Azeri, quel territorio “non è mai stato abitato da Armeni”. L’ultimo cimitero storico di cui abbiamo foto, quello di Julfa, è stato raso al suolo con gran uso di esplosivi, nel 2007. Era l’ultima testimonianza di un cimitero armeno le cui prime tombe erano dell’Ottavo Secolo. Ora è una spianata nuda e brulla.

È questa la sorte che toccherebbe anche al Nagorno-Karabakh?
È quello che accadrà anche nel Karabakh nel momento in cui gli ultimi Armeni decidessero di andarsene. Sparirebbero monumenti millenari stupendi, dove sono stati trovati affreschi, siti archeologici di importanza immensi. Temiamo per il monastero di Dadivank, del Nono Secolo, nelle mani degli Azeri dal 2020, dove nel 2014 erano stati riscoperti antichi affreschi di straordinaria bellezza da parte dell’architetto armeno Arà Zarian e dalla restauratrice belga Christine Lamoureux. Non è stato distrutto perché è troppo celebre. Ma si rischia che, una volta spenta l’attenzione mediatica, faccia la fine delle altre chiese.

A cosa si deve la disattenzione mediatica sul Caucaso?
A mio parere è dovuta, soprattutto, alla disattenzione dell’Unione Europea. Non solo è totalmente silente, ma, peggio ancora, la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, è andata personalmente a ringraziare Aliyev in Azerbajgian per la vendita del gas. Ora: la vendita (non il regalo) del gas è già uno scambio. Perché metterci quel “di più” del ringraziamento pubblico, perché inginocchiarsi con scene patetiche? Dove è finita la grande diplomazia europea? E d’altra parte c’è stata un’ampia opera di lobbying sul Parlamento Europeo da parte dell’Azerbajgian. E molti Eurodeputati hanno cambiato il loro atteggiamento e le loro opinioni dalla sera alla mattina, come è avvenuto con il Qatar. Un altro motivo è un certo riflesso condizionato provocato dalla guerra in Ucraina. Siccome i Russi sono dalla parte dei cattivi, allora anche quel che fanno in Armenia è un male?

E come mai anche il Vaticano sembra così distratto?
L’Azerbajgian ha anche finanziato il restauro di catacombe (quelle dei Santi Marcellino e Pietro e poi quelle di Commodilla) a Roma, opera per la quale è stata espressa grande riconoscenza [QUIQUI e QUI]. L’Azerbajgian si presenta poi come un Paese in cui la libertà di religione è pienamente garantita. Questa fascinazione riguarda anche la politica italiana: subito dopo la Guerra dei Quaranta Giorni, un nutrito gruppo di parlamentari di tutti i partiti si è recato a Baku (sottolineo: tutte le forze politiche) a rendere omaggio a Baku. E tutte queste dimostrazioni, che noi riteniamo essere solo “di facciata”, per i popoli mediorientali sono simboli che valgono più di mille parole. Il gesto di Erdoğan che riserva solo uno strapuntino alla von der Leyen, ad esempio, non è solo un gesto scortese, ma un simbolo. Così come l’omaggio reso dai politici italiani è un simbolo. Ed anche il convegno internazionale tenuto a Shushi, storico crocevia della Via della Seta, città nelle mani degli Azeri dal 2020, vicina a Stepanakert, è un simbolo potente: sono stati invitati tutti gli ambasciatori, solo pochi hanno rifiutato (Francia, Stati Uniti e pochi altri) e l’Italia era presente.

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]