Settantacinquesimo giorno del #ArtsakhBlockade. Se gli Armeni perdono l’Artsakh, gireranno l’ultima pagina della loro storia. Non dire dopo: “Non lo sapevo” (Korazym 24.02.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 24.02.2023 – Vik van Brantegem] – Oggi ricorre il 75° giorno dell’illegale e sadico #ArtsakhBlockade da parte del regime genocida e dispotico di Ilham Aliyev, ispirato dalla sua decennale impunità. Il blocco del Corridoio di Berdzor (Lachin) che tiene sotto assedio la Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, provoca una crisi umanitaria per la popolazione dell’Artsakh. Sono passati 75 giorni di carenza dei beni di prima necessità, di cibo e di medicine. Sono passati 75 giorni di interruzioni di luce e di gas. Sono stati 75 giorni senza accesso al resto del mondo.

Questa è una storia di resilienza. La sto seguendo da 75 giorni, giorno dopo giorno, con il dolore nel cuore per il popolo dell’Artsakh, 120.000 Armeni tra cui 30.000 bambini.

Nonostante la decisione giuridicamente vincolante della Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite, la dittatura dell’Azerbajgian continua la sua guerra silenziosa contro il popolo armeno dell’Artsakh, che rimane sotto blocco e vuole solo vivere in pace nella propria terra. L’Artsakh e l’Armenia vogliono la pace. L’Azerbajgian vuole l’Artsakh e l’Armenia. Non possiamo permetterlo. Va ricordato che l’Artsakh non ha mai fatto parte di un Azerbajgian indipendente. Il terrore, l’aggressione, le bugie e la propaganda dell’Azerbajgian non cambia questo fatto storico.

È ora di agire e aprire il Corridoio di Lachin senza indugio o condizioni. È ora di porre fine all’impunità e di sanzionare il regime del dittatore Ilham Aliyev. È ora di inviare una forza di interposizioni delle Nazioni Unite nel Corridoio di Berdzor (Lachin) e in Artsakh. La decisione legalmente vincolante della Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite apre la strada a tutti gli attori internazionali (Russia, Francia, USA, Unione Europea, ONU, OSCE) capaci di agire e di aprire immediatamente la via della vita dell’Artsakh.

«Nessuno può influenzarci. Potrebbero esserci delle chiamate, potrebbero esserci alcune dichiarazioni, non è necessario prestare loro attenzione. Rispondo a queste chiamate semplicemente per cortesia politica. Ma questo non cambierà minimamente la nostra posizione» (Ilham Aliyev, Presidente e Comandante in capo delle forze armate dell’Azerbajgian).

Quando l’Azerbaigian afferma di prendere tutte le misure in suo potere e a sua disposizione per garantire un passaggio sicuro degli Armeni, si prega di notare che le foto qui sopra mostrano l’aspetto reale della ”eco-protesta” azera, che blocca l’autostrada interstatale Goris-Berdzor (Lachin)-Stepanakert lungo il Corridoio di Berdzor (Lachin) internazionalmente riconosciuto. Sono le stesse forze speciali che hanno decapitato i civili armeni nel 2020 e che oggi sono schierato lungo la strada acconto agli “eco-manifestanti”.

Filmati sui social media dell’Azerbajgian mostrano gli “eco-attivisti” organizzati dal governo azero, nel 75° giorno del blocco azero del Nagorno-Karabakh. Al posto di blocco nel Corridoio di Berdzor (Lachin) in Artsakh cantano l’inno nazionale e sventolano la bandiera dell’Azerbajgian mentre intrappolano, tormentano e sequestrano 120.000 Armeni dell’Artsakh. L’Azerbajgian non ha alcuna intenzione di togliere il blocco che nega di aver imposto, ma i video mostrano dei militanti del RİİB e il RİİB è fondato da e fa parte della Fondazione Heydar Aliyev, quindi dipende dal governo dell’Azerbajgian. Nessun cambiamento nella situazione, tutti i transiti civili continuano ad essere bloccati.

Un’altra foto che mostra le forze speciali azere, proprio dietro la recinzione, a pochi metri di distanza degli attivisti che cantano dall’altra parte lungo la strada, inneggiando ai soldati azeri, “i migliori soldati del mondo”.

Il video [QUI] dal canale Telegram del contingente di mantenimento della pace russo in Artsakh/Nagorno-Karabakh mostra i militari russi insieme ai volontari del progetto multinazionale “Siamo uniti ” nella regione di Martakert a nord-est della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh mentre svolgono un’azione umanitaria per 672 famiglie dell’Artsakh che si sono trovate in una situazione sociale difficile.

Secondo Rahman Mustafayev, l’Ambasciatore della Repubblica di Azerbajgian nel Regno dei Paesi Bassi, già Ambasciatore in Grecia, Albania, Francia e presso la Santa Sede, gli “eco-attivisti” azeri che bloccano il Corridoio di Berdzor (Lachin) e intrappolano 120.000 Armeni nell’Artsakh “possono continuare a esercitare i loro diritti”. I loro diritti. In Azerbajgian. Dove le autorità arrestano ogni due giorni delle persone per aver pubblicato video su TikTok.

L’esercito di troll dell’Azerbajgian cerca di negare qualcosa che 120.000 Armeni dell’Artsakh dicono da 75 giorni, mentre Amnesty International, Human Rights Watch, Corte Internazionale di Giustizia, USA e Unione Europea confermano le conseguenze umanitarie del genocida #Artsakhblockade. E vuole che crediamo le menzogne e falsità dei rappresentanti diplomatici del regime azero.

Questa è una foto che dimostra – secondo la narrazione di Aliyev – che il Corridoio di Lachin non è bloccato, visto che i camion delle forze di mantenimento della pace russe schierate nell’Artsakh e nel Corridoio transitano liberamente sulla strada (Foto di Tofik Babayev/AFP).

Fatti “divertenti” su “inesistente” #ArtsakhBlockade che la Corte Internazionale di Giustizia ha così erroneamente condannato. Secondo Maria Zakharova, Portavoce del Ministero degli Esteri della Federazione Russa, dal 12 dicembre 2022 sono state consegnate all’Artsakh in totale oltre 2,5 tonnellate di merci umanitarie. Si tratta di una media di 0,3 grammi per persona al giorno. Quanta è la razione giornaliera di Maria Zakharova? Prima del blocco venivano consegnate 400 tonnellate di merci AL GIORNO.

Sulla prestigiosa rivista The New York Review of Books [QUI], nell’articolo La strada per l’Artsakh. Il blocco dell’Azerbajgian dell’enclave armena del Nagorno-Karabakh è un’atrocità al rallentatore, Susan Barba scrive: «C’è una vecchia barzelletta su una tartaruga rapinata da un gruppo di lumache. Quando gli viene chiesto di descrivere gli aggressori, la tartaruga dice che non è sicuro, è successo tutto così in fretta. I blocchi deformano il tempo in modo simile: il dolore che infliggono è sia immediato che prolungato. (…) Il Nagorno-Karabakh confina su tutti i lati con l’Azerbajgian, che nel 2020 ha avviato una guerra contro l’enclave che si è conclusa con un cessate il fuoco mediato dalla Russia. Ora i 120.000 Armeni che vi abitano sono completamente isolati, non possono entrare o uscire liberamente dalla regione e gli è negato l’accesso a cibo, carburante e forniture mediche. Il blocco è una violazione del diritto umanitario internazionale da parte dell’Azerbajgian e un atto di aggressione contro gli Armeni del Nagorno-Karabakh. La Corte Internazionale di Giustizia ha stabilito che, ai sensi della Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, l’Azerbajgian deve “assicurare un movimento senza ostacoli” attraverso il Corridoio. La sentenza arriva dopo più di due mesi di sofferenza silenziosamente crescente. È iniziato il 12 dicembre 2022, quando manifestanti sostenuti dal governo azero che affermavano di essere attivisti ambientalisti hanno bloccato la strada con una protesta contro l’estrazione di risorse naturali nella regione. (L’Azerbaigian continua a negare la responsabilità.) Le forze di mantenimento della pace russe incaricate di proteggere il Corridoio non hanno fatto alcun tentativo di disperdere i manifestanti. Il giorno successivo, l’Azerbajgian ha interrotto la fornitura di gas naturale al Nagorno-Karabakh, lasciando la popolazione bloccata senza riscaldamento in pieno inverno. Da allora, nessuno dei camion che percorrono quotidianamente l’autostrada Goris-Stepanakert con quattrocento tonnellate di beni di prima necessità è stato autorizzato ad entrare nella regione. Al Comitato Internazionale della Croce Rossa è stato concesso solo un accesso minimo. Nel frattempo, i veicoli corazzati e il personale delle forze di pace di mantenimento della pace russe continuano a proteggere l’uno dall’altro i manifestanti azeri e la popolazione armena, formando di fatto una propria barricata».

Ruben Vardanyan destituito dalla carica di Ministro di Stato dell’Artsakh

Come abbiamo riferito ieri [QUI], Ruben Vardanyan è stato destituito dal suo incarico di Ministro di Stato della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh dal Presidente Arayik Harutyunyan. Annunciando la sua decisione durante la riunione del governo, Harutyunyan ha elogiato Vardanyan per il suo ruolo nella supervisione dell’emergenza e per la sensibilizzazione in tutto il mondo riguardo all’Artsakh e al blocco del Corridoio di Lachin. Harutyunyan non ha affrontato il motivo per cui ha destituito Vardanyan, ma ha sottolineato che la decisione non era in risposta alle critiche dell’Azerbajgian e del Presidente Ilham Aliyev a Vardanyan. Però, è un fatto che la destituzione avviene cinque giorni dopo che Aliyev aveva chiesto la rimozione di Vardanyan come Ministro di Stato dell’Artsakh alla Conferenza sulla Sicurezza di München lo scorso 18 febbraio. Secondo Simon Magakyan – che aveva anticipato la destituzione nei giorni passati – Ruben Vardanyan è stato licenziato dal suo incarico di Ministro di Stato per dare al regime di Ilham Aliyev una copertura di “successo” per attuare l’ordine della Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite di porre fine al #ArtsakhBlockade. Se questo è il collegamento e che fosse vero che l’Armenia da ascolto ad Aliyev, allora Aliyev continuerà semplicemente a fare ciò che vuole. Non che non sia già stato in grado di fare quello che vuole prima.

Dopo la sua destituzione, Vardanyan ha affermato: “L’Artsakh/Nagorno Karabakh è la mia casa. È stato un onore servire come Ministro di Stato per il nostro popolo, la nostra Repubblica e la nostra incrollabile lotta per un Artsakh libero… Non vedo l’ora di continuare a servire l’Artsakh/Nagorno Karabakh in modo da poter raggiungere i nostri obiettivi comuni”.

Il ruolo di Ruben Vardanyan in Artsakh è sempre stato messo in discussione non solo dall’Azerbaigian ma anche da determinati ambienti in Armenia, in particolare in riferimento al motivo per cui si trova in Artsakh. Comunque, pare che sia lì perché ha davvero a cuore quella terra e vuole contribuire il più possibile a realizzare i cambiamenti necessari per il futuro dell’Artsakh. E per questo merita rispetto, soprattutto perché un uomo con la sua ricchezza, ora potrebbe essere in qualsiasi altra parte del mondo, piuttosto che in un Artsakh bloccato e in pericolo di sopravvivenza. La sua destituzione lascia un senso di profonda tristezza.

Comunicando la destituzione di Ruben Vardanyan dalla carica di Ministro di Stato, il Presidente Arayik Harutyunyan ha comunicato che ha offerto al Procuratore Generale della Repubblica, Gurgen Nersisyan, di assumere le funzioni di Ministro di Stato, tenendo conto delle sue qualità professionali e umane, della professionalità, correttezza, principi e patriottismo dimostrati nel suo operato.

Il Presidente Harutyunyan ha espresso il suo apprezzamento degli sforzi di Vardanyan sia per aumentare la consapevolezza internazionale sull’Artsakh sia per risolvere molti problemi interni durante l’assedio in corso. “Ruben Vardanyan ed io siamo stati insieme durante tutto questo tempo, seguendo quotidianamente gli eventi e gli sviluppi che accadono sia in Artsakh che nel mondo esterno, ci siamo costantemente scambiati idee sulle soluzioni alla situazione esistente. Sono grato al Signor Vardanyan per il fatto che ha sempre cercato di condividere la responsabilità con me nella massima misura sia nelle relazioni amichevoli che in quelle di partenariato e non ha cercato di addossarmela facendo riferimento alle norme costituzionali. Ma d’altra parte, era consapevole e comprensivo della portata e dell’entità della mia responsabilità personale per la situazione creatasi in Artsakh e per tutti i problemi futuri”, ha sottolineato il capo dello Stato.

Nella riunione ieri del governo della Repubblica di Artsakh, presieduto dal Presidente Arayik Harutyunyan, è intervenuto anche Ruben Vardanyan con una lunga dichiarazione nella quale parla, appassionatamente, dei 112 giorni del suo incarico come Ministro di Stato, con riconoscenza e con grande amore per la patria, ma anche con qualche stilettata per comportamenti che non giudica consoni alle circostanze in cui versa l’Artsakh a causa del blocco azero. Riportiamo di seguito il contenuto del suo intervento, nella traduzione italiana a cura di Iniziativa italiana per l’Artsakh.

«Lavorerò qui, starò al tuo fianco. Grazie, Signor Presidente, per tutto. Anche se abbiamo delle contraddizioni nei diversi approcci, l’idea generale è che abbiamo “linee rosse” che nessuno dovrebbe oltrepassare. Queste linee rosse sono molto importanti per la nostra dignità, al fine di mantenere Artsakh armeno, indipendente e dignitoso. Sono fiducioso che insieme supereremo questa strada.
Prima di tutto, vi ringrazio per il modo in cui siamo passati insieme e per la fiducia che il Signor Presidente ha riposto in me. È stata una grande esperienza per me.
Sai che vengo in Artsakh da decenni, avevo ottimi contatti, ma all’inizio di settembre ho dichiarato di essere venuto perché sentivo che ci trovavamo sull’orlo di un precipizio, situazione non visto pienamente consapevole.
Per me era Sardarapat [battaglia fondamentale per la stessa esistenza del popolo armeno dopo il genocidio]. Quando dico Sardarapat, capisco la crisi, un’agenda diversa, e mi percepisco come un soldato che fa tutto il necessario per salvare la nostra patria. Quindi, quando ho ricevuto questo invito, è stato inaspettato per me, perché mi ero dato la mia parola che non sarei entrato nel governo, ma ho capito che se sono un uomo di parola, andando a difendere la mia patria, non posso non essere “voglio, non voglio, posso, non posso”. Se deve essere fatto, allora deve essere fatto.
È stata, ovviamente, una decisione difficile per me.
D’altra parte è stato facile, perché ho deciso da solo che ero qui, sarei rimasto, non sarei andato da nessuna parte, e se fossi stato necessario in questa direzione, allora avrei lavorato in questa direzione, se potessi essere utile in patria in un’altra direzione, lavorerei in un’altra direzione.
Da questo punto di vista, potrebbe essere più facile per me sia accettare la posizione sia rinunciarvi. Siamo in guerra e abbiamo dovuto lottare in quella direzione, spero che la mia lotta ci abbia in qualche modo aiutato a superare insieme queste difficoltà.
Devo rispondere ad alcuni punti di discussione.
Primo, perché non mi sono dimesso. Voglio essere chiaro: pensavo di essere un soldato, non posso dimettermi. Se necessario, il Comandante in Capo Supremo dovrebbe sollevarmi dal mio incarico.
In secondo luogo, sono sicuro che abbiamo svolto un lavoro molto importante in un periodo molto difficile, e voglio ringraziare tutte le persone che hanno lavorato in questa difficile crisi, dalle 7 del mattino alle 2 di notte, senza luce e gas, dimostrando che, come squadra, sono pronti a tutto. È stata un’esperienza molto importante per me, per la quale sono molto grato.
Terzo, c’era davvero molta pressione dall’esterno. Il Signor Presidente ha più informazioni e comprende la situazione. Ma abbiamo un mondo esterno e un mondo interno. Mi è sembrato che la pressione dall’esterno non ci aiuti internamente ad avere una situazione tale da farci sentire in grado di combattere più duramente quella pressione. Ho presentato al Signor Presidente il lavoro del Governo in 110 giorni, e sono pronto a presentarlo al pubblico in modo più dettagliato.
Per fare il lavoro, devi prima redigere un piano, avere uno schizzo, gettare le fondamenta, costruire i muri interni. Abbiamo compiuto passi in varie direzioni, che, ovviamente, in condizioni di crisi erano difficili, ma siamo felici di trasmettere i risultati del lavoro svolto al Signor Nersisyan e speriamo che continui a lavorare su queste direzioni.
So che c’è una certa pressione su di me per rimanere in Artsakh, ma vorrei sottolineare che non solo non me ne andrò, ma non riesco a immaginarmi fuori dall’Artsakh. Sono felice di continuare il lavoro che ho fatto prima. La nostra fondazione, l’agenzia “Noi siamo nostre montagne” ha già realizzato molti progetti. Vorrei dire che è stato un esempio molto importante di cooperazione tra Stato e settore privato, Armenia, Diaspora e ONG armene e non armene. Penso che sia molto importante perché se parliamo di futuro, è molto importante che questa cooperazione continui.
Continueremo i nostri sforzi e faremo un ottimo lavoro affinché quanti più armeni possibile vengano in Artsakh, in modo che non solo gli armeni in Artsakh non si sentano soli, ma anche coloro che hanno lasciato l’Artsakh in tempi diversi, durante questa crisi, tornino e rafforzare ancora di più la nostra Patria.
Come ho già accennato, abbiamo problemi finanziari e gestionali, oltre al problema della preparazione al prossimo inverno. Durante questo periodo abbiamo acquisito molta esperienza, abbiamo compreso le nostre carenze e abbiamo registrato le carenze in quali aree di lavoro sono state svolte. È molto importante trarre insegnamenti da tutto ciò e fare di tutto affinché queste carenze non si ripetano né in termini di cibo, né di carburante, né in termini di altri problemi. Abbiamo un’idea molto migliore della situazione ora rispetto a prima del blocco.
Più importante delle questioni finanziarie, gestionali e di altro tipo era il fatto che l’Azerbajgian, che sperava di metterci in ginocchio, di spezzarci, si sbagliava crudelmente. L’Azerbajgian ha visto che siamo diventati più uniti.
E anche l’indifferenza è scomparsa. In effetti, è stato molto incoraggiante sentire persone in diverse comunità dire: siamo pronti a resistere senza gas e luce, solo non tradirci e continuiamo a combattere.
In effetti, la tua responsabilità di presidente, che è stato eletto quattro mesi prima della guerra, è molto pesante, ti trovi in una posizione molto difficile, avendo portato questo fardello per così tanto tempo.
Dico con sicurezza che per avere successo, l’approccio deve essere sistemico. Se non costruiamo un sistema, se non mettiamo in atto meccanismi trasparenti e coerenti, è molto difficile raggiungere il successo.
L’argomento della discussione è anche che nessun individuo è più importante della nostra patria.
Anche la fiducia è molto importante; Spero che la nostra parola, infatti, non abbia perso il suo valore. Ho rivisto i suoi discorsi prima della guerra: erano discorsi molto brillanti, profondi, Signor Presidente. Sono sicuro che ti rifarai alle tue parole anche adesso. Vorrei solo che trasformassi le tue parole in fatti. È molto importante che le persone non perdano la fiducia in queste parole.
Mi dispiace, ma a volte non possiamo davvero dire quello che vogliamo dire, o dobbiamo ricorrere alle allegorie. Tuttavia, le persone devono credere alle nostre parole e alle nostre azioni.
Come qualcuno che non ha lavorato nel sistema governativo fino a questi 112 giorni, mi sono reso conto che la maggioranza in Artsakh sono dipendenti pubblici dedicati. In ogni caso, le sfide esistenti non possono essere superate solo dagli sforzi del governo.
I problemi che abbiamo nelle sfere finanziaria, della sicurezza e dell’identità richiedono una cooperazione molto seria; quindi, spero che ne capiremo l’importanza quando cercheremo di utilizzare il potenziale della diaspora.
Il campo politico ha le sue leggi ed è possibile che se non fossimo in un blocco, guarderemmo tutto questo in modo diverso.
La cosa più difficile per me è che non sono riuscito a dimostrare e spiegare due cose: che questa non è una situazione normale e che la crisi ha le sue leggi. Questa è stata probabilmente una delle mie più grandi omissioni.
L’altra difficoltà è stata che non sono riuscito a spiegare che la lotta significa che dobbiamo capire ogni giorno quali sono i nostri punti deboli e i nostri punti di forza, come dobbiamo rafforzare la nostra posizione, come dobbiamo essere in grado di utilizzare le nostre risorse limitate.
La nostra lotta è sia nell’economia che nel campo dell’informazione. Questi 112 giorni hanno portato cambiamenti, che inevitabilmente hanno mostrato una nuova situazione, un nuovo Artsakh.
Da una parte eravamo tutti sulla stessa barca, e quella barca ci univa tutti. Ma d’altra parte, abbiamo visto gli esempi inaccettabili di cui parlavo, che alcune persone non hanno questa comprensione dell’inaccettabile, quando, per esempio, in una situazione di crisi mandi frutta e verdura a funzionari di alto rango, essendo un tu stesso funzionario di alto rango… La questione non è che sia un male. Il problema è che di quelle poche decine di persone, solo poche persone lo hanno rispedito indietro, trovando il fenomeno in sé inaccettabile. Mi dispiace che portare ananas o rose durante un blocco sia considerato normale, ma ovviamente so che il numero di queste persone è piccolo. Non è quello che hanno fatto che mi preoccupa molto di più, è quello che pensiamo sia normale. In secondo luogo, non esisteva alcun meccanismo per punire. Il signor Nersisian e io abbiamo discusso ampiamente di questo problema: cosa dovrebbe essere punito in questa situazione e cosa no.
Il mio approccio può essere stato molto duro, ma non me ne pento. Di recente ho letto il libro di Nzhdeh: è stato interessante vedere che 100 anni fa Nzhdeh scriveva della stessa cosa. Vorrei leggere un piccolo estratto dalle sue memorie: “Il destino degli armeni sarebbe stato diverso se i loro capi, invece di divorarsi a vicenda, avessero dichiarato guerra alle loro mancanze”. Io stesso so che non ero un leader perfetto, ho commesso degli errori, ma ero sincero, ero un patriota, pretendevo di più da me stesso che dagli altri.
Signor Presidente, voglio dire che siamo felici qui perché abbiamo una nazione fantastica. Questa nazione ha dimostrato di poter sopportare qualsiasi cosa, è pronta a combattere, pronta a seguirci ed è davvero un grande onore che io abbia avuto l’opportunità e comunicando con queste persone ho capito quanto sono forti gli Artsakhi, ho capito la differenza tra gli Artsakiani e gli armeni che vivono in altri luoghi. Questo è molto stimolante.
Sono fiducioso che possiamo superare la strategia del “salame” applicata dall’Azerbajgian, che è molto pericolosa. Sono sicuro che non solo una persona, o il Consiglio di sicurezza, o poche centinaia di persone dovrebbero avere il diritto di scegliere la strada, ma l’intero popolo dovrebbe prendere una decisione molto dura e responsabile, di cui abbiamo parlato prima del blocco, durante il blocco e durante la manifestazione.
Siamo tutti esseri umani che hanno i nostri difetti. Spero che se avrò offeso qualcuno senza rendermene conto sarò perdonato, se non ho fatto qualcosa o fatto qualcosa sono pronto ad ascoltare sia le critiche che i consigli, perché ho sempre imparato dagli altri».

Voci sul ritorno sulla scena politica in Artsakh del Generale Babayan

Corrono anche voci di un possibile ritorno sulla scena politica in Artsakh del Generale Samvel Babayan, già Eroi dell’Artsakh, nato a Stepanakert il 5 marzo 1965. Dopo essersi diplomato nella sua città natale, Babayan presta servizio militare nella Armata Rossa e viene stanziato nella Germania dell’est tra il 1983 e il 1985. Nel 1988 è arruolato in un’unità paramilitare e comanda una propria unità, dal 1989 al 1991 è comandante di una Compagnia Volontari a Stepanakert e membro di una centrale partigiana nella stessa città. Con il grado di tenente generale partecipa al conflitto dove mette in evidenza le sue capacità di comando. Partecipa alla pianificazione della battaglia di Shushi, alla liberazione del Corridoio di Lachin e alla battaglia di Kelbajar. Tra il 1992 e il 1993 diviene comandante del neonato Esercito di difesa del Nagorno-Karabakh dopo che il suo predecessore, Serzh Sargsyan diviene Ministro della Difesa dell’Armenia. Sotto il suo comando le forze armene hanno la meglio su quelle azere riuscendo a mantenere il controllo sul territorio originario dell’oblast karabako e anche a conquistare sette distretti circostanti che garantiscono tra l’altro contiguità territoriale fra i due stati armeni. È stato uno dei firmatari del cessate il fuoco del 1994 che pose fine alla prima guerra del Nagorno-Karabakh.

Dopo la conclusione vittoriosa della prima guerra del Nagorno-Karabakh, Babayan rimane al comando dell’Esercito di difesa del Nagorno-Karabakh (coincidente con il ruolo di Ministro della Difesa), incarico che ricopre fino al dicembre 1999 allorché è costretto a cedere l’incarico.

Si è affermato come l’uomo più potente del Nagorno-Karabakh all’indomani della prima guerra del Nagorno-Karabakh. Secondo Thomas de Waal, Babayan ha acquisito una ricchezza significativa vendendo materiale prelevato dai distretti azeri che circondano il Nagorno-Karabakh e stabilendo un monopolio sulle importazioni di sigarette e carburante nel Nagorno-Karabakh attraverso una società registrata a nome di sua moglie. Babayan usò la sua posizione per acquisire terreni, attività commerciali e privilegi fiscali. Dopo che il Presidente del Nagorno-Karabakh Robert Kocharyan ha lasciato la sua posizione per diventare Primo Ministro dell’Armenia (e poi dal 3 febbraio 1998 al 9 aprile 2008 Presidente), Babayan è diventato ancora più influente nella politica civile del Nagorno-Karabakh. Nel giugno 1998, ha costretto il Primo Ministro del Nagorno-Karabakh Leonard Petrosyan a dimettersi. In una sessione congiunta dei Consigli di Sicurezza dell’Armenia e del Nagorno-Karabakh nel gennaio 1998, su sollecitazione di Vazgen Sargsyan, Robert Kocharyan e Serzh Sargsyan, Babayan si espresse con forza contro il piano del Presidente dell’Armenia Levon Ter-Petrosyan di accettare le proposte del Gruppo di Minsk l’OSCE di restituire parte del territorio catturato dall’Azerbajgian durante la guerra e dispiegarvi forze di pace internazionali; Ter-Petrosyan è stato costretto a dimettersi un mese dopo. Babayan iniziò quindi a intervenire nella politica armena, finanziando il blocco Legge e unità nelle elezioni parlamentari armene del 1999, dove il blocco è arrivato terzo. Successivamente, il Primo Ministro armeno Vazgen Sargsyan e Robert Kocharyan decisero di frenare la crescente influenza di Babayan. Robert Kocharyan non è stato in grado di affrontare direttamente la questione Babayan a causa del caos politico in Armenia in seguito alla sparatoria del parlamento armeno nell’ottobre 1999, lasciandola al governo del Nagorno-Karabakh sotto il Presidente Arkadi Ghukasyan e alla nuova leadership dell’Esercito di difesa del Nagorno-Karabakh. Nel dicembre 1999, Babayan è stato costretto a rinunciare alla sua posizione di comandante dell’Esercito di difesa del Nagorno-Karabakh. Il 22 marzo 2000, Babayan è stato arrestato con l’accusa di aver lanciato un attentato contro Arkadi Ghukasyan, che ha lasciato il Presidente gravemente ferito ma vivo. Dopo l’arresto di Babayan, le autorità del Nagorno-Karabakh hanno confiscato i beni immobili di Babayan, nazionalizzato o chiuso le sue imprese e detenuto o rimosso dall’incarico centinaia di funzionari a lui fedeli.

Babayan è stato processato per aver organizzato l’attentato alla vita di Ghukasyan insieme a 15 dei suoi soci. Il processo è iniziato il 18 settembre 2000 e si è concluso il 26 febbraio 2001, quando Babayan è stato condannato a 14 anni di prigione, privato di decorazioni e gradi e privato del diritto di voto. Anche due suoi soci furono condannati a 14 anni e gli altri imputati furono condannati a pene minori.

Durante le indagini e mentre scontava la pena, la salute di Babayan è notevolmente peggiorata. Si diceva che soffrisse di epatite e altri disturbi che non potevano essere curati in prigione. Il 18 settembre 2004, Babayan è stato rilasciato dal carcere di massima sicurezza di Shushi per problemi di salute, con i termini del rilascio che includevano un periodo di prova e la continua privazione dei diritti civili.

Babayan è tornato in Armenia nel maggio 2016 dopo un esilio de facto a Mosca, poco dopo i grandi scontri sulla linea di contatto del Nagorno-Karabakh. Ha dichiarato: “Sia che fossi in Karabakh, in Armenia o all’estero, le preoccupazioni per la sicurezza del mio paese, la mia gente sono sempre state nella mia mente. Ho la piena comprensione della situazione militare, dei problemi in prima linea e possiedo tutte le informazioni necessarie”.

Nel marzo 2017, Babayan è stato arrestato dal servizio di sicurezza nazionale armeno con l’accusa di contrabbando di missili terra-aria ed euro contraffatti. Il 28 novembre 2017, Babayan è stato condannato a sei anni di carcere. È stato rilasciato dalla detenzione in seguito alla rivoluzione armena del 2018.

Il 29 maggio 2020 è stato nominato Segretario del Consiglio di Sicurezza dell’Artsakh. Durante la guerra dei 44 giorni del 2020, Babayan è stato coinvolto nella mobilitazione dei riservisti armeni dell’Artsakh e ha partecipato alla pianificazione di una serie di operazioni con il comandante dell’Esercito di difesa dell’Artsakh Jalal Harutyunyan. Dopo la fine della guerra, Babayan ha rivelato di essere stato coinvolto nella pianificazione della difesa di Shushi nell’ultima settimana di guerra, ma che tre battaglioni si erano rifiutati di eseguire i loro ordini. Ha anche rivelato dopo la guerra di aver proposto l’idea dell’operazione fallita avvenuta il 5-6 ottobre 2020, che era un tentativo di interrompere lo sfondamento azero vicino a Horadiz. Il 10 novembre 2020 si è dimesso da Segretario del Consiglio di Sicurezza della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh e ha rinunciato al titolo di Eroe dell’Artsakh a causa delle condizioni dell’accordo di cessate il fuoco del Nagorno-Karabakh del 2020, accusando sia i leader dell’Armenia che dell’Artsakh di tradimento e azioni criminali (Note biografiche da Wikipedia).

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]