Silvio Magliano parla dell’Armenia (Russiaprivet-org 10.03.21)

Intervista al Consigliere della Regione Piemonte Silvio Magliano. Silvio Magliano torinese di nascita e di cultura nel 2011 è stato eletto nel Consiglio Comunale di Torino, nuovamente eletto nel giugno 2016. Dal 9 gennaio 2015 al febbraio del 2019 é stato Presidente di Vol.To, il Centro Servizi per il Volontariato del territorio della provincia di Torino, di cui è attualmente Vice Presidente. In precedenza è stato presidente del Centro Servizi per il Volontariato della Provincia di Torino V.S.S.P. Ha lavorato come Consulente per il Volontariato e le Politiche Sociali della Presidenza della Regione Piemonte. E’ tra i fondatori di Polis Policy – Accademia di Alta formazione. Attualmente é Capogruppo dei Moderati in Consiglio Comunale, Consigliere per la Lista Città di Città presso il Consiglio della Città Metropolitana di Torino e Presidente del Gruppo dei Moderati presso il Consiglio Regionale del Piemonte

Quali sono i motivi ispiratori della tua azione politica? Credo nelle persone, nel Volontariato, nella famiglia, nella solidarietà, nel dono, nell’accoglienza, nel costruire insieme la società che vorremmo, credo nel valore del lavoro di squadra, della condivisione.

Lei è riuscito recentemente a far approvare un importante ordine del giorno al Consiglio Regionale del Piemonte “PER UNA PACE DURATURA NELLA REGIONE DELL’ARTSAKH (NAGORNO KARABAKH)” di cosa si tratta? Ai sensi dell’articolo 18, comma 4, dello Statuto e dell’articolo 103 del Regolamento interno ho presentato un Ordine del Giorno per chiedere al Presidente e alla Giunta Regionale di avviare le opportune interlocuzioni con le Autorità nazionali per garantire che il popolo dell’Artsakh e la sua rappresentanza politica e istituzionale possano sedere al tavolo per la pace della Copresidenza del Gruppo di Minsk dell’OSCE. Ritengo cruciale un impegno istituzionale a tutti i livelli, regionale compreso, volto a spronare le Autorità nazionali affinché intervengano con ogni possibile iniziativa volta a ripristinare una verità storica e a creare le condizioni per una pace duratura, per la quale il riconoscimento dei diritti della popolazione dell’Artsakh costituisce un prerequisito.

Da cosa nasce questo ordine del giorno? La ragione è che per settimane – nel periodo compreso tra lo scoppio della guerra dell’Artsakh (27 settembre 2020) e il cessate il fuoco del 9 novembre 2020 – la popolazione civile e tutte le strutture (compresi gli ospedali, le scuole, le abitazioni e i centri di protezione civile) del territorio dell’Artsakh (Nagorno Karabakh) sono state bersaglio degli attacchi missilistici da parte delle forze armate dell’Azerbaigian, con l’acclarato supporto dei militari dell’esercito della Turchia e con il dispiegamento di combattenti terroristi provenienti dal Medio Oriente.

Ha parlato con testimoni diretti? Sì, in questi anni ho conosciuto molti armeni che venivano a Torino per studio e mi hanno raccontato storie atroci. Lo scontro è tra un esercito moderno dotato di droni, quello azero, e un esercito di terra male armato e poco organizzatro, quello armeno. È stato uno scontro dagli esiti scontati e mi lascia molte perplessità il fatto che nessuno sia intervenuto. Tra i miei amici armeni alcuni sono morti nella guerra e questo mi addolora molto. Soprattutto mi fa soffrire la sensazione di impotenza di fronte a questa tragedia che non posso fermare.

Chi sono gli abitanti del Nagorno Karabakh? La popolazione armena dell’Artsakh è un simbolo per tutto il popolo armeno, disperso nel mondo a causa del Primo Genocidio del XX secolo perpetrato dalla Turchia Ottomana. L’antichissima civiltà armena si è tramandata nei secoli e tra le montagne armene hanno preso avvio, in diversi momenti storici, iniziative di rinascita culturale e movimenti per l’autonomia e l’integrazione nazionale. La popolazione armena dell’Artsakh (Nagorno Karabakh) da più di un secolo rivendica la propria annessione all’Armenia, dopo essere stata prima sotto la Repubblica Sovietica e da trent’anni ormai autodeterminatasi autonomamente.

Quali compiti ha la comunità internazionale? È fondamentale che si riconosca ufficialmente questo territorio – che è già de facto una Repubblica con la propria forma di Stato e di Governo con democratiche elezioni – e la sua popolazione.

Come ha reagito la comunità armena che vive in Italia? L’Unione degli Armeni d’Italia ha chiesto all’Italia di riconoscere questo piccolo Paese, affinché divenga un interlocutore diretto del nostro Governo; nel frattempo proseguono, pur tra notevoli difficoltà, le interlocuzioni e gli incontri del Gruppo di Minsk, nel tentativo di trovare una mediazione diplomatica.

Ci può spiegare cos’è il il Gruppo di Minsk? È una struttura di lavoro creata nel 1992 dalla Conferenza sulla Sicurezza e Cooperazione in Europa (CSCE), dal 1995 Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), allo scopo di incoraggiare una soluzione pacifica e negoziata dei conflitti nel Nagorno-Karabakh.

Da cosa nasce il suo interesse per l’Armenia? Ho letto “I quaranta giorni del Mussa Dagh” di Franz Werfel, romanzo che racconta l’inizio dello sterminio degli Armeni cristiani, perpetrato dal Governo dei Giovani Turchi.

Ciò che mi ha profondamente impressionato è che il piano criminale turco ha anticipalo lo sterminio degli ebrei da parte dei nazisti. Il parallelo è inevitabile. La piccola comunità di Armeni stanziati vicino al Mussa Dagh (Montagna di Mosè), una montagna nel Vilayet di Aleppo nell’Impero Ottomano è stata un esempio.

Si trattava di un gruppo di sette villaggi armeni di circa 5.000 persone, che non si sono arresi e hanno combattuto per difendere la loro terra e la loro identità. Mi ha fortemente emozionato che siano riusciti a resistere per 40 giorni all’esercito turco per poi essere salvati da una nave da guerra francese. Il fatto interessante è che la prima edizione del libro esce in Italia con la Mondadori nel 1935. Poi ho cominciato ad interessarmi della storia e delle tradizioni di questo popolo straordinario e tenace. Nel 301 l’Armenia, prima al mondo, ha adottato il Cristianesimo come religione di Stato; i missionari armeni diffusero la fede cristiana. Gregorio Illuminatore istituì la Chiesa Apostolica Armena, che si separò dalle altre chiese cristiane dopo il Concilio di Calcedonia del 451.

Santa Sofia è stata riaperta al culto islamico dalla preghiera del venerdì. Cosa rappresenta questa decisione nell’equilibrio dei balcani e del Mediterraneo? È la logica conseguenza del piano del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. Il Premier turco il 31 marzo 2018 aveva recitato il primo versetto del Corano nella Basilica di Santa Sofia, dedicandola a “coloro che hanno contribuito a costruirla, ma in modo particolare a chi l’ha conquistata”. Un dichiarazione significativa e drammaticamente evocativa di un passato che si vuol riesumare Nel marzo 2019 il presidente Erdoğan ha dichiarato che avrebbe cambiato lo status di Hagia Sophia da museo a luogo di culto musulmano, aggiungendo che era stato un “errore molto grande” trasformarla in un museo. Il 10 luglio 2020 il Consiglio di Stato turco ha annullato il decreto di Atatürk del 1934, cancellando la trasformazione della moschea in museo. Erdoğan personalmente ha riaperto al culto islamico la Basilica con un decreto presidenziale e il 24 luglio successivo é stata celebrata la prima preghiera islamica del venerdì. In pratica il processo di modernizzazione iniziato con Mustafa Kemal Ataturk è stato interrotto con un’inversione di prospettive politiche e religiose.

Quali sono state le reazioni alla decisione di Erdogan? Tiepide, forse troppo. La ragione a mio parere è che l’Europa non ha una politica estera. Mi aspettavo molto di più sia dall’Europa, sia dell’Italia che dall’Unesco. Una voce isolata la Grecia, in una situazione molto difficile, ha definito la decisione del Consiglio di stato turco sulla riconversione di Santa Sofia in moschea «una provocazione al mondo civilizzato». Il ministro della Cultura di Atene, Lina Mendoni ha dichiarato che il verdetto del Consiglio di Stato «conferma che non c’è una giustizia indipendente» e che «il nazionalismo mostrato da Erdogan riporta il suo Paese indietro di sei secoli».

Cosa succederà adesso? Mi auguro come tutti che si torni a discutere e a trovare una soluzione pacifica anche se la situazione mi sembra complessa. Credo comunque che la buona volontà possa risolvere anche i conflitti più difficili. È un nostro dover sperare e lottare per la pace.

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