Ventiduesimo giorno del #ArtsakhBlockade. 2022, l’anno delle violazioni degli accordi e delle richieste assurde dell’Azerbajgian (Korazym 02.01.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 02.01.2023 – Vik van Brantegem] – Tutto il traffico civile tra l’Artsakh/Nagorno-Karabakh e l’Armenia rimane interrotto dal 12 dicembre. Il #ArtsakhBlockade è entrato nel suo 22° giorno con la polizia e i sedicenti “eco-attivisti” del regime autoritario dell’Azerbajgian dispiegati lungo il segmento di Shushi, ad interrompere l’autostrada interstatale Stepanakert-Goris, la #StradaDellaVita dei 120.000 cittadini armeni cristiani (tra cui 30.000 bambini e 20.000 anziani) dell’Artsakh, tenuti ostaggi in isolamento, con mancanza di cibo, carburante e medicine.

Vogliamo solo vivere”: messaggio di Capodanno di un bambino in Artsakh al mondo.

Il 31 dicembre 2022, ultimo giorno dell’anno, è stata per gli Armeni dell’Artsakh una giornata di raccoglimento e preghiera, che hanno concluso con una veglia a Stepanakert.

La mattina del primo giorno del nuovo anno nelle strade di Yerevan. Non si può spegnere un popolo che vuole cantare, ballare, condividere ed esistere. Guardate quanto sono belli questi giovani armeni, che ballano e celebrano la gioia di vivere in pace.

Farid Shafiyev, il Presidente del Centro di Analisi delle Relazioni Internazionali con sede a Baku, nel suo editoriale per The National Interest del 27 dicembre 2022 dal titolo L’enigma della Strada di Lachin dell’Azerbaigian, scrive (fedele alla linea officiale di Baku): «Il problema principale della Strada di Lachin non è solo l’estrazione illegale di risorse o il danno ambientale, ma anche il suo uso (o uso improprio) per scopi non umanitari».

A parte della rivendicazione azera del Corridoio di Berdzor (Lachin) come territorio dell’Azerbajgian e parlare della “Strada di Lachin”, evitare accuratamente la parola “Corridoio” secondo la dottrina azera, conferma esplicitamente, che il blocco del Corridoio non ha niente a che fare con la preoccupazione per l’ecologia, ma vuole impedire che l’Artsakh si sostiene con lo sfruttamento delle materie prime minerarie che possiede (a differenza dell’Armenia che ne è sprovvista) e inoltre che l’Armenia invia aiuti all’esercito di difesa della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh. È solo una questione di tempo che l’Azerbajgian chiude la tenaglia e occupa quello che è rimasto del suo territorio dopo la guerra dei 44 giorni dell’autunno 2020.

Vale la pena di leggere con attenzione la conclusione:
«L’enigma della Strada di Lachin ha tre elementi: la causa immediata, i problemi ecologici e lo sfruttamento illegale delle risorse naturali dell’Azerbajgian; l’uso del Corridoio di Lachin per scopi militari, contrariamente alla Dichiarazione Trilaterale; e, infine, l’obbligo di aprire collegamenti di trasporto (anche ai sensi della Dichiarazione Trilaterale).
L’Azerbaigian fornisce il passaggio attraverso la Strada di Lachin. Inoltre, i camion armeni e stranieri (ad esempio iraniani) utilizzano altre strade attraverso il territorio dell’Azerbajgian, come la rotta Goris-Kafan. Tuttavia, l’Armenia, con vari pretesti, rifiuta di creare un passaggio dall’Azerbajgian proprio alla sua exclave di Nakhichevan che attraversi il territorio armeno, cosa che è stipulata nell’articolo 9 della Dichiarazione Trilaterale [*].
Nel complesso, la situazione sulla Strada di Lachin evidenzia problemi più fondamentali: la mancanza di un trattato di pace formalizzato (piuttosto che un accordo di cessate il fuoco) e l’attuale stallo dei negoziati tra Armenia e Azerbajgian; le prestazioni delle forze di pace russe; le azioni dei radicali tra gli Armeni del Karabakh e l’arrivo di Ruben Vardanyan; e gli atteggiamenti di attori/spoilers geopolitici, come Francia e Russia».

[*] Il testo integrale dell’Accordo di cessate il fuoco trilaterale del 9 novembre 2020 abbiamo pubblicato il 10 novembre 2020 [QUI].

L’articolo 9 stipula:
«Tutti i collegamenti economici e di trasporto nella regione saranno sbloccati. La Repubblica di Armenia garantirà la sicurezza dei collegamenti di trasporto tra le regioni occidentali della Repubblica di Azerbajgian e la Repubblica autonoma di Nakhichevan al fine di organizzare la libera circolazione di cittadini, veicoli e merci in entrambe le direzioni. Il controllo sulle comunicazioni di trasporto è esercitato dagli organi del servizio di guardia di frontiera dell’FSS della Russia. Le Parti convengono che sarà avviata la costruzione di nuove comunicazioni di trasporto che colleghino la Repubblica autonoma di Nakhichevan con le regioni occidentali dell’Azerbajgian».

Qui non viene menzionato che l’Armenia sarebbe obbligato di concedere un “Corridoio di Zangezur” extraterritoriale sovrano azerbajgiano. Inoltre, la parola “Corridoio” appare soltanto in riferimento al Corridoio di Lachin, nell’articolo 6 che stipula:

«Il Corridoio di Lachin (largo 5 km), che garantirà la comunicazione tra il Nagorno-Karabakh e l’Armenia e allo stesso tempo non influenzerà la Città di Shushi, rimarrà sotto il controllo delle unità di pace della Federazione Russa. Le Parti hanno concordato un piano per la costruzione di una nuova strada lungo il Corridoio Lachin sarà definito entro i prossimi tre anni, fornendo comunicazioni tra il Nagorno-Karabakh e l’Armenia, con la successiva ridistribuzione delle unità di mantenimento della pace russe per proteggere questa rotta. La Repubblica di Azerbajgian garantirà la sicurezza del traffico per i cittadini, i veicoli e le merci in entrambe le direzioni lungo il Corridoio di Lachin».

Ed è precisamente questo provvedimento che viene violato dall’Azerbajgian dal 12 dicembre 2022.

E visto che ci siamo, in riferimento alle accuse di Baku, secondo le quali l’Armenia violerebbe l’Accordo Trilaterale del 9 novembre 2020, visto che non si è ritirata dall’Artsakh, nell’articolo 1 è stipulato espressamente che “la Repubblica di Azerbaigian e la Repubblica di Armenia, di seguito denominate le Parti, rimarranno nelle loro posizioni attuali”. Il ritiro delle forze armate armene di cui nell’articolo 4, è riferito alle zone restituite all’Azerbajgian, come è logico. Poi, il Presidente russo, Vladimir Putin, spiegando i termini dell’intesa, ha sottolineato: “Le forze armate della Repubblica di Azerbajgian e della Repubblica di Armenia rimarranno sulle posizioni che ricoprono attualmente, lungo la linea di contatto nel Nagorno-Karabakh”.

Comunque, dopo l’avvenuto ritiro postbellico dell’esercito armeno dal Nagorno-Karabakh, le truppe russe sono diventate l’unico garante della sicurezza degli oltre 120.000 Armeni che vivono nell’Artsakh/Nagorno-Karabakh. In ogni caso, sono state le già limitate forze armene dell’esercito di difesa dell’Artsakh, ulteriormente indebolite a seguito della guerra, a continuare a proteggere i confini dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh con l’Azerbajgian e a combattere in diversi provocazioni azere dopo il 2020, con scarso o nullo supporto da parte delle forze di pace russe. Sebbene il dislocamento delle truppe russe dopo il cessate il fuoco del 2020 non abbia impedito lo scoppio delle ostilità postbelliche nel Nagorno-Karabakh, né abbia impedito all’Azerbajgian di prendere il controllo di tre insediamenti che avrebbero dovuto essere sotto il controllo russo, la loro presenza è ancora considerata vitale per la sicurezza della popolazione armena locale. Tuttavia, dopo gli ultimi attacchi e il blocco azero del Corridoio di Lachin, si è registrato un netto cambiamento di umore nella regione, con l’inazione della Russia che si è aggiunta ai crescenti dubbi sul ruolo che il Paese svolge nella regione.

Va ricordato che la Russia ha almeno 10.000 soldati all’interno dei confini riconosciuti a livello internazionale dell’Armenia, tra cui circa 4.500 guardie di frontiera e circa 5.000 truppe a Gyumri. Le guardie di frontiera sono per lo più dislocate lungo i confini tra Armenia e Turchia e tra Armenia e Iran, per un totale di 375 chilometri. I restanti 5.000 operano dalla base militare russa a Gyumri, con il permesso di stazionare in Armenia per almeno altri 22 anni, e la possibilità di un’ulteriore estensione. Se le truppe russe si ritirassero dall’Armenia, il confine tra Armenia e Turchia rimarrebbe senza protezione. L’esercito armeno, notevolmente indebolito dalla guerra del 2020, avrebbe enormi difficoltà a presidiare i confini e a rimanere pronto a gestire il rischio concreto di conflitti di frontiera con l’Azerbajgian o addirittura di una guerra su larga scala. Se l’Armenia dovesse chiedere la partenza delle truppe russe senza avere un altro alleato internazionale a garantire la sua sicurezza, gli eventi potrebbero concludersi tragicamente per il Paese. Tenendo conto dell’ulteriore dipendenza economica dell’Armenia dalla Russia, la decisione di mantenere o meno stretti legami con la Russia non è una decisione che l’Armenia può prendere con leggerezza.

2022, l’anno degli incontri e dei negoziati infruttuosi

Il 2022 non è riuscito a passare alla storia come un anno di pace per l’Armenia e l’Artsakh. Le tensioni ai confini non si sono placate, mentre trattative e incontri si sono susseguiti nel corso dell’anno. La mediazione dei contatti diretti Armenia-Azerbajgian è avvenuta nel triangolo Washington-Brussel-Mosca, e negli incontri sono stati coinvolti il Presidente dell’Azerbajgian e il Primo Ministro dell’Armenia, i Ministri degli Esteri, i Vice Primo Ministri e persino i Capi dei Consigli di Sicurezza di ambedue i Paesi.

Il Presidente dell’Assemblea Nazionale dell’Armenia, Alen Simonyan, nel suo messaggio di Capodanno ha detto: «L’anno 2022 è giunto al termine. È stato un anno difficile e impegnativo per tutti noi. Il mondo è in guerre e continui sconvolgimenti. le regole in vigore da secoli stanno cambiando davanti ai nostri occhi, si sta formando un nuovo ordine mondiale e tutto questo non ci aggira. (…) molte questioni importanti rimangono irrisolte. la questione dei nostri prigionieri di guerra, la questione del ritiro delle forze nemiche che hanno invaso il territorio sovrano dell’Armenia e la questione più rilevante della tutela dei diritti dei nostri connazionali che vivono in Artsakh non sono state ancora del tutto risolte. anche in questo momento, 120.000 nostri connazionali sono ancora ostaggi nelle loro case. In altre parole, il problema della sicurezza del popolo armeno non è stato ancora risolto. Questa è la nostra sfida principale. Il lavoro principale dello scorso anno si è concentrato su questo tema e lavoreremo in quella direzione nel prossimo anno 2023, perché credo che la nostra missione sia lasciare una patria in pace per i nostri figli e lo raggiungeremo insieme. E oggi, ultimo giorno del 2022, voglio assicurarvi che insieme realizzeremo questa nostra missione. Possa il 2023 portare prosperità nelle nostre case, possano i nostri soldati tornare presto a casa e possano le nostre case essere piene di amore e conforto. Lascia che il prossimo anno ci porti tutta la felicità e sia un anno di sogni che diventano realtà. Dio ci aiuti. Felice anno nuovo e buon Natale».

Sul fronte delle trattative per il trattato di pace, l’anno si conclude con risultati più quantitativi che qualitativi, rilevando anche che nel 2020 6 punti su 9 della Dichiarazione Trilaterale del 9 novembre 2020 sono stati violati dall’Azerbajgian e l’unica strada che collega l’Artsakh all’Armenia rimane chiusa.

Nel 2022 i principali piani dell’anno non si sono avverati: il documento denominato “Trattato di pace” non è stato firmato, non sono stati compiuti progressi nel lavoro di demarcazione dei confini e di sicurezza delle frontiere, e nella risoluzione del conflitto del Karabakh.

Nel maggio 2022, dopo i negoziati Pashinyan-Aliev a Brussel, è stata annunciata la creazione di commissioni sulla demarcazione dei confini e sulle questioni di sicurezza delle frontiere. Da parte armena, i lavori della commissione sono guidati dal Vice Primo Ministro, Mher Grigoryan, da parte azera dal Vice Primo Ministro, Shahin Mustafayev. Nel corso dell’anno la commissione ha tenuto tre sedute, ma non sembrano esserci risultati oggettivi, né accordi chiari sono stati raggiunti. Secondo gli esperti, le parti hanno approcci incompatibili.

Il punto 9 della Dichiarazione Tripartita del 9 novembre 2020 fa riferimento allo sblocco di tutte le direttrici economiche e di trasporto della regione. Il primo accordo sui passi per attuare questa disposizione è stato raggiunto l’11 gennaio 2021 a Mosca durante l’incontro dei leader di Russia, Armenia e Azerbajgian. Quindi è stato deciso di creare un gruppo di lavoro a livello dei Vice Primi Ministri dei tre Paesi, che si concentrerà sulla creazione collegamenti di trasporto ed economici nella regione.

Dopo l’incontro Pashinyan-Aliev a Brussel nel maggio 2022, quando è stata annunciata la creazione di commissioni sulla demarcazione dei confini e sulle questioni di sicurezza dei confini, Yerevan e Baku hanno annunciato la composizione delle commissioni quasi contemporaneamente. Sia nel caso dell’Armenia che dell’Azerbajgian, le commissioni sono guidate dai Vice Primo Ministri, che sono anche membri della commissione tripartita armeno-azera-russa sullo sblocco dei trasporti.

Il 24 maggio 2022 ha avuto luogo il primo incontro tra Grigoryan e Mustafaev. Si è svolto al confine interstatale tra Armenia e Azerbajgian, a Yeraskh. In questo primo incontro, le parti hanno ribadito la loro disponibilità a lavorare nell’ambito delle commissioni sui temi della demarcazione dei confini e della sicurezza dei confini, nonché a discutere questioni procedurali relative alle attività congiunte delle commissioni. Hanno anche concordato di tenere il secondo incontro a Mosca e il terzo a Brussel.

Il secondo incontro si è tenuto il 30 agosto a Mosca. Quello è stato il giorno il Corridoio di Berdzor (Lachin), che collega l’Armenia all’Artsakh, per iniziativa dell’Azerbajgian. Non è chiaro quali accordi specifici siano stati raggiunti durante l’incontro di Mosca. Nel messaggio ufficiale diffuso dal Ministero degli Esteri armeno si legge: “È stato raggiunto un accordo per lo svolgimento della terza riunione nei termini concordati”. In precedenza, durante la prima riunione, era stato però annunciato che le commissioni si sarebbero riuniti per la terza volta a Brussel. Dopo la seconda riunione, intanto, né il luogo né la data della terza riunione sono stati specificati in un comunicato ufficiale. Anche i dettagli dell’ordine del giorno della riunione di Mosca non sono stati pubblicati. Non si è saputo quali problemi sta portando avanti Yerevan, quali sono le linee rosse, quando verranno negoziate le mappe. Il 14 settembre, in parlamento, il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, ha annunciato: “Parlando di demarcazione e delimitazione, dobbiamo fare affidamento su motivi legali. Nel caso delle mappe, l’approccio è lo stesso”. Il 23 settembre, Pashinyan ha ricordato ancora una volta gli obiettivi della formazione della commissione bilaterale ei due incontri già avvenuti: “Prima della creazione della commissione lo scorso anno, l’Azerbajgian ha occupato più di 40 chilometri quadrati del territorio dell’Armenia. Successivamente, una delle scuse dell’Azerbajgian era che, secondo loro, l’Armenia si rifiuta di creare una commissione per la demarcazione dei confini. Certo, non ci siamo arresi, ma abbiamo solo insistito affinché fosse creato contemporaneamente un meccanismo di sicurezza delle frontiere”.

Secondo gli esperti, i passi della parte armena sono chiari: presentare a fondo le azioni dell’aggressore azero sulle piattaforme internazionali, ricevere il sostegno della comunità internazionale.

Poi, la terza sessione delle commissioni sulla demarcazione e la sicurezza delle frontiere si è tenuta a Brussel a novembre. Non c’erano molte informazioni sui risultati di questo incontro. Stefano Sannino, il Segretario Generale del Servizio relazioni esterne dell’Unione Europea, ha scritto solo su Twitter: “Sono lieto di dare il benvenuto alle commissioni di frontiera di Armenia e Azerbajgian, guidate dai Vice Primo Ministri, Mher Grigoryan e Shahin Mustafaev, a Brussel, nell’ambito della loro terza sessione. L’Unione Europea invita le parti ad adottare misure per aumentare la sicurezza sul terreno e compiere progressi nella demarcazione delle frontiere”.

Tuttavia, nel corso dell’anno non si sono registrati progressi. nonostante tre incontri, non ci sono ancora risultati sostanziali, non sono stati raggiunti accordi chiari. Gli esperti armeni sottolineano che le parti hanno approcci incompatibili. Il politologo Robert Ghevondyan, esperto del Security Policy Research Center, elenca: “L’Armenia non può permettere un corridoio. Per quanto riguarda lo status dell’Artsakh, non si può accettare che la questione del Karabakh non esista più. Anche l’Azerbajgian ha le sue linee rosse. In questo momento, finché vediamo che la situazione geopolitica è esplosiva, le linee rosse squilibrate, imprevedibili possono rimanere ed essere superate. Non daranno la possibilità di raggiungere accordi definitivi”.

Secondo l’esperto, tali riunioni, commissioni, accordi e trattative hanno un unico obiettivo: prevenire una nuova escalation su larga scala.

Durante il 2022, la parte russa ha annunciato in una o due occasioni di aver formato un team di esperti russi per fornire assistenza consultiva alle parti in materia di demarcazione dei confini. Mosca ha persino affermato di disporre dei materiali necessari, senza specificare di quali mappe specifiche si sta parlando.

Nell’ultimo anno ci sono stato più di una dozzina di contatti diretti tra Armenia e Azerbajgian, passando per Brussel, Praga e Sochi, che hanno permesso di parlare del progetto per un trattato di pace. A marzo, Baku ha pubblicato le sue 5 proposte, dichiarandosi pronta a negoziare un trattato di pace se Yerevan le accetta. In risposta, la parte armena ha affermato che le proposte sono generalmente accettabili, ma devono essere integrate. Nel corso dell’anno le parti si sono scambiate più volte versioni rivedute. L’ultimo scambio è stato alla fine dell’anno. L’Armenia ha proposto due nuovi meccanismi all’Azerbajgian. Il Segretario del Consiglio di Sicurezza dell’Armenia ha persino lasciato intendere che erano pronti a firmare il documento entro la fine dell’anno: “Nel testo dell’accordo di pace, abbiamo proposto un ‘istituto di garanti’. In altre parole, sia l’organizzazione internazionale che gli Stati dovrebbero creare un istituto di garanti dell’accordo di pace, che possa garantire l’attuazione di questo accordo. A parte questo, abbiamo anche suggerito di creare un meccanismo da applicare a qualche tribunale internazionale, in base al quale se si verifica una crisi intrattabile, allora possiamo rivolgerci al tribunale internazionale. Naturalmente, abbiamo formulato tale raccomandazione sulla base della nostra esperienza”.

La crisi dei contatti diretti tra i leader di Armenia e Azerbaigian è stata registrata dal fallimento dell’incontro previsto a Brussel il 7 dicembre. Il Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, infatti, ha rifiutato la piattaforma occidentale dei negoziati, insoddisfatto dell’opera di mediazione della Francia.

Nel 2022 le proposte transattive sono state numerose. Yerevan ha inoltrato a Baku 4 proposte per la normalizzazione delle relazioni. Oltre alle proposte relative al trattato di pace, sono state trasferite all’Azerbajgian in tempi diversi anche delle proposte relative all’ulteriore lavoro della commissione per la demarcazione delle frontiere e le questioni di sicurezza delle frontiere, le proposte sulla riapertura delle comunicazioni regionali e la garanzia della sicurezza delle frontiere. Secondo il Primo Ministro dell’Armenia, Nikol Pasinyan, la reazione dell’Azerbajgian a tutte le proposte armene inviate in momenti diversi è stata sempre la stessa: “Tuttavia, non abbiamo ricevuto una risposta fino ad oggi”.

La crisi degli incontri, iniziati con discrete strette di mano all’inizio del 2022, si è registrata nuovamente a fine anno, per l’ottava riunione dei Ministri degli Esteri di Armenia e Azerbajgian. Nel dodicesimo giorno del blocco dell’Artsakh, l’Armenia ha rifiutato di partire per Mosca. Sono partite le reciproche accuse e rimostranze. L’Azerbajgian ha avanzato nuove condizioni, parlando di 8 villaggi azeri presumibilmente “occupati” dall’Armenia. Poi, si è scoperto che Baku è molto nervoso per la persona di Ruben Vardanyan, nominato Ministro di Stato dell’Artsakh. L’Armenia ha chiarito ancora una volta che non sono possibili concessioni né alle aspirazioni azere chiamate “Corridoio di Zangezur”, né alle questioni del territorio sovrano dell’Armenia. Richieste al di fuori delle Dichiarazioni Tripartite per Yerevan sono inaccettabili.

Gevorg Papoyan, membro del consiglio del partito al potere Patto Civile, ha dichiarato: “Naturalmente, sono necessarie determinate condizioni per la rinascita del popolo armeno, e per questo la pace è essenziale. Forse è per questo che l’Armenia si batte così tanto per un trattato di pace, ma ciò non significa che siamo pronti a tutto per ottenere quel trattato di pace. Cerchiamo la pace, ma ci prepariamo anche per quella pace, perché comprendiamo che nessuno ci darà quella pace. Il trattato di pace è uno dei nostri importanti impegni e obiettivi, ma forse uno dei primi punti del trattato di pace dovrebbe essere il ritiro dei soldati azeri dal territorio dell’Armenia, il ritiro delle attrezzature militari azere e l’intero territorio di 29.800 chilometri quadrati dell’Armenia dovrebbe essere sotto il controllo delle forze armate armene. Dopo di che si potranno concludere quel eventuale trattato di pace. Ma a questo proposito, devo affermare che non abbiamo molto successo”.

35 anni dopo l’inizio della lotta per l’indipendenza dell’Artsakh, è arrivato l’ora di alzare di nuovo i pugni, a causa di una nuova manifestazione della politica azera: la chiusura dal 12 dicembre del Corridoio di Lachin, l’unico collegamento dell’Artsakh all’Armenia e al mondo. Dal cuore dell’Artsakh, dalla piazza della Rinascita, durante il raduno popolare di Natale, il Ministro di Stato dell’Artsakh, inviso dall’Azerbaigian, ha dichiarato: “Dobbiamo mostrare al mondo che resistiamo, dobbiamo essere uniti e dire insieme la stessa parola. Difenderemo il nostro Stato, difenderemo la nostra dignità, difenderemo la nostra storia e il nostro futuro. L’Azerbajgian continua a negoziare con una mano e a uccidere con l’altra”.

Infine, l’anno 2022 si è concluso con un altro incontro fallito. Aliyev e Pashinyan si sono recati a San Pietroburgo per partecipare all’incontro non ufficiale della Comunità degli Stati Indipendenti, ma il previsto incontro trilaterale ufficiale non ha avuto luogo. Il governo armeno ha riferito che Putin, Pashinyan e Aliyev hanno avuto solo una breve conversazione a tavola. Gli annunci ufficiali sui risultati non sono pervenuti.

È ora di dire che le richiesta dell’Azerbajgian su un Corridoio di Zangezur sono assurdi
di Michele Rubini [1]
19FortyFive, 1° gennaio 2023

(Nostra traduzione italiana dall’inglese)

Nasimi Aghayev, Ambasciatore dell’Azerbaigian in Germania ed ex console generale a Los Angeles, si è affermato come il “Baghdad Bob” di Baku.

Ha ripetutamente negato il blocco del Corridoio di Lachin da parte dell’Azerbajgian, raddoppiando la finzione che le forze di pace russe e persino gli Armeni fossero responsabili dell’interruzione dei rifornimenti agli Armeni nel Nagorno-Karabakh. È una logica analoga a suggerire che gli Ucraini nell’Unione Sovietica si siano fatti morire di fame per far sembrare cattivo il dittatore sovietico Josef Stalin.

Per Aghayev, tuttavia, la verità è irrilevante [2].

I diplomatici azeri hanno tre compiti: affermare ogni azione del dittatore Ilham Aliyev, amplificare la sua propaganda e incanalare denaro verso coloro che possono aiutare.

L’Azerbajgian ha calcolato male la volontà della comunità internazionale di accettare i suoi punti di discussione riguardo al blocco da parte dell’Azerbajgian del Corridoio di Lachin e le sue molestie nei confronti degli Armeni che cercano di transitare tra l’Armenia e le loro case nel Nagorno-Karabakh. Anche i diplomatici dei Paesi strettamente alleati con l’Azerbajgian ammettono privatamente la preoccupazione per il comportamento sempre più irregolare di Aliyev. Aliyev, nel 2023, sembra e suona sempre più come Saddam Hussein intorno al 1990.

Con il mondo che rifiuta la narrazione di Aliyev sul Corridoio di Lachin, l’Azerbajgian e i suoi agenti, sia registrati che non registrati, ora cercano di spostare la conversazione sul cosiddetto Corridoio di Zangezur . Un tale Corridoio biforcherebbe l’Armenia meridionale per collegare l’Azerbajgian con la Repubblica Autonoma di Nakhchivan, un’enclave dell’Azerbajgian al confine con Iran e Turchia. Funzionari azeri affermano che il cessate il fuoco del novembre 2020 ha reso obbligatorio un tale corridoio. Sostengono che l’Armenia violi tale cessate il fuoco non consentendo all’Azerbajgian di costruire o gestire una strada attraverso il territorio armeno. In realtà, quel cessate il fuoco non definiva il corridoio né dettagliava il suo controllo e il meccanismo attraverso il quale le merci sarebbero transitate.

Mentre Aghayev e altri affermano che il “corridoio” è necessario per consentire alla Turchia di commerciare liberamente con l’Azerbajgian e più lontano in Asia centrale, ignora che, proprio la scorsa settimana, il Ministro degli Esteri azero, Jeyhun Bayramov, ad esempio, ha riconosciuto che l’Azerbajgian stava costruendo un corridoio alternativo attraverso Iran. Mentre l’Azerbajgian chiede ai suoi propagandisti di strombazzare competizione e scisma tra i due Paesi sciiti, negli ultimi anni Baku e Teheran hanno notevolmente incrementato i legami e i commerci.

Aliyev potrebbe cercare di trasformare il Corridoio di Zangezur in un nuovo casus belli mentre rivendica all’intera Armenia. In realtà, il motivo della mancanza di commercio via terra tra Turchia e Azerbajgian non è né l’intransigenza armena né la mancanza di un nuovo corridoio, ma piuttosto il blocco pluridecennale dell’Armenia da parte dell’Azerbajgian e della Turchia. L’Armenia, l’Azerbajgian e la Turchia affrontano sfide economiche e ciascuno potrebbe trarre enormi benefici se consentisse il libero scambio attraverso i propri confini. Se Aliyev e il Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan lo scegliessero, potrebbero porre immediatamente fine al blocco dell’Armenia, aprire i loro confini e consentire il libero traffico di passeggeri e camion commerciali attraverso il loro territorio su un numero qualsiasi di strade. Sfortunatamente, un disprezzo razzista per gli Armeni tende a motivare Aliyev ed Erdoğan più del desiderio di aiutare il proprio popolo.

Le ramificazioni vanno oltre il semplice sviluppo economico. Mentre un pilastro della propaganda azerbajgiana è che l’Armenia è un satellite dell’Iran, questa è una profezia che si autoavvera poiché il blocco azerbajgiano-turco dell’Armenia costringe l’Armenia a usare l’Iran come sbocco economico. Quindi, quelli a Washington che criticano i legami Armenia-Iran, se sinceri, dovrebbero essere in prima linea nelle richieste che l’Azerbajgian e la Turchia cessino il loro blocco.

Le cheerleader dell’Azerbaigian a Washington non giovano alla sicurezza nazionale e agli interessi geopolitici degli Stati Uniti quando consentono ad Aliyev ed Erdoğan di diventare entrambi più irregolari e distaccati dalla realtà. La posizione della Casa Bianca dovrebbe essere un gioco da ragazzi e non dovrebbe esserci alcuna equivalenza morale tra coloro che assediano e coloro che sono assediati. È tempo che la Turchia e l’Azerbajgian pongano fine al blocco dell’Armenia.

[1]Michele Rubini è Senior Fellow presso l’American Enterprise Institute (AEI). Il dottor Rubin è autore, coautore e coeditore di diversi libri che esplorano la diplomazia, la storia iraniana, la cultura araba, gli studi curdi e la politica sciita, tra cui Seven Pillars: What Really Causes Instability in the Middle East? (AEI Press 2019), Kurdistan Rising (AEI Press 2016), Dancing with the Devil: The Perils of Engaging Rogue Regimes (Encounter Books 2014) e Eternal Iran: Continuity and Chaos (Palgrave 2005).

[2] Il 18 dicembre 2022, l’Ambasciatore dell’Azerbajgian in Germania, Nasimi Aghayev, ha twittato: «Ogni giorno i camion che trasportano rifornimenti in Karabakh percorrono la strada di Lachin senza alcun ostacolo da parte degli attivisti ambientalisti azeri».
Solo i diplomatici di Aliyev possono interpretare una fornitura episodica di Artsakh da parte delle forze di pace russe come una connessione “senza ostacoli” per i cittadini Armeni. Perché da qualche giorno i suoi capi hanno accusato la Russia di aver chiuso il corridoio, se il video diffuso da Aghayev dimostra chiaramente che “chiudono e aprono” la strada per i “rifornimenti” russi?

Il 19 dicembre 2022, Aghayev ha postato su Twitter un breve filmato con il seguente commento: «Civili che attraversano la strada di Lachin senza ostruzioni da parte di eco-attivisti azeri. La strada è aperta a tutti i civili. L’Azerbajgian è pronto a soddisfare i bisogni umanitari degli Armeni che risiedono nella sua regione del Karabakh. L’oligarca Ruben Vardanyan sta impedendo loro di usare la strada».
Pochi giorni prima, l’Azerbajgian ha dichiarato ufficialmente che la Russia, non Baku, ha chiuso “la strada di Lachin”. Qui Aghayev afferma che è il Ministro di Stato dell’Artsakh, Ruben Vardanyan, che chiude il Corridoio di Berdzor (Lachin). E questo personaggio è l’ambasciatore di Aliyev in Germania. Nel brevissimo filmato diffuso da Aghayev si vede che alcuni civili passano attraverso la folla dei sedicenti eco-attivisti azeri, che occupano la strada.

Il 30 dicembre 2022 Aghayev ha scritto in un post su Twitter: «Armenia must respect its commitment to open the Zangezur Corridor connecting mainland Azerbaijan with its Nakhchivan region. There is no way around it. The whole region will benefit from it» [L’Armenia deve rispettare il suo impegno ad aprire il Corridoio di Zangezur che collega l’Azerbajgian propria con la sua regione del Nakhchivan. Non c’è altra soluzione. Ne beneficerà l’intera regione].

La cartina che accompagna il post su Twitter del 30 dicembre 2022 di Nasimi Aghayev, Ambasciatore dell’Azerbajgian in Germania, con il tracciato del cosiddetto Corridoio di Zangezur secondo i piani e le minacce dell’uso della forza di Aliyev.

Immaginiamo che gli Stati Uniti vogliano connettersi all’Alaska. Invece di utilizzare le strade canadesi, richiede dal Canada un corridoio extraterritoriale sovrano. Al rifiuto inizia a bombardare le città canadesi, affama tutti i canadesi, inclusi tutti i bambini sotto assedio. E dichiara: “Non c’è altra soluzione”.

Questo “impegno” dell’Armenia, se l’è inventato di sana pianta Aghayev. Come abbiamo già osservato in precedenza, l’unica volta che la parola “corridoio” appare in documenti firmati dall’Armenia è in riferimento al “Corridoio di Lachin”. Invece, l’intera regione beneficerà dall’apertura del Corridoio di Berdzor (Lachin), dalla liberazione delle parti della Repubblica di Artsakh e della Repubblica di Armenia occupati dalle forze armate dell’Azerbajgian e dal riconoscimento dell’indipendenza della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh.

Poi, in un altro post su Twitter, Aghayev riesce a comporre un altro cumulo di menzogne, evitando tra altro la parola “Corridoio di Lachin” e chiamando il territorio della Repubblica di Artsakh territorio sovrano dell’Azerbajgian (basandosi del regalo fatto da Stalin), rivelando però la verità: il blocco del Corridoio di Berdzor (Lachin) da parte di “eco-attivisti” (per creare un disastro umanitario per i cittadini Armeni della Repubblica di Artsakh, per spingerli di andarsene per disperazioni, non appena il Corridoio verrà riaperto) non ha niente a che fare con la causa ambientalista: «Make no mistake: The Lachin Road was built by Azerbaijan on its own sovereign territory to be used by its Armenian citizens for civilian/humanitarian purposes. NOT for Armenia or the criminal regime in Khankendi to deliver arms, landmines, or stealing natural resources» [Non fare un errore: la Strada di Lachin è stata costruita dall’Azerbajgian sul proprio territorio sovrano per essere utilizzata dai suoi cittadini armeni per scopi civili/umanitari. NON per l’Armenia o il regime criminale di Khankendi [Stepanakert] per consegnare armi, mine antiuomo o rubare risorse naturali].

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI].