Viaggio in Nagorno Karabakh (Osservatorio Balcani e Caucaso 06.11.15)

Ai confini dell’Europa, il Nagorno Karabakh è teatro da oltre venti anni di un conflitto dimenticato. Reportage

Da Yerevan, si arriva in Nagorno Karabakh in sei ore, tornante dopo tornante: un viaggio capace di mettere alla prova anche chi, come me, non ha mai sofferto di mal d’auto. Fino alla cittadina di Goris è la stessa strada che porta in Iran e che ho fatto più volte. Ma qui, anziché proseguire verso sud, a un bivio si svolta a sinistra. Il confine non è lontano: un piccolo posto di blocco sul quale si levano due bandiere quasi identiche, l’armena e quella di questa piccola repubblica de facto, non riconosciuta da alcun stato al mondo. A distinguerle, un motivo geometrico che ricorda i nodi dei tappeti tipici di questa regione, e che ritaglia una sorta di triangolo ai margini del tricolore armeno.

Dopo il confine, chilometri che si snodano in un paesaggio montuoso, particolarmente suggestivo, fatto di valli e declivi. Pochissimi i centri abitati che si incontrano prima di Shushi/Şuşa; più numerose le mandrie e i greggi. Poche anche le macchine che si incrociano. Sorprende, invece, l’alto numero di camion cisterna per il trasporto di carburanti: in fila, uno dopo l’altro, a breve distanza per chilometri. Un segno inquietante, nonostante il paesaggio idilliaco e il senso di pace diffuso: perché qui, volenti o nolenti, c’è una guerra da nutrire.

Shushi/Şuşa

Ben più visibili le ferite che si scorgono appena arrivati a Shushi/Şuşa. Nonostante gli sforzi del governo, la cittadina non si è più ripresa dal conflitto. Benché sia solo a pochi chilometri da Stepanakert, i prezzi delle case – come mi spiega un ragazzo di qui – sono molto più bassi: arrivano addirittura a un decimo. Facile capire il perché: molti gli edifici abbandonati, e ancor più numerosi quelli che portano segni di proiettili o esplosioni. Tutto qui odora di macerie. Le nuove costruzioni, molto curate – un ufficio del turismo, il mercato coperto e un albergo di proprietà di un armeno libanese – non fanno che mettere in risalto ancor più la desolazione circostante, a causa del contrasto stridente. I bambini giocano alla guerra fra gli edifici sventrati dalle bombe, mentre gli adulti – in molti casi profughi che hanno lasciato l’Azerbaijan negli anni novanta – trasudano disperazione….continua