Voci di chi fugge dalla guerra, in Russia (IlManifesto 04.02.23)

Dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, dalla Russia è iniziata la più grande ondata migratoria dal crollo dell’Unione Sovietica. Molteplici le ragioni: persecuzione di attivisti e giornalisti, disaccordi con le autorità, timore di essere chiamati a combattere. In centinaia di migliaia hanno cercato di attraversare i valichi di frontiera per evitare di essere trascinati nella guerra di Vladimir Putin in Ucraina. Con la chiusura quasi totale dello spazio aereo europeo a tutti i voli in entrata e in uscita dalla Russia, rimanevano poche vie di uscita. I confini con la Georgia, la Finlandia e altre aree si sono trasformati in code infinite di persone che vogliono lasciare il paese, mentre le autorità russe cercano di fermare e arruolare chi fugge. Un esodo che in Europa e nei paesi confinanti solleva la questione dei rifugiati russi, vittime anch’esse della guerra: accogliere i renitenti alla leva o respingerli nella speranza di creare ulteriori disordini sociali in Russia? Alcuni russi ci raccontano la loro fuga per evitare la guerra e il regime di Mosca.

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Arshak Makichyan, attivista
«Sono nato nel 1994 in Armenia poco dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Dopo la guerra del Karabakh, a causa del blocco de facto dell’Armenia, la mia famiglia si è trasferita in Russia.
Al quinto anno di Conservatorio sono andato alla mia prima manifestazione, si trattava di una marcia in memoria di Nemtsov (Boris Nemtsov era un politico dell’opposizione russa ucciso nel 2015, nel cuore di Mosca). Poi mi sono interessato alle tematiche ambientali e ho iniziato ad andare ogni venerdì in centro a Mosca per fare i picchetti. Ha cambiato molto la mia vita.

A poco a poco ho iniziato a ricevere sostegno da tutta la Russia, a ricevere attenzione dai media e a organizzare manifestazioni di massa. Ho ricevuto più volte minacce di morte e la polizia ha minacciato di mettermi in prigione. Dopo aver partecipato a un picchetto contro la non eleggibilità dei candidati alle elezioni della Duma di Mosca, sono stato arrestato per la prima volta. In pandemia anche i picchetti individuali sono stati proibiti e molti sono stati arrestati. Poi è iniziata la guerra.

Il 24 febbraio io e la mia ragazza dovevamo sposarci. Quando quella mattina ci siamo svegliati, all’inizio abbiamo pensato di far saltare il matrimonio, ma poi abbiamo deciso di farlo comunque. Mia moglie aveva un vestito blu e io una camicia bianca con la scritta «No war». Abbiamo scattato alcune foto e poi siamo andati a protestare. Ho pubblicato le foto sui social media e poi ogni giorno mi venivano chieste interviste da rilasciare a diversi media quali il Guardian, Fox News e altri giornali stranieri.

I primi giorni di protesta sono stati di massa, ma il settimo giorno abbiamo trovato solo molti poliziotti. Era evidente che tali proteste erano inefficaci e che qualcosa doveva cambiare.
Il 19 marzo siamo scappati in Germania, mi sarebbe piaciuto rimanere in Russia ma ora è impossibile. All’inizio pensavamo di andare via solo per riflettere e poi tornare. Ma ora tornare indietro è impossibile per me.

A un certo punto ho ricevuto l’avviso che era stata avviata una causa civile contro di me per privarmi, assieme alla mia famiglia, della cittadinanza russa. Il pretesto era che la casa in cui eravamo registrati si trovava in cattive condizioni.
In questo modo cercano di intimidire tutti gli attivisti e le minoranze.

Aanonimo, musicista
«Nel marzo 2022 volevo aprire il mio studio musicale a Kiev, ma è iniziata la guerra.
Per me è stata una sensazione innaturale, come se fossi coperto di fango perché mi trovavo in Crimea, un territorio che era occupato ma apparteneva ancora all’Ucraina, e da cui partivano aerei per bombardare l’Ucraina stessa che considero il mio Paese. Ho sentito decollare gli aerei da combattimento, poco dopo una mia conoscente di Odessa mi ha informato di un raid aereo in corso. Non capivo come fosse possibile rimanere sotto il governo di un regime che di fatto attaccava il mio Paese.

Il 25 febbraio mi sono recato al valico di frontiera russo-georgiano di Verchniy Lars. Volevo attraversare il confine, ma sono stato fermato dagli agenti dell’FSB che mi hanno interrogato sui miei legami con l’Ucraina, mi hanno accusato di aver attraversato illegalmente il confine e mi hanno minacciato di portarmi in galera. Alla fine sono ritornato in Crimea.

Ho capito che l’obiettivo dell’esercito era quello di spaventarmi e, compiuto 27 anni a marzo, ho deciso di lasciare a tutti i costi la Russia. Ho comprato un biglietto aereo da Mineralnye Vody (dopo il 24 febbraio l’aeroporto di Simferopol è stato chiuso a causa della guerra – ndr) per l’Armenia e da lì ho raggiunto la Georgia dove mi trovo da 10 mesi. All’inizio ho partecipato a varie iniziative di beneficenza e ho aiutato i bambini ucraini rifugiati.
A gennaio volevo ritornare a Kiev perché non posso e non voglio essere altrove se non in Ucraina. La guerra e la paura che mi possa accadere qualcosa non mi impediscono di essere lì».

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