Anniversario genocidio degli armeni 2020 – Di Anna Maria Samuelli Kuciukian

105 anni dal genocidio del popolo armeno senza poterci unire nella preghiera e nel canto liturgico per i martiri, senza poter depositare una corona o accendere una candela davanti aiKhachkar e ai monumenti, senza poter lasciare i fiori  al memoriale di Dzidzernagapert .

In questo 24 aprile 2020, unendomi alla memoria del popolo armeno per scelta famigliare e per scelta consapevole di condivisione della storia e dell’identità di un popolo che dopo il genocidio del 1915 ha avuto la forzadi rinascere e di ricostituire in tutto il mondo comunità, tradizione e  cultura, vorrei riproporre quelli che per me sono stati momenti forti di alcuni anniversari, momenti che oggi fanno parte del mio percorso di condivisione dell’ “armenità”.

Penso al 90° anniversario del genocidio, il 2005,  trascorso in Armenia,a Yerevan, dove era stata organizzata una grande Conferenza Internazionale e numerosi seminari all’Accademia delle Scienze, con storici, filosofi,giuristi, artisti provenienti da tutto il mondo. C’era anche una delegazione di accademici dalla Turchia, e il giornalista turco di origine armena, HrantDink, che abbiamo conosciuto di persona e di cui abbiamo potuto ammirare la determinazione a battersi per la ricerca di un dialogo tra turchi e armeni.Siamo stati molto colpiti dalla sua personalità, che sprigionava una forza interiore straordinaria. Cosciente del pericolo che correva in Turchia per la sua sfida continua all’articolo 301 del Codice penale per il quale  sino ad oggi qualsiasi riferimento al genocidioviene considerato atto di “Lesa turchicità”,non aveva mai voluto abbandonare Istanbul e l’impegno di dirigere il Giornale bilingue armeno-turco Agos.

«Non lascerò questo Paese», aveva dichiarato pochi mesi prima di essere ucciso, «se me ne andassi sentirei di avere lasciato da soli quanti combattono per la democrazia. Sarebbe un tradimento e non lo farò mai».

Fiero delle sue origini armene e fiero di sentirsi anche turco, aborriva  il nazionalismo in ogni sua forma. Nel 2007 HrantDink  è stato ucciso davanti alla porta del suo giornale. Gariwo, l’Associazione fondata nel 2001 da Gabriele Nissim e Pietro Kuciukian, lo ha onorato al Giardino dei Giusti dell’Umanità al Monte Stella di Milano nel 2009.  Il 6 giugno del 2012, grazie all’impegno del Console onorario d’Italia in Armenia, Antonio Montalto, è nato il primo giardino dei giusti a Gyumri e il primo albero e cippo sono stati dedicati a HrantDink. La sua memoria continua a vivere intensamente grazie all’iniziativa del Consiglio della Comunità Armena di Roma che nel 2008 ha istituito il Premio giornalistico HrantDink.

Il Novantesimo anniversario va anche ricordato perché lo storico Marcello Flores, ha presentato, proprio nel corso del Conferenza Internazionale, il progetto del saggio sul genocidio a cui stava già lavorando e che è stato pubblicato nel 2006 dalla Casa Editrice di Bologna con il titolo, Il genocidio degli armeni. Un lavoro di ricerca tra i più pregevoli quello di Marcello Flores,  unico tra gli storici italiani ad essersi occupato a fondo del tema del genicidio degli armeni, dimenticato e negato dalla Turchia sino ad oggi. Il saggio ha avuto numerose edizioni. Ricordo poi la presenza della regista Valeria Parisi di 3D Produzioni,impegnata a girare un documentario. Accompagnata da Pietro Kuciukian che le faceva da interprete, visitava  le case di alcune sopravvissute quasi centenarie.  Era grande  la  sua commozione quando la sera rivedeva le interviste. Faceva davvero fatica ad accettare i racconti di tanta violenza inflitta agli innocenti. Il suo lavoro era iniziato   in Italia nel 2004 con interviste a storici,  filosofi, giuristi, politologi, esperti di diritti umani provenienti da Europa, Stati Uniti, Armenia, Israele e Turchia, durante un convegno alla Fondazione Cini all’Isola di S.Giorgio Maggiore a Venezia,patrocinato dall’Università Ca’ Foscari. Il documentario è stato presentato con il titolo “Grida dal silenzio-La storia dimenticata del genocidio degli armeni”. Il video contiene anche fotogrammi inediti recuperati nell’Archivio storico di Mosca. E’ stato trasmesso da TV 2000 e riproposto a Milano nella Sala Buzzati del Corriere della sera, nel centenario del genocidio. La regista lo ha aggiornato con le riprese della grande cerimonia aDzidzernagapert, conla sfilata dei capi di Stato che deponevano i fiori al Memoriale dei martiri e con la ripresa del concerto tenuto nella piazza di Yerevan dal gruppo musicale armeno System of a Down.

Ma prima di giungere all’anniversario del 2015, vorrei ricordare un altro episodio, che aveva segnato la rinascita della speranza nelle comunità armene in patria e in diaspora, e nella sia pure esigua comunità armena di Istanbul.Speranza di un cambiamento di rotta del governo di Ankara che mai ha voluto riconoscere la realtà e le dimensioni del primo crimine contro l’umanità del Novecento, prototipo dei genocidi che sono seguiti nel cosiddetto “Secolo breve” . La speranza era riposta nell’appello di un gruppo di intellettuali turchiche invitavano la popolazione ad unirsi agli amici armeni nella piazza centrale di Istanbul per commemorare il Metz Yeghern. Lo riporto per esteso, perché ci fa capire il significato profondo della speranza che era entrata nell’animo degli armeni :

“Nel 1915 quando la popolazione della Turchia ammontava a 13 milioni, su queste terre vivevano 1.5 – 2 milioni di armeni. ….Erano i nostri compagni nei quartieri, erano i nostri vicini di casa, erano i nostri sarti, i nostri orafi, i nostri compagni di classe, i nostri maestri, i nostri militari, i nostri generali, i nostri storici, i nostri compositori….: Erano i nostri dirimpettai, coloro con i quali condividevamo le nostre angosce. Il 24 aprile del 1915 ebbe inizio la loro deportazione. Li abbiamo persi. Ora non ci sono più. Tra noi si sente la mancanza….Non ci sono tracce nemmeno dei loro cimiteri. Però nella nostra coscienza di uomini quell’immenso dolore di quell’immane tragedia esiste da 95 anni e pesa ogni giorno di più. Lanciamo un appello a tutti quei turchi, che sentono nei loro cuori quel dolore immenso e vorrebbero inchinarsi dinanzi alla Memoria delle vittime del 1915. Abito nero, in silenzio, torce accese e con i fiori…. Perché quel dolore è anche nostro. Quel lutto è di noi tutti. L’appuntamento è fissato per il 24 aprile alle ore 19 nella piazza centrale di Istanbul TAKSIM”(Marco Tosatti, La Stampa.it  23 aprile 2005).

Tra ipromotori dell’appello, più di 80, c’era l’accademico Baskin Oran, l’avvocato di HrantDinkFethièCetin, la storica NesheDuzel, membri dell’organizzazione turca dei Diritti Umani e anche alcuni deputati.

Ma poi ci fu l’assassinio di HrantDink.

Nel 95° anniversario, il 2010, possiamo considerare il sit in di un centinaio di intellettuali turchi organizzato nella stazione ferroviaria di Haydarpasha, ad Istanbul, stazione da cui  il 24 aprile 1915 era partito il primo treno con 220 deportati armeni, tra le ultime manifestazioni della spinta alla libertà della società civile turca.  La manifestazione, come ha ricordato il giornalista Antonio Ferrari sul Corriere della sera, era stata protetta dalla polizia che teneva lontani  gli ultranazionalisti  (Antonio Ferrari,Corriere della sera, pagina 30 , 25 aprile 2010) .

Poi le voci libere in Turchia sono state progressivamente soffocate e abbiamo assistitoad uncrescente, oscuro e brutale annientamento di ogni speranza.

24 aprile 1915- 24 aprile 2015. Siamo al centenario.

Papa Francesco celebra il 12 aprile la S. Messa nella Basilica di S.Pietro: il presidente della Repubblica armena, il Katolikos di tutti gli Armeni Sua Santità Karekin II, il Katolikos della Grande Casa di Cilicia, il Katolikos degli Armeni cattolici di Bzoummar, i più alti  rappresentanti delle confessioni religiose del Medio Oriente cristiano e dei cattolici armeni, ambasciatori, consoli e armeni di tutto il mondo, con amici italiani e stranieri che hanno chiesto di condividere questo momento storico. Una mescolanza di lingue, di paramenti sacri, di canti liturgici struggenti in latino e in krapar, antica e solenne lingua sacra degli armeni.

Ma ancora prima dell’ingresso di Papa Francesco si poteva toccare con mano l’ansia dell’attesa: come sarà celebrato dal  Pontefice il centenario del genocidio? I riti di ingresso fanno crescere l’aspettativa e quando Papa Francesco prende la parola i volti degli armeni vicini a noi si fanno più pallidi e accrescono la nostra emozione.

Sappiamo come papa Francesco si è rivolto ai fratelli e alle sorelle armene. Un messaggio universale che ha preso le mosse dalla nostra contemporaneità, un tempo di guerra nel quale domina ancora la follia della distruzione degli inermi, accresciuta dall’indifferenza dei più, per poi giungere,senza esitazione, a parlare

di quello che “generalmente è definito il primo genocidio del Ventesimo secolo”, tragedia che ha colpito la prima nazione cristiana del mondo. A questo ne sono seguiti altri, perpetrati dal nazismo dallo stalinismo e da tutti i regimi totalitari o fondamentalisti che in varie aree del mondo e anche nel cuore dell’Europa hanno versato e versano sangue innocente. Non abbiamo potuto trattenere le lacrime che si sono mescolate in un abbraccio a quelle dei nostri vicini che venivano dal Libano e accompagnavano un anziano sopravvissuto. Papa Francesco,all’inizio del suo saluto,ha elencato nel dettaglio quello che oggi accade ai tanti cristiani uccisi per la loro fede, cristiani torturati, crocifissi, costretti all’esilio. Le sue parole hanno richiamato alla mia memoria le immagini della deportazione del 1915, le fotografie di Armin Wegner che tante volte mostravo nelle scuole quando ci invitavano a ricordare il genocidio degli armeni, ma anche le immagini delle colonne di profughi in fuga dall’Afghanistan, dalla Siria, degli Yazidi del Sindjar, dei migranti dall’Africa, morti in mare, aggrappati ai fili spinati, fermati dai muri della nostra indifferenza e del nostro egoismo. Ancora una volta i peccati di omissione contribuiscono ad accrescere l’estensione del male.

E poi il concetto di memoria sottolineato con forza da papa Francesco, perché là dove si nasconde e si nega il male inferto agli innocenti, la ferita continua a sanguinare, rimane aperta. Dove è finito l’entusiasmo e la forza che sosteneva i popoli nella ripresa del cammino dopo l’immane strage della seconda guerra mondiale? Il male apre vuoti, anzi voragini, afferma papa Francesco.

La domanda si ripropone nella nostra contemporaneità ferita e segnata da conflitti, odi, egoismi ed emergenze umanitarie.

Come ricordiamo i martiri armeni oggi, 24 aprile 2020 ? Nel confine delle nostre case, ma capaci di vivere il “diritto alla speranza”, un diritto che è tenuto vivo anche dalle storie dei Giusti, dei testimoni di verità, dei salvatori che in ogni tempo e in ogni parte del mondo sono stati capaci di dire no al male, di assumersi la responsabilità di una scelta, di trovare il coraggio di far prevalere la voce della coscienza, rischiando la libertà e la vita. Cosi accade nella Turchia di oggi, dove tanti dissidenti pagano a caro prezzo i loro atti di disobbedienza.

Ritornando al centenario, voglio ricordare che il 24 aprile del 2015 nella Sala Alessi del Comune di Milano avevamo organizzato il Convegno “Il genocidio armeno tra storia e memoria”.  Antonia Arslan, Gabriella, Uluhogian, Aldo Ferrari, Giulia Lami e AgopManoukianhanno approfondito il tema del genocidio da ottiche diverse, mentre Gabriele Nissim e Pietro Kuciukian hanno proposto nella parte finale dei lavori  l’approfondimento delle figure dei giusti, rispettivamente di Armin T. Wegner e  dei giusti ottomani . Quando è stato realizzato il collegamento in diretta  con Il memoriale di Yerevan, dove era in corso la grande cerimonia del centenario, abbiamo potuto vedere a sinistra del monumento che custodisce la fiamma perenne, il muro della memoria dei giusti, dove ogni anno Pietro Kuciukian ha tumulato la terra raccolta sulla tomba di coloro che in vari contesti e in varie forme, hanno cercato di fermare il male. Storia e memoria raccordate nell’obiettivo di non dimenticare.

Memoria non archeologica ma proiettata sul presente, memoria capace di tenere aperta l’inquietudine della domanda, del  perché e come è accaduto e accade, ma anche capace di auto-interrogarsi per non rimanere prigioniera di quella zona grigia da cui nascono i tanti mali del mondo.

Possa l’esempio dei Giusti dell’Umanità che ogni anno onoriamo al Giardino di Monte Stella a Milano e in tanti giardini in Italia e all’estero, rafforzare il nostro diritto alla speranza che un domani venga vinto il negazionismo e che i popoli ricomincino a dialogare, come voleva HrantDink.

 

Anna Maria Samuelli Kuciukian

Gariwo, la foresta dei Giusti

Responsabile Sezione Didattica

 

24 aprile 2020