BUGIE E NEGAZIONISMO, LA DURA VITA DI UN AMBASCIATORE AZERO ALLA CORTE DI UN DITTATORE

Nei giorni scorsi alcune testate giornalistiche, tra cui notiziegeopolitiche.net, (risposta)  politicamentecorretto.com, (risposta)  sardegnagol e  opinione, avevano pubblicato una lettera dell’Ambasciatore Azero in Italia alla quale ci siamo sentiti nel dovere di rispondere in quanto piena di notizie false e fuorvianti. 

Nel ringraziare le testate sopracitate per aver ospitato la nostra risposta, riportiamo qui di seguito il testo della nostra missiva, qui illink alla lettera dell’ambasciatore e una nostra nota di precisazioni inviata alla redazione di notizie geopolitiche.

 

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BUGIE E NEGAZIONISMO: LA NOSTRA RISPOSTA ALL’AMBASCIATORE AZERO IN ITALIA

Se la ride S.E. Mammad Ahmadzada, ambasciatore dell’Azerbaigian in Italia, citando la presunta abilità armena di contraffare la verità che a suo dire genera “ilarità”.

Fossimo in lui, rappresentante diplomatico di una delle peggiori dittature al mondo (Freedom press index colloca l’Azerbaigian al 167° posto su 180 nazioni, poco sotto la Corea del nord…), ci preoccuperemmo delle sorti del suo Paese dove l’opposizione è inesistente, i giornalisti e i membri delle ong non allineati vengono sbattuti in galera.

Nonostante i tanti soldi che regala in giro per l’Europa (Italia compresa), Aliyev rimane un dittatore al pari di Lukashenko o Kim Jong-un e la sua famiglia governa da più di trenta anni una nazione fatta crescere nell’odio contro gli armeni.

Accusa gli armeni, prima nazione al mondo ad aver abbracciato ufficialmente la fede cristiana nel 301, di essersi “appropriati della Chiesa dell’Albania caucasica” ma non spiega perché allora l’Azerbaigian ha distrutto tutti i monumenti e le chiese armene in Nakhichevan, comprese diecimila croci di pietra (katchkar) di epoca medioevale a Julfa. Come i barbari talebani in Afghanistan con i buddha di Bamiyan… E non sono gli armeni a proclamarsi primo popolo cristiano ma lo dice la storia della Chiesa.

Bugie continua a ripetere la feluca azera sulla storia armena e su quella del Nagorno Karabakh-Artsakh (che non è mai stato storicamente un territorio azero e che giusto un secolo or sono vantava il 95% della popolazione di etnia armena) mescolando a caso informazioni e propaganda, tanto su un tema così complicato e delicato il lettore medio difficilmente riesce a raccapezzarsi.

Sorvola sui massacri e le pulizie etniche che gli armeni residenti in Azerbaigian dovettero subire nei decenni scorsi da Sumgayt in poi e mente sugli antefatti storici della guerra che l’Azerbaigian scatenò contro la piccola repubblica del Nagorno Karabakh, territorio di circa 4000 km2 gentilmente donato da Stalin agli azeri negli anni Venti del secolo scorso.

Un tavolo negoziale per la soluzione pacifica del contenzioso è stato istituito con il Gruppo Minsk dell’OSCE ma dalle affermazioni dell’Ambasciatore si evince che il suo Paese è contrario al dialogo e non accetta il principio che la questione del Nagorno Karabakh possa arrivare a conclusione senza l’uso della forza.

“L’Armenia è un aggressore e l’Azerbaigian è una vittima” scrive l’esimio Ambasciatore al quale rinnoviamo due domande molto semplici: “Cosa ci faceva il 12 luglio scorso un veicolo militare azero nella zona cuscinetto sul confine azero armeno? Una gita fuori porta?”  E la seconda: “Cosa ci facevano i soldati azeri nella stessa buffer zone? Un pic-nic?”.

L’Azerbaigian deve capire che deve arrendersi all’evidenza che la Storia non può essere raccontata a suon di petrodollari…

Ma invero, se una ricostruzione di parte può anche essere scontata (visto il recente richiamo del dittatore Aliyev ai propri ambasciatori perché si diano da fare a livello di comunicazione…), appare tuttavia moralmente inaccettabile il richiamo negazionista – d’altronde buon sangue turco non mente – quando parla degli “eventi della prima guerra mondiale” riferendosi evidentemente al genocidio armeno perpetrato dall’impero ottomano contro la minoranza armena.

Ecco, vedere riportato su una testata italiana l’intervento di un rappresentante di uno Stato dittatura che mistifica la realtà e pronuncia frasi negazioniste sul genocidio di un milione e mezzo di armeni senza che la redazione senta il dovere di prendere un minimo di distanza da certe affermazioni fa male.

Quale reazione vi sarebbe, chiediamo, se l’ambasciatore di un Paese non democratico inviasse una nota nella quale tra l’altro nega l’Olocausto?

Viviamo in una nazione, l’Italia, nella quale per fortuna tutti hanno diritto di parola e la libertà di informazione è garantita. Ciò però non significa avallare pedissequamente un crimine contro l’umanità.

Distinti saluti

CONSIGLIO PER LA COMUNITÀ ARMENA DI ROMA


Contro risposta a Notizie geopolitiche 30.08.20

A margine dell’articolo da noi inviato e pubblicato sulla testata è stata aggiunta questa “nota” alla quale abbiamo dato risconto come segue. 

Essendo stata citata la Redazione del nostro giornale, mi sento il dovere di ribadire l’assoluta indipendenza di Notizie Geopolitiche, che da sempre dà spazio a posizioni anche contrapposte. In questo intervento, che proprio per la libertà che ci distingue pubblichiamo, più che sul sarcarsmo e sulle accuse all’Azerbaijan di essere una dittatura (i fatti di cronaca recenti dimostrano come anche l’Armenia non scherzi), punterei a rispondere in merito alle citate quattro Risoluzioni Onu. D’altronde anche la Crimea era stata donata da Stalin all’Ucraina, ma questo non vuol dire che il dittatore Putin possa farla russa con un referendum farlocco. Enrico Oliari.

 

Egr. dott. Oliari,

La ringraziamo per la pubblicazione del nostro intervento in risposta alle affermazioni dell’ambasciatore azero. Non avevamo dubbi al riguardo.

Proprio perché consideriamo la Sua testata seria, qualificata e obiettiva ci siamo meravigliati che non sia stato fatto alcun cenno redazionale riguardo alle gravi affermazioni negazioniste del rappresentante dell’Azerbaigian che è arrivato a definire il genocidio armeno alla stregua di “eventi della prima guerra mondiale” accodandosi alla più becera immorale propaganda turca. Ma forse il passaggio è sfuggito.

La Sua cortese replica ci fornisce invero l’occasione per sottolineare – nello spirito di un dibattito costruttivo sui problemi sud caucasici a beneficio dei Suoi lettori – due aspetti che riteniamo significativi.

In primo luogo, è un dato di fatto che l’Armenia (e l’Artsakh) e l’Azerbaigian viaggiano su due diversi piani di democrazia pur essendo provenienti dalla stessa esperienza sovietica.

La già citata classifica mondiale sulla libertà di informazione (Freedom press index) colloca l’Armenia al 61° posto (venti gradini sotto l’Italia, 41a) mentre l’Azerbaigian è al 167° posto e la Turchia al 154°. Con tutti i limiti e le difficoltà di sviluppo della società civile e politica armena, il paragone evidenzia posizioni ben differenti. Non lo diciamo noi, ma le organizzazioni internazionali che chiedono la liberazione di giornalisti e attivisti azeri imprigionati a centinaia nelle carceri di Aliyev la cui famiglia – altro dato significativo – da oltre trenta anni governa il Paese.

Ecco perché continuiamo a sorprenderci ogni qual volta sulla libera stampa italiana vediamo riportate sic et simpliciter le dichiarazioni di un rappresentante di Baku.

Quanto alle citate quattro risoluzioni delle Nazioni Unite (822, 853, 874, 884), invocate dall’Azerbaigian in ogni occasione, è opportuno sottolineare che furono votate dal Consiglio di sicurezza fra l’aprile e il mese di novembre 1993 in una situazione contingente legata allo sviluppo progressivo della guerra in atto.

Le prime tre chiedono 1) la cessazione delle ostilità; 2) il ritiro delle forze armene dai territori che le forze armate azere in rotta abbandonavano (Kelbajar, Aghdam,  Fizuli e le regioni meridionali al confine con l’Iran); 3) la ripresa dei negoziati; 4) l’attuazione di tutte le misure umanitarie finalizzate ad alleviare le sofferenze delle popolazioni. La quarta, in aggiunta alle precedenti disposizioni, chiede all’Armenia di “usare la sua influenza nei confronti degli armeni del Nagorno Karabakh per l’applicazione delle precedenti risoluzioni”, di fatto avallando la neonata piccola repubblica di Stepanakert come soggetto sostanzialmente distinto (al punto che i suoi rappresentanti firmarono l’accordo del cessate-il-fuoco nel maggio 1994 con Armenia e Azerbaigian).

È pleonastico sottolineare che nessuna delle parti in causa rispettò le risoluzioni ONU a cominciare dalle forze armate azere che continuarono a combattere (e a perdere terreno a favore dei partigiani armeni). Quando dunque Baku invoca le citate pronunce del Consiglio di Sicurezza dovrebbe in primo luogo spiegare perché l’Azerbaigian per primo non rispettò le stesse e in secondo prendere atto che già le Nazioni Unite, sia pure con il linguaggio che si conviene ai diplomatici, consideravano acquisito de facto un embrione di statualità della repubblica del NK.

Erano comunque, ripetiamo, risoluzioni legate al contingente sviluppo degli eventi bellici; al pari di quella del Parlamento europeo che nel 1988 (e poi nel 1990) condannava i massacri degli a

armeni nell’Azerbaigian ed esprimeva il proprio sostegno alla popolazione del Nagorno Karabakh nella sua richiesta di unificazione all’Armenia.

La vicenda del conflitto del Nagorno Karabakh è, come ben sa, alquanto complicata e il dibattito a più voci sull’argomento quanto mai opportuno.

Lieti per questo proficuo scambio di opinioni, ci è gradita l’occasione per rinnovare i migliori saluti e auguri di buon lavoro.

Consiglio per la comunità armena di Roma