Qualche precisazione sull’Armenia. L’intervento dell’amb. Hambardzumyan (Formiche.it 28.02.24)

Riceviamo e pubblichiamo la lettera a Formiche.net dell’ambasciatrice della Repubblica d’Armenia in Italia Tsovinar Hambardzumyan

Gentile Direttrice,

Ho notato che la testata da Lei diretta ultimamente ha pubblicato alcuni articoli riguardo la situazione politica nel Caucaso Meridionale nei quali viene sovente riportato il punto di vista dell’Azerbaigian a discapito della posizione del mio Paese, la Repubblica di Armenia.

In particolare, mi ha colpito il titolo dell’ultimo articolo (“Attacco armeno contro soldati azeri. Così risale la tensione nel Garabagh”) che non trova alcuna corrispondenza con quanto effettivamente accaduto e fornisce dunque al lettore un’informazione assolutamente distorta e provocativa.

Lungi da me, ben inteso, suggerire o peggio imporre al direttore di un giornale cosa pubblicare e come: per fortuna, sono la rappresentante diplomatica di un Paese che nell’ultimo “World press freedom index 2023” di RSF si colloca (49°) quasi in linea con gli standard italiani (41° posto) a differenza, ad esempio, dell’Azerbaigian che occupa gli ultimi posti (151°) della classifica.

Tuttavia, ci tengo a precisare – proprio per verità di informazione – che quanto rappresentato nel pezzo in questione non rispecchia la realtà dei fatti. Il bombardamento da parte azera (che, sarebbe sempre doveroso sottolinearlo, occupa attualmente porzioni di territorio sovrano della Repubblica di Armenia) su una postazione difensiva del mio Paese ha rappresentato l’ennesimo atto di aggressione da parte dell’Azerbaigian e un evidente tentativo di sabotaggio del difficile e lungo processo di pace.

Anche perché, a fronte di un’accusa di una violazione del cessate-il-fuoco da parte di Baku (il riferito ferimento di un soldato) il mio governo ha tempestivamente rilasciato una nota nella quale informava dell’avvio immediato di un’indagine al fine di appurare se fossero stati contravvenuti gli ordini di non aprire il fuoco e, nella denegata ipotesi di tale circostanza, la determinazione a punire il responsabile. A fronte di tale sollecita disponibilità, la leadership dell’Azerbaigian ha risposto, in modo del tutto “sproporzionato” (espressione utilizzata da numerosi commentatori politici e autorità internazionali), dopo solo poche ore, con un’azione di guerra che ha provocato quattro vittime e il ferimento di un’altra persona. Tutto ciò accadeva – casualmente… – proprio mentre il ministro degli Affari esteri della Repubblica di Armenia, Ararat Mirzoyan, si incontrava a Bruxelles con l’Alto Commissario per gli Affari esteri dell’Unione europea, Josep Borrell.

Ecco perché quel titolo, e nel suo complesso l’intero pezzo, rischia di non fornire una corretta informazione ai vostri lettori. Tanto dovevo, anche per rispetto dei miei connazionali periti nella tragica circostanza. Infine, vorrei sottolineare che il termine Garabagh (invece di Nagorno-Karabakh) adottato anche da Formiche è un termine introdotto di recente dalla propaganda azera.

La prego di pubblicare questa mia lettera e accettare i miei migliori saluti.

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L’incontro con il nuovo Console Onorario d’Italia in Armenia (COMUNE.ARCO 27.02.24)

Il sindaco Alessandro Betta e la Giunta comunale al completo hanno incontrato nel primo pomeriggio di martedì 27 febbraio in municipio Massimiliano Floriani, arcense già assessore alla cultura, alle politiche sociali e giovanili, alla prima infanzia, all’ecologia e all’ambiente (dal 2010 al 2014) e consigliere comunale (dal 2014 al 2017), dallo scorso dicembre Console Onorario d’Italia a Gjumri, in Armenia.

Il sindaco ha consegnato al nuovo Console Onorario un omaggio, la piccola riproduzione in bronzo del castello di Arco realizzata dal noto scultore Renato Ischia, accompagnato a un biglietto, del quale ha dato lettura: «A nome dell’intera amministrazione del Comune di Arco -ha detto il sindaco- ci si congratula per la Sua nomina a Console Onorario d’Italia a Gjumri in Armenia dell’8 dicembre 2023. Il ruolo all’interno delle istituzioni e il valore di rappresentanza di una comunità che esso esprime è sempre di prestigio e richiede pertanto grande responsabilità nel saper affrontare le situazioni, nella loro complessità, con integrità ed equilibrio. Certi che la capacità di giudizio e il bene comune possano essere riferimenti fondamentali del Suo operato in questo percorso, l’occasione è questa per esprimere la totale disponibilità da parte dell’amministrazione del Comune di Arco e per farle giungere i migliori auguri di buon lavoro».

Massimiliano Floriani, che dal 2017 vive a Gyumri, seconda città dell’Armenia per numero di abitanti dopo la capitale Erevan, e dove gestisce un’attività ricettiva, ha raccontato quali sono i suoi impegni di Console Onorario, dall’adempimento dei generali doveri di difesa degli interessi nazionali e di protezione dei cittadini a una serie di incombenze burocratiche, fino alla più gradita: l’organizzazione di iniziative ed eventi culturali.

«Sono molto contento di questo riconoscimento -ha detto Floriani- del quale ringrazio l’amministrazione comunale. Ormai da diversi anni vivo in una terra lontana e molto diversa, ma porto sempre Arco nel cuore; e ricevere una simile attestazione di stima mi ha reso la mia città natale ancora più cara».

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Armeni e palestinesi, due popoli in lotta contro imperialismo e colonialismo (Pclavoratori 27.02.24)

Notizia passata sostanzialmente in sordina, come quasi tutte quelle che riguardano il Caucaso, ma il 13 febbraio sono stati assassinati dal fuoco azero quattro soldati armeni, stando alle accuse della repubblica armena.
Non è certo la prima violazione del cessate il fuoco in seguito alla pulizia etnica degli armeni del Nagorno-Karabakh nel 2023, costretti dall’avanzata dei militari del regime all’esodo di massa e al completo abbandono del loro intero paese, ma di certo è il più sanguinoso degli ultimi mesi. La repubblica azera, al solito, ha risposto rilanciando con l’accusa secondo cui i militari armeni avrebbero precedentemente ferito un soldato azero, accusa di dubbia credibilità visto che viene prontamente estratta dal cappello delle montature ogni qual volta avviene uno scontro tra i due paesi e che solitamente questi presunti attacchi armeni sono puntualmente smentiti.
Questo ennesimo crimine ci dà, in ogni caso, un buon pretesto per approfondire un minimo l’argomento.

AZERBAIGIAN

Parliamo di un regime, quello azero, tra i peggiori per ciò che concerne la libertà di parola: praticamente uno Stato che è nella pratica una satrapia di proprietà privata di una famiglia che si è spartita il meglio delle cariche, com’è stato ribadito dalle recenti elezioni del 7 febbraio, che hanno visto l’ennesima rielezione di Ilham Aliyev con il 92% dei voti. Risultato notevole, peccato che siano state contrassegnate dalle solite frodi elettorali, con votanti che si sono spostati di seggio in seggio per apporre più voti e dai metodi poco ortodossi e aggressivi contro osservatori e giornalisti non affiliati al regime, come hanno denunciato anche gli osservatori dell’OSCE (piccola eccezione tra una schermaglia di inviati ammansati, forse, dal caviale).

La farsa (peraltro anticipata rispetto alle elezioni previste in precedenza) è stata inscenata per annunciare una nuova era, visto che dopo trent’anni i nazionalisti azeri sono riusciti a occupare con i loro metodi genocidi l’intero territorio armeno del Nagorno-Karabakh, e a tenervi anche le elezioni (chi abbia votato, visto che quel territorio è stato completamente svuotato della sua popolazione, non è molto chiaro, anche se l’intera famiglia di Aliyev ha voluto apporre una criminale ciliegina sulla torta e recarsi alle urne nella capitale di quel territorio, Stepanakert). Per essere una nuova era, non è cambiato granché: le minoranze sono oppresse come prima, con l’eccezione di quelle funzionali al regime (qualche sporadica fanfaronata coinvolge alcuni esponenti del piccolo popolo degli udi, per esempio, così che il regime può mostrare il suo carattere “multiculturale”), le violenze e la repressione nei confronti di ricercatori e attivisti non affiliati al regime o contro la guerra proseguono e le finte opposizioni parlamentari invece di impegnarsi in campagne con l’obiettivo di vincere gli scontri elettorali si sperticano nell’esprimere sostegno e lodi al tiranno, che non ha neppure bisogno di presentarsi in televisione per presentare il proprio programma per “vincere”. Tra le vittime del sistema repressivo si trovano in particolare attivisti ecologisti, sindacalisti, lavoratori e giornalisti.

ALCUNI DEGLI AMICI DELL’AZERBAIGIAN IN ITALIA

La stampa internazionale e gli osservatori si sono dimostrati, anche nelle elezioni del 7 febbraio, in gran parte inutili e funzionali pennivendoli e si sono complimentati col regime (d’altronde, a detta degli inviati dell’Unione Europea, anche nel momento in cui avveniva la pulizia etnica nel Nagorno-Karabakh stava andando tutto bene).
Anche in Italia il despota ha il suo discreto fanclub, nientepopodimeno che all’interno di Fratelli d’Italia, cui appartiene anche Salvatore Caita (delegato italiano tra gli osservatori internazionali nel corso delle elezioni, insieme a Ettore Rosato di Italia Viva e Giulio Terzi di Sant’Agata, sempre FdI; anch’essi non sono parsi poi così preoccupati dall’andamento delle cose nel paese), partito che ha anche dato vita al Gruppo di Amicizia Italia-Azerbaigian presso l’Unione Interparlamentare.

D’altronde, già il ministro degli affari esteri Tajani, all’epoca della “pace” siglata tra Azerbaigian e Armenia seguita alla sconfitta della piccola repubblica dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh, aveva espresso soddisfazione per l’intesa raggiunta: quale soddisfazione si può provare nel vedere un popolo oppresso obbligato a siglare la propria distruzione? Nel dubbio, governo italiano e Unione Europea non lesinano l’acquisto di gas russo attraverso il regime degli Aliyev e il mega gasdotto TAP – Trans Adriatic Pipeline (tanto che l’Azerbaigian è stato incluso nel “Piano Mattei” pur non essendo uno Stato africano) e nel gennaio dell’anno scorso, il Ministro della Difesa, Guido Crosetto, si è recato nella capitale azera con l’intenzione di rafforzare i rapporti tra i due Stati, annunciando che anche la presidente Meloni è d’accordo e che le forze armate del regime sono interessate all’industria militare italiana. Nel 2021, inoltre, Manlio Di Stefano, sottosegretario agli Esteri, ha lodato a più riprese sui social l’Azerbaigian e ha annunciato i possibili interessi nella “ricostruzione” del Nagorno-Karabakh occupato, e che le ditte italiane sono tra le privilegiate nel processo di colonizzazione.
Non si può non annoverare in questa empia lista anche l’ex UDC Luca Volontè, condannato a quattro anni per aver ricevuto mezzo milione di euro da esponenti politici azeri, con il mandato di orientare il voto del proprio gruppo europarlamentare nella difesa dell’immagine dell’Azerbaigian dinanzi a un rapporto sulla condizione dei prigionieri politici del regime. Un altro molto attivo sulla questione è l’ex Cinque Stelle e ora leghista Stefano Lucidi, presidente del Gruppo interparlamentare di amicizia Italia-Azerbaigian, molto interessato a mostrare l’Azerbaigian come un “modello nella gestione della propria indipendenza”.

Da parte sua Giorgia Meloni è dal tempo della sua entrata a Palazzo Chigi che non spende parole per gli armeni (che in precedenza non mancava di strumentalizzare). Analogo il caso di Salvini, mentre non mancano le ambiguità del Vaticano (in un magico incontro con Aliyev, Papa Francesco, mentre riceveva in dono un prestigioso tappeto, vino e caviale, così si è espresso: “questo è il segno della vostra tolleranza”). E meno male che questi sono i difensori dei cristiani perseguitati nel mondo.

Ma non mancano gli amichetti anche nella presunta sinistra (nel rossobrunismo?), in particolare la Sandro Teti Editore, che ha pubblicato più di un volume apologetico nei confronti del regime, addirittura uno che mette insieme una storia d’amore tra un israeliano e un’azera, libraccio presentato anche dall’ambasciata dell’Azerbaigian in Italia. Il fatto che l’editore sia alla guida del “Centro internazionale per il multiculturalismo di Baku” dal 2016 (così riporta il loro sito) è significativo, probabilmente determinante.

ISRAELE-PALESTINA

Gli armeni sono oppressi anche nello Stato d’Israele. Negli ultimi mesi si sono susseguiti atti di violenza da parte dei coloni israeliani che hanno aggredito la comunità armena di Gerusalemme, lì presente da secoli, con l’intenzione dichiarata di cacciarli e rimandarli a “casa loro” (paradossale, visto che è una comunità ben più antica degli aggressori). Non sono una novità, i tafferugli scatenati da questi fascisti avvengono da anni, ma questa volta è ben più grave. In una di queste aggressioni hanno circondato il quartiere armeno, armati, e iniziato le demolizioni degli edifici presenti, inventandosi presunte aggressioni da parte armena.
La polizia, nel “fermare” gli scontri, non ha mancato di arrestare soltanto persone della parte offesa, tra cui un minore. La causa scatenante delle ultime aggressioni è il blocco della concessione da parte del patriarca armeno di una parte del quartiere, su cui doveva essere costruito un hotel di lusso. Proprio strano che i fascisti locali si siano particolarmente agitati dopo che un qualche riccone ha subito uno smacco. Un copione che non cambia con il passare degli e nei diversi paesi.

Questo è poco e quasi casuale rispetto a colpe del regime israeliano ben più gravi verso il popolo armeno. Non dimentichiamo infatti che nella recente atroce pulizia etnica nel Nagorno-Karabakh Israele ha avuto un ruolo determinante, passando armi, finanziamenti ed intelligence avanzate al regime dell’Azerbaigian, regime che dei palestinesi se ne infischia grandemente. Vista la compartecipazione in quel crimine e il trattamento razzista che subiscono gli armeni, ci si sarebbe aspettato il completo o imbarazzato silenzio da parte israeliana su questo popolo. Invece no: il ministro degli esteri israeliano, Israel Katz, ha tentato di speculare sul passato di un altro regime discutibile come quello della Turchia, affermando che con una cosa come il genocidio degli armeni, il Medz Yeghern, sulle spalle, la Turchia non avrebbe dovuto osare sostenere il Sudafrica nella mozione in cui denunciava Israele per atti di genocidio. Considerando che lo Stato israeliano non riconosce il Medz Yeghern e che tutte le mozioni in tal senso non hanno ottenuto risultati diversi dalla bocciatura, è un po’ ridicolo che i suoi ministri si aspettino una benché minima credibilità quando si dilettano in queste speculazioni. Questa credibilità è ancora meno significativa, ripetiamo, in virtù del fatto che Israele ha venduto, senza remore e dilemmi etici, sofisticati sistemi bellici all’Azerbaigian per vincere la guerra contro l’Armenia, e che continua a farlo anche nel bel mezzo della strage genocida che sta compiendo in Palestina, atto che marchia con la peggiore delle infamie anche l’Azerbaigian, pronto a far uso della “solidarietà musulmana” soltanto per attirarsi simpatie internazionali in occasione dei suoi atti criminali.
Ovviamente tutto questo non ha messo in discussione i rispettivi rapporti commerciali: sia mai. E neppure l’amicizia con il regime degli Aliyev: entrambi hanno rifornito per settimane l’Azerbaigian prima dell’offensiva del settembre 2023 che ha determinato l’esodo di massa dei 150.000 armeni del Nagorno-Karabakh, così come entrambi continuano a essere tutt’oggi stretti collaboratori della tirannia caucasica, alla faccia dei vicendevoli rimproveri su genocidi passati e presenti.

ARMENI E PALESTINESI, DUE POPOLI IN LOTTA CONTRO LO STESSO NEMICO

Palestinesi e armeni hanno un passato di oppressione subita e di lotte che li accomuna, e che talvolta li ha visti anche fianco a fianco. Le avanguardie armene e palestinesi più avanzate del Medio Oriente e dell’Anatolia hanno infatti talvolta lottato insieme, in particolare tra gli anni Settanta e Ottanta. La storia di Monte Melkonian, rivoluzionario marxista e internazionalista, è un fulgido esempio di rivoluzionario che non ha mai lesinato il proprio sostegno alle cause degli altri popoli oppressi e che nel Libano si è trovato a fronteggiare i falangisti responsabili di orrendi crimini contro i palestinesi; eroe nazionale e protagonista della liberazione del Nagorno-Karabakh negli anni Novanta, è un esempio da seguire per il proletariato armeno, che non può confidare nell’attuale governo borghese per la propria emancipazione (governo che pedissequamente accetta le peggiori direttive del regime nemico e che ha consegnato nel 2021 due rivoluzionari curdi ai servizi segreti turchi, tanto per dirne una).

Curiosamente anche la figura di Stalin è presente nella storia di entrambi i popoli come un’ombra scura: è stata la pressione di Stalin a far cedere i territori armeni del Nakhchivan e del Nagorno-Karabakh, anche se in forma di regione autonoma, all’Azerbaigian, ed è stato allo stesso tempo un prestigioso sostenitore della nascita dello Stato d’Israele. La dimostrazione che la mancata risoluzione della questione nazionale e coloniale secondo il principio dell’autodeterminazione dei popoli non è altro che il prodromo di tragedie future. È sull’esempio del blocco israeliano contro Gaza che l’Azerbaigian ha bloccato per mesi ciò che restava della repubblica armena dell’Artsakh, affamando la popolazione. È la “lotta al terrorismo” e il “principio legale” a essere sempre stato uno dei pretesti chiave di entrambi i regimi.

È così che possiamo dichiarare che soltanto l’alleanza tra le nazionalità oppresse di questi territori (non soltanto armeni e palestinesi, ma anche curdi, talisci e assiri, per citarne alcuni) e le avanguardie rivoluzionarie e il proletariato delle nazionalità dominanti possono essere abbattuti questi regimi e i loro satrapi. È con l’internazionalismo proletario che verranno liberati il Medio Oriente, il Caucaso e l’Anatolia, e che le guerre che insanguinano queste terre avranno finalmente termine, e anche le masse europee possono e devono avere un ruolo in questo. Purtroppo, abbiamo visto in questi anni, il silenzio della sinistra, anche rivoluzionaria, sulla questione del Nagorno-Karabakh e della pulizia etnica lì avvenuta: è tardi, ma non è mai troppo tardi per cominciare la lotta.

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Gli esperti hanno scoperto un panificio di 3000 anni a Metsamor, in Armenia. (Scienzenotizie 26.02.24)

Gli esperti hanno scoperto un panificio di 3000 anni a Metsamor, in Armenia.

Il ritrovamento è stato fatto in una grande struttura che un tempo, ospitava diversi forni. La struttura però fu distrutta in parte da un incendio. “La farina è stata scoperta incastrata nel terreno. A prima vista sembrava cenere leggermente bruciata. Grazie ad alcune analisi abbiamo dimostrato che si tratta di farina, non di cenere“, ha spiegato il capo della ricerca, il professor Krzysztof Jakubiak della Facoltà di Archeologia dell’Università di Varsavia. Uno strato spesso 10cm era stato creato dalla farina. Gli esperti pensano che nell’edificio fossero conservati fino a 3,5 tonnellate di farina. Solo pochi sacchi sono sopravvissuti nei secoli. Principalmente si utilizzava la farina di frumento e la grande quantità scoperta, indica una produzione su larga scala e anche abilità nella panificazione. Scoperte simili, sono state già fatte in Armenia, come ad esempio nell’insediamento fortezza di Tejszebaini, che un tempo faceva parte dell’antico regno di Urartu. Nella regione del Caucaso, la farina veniva anche utilizzata per scopi divinatori e questo potrebbe alterare l’interpretazione della funzione dell’edificio scoperto.

 

 

La struttura fu in uso dalla fine dell’XI secolo a.C. fino all’inizio del IX secolo a.C.. Funzionava all’inizio come edificio pubblico. Successivamente vennero inserite le fornaci e quindi la struttura venne usata come spazio comune per cuocere il pane fino a quando un incendio causò il crollo parziale dell’edificio. La struttura era formata da 18 fila di colonne in legno che sorreggevano il tetto fatto di canne. Le parti in legno non sono sopravvissute ma alle basi delle colonne di pietra sono stati trovati frammenti bruciati di travi e lastre del tetto. “È quindi una delle più antiche costruzioni conosciute di questo tipo provenienti dalle aree del Caucaso meridionale e dell’Anatolia orientale. I suoi resti sono sopravvissuti così bene solo grazie all’antico incendio che ha posto fine a questo oggetto“, ha aggiunto il professor Jakubiak. Il sito risale al IV millennio a.C. ed era un insediamento difensivo. La citta fu abitata dal IV millennio a.C. fino al XVII secolo ininterrottamente. L’identità degli abitanti però rimane ancora un mistero perchè non ci sono documenti scritti. Gli esperti pensano che Metsamoe nell’VIII secolo a.C., in seguito alla sua conquista da parte del re Argiszti I, entrò a far parte del Regno di Urartu.

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Gerusalemme: gli armeni in tribunale per la proprietà contesa nella Città Vecchia (Asianews 26.02.24)

La comunità ricorre alla magistratura per far valere i propri diritti sul “Giardino delle Vacche” al centro di un’operazione immobiliare opaca che rischia di snaturare il loro storico quartiere. I terreni posseduti in via fiduciaria con un fondo waqf istituito 400 anni fa. L’obiettivo è l’annullamento dell’accordo di vendita. Colletta “Pro Terra Sancta”: il Custode invoca “preghiera, pellegrinaggi e condivisione delle risorse” dai cristiani di tutto il mondo.

Gerusalemme (AsiaNews) – La comunità armena di Gerusalemme ricorre al tribunale per far valere i propri diritti attorno a una proprietà contesa nella città santa, presentando ufficialmente il 18 febbraio scorso una causa volta a “invalidare” il contratto di locazione fra patriarcato e Xana Capital. L’azione legale si basa sul presupposto che i terreni sono detenuti in via fiduciaria a beneficio della stessa comunità armena, con un fondo waqf – si tratta in genere di proprietà immobiliari alienate come donazione con un vincolo di utilizzo per alcuni beneficiari – istituito oltre 400 anni fa. In base ai termini stabiliti la proprietà non potrebbe essere affittata o venduta dal patriarcato se la transazione non va a diretto beneficio della comunità armena e se non è approvata dalla comunità, che ha espresso la propria opposizione.

La comunità armena di Terra Santa è da tempo al centro di una controversia sulla vendita di terreni un’area contesa nella città vecchia, a Gerusalemme, che ha creato una profonda frattura interna. A originare lo scontro l’affitto per 99 anni – una cessione di fatto – di proprietà immobiliari a un imprenditore ebreo australiano dall’impero economico opaco, che muove da dietro le quinte. Il prete “traditore” che ha mediato e sottoscritto l’atto è Baret Yeretzian, ex amministratore dei beni immobili del Patriarcato armeno di Gerusalemme, oggi in “esilio”. Con lui hanno operato il patriarca armeno ortodosso Nourhan Manougian, l’arcivescovo Sevan Gharibian e l’uomo d’affari Daniel Rubenstein (conosciuto come Danny Rothman), che intende costruire un hotel di lusso.

La vicenda ha toccato anche la carica patriarcale, con il primate armeno “sfiduciato” dalla comunità, parte dei fedeli ne hanno invocato le dimissioni, mentre Giordania e Palestina hanno “congelato” di fatto l’autorità. La vicenda è esplosa nel maggio scorso, ma il contratto era stato firmato in gran segreto nel luglio 2021 e prevede l’affitto per quasi un secolo del terreno denominato “Giardino delle Vacche” (Goveroun Bardez), oggi un parcheggio usato per recarsi al muro del pianto. L’uso – assieme ad altre proprietà menzionate nel contratto – da parte degli ebrei ha provocato l’ira degli armeni, che dal 2021 si battono per tornare a disporne a pieno titolo. La controversia tocca anche gli stessi “Accordi di Abramo”, perché una delle compagnie coinvolte è la One&Only, con base a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti (Eau).

Ricorrendo in tribunale, la comunità armena si pone come obiettivo primario l’annullamento del presunto accordo e la protezione dei terreni, con una unità di intenti fra comunità, patriarcato e armeni della diaspora. In una nota gli armeni di Gerusalemme sottolineano la ferma “convinzione” circa la “mancanza di trasparenza e di collaborazione” che si celano dietro la vicenda, che mira a espropriare di fatto l’area. “La comunità prosegue la dichiarazione – si batterà fino alla fine per garantire che il quartiere armeno rimanga intatto, armeno e a beneficio del popolo. Sono proprio questi i principi che hanno unito il mondo armeno globale – e i nostri alleati che comprendono il valore di quel mosaico unico che è l’antica città di Gerusalemme – per salvare il quartiere armeno”.

Del bisogno di “vicinanza” e “solidarietà” dei “cristiani di tutto il mondo” parla invece il Custode di Terra Santa fr. Francesco Patton nel messaggio sulla Colletta “Pro Terra Sancta” del Venerdì Santo, inviato per conoscenza ad AsiaNews. Dopo gli oltre due anni di “incertezza” per il Covid e l’illusione di un ritorno alla “normalità” vi è stato lo scoppio improvviso del nuovo conflitto seguito all’attacco del 7 ottobre che ha colto di “sorpresa”. Oltre alle migliaia di morti, fr. Patton ricorda anche il nuovo blocco al flusso di pellegrini, la chiusura delle scuole e la perdita di lavoro “per molti cristiani della terra Santa, specialmente a Betlemme e in Palestina, ma anche nella città vecchia di Gerusalemme e in Israele”. Da qui il rinnovato appello alla vicinanza non solo con la preghiera, ma grazie anche ai pellegrinaggi e la “condivisione di risorse economiche”.

“La Colletta del Venerdì Santo serve a coprire una parte di questi costi, grazie alla generosità dei fedeli di tutto il mondo, grazie alla vostra generosità. In questa occasione, noi frati della Custodia di Terra Santa ci facciamo mendicanti e ci rivolgiamo a voi perché il Venerdì Santo possa essere un giorno di solidarietà universale, un giorno in cui i cristiani di tutto il mondo si prendono concretamente cura della Chiesa madre di Gerusalemme, che in questo momento – conclude il Custode – ne ha estremo bisogno”.

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L’Azerbaigian compra caccia in Pakistan, l’Armenia missili antiaerei in India. (Scenari Economici 25.02.24)

Nel confronto che scalda il Caucaso fra Armenia e Azerbiagian le due parti stanno cercando di rafforzarsi militarmente, ma seguono delle strade diverse: Al riarmo di Baku corrisponde una corsa agli armamenti di Yerevan, ma da fornitori diversi.

L’Azerbaigian acquisterà caccia per 1,6 miliardi di dollari da Pakistan. L’accordo comprende l’addestramento dei piloti e l’acquisto di armamenti. Le voci si susseguono da tempo, ma Azernews ha dichiarato che l’esportazione del JF-17 a Baku avverrà dopo il completamento di 62 jet da combattimento per l’aeronautica pakistana entro il 2024.

L’esperto pakistano Dr. Mehmood ul Hassan Khan ha dichiarato che l’accordo è stato confermato da fonti pakistane. La vendita di JF-17 “Thunder” all’Azerbaigian è il più grande accordo di esportazione della difesa nella storia del Pakistan. L’accordo prevede la fornitura di otto jet da combattimento nella prima tranche, con una clausola per un ordine successivo di altri 8 JF-17. L’Azerbaigian è diventato il terzo paese dopo il Myanmar e la Nigeria a scegliere il caccia, anche se le precedenti esperienze non sono state particolarmente brillanti.

L’aereo da combattimento JF-17 Thunder è sviluppato congiuntamente dal Pakistan Aeronautical Complex e dalla cinese Chengdu Aircraft Industry Corp. Ha una cellula cinese e un’avionica occidentale, mentre un motore russo lo alimenta.

JF-17

La variante Block III vanta una maggiore capacità di armamento, che lo rende più versatile in diversi scenari di combattimento. Può impiegare diversi ordigni, tra cui missili aria-aria, aria-superficie, antinave e bombe guidate e non guidate. È dotato del missile PL-15 Beyond Visual Range (BVR) con una gittata fino a 300 chilometri.

La variante più vecchia ha avuto problemi con i motori. I malfunzionamenti tecnici hanno costretto il Myanmar a mettere a terra la sua flotta di JF-17. Il Block III è dotato di un nuovo motore, probabilmente un derivato migliorato dell’RD-33MK (che equipaggia il MiG-35 russo) o del WS 10A. Questo aggiornamento del motore contribuisce a migliorare le prestazioni e l’agilità.

Il JF-17 Block III può superare la velocità di Mach 2 di circa 2.470 chilometri orari. La sua agilità e manovrabilità sono fondamentali per i combattimenti aerei.

Il Block III incorpora un radar AESA (Active Electronically Scanned Array) che migliora la consapevolezza della situazione e l’inseguimento dei bersagli. È inoltre dotato di un display montato sul casco (HMD) per migliorare il puntamento e l’ingaggio dei piloti. Si parla di un sistema interno di ricerca e tracciamento a infrarossi (IRST).

L’economicità del JF-17 Thunder è il suo principale vantaggio. Il suo costo è circa la metà di quello dell’F-16 Fighting Falcon. Anche se si prevede un costo maggiore, la variante Block III offre comunque vantaggi significativi rispetto ai suoi concorrenti.

Akash contro JF-17

Nonostante il breve periodo di pace tra i due paesi, l’Armenia e l’Azerbaigian si stanno riarmando per prepararsi a futuri conflitti. L’Armenia ha acquistato missili terra-aria Akash dall’India per combattere la minaccia aerea dell’Azerbaigian. La fornitura di sistemi di difesa aerea all’Armenia da parte dell’India ha facilitato la moderazione da parte dell’Azerbaigian.

Akash è un sistema SAM a corto raggio prodotto da Bharat Dynamics Limited (BDL) per proteggere aree e punti vulnerabili dagli attacchi aerei. Il sistema d’arma Akash (AWS) può ingaggiare simultaneamente bersagli multipli in modalità gruppo o autonoma.

È dotato di funzioni integrate di contromisure elettroniche (ECCM). L’intero sistema d’arma è montato su piattaforme mobili.

Può colpire efficacemente elicotteri, jet da combattimento e UAV che volano nel raggio di 4-25 chilometri. È completamente automatico e ha un tempo di risposta rapido dal rilevamento del bersaglio all’uccisione.

È altamente immune alle interferenze attive e passive. Può essere trasportato rapidamente su rotaia o su strada e può essere schierato in tempi brevi. Il progetto ha un contenuto indigeno complessivo dell’82%, che verrà aumentato al 93% entro il 2026-27.


Il conflitto ha creato due assi: uno composto da Azerbaigian, Turchia e Pakistan e un altro da Armenia, India e Francia. Le ultime ostilità vedranno l’uso di armi indiane di recente acquisizione, come il lanciarazzi multi-barile Pinaka (MBRL) per l’Armenia e i droni Bayraktar Akinci “Raider” nell’inventario dell’Azerbaigian.

Tuttavia, questa pace tumultuosa è minacciata dal fatto che Baku ha concluso un accordo per l’acquisto di jet da combattimento JF-17 Block III dopo aver mostrato il suo ultimo Bayrakta Akinci “Raider”. L’eventualità di uno scontro tra due sistemi – gli aerei e i SAM – si sta avvicinando presto.

Attualmente, le forze aeree dell’Azerbaigian si affidano principalmente ai vecchi caccia dell’era sovietica, come i MiG-29 e i Su-25. L’aggiunta del JF-17 Block III rappresenterebbe un sostanziale salto di qualità in termini di tecnologia e potenza di fuoco. Grazie alle sue armi avanzate, ai sistemi radar migliorati e all’agilità, il JF-17 può migliorare le capacità di combattimento aereo dell’Azerbaigian.

Resta da vedere se i SAM si dimostreranno adeguati contro il JF-17 che, con i suoi missili BVR, può colpire da ben al di fuori del raggio d’azione del missile. Una cosa è certa: l’acquisto del JF-17 Block III alimenterà ulteriormente la corsa agli armamenti nella regione.

La Russia esclusa dai giochi

Se l’Azerbaigian si rivolga al Pakistan e l’Armenia all’India, la Russia, precedentemente il maggior fornitore di armi dell’Armenia perché membro dell’allenaza difensiva delle ex repubbliche sovietiche, ora resta a guardare. Anche per questo l’Armenia ha scelto di sospendere l’alleanza lamentandosi dell’inattività di Mosca.

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Allo spazio Kor di Asti debutta “Anahit” (La Voce di Asti 23.02.24)

Nuovo appuntamento per “Music non stop”, la stagione dello Spazio Kor di Asti, con la direzione artistica di Chiara Bersani e Giulia Traversi, con un cartellone di performance di respiro europeo, con linguaggi differenti e una particolare attenzione all’accessibilità, tema centrale del lavoro di Spazio Kor che l’ha reso punto di riferimento a livello regionale e non solo.

Venerdì 1 marzo alle 21 debutta in prima assoluta Anahit”, spettacolo ideato da Giorgia Ohanesian Nardin.

In scena Giorgia Ohanesian Nardin, Max Simonetto, De Isabella.

Anahit è, nella tradizione Armena pagana, la divinità posta a guardia e custodia dell’acqua e di tutto ciò che è fluido.

Giorgia Ohanesian Nardin è artista italiana di discendenza Armena che pratica nei contesti della danza e della performance dal vivo. Formatasi nella danza, il suo lavoro tratta della relazione tra movimento, divinazione e scrittura; della geografia e dell’opposto di appartenere; del fetish per il linguaggio, le sue politiche e i suoi numerosi attriti.

L’artista disegna con Anahit un solo per il proprio corpo, una costellazione, un formato ad appunti che oscilla tra parola, movimento e panorama sonoro.

Giorgia Ohanesian Nardin è artista, ricercatrice indipendente e agitatrice queer di discendenza Armena. La sua ricerca si compone di eventi pedagogici e performativi che focalizzano l’esperienza del piacere come forma di resistenza all’oppressione sistemica, mettendo in relazione un approccio transfemminista queer con lo studio di pratiche somatiche. Con un background in studi classici e un BA in arti performative presso la Northern School of Contemporary Dance, inizia a lavorare come autrice nel 2010 in collaborazione con Marco D’Agostin e Francesca Foscarini, assieme ai quali fonda l’Associazione VAN. Il suo primo solo, Dolly, che tratta le molteplici icone legate al corpo femminile, è vincitore di numerosi riconoscimenti e viene presentato in molti contesti italiani ed europei. È inoltre la prima artista italiana a diventare coreografa residente presso il K3 – Zentrum fur Choreographie Hamburg (Kampnagel) per l’anno 2015/16, all’interno del quale crea Season

Per lo spettacolo sarà possibile richiedere un dispositivo per l’ascolto dell’audiodescrizione poetica curata da Camilla Guarino e Giuseppe Comuniello, con la supervisione di Elia Covolan. Lo spettacolo è accessibile anche a persone cieche o ipovedenti e/o persone con disabilità motoria.

Biglietto 10 euro; ridotto: 8 euro (tesserati Kor Card, abbonati Teatro Alfieri, tesserati Biblioteca Giorgio Faletti, under 25, over 60); ridotto gruppi: 5 euro (gruppi da 10 persone)

Prevendite online su webtic.it e in biglietteria presso Spazio Kor, dal lunedì al venerdì con orario 10-12 e 15-18, e la sera dello spettacolo. Per prenotazioni e informazioni: info@spaziokor.it, 3278447473 (whatsapp), online su www.allive.it

Prima dello spettacolo, venerdì 1 marzo alle 18 da EO Arte, in via XX settembre 112, Asti, secondo appuntamento con i “Dialoghi in levare” curati da Viola Lo Moro.

L’incontro “Scrivere e parlare di musica” ha come protagonista Giulia Cavaliere: giornalista, critica musicale e autrice, collabora stabilmente con Domani, Rolling Stone ed Esquire. Ha tenuto corsi di scrittura musicale ed è una dei quattro board member della fondazione Italia Music Lab; è stata per alcuni anni collaboratrice fissa alla sezione spettacoli del Corriere della Sera, a Linus e a IL del Sole 24 Ore. Ha condotto The Weekly Twist per Radio Raheem e programmi a Radio Popolare e RSI. Per minimum fax ha pubblicato “Romantic Italia”, da cui sono nati il podcast e un programma televisivo Sky Arte omonimi, di cui è stata autrice e conduttrice. Per Chora Media ha lavorato a tre podcast di approfondimento culturale: “Noi siamo i giovani”, sulla storia dei giovani in Italia dal dopoguerra a oggi, “Certe Estati”, sull’estate italiana e “Paolo Conte. Il maestro è nell’anima”, dedicato al cantautore astigiano. Nel 2022 è stata eletta da Artribune “giornalista culturale dell’anno”.

Spiega Lo Moro: Parleremo insieme di musica, di come si può raccontarla attraverso le parole, lo storytelling dei podcast, gli articoli e i libri. Insieme guarderemo alla musica leggera, al cantautorato italiano, alle diverse composizioni delle parole e alla società intorno. Ci interrogheremo sull’industria musicale e su come e se ancora oggi le “minoranze” sono o no protagoniste e come vengono raccontate (donne, persone LGBTIQ+, persone con disabilità, persone non bianche)”.

Ingresso libero.

Maggiori dettagli su www.spaziokor.it

L’Armenia ha sospeso la sua partecipazione all’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (Agenzia Nova 23.02.24)

L’Armenia ha sospeso la sua partecipazione all’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (Csto). Lo ha reso noto il premier armeno, Nikol Pashinyan, in un’intervista al canale televisivo “France24”.

“A nostro avviso, il Trattato di sicurezza collettiva non è stato rispettato nei confronti dell’Armenia, in particolare negli anni 2021-2022, e non possiamo ignorare questo fatto. Abbiamo congelato la nostra partecipazione a questo trattato. Vediamo cosa succederà dopo”, ha detto il primo ministro. Pashinyan ha precisato che la base militare russa che si trova in Armenia non ha nulla a che fare con la Csto.

“Questo è un quadro giuridico-contrattuale completamente diverso, e non abbiamo avuto l’occasione di affrontare l’argomento”, ha aggiunto il premier armeno.

L’Armenia non ha avvisato il segretariato dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva in merito alla sospensione della sua partecipazione alla Csto. Lo ha riferito l’agenzia di stampa “Ria Novosti”, citando i rappresentanti della Csto. “Al segretariato finora non sono state presentate dichiarazioni di Erevan sulla sospensione dell’adesione alla Csto”, hanno detto a “Ria Novosti” le fonti dell’organizzazione. I rappresentanti del gruppo hanno sostenuto che la tesi sul congelamento della partecipazione riguarda la mancata presenza di Erevan in una serie di eventi che sono stati condotti di recente dall’organizzazione.


L’Armenia si chiama fuori dalla “Nato russa”. E critica Mosca (Formiche.net)

A Pieve di Cadore archeologia, arte, storia dell’Armenia (L’Amico del Popolo 23.02.24)

Domani, sabato 24 febbraio, alle ore 17.30, nel salone della Magnifica Comunità Cadorina di Pieve di Cadore, il Gruppo Archeologico Cadorino proporrà la conferenza dal titolo «L’Armenia attraverso i millenni: archeologia, arte, storia». L’evento è organizzato in collaborazione con la Magnifica Comunità di Cadore e con il patrocinio di Casa Armena Hay Dun Milano. L’ingresso è libero.

Relatore sarà il professor Aldo Ferrari, storico e docente di Lingua e Letteratura Armena all’Università Ca’ Foscari di Venezia; parteciperà anche Marina Mavian, presidente di Casa Armena Hay Dun Milano.

Il relatore proporrà un quadro introduttivo descrivendo tre millenni di storia e cultura dell’Armenia, a partire dal patrimonio archeologico più antico.

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Armenia, l’appello di Arslan: “Azerbaigian e Turchia non si fermeranno all’Artsakh” (Il Resto del Carlino 23.02.24)

La riscoperta delle proprie origini armene, nel pieno di una vita da “italiana al cento per cento” scandita dagli impegni familiari e dall’insegnamento di Letteratura all’università di Padova; la stesura di un romanzo, ’La masseria delle allodole’ che, nel 2004, le sconvolge in positivo la vita conquistando lettori, critica e premi letterari (tra cui il Campiello Selezione) e svela all’Italia e all’Europa il “genocidio dimenticato”, ossia quello armeno; l’impegno politico e culturale per salvare ciò che resta dell’Amenia dalle mire espansionistiche “neo ottomane” di Turchia e Azerbaigian, dopo le aggressioni al Nagorno-Karabakh (Artsakh per gli armeni), con la scia di morti e devastazione di questi trent’anni. E poi ancora la battaglia – pacifica e diplomatica – contro il negazionismo turco, gli incontri nelle scuole e nelle università di mezzo mondo, i problemi di salute (sul suo risveglio dal coma ha scritto un libro, edito da Rizzoli) e soprattutto un grande, incrollabile, inesauribile amore per la vita. Tutto questo è stato l’incontro dei giorni scorsi con la scrittrice padovana Antonia Arslan, cittadina onoraria della nostra città, organizzato dal Rotary Ferrara Est guidato da Paolo Govoni. Cultura, geopolitica, emozioni, rimandi storici, storie di vita, invito alla riflessione: tutto fuori dagli schemi del politicamente corretto ma dentro i binari di una cronaca di vita vissuta con impegno diretto e con la penna. “Prima della Masseria – ha raccontato Arslan, stimolata dalle domande di Cristiano Bendin, capo della redazione di Ferrara de il Resto del Carlino – mi ero dilettata in saggi sulla narrativa popolare e d’appendice e sulla galassia delle scrittrici italiane. Poi l’incontro con l’opera del grande poeta armeno Daniel Varujan, del quale ho tradotto due raccolte, e i ricordi di mio nonno Yerwant Arslanian, hanno dato voce alla mia identità armena”. Gustosi gli aneddoti sulla stesura del romanzo che l’ha consacrata scrittrice internazionale, dal primo manoscritto pressoché ignorato dall’agente letterario al successo inaspettato e travolgente fino all’incontro con i fratelli Taviani, maestri registi, che dalla Masseria trasero il loro bellissimo e doloroso film. Non è mancato uno sguardo all’attualità. Arslan, infatti, è impegnata in prima persona nella difesa dell’identità culturale armena: “Dopo l’invasione dell’Artsakh da parte dell’esercito di Baku – ha spiegato – l’obiettivo dell’Azerbaigian, supportato dalla Turchia, è quello di invadere tutta l’Armenia, un pezzo alla volta. Dal 2020 a oggi hanno già rosicchiato molti chilometri quadrati di terra armena. Ecco perché ora bisogna pensare velocemente a come difendere questo piccolo stato cristiano: ma l’Europa dov’è? Cosa sta facendo?”. Interessanti i collegamenti tra i tre conflitti attualmente in corso: Medio Oriente, Ucraina e, appunto, Caucaso, nel pieno di un rimescolamento delle carte tra potenze globali e regionali. In apertura, dopo i saluti del presidete del club Govoni, l’omaggio dell’assessore alla Cultura Marco Gulinelli a nome della città di Ferrara.