L’identità dell’Armenia ieri e oggi (Asianews 15.02.24)

ietro alle discussioni in corso a Erevan sull’opportunità di cambiare la costituzione, insieme al simbolo e all’inno nazionale, non c’è solo la questione del Nagorno Karabach. In gioco c’è soprattutto l’affermazione del “dovere di perseguire gli interessi di tutto il mondo armeno”, che rischia di guarda alla storia del passato più che agli interessi dei cittadini dell’Armenia di oggi. Il nodo delle relazioni con Mosca.

Erevan (AsiaNews) – Continuano in Armenia le discussioni sull’opportunità di cambiare la costituzione, insieme al simbolo e all’inno nazionale, dopo le proposte avanzate dal primo ministro Nikol Pašinyan. Il deputato del partito di maggioranza dell’Accordo Civile, Vaagn Aleksanyan, ha commentato in un’intervista a Ota le accuse dell’opposizione, secondo cui l’attuale dirigenza intende “stravolgere l’identità del popolo armeno”. A suo parere “in questo dibattito sono in gioco dimensioni molto profonde della nostra vita, che dobbiamo affrontare insieme, altrimenti non riusciremo ad andare avanti”.

Ci sono diversi elementi da chiarire, insiste Aleksanyan, sia nel testo della costituzione che negli stessi simbolismi inseriti nello stemma nazionale, con lo scudo tra l’aquila e il leone (la saggezza e l’orgoglio) che rappresenta il monte Ararat con l’arca di Noè sulla cima (la biblica montagna che oggi si trova in territorio turco) e il resto del territorio affonda tra le onde del sottostante lago Sevan. Il deputato osserva che “non è certo un’identità positiva quella di un popolo che vive sott’acqua in terra straniera”. I quadri ai lati del monte presentano con immagini di piante e animali i quattro regni della storia armena, i Bagratidi, gli Aršakidi, gli Artašesidi e i Rubenidi, dei quali l’attuale popolazione conosce ormai ben poco.

L’Armenia attuale è in effetti solo un resto periferico dell’antico regno, il primo Stato cristiano della storia, poi quasi completamente annientato dai turchi ottomani fino al genocidio di inizio ‘900, e salvatosi sostanzialmente grazie al sostegno dei russi sovietici. Aleksanyan è convinto che “dobbiamo comprendere la nostra identità di oggi, non è necessario né possibile farlo in pochi giorni, ma dobbiamo almeno iniziare a parlarne”. La perdita dell’Artsakh conquistato dagli azeri è uno dei fattori scatenanti di questa nuova presa di coscienza, insieme allo stesso conflitto tra Russia e Ucraina.

In questo senso è importante chiarire la proposta di eliminare dalla costituzione il rimando alla Dichiarazione di indipendenza, in cui si afferma in pratica che “la repubblica dell’Armenia come Stato ha il dovere di perseguire gli interessi di tutto il mondo armeno”, rendendo assai difficile definire quali siano gli interessi dei tanti armeni che vivono proprio in Russia e in Ucraina, per non parlare dei territori contesi con l’Azerbaigian. Il deputato è convinto che “la costituzione dell’Armenia deve riguardare gli interessi dei cittadini che vivono in Armenia”.

Uno degli aspetti più roventi del dibattito riguarda le pretese del presidente di Baku, Ilham Aliev, a cui si vorrebbe sottomettere il premier Pašinyan. Per Aleksanyan “è una strana affermazione, per cui prima Pašinyan dice di cambiare la costituzione, poi le opposizioni dicono che lo vuol fare per volere di Aliev, e solo alla fine Aliev dice: sì, voglio che cambiate la costituzione”. Non è chiaro infatti in che cosa consista il desiderio di Aliev, tranne i riferimenti al Nagorno Karabakh che non sono espliciti in nessuna parte del testo.

Secondo Pašinyan, l’Armenia deve diventare “un Paese concorrenziale e autonomo nelle nuove condizioni geopolitiche”, e anche il ministro degli esteri Ararat Mirzoyan ha definito “un’esagerazione” considerare il processo di regolazione dei rapporti armeno-azeri come l’unica causa della modifica alla legge fondamentale dello Stato. Oltre alle schermaglie retoriche con l’Azerbaigian, con cui le tensioni continuano a rimanere molto alte, con continui episodi di conflitti locali alle frontiere, la questione della “nuova identità” riguarda in modalità ancora più profonde il rapporto con la Russia.

Nella recente intervista di Pašinyan a The Telegraph, che pure sta alimentando discussioni e polemiche, il premier ha affermato che “le relazioni con Mosca non devono più essere di alleanza stabile, ma di semplice partenariato, come con gli Stati Uniti e con l’Unione Europea”. Una presa di posizione ben più radicale delle questioni locali, che recide in modo molto radicale i ponti con il passato antico e recente dell’Armenia.

L’Armenia accusa l’Azerbaigian,vogliono una guerra totale (Ansa e altri 15.02.24)

Il primo ministro armeno, Nikol Pachinian, ha accusato l’Azerbaigian di volere una “guerra totale” con l’Armenia, due giorni dopo nuovi scontri mortali al confine tra i due Paesi del Caucaso.

“Le nostre analisi mostrano che l’Azerbaigian vuole lanciare azioni militari in alcune aree del confine con la prospettiva di un’escalation militare che si trasformerebbe in una guerra totale contro l’Armenia”, ha dichiarato Pachinian durante una riunione di gabinetto.


L’Armenia accusa l’Azerbaigian: «Vuole una guerra totale» (Lettera43)

 

Crisi tra Armenia e Azerbaigian: rischio di una guerra totale (Ultima voce)

Nagorno, al via il ritorno degli azeri: occupare le case dei cristiani (Avvennire 15.02.24)

Dopo le nuove tensioni, con 4 soldati armeni uccisi sul confine, l’Azerbaigian avvia la campagna per ripopolare la regione da cui ha provocato l’esodo di 130mila civili della minoranza armena.
Scene della battaglia con cui il 19 settembre 2023 l'Azerbaigian ha riconquistato il Nagorno-Karabakh

Scene della battaglia con cui il 19 settembre 2023 l’Azerbaigian ha riconquistato il Nagorno-Karabakh – Immagine di repertorio

Il messaggio è arrivato il 7 febbraio. In vista della quinta elezione plebiscitaria, il presidente Aliyev e la moglie Mehriban Aliyev hanno votato a Khankendi (in armeno Stepanakert), principale città del Nagorno-Karabakh. Dalle urne Aliyev è uscito con il 92% di preferenze. E recandosi al voto nel riconquistato Nagorno, Aliyev avviava l’Operazione Ritorno: occupare le case degli armeni cristiani scacciati e consegnarle alle famiglie azere.

Due giorni fa l’Azerbaigian ha ucciso 4 soldati armeni dispiegati sul confine, come “atto di vendetta” per alcune raffiche sparate dall’esercito armeno, che non avevano provocato feriti. Dopo il pogrom di settembre contro la minoranza cristiana (oltre 200 i morti accertati ma l’Azerbaigian impedisce di compiere verifiche agli organismi internazionali) ora le mire di Baku vanno in due direzioni. Primo passo: il ripopolamento della regione. Secondo: l’apertura di un corridoio in territorio armeno che colleghi direttamente all’alleato forte, la Turchia di Erdogan.

Intanto sono partiti nuovi cantieri immobiliari, lavori per nuove autostrade e persino un aeroporto e la promessa di “villaggi smart”, ad alta attrazione tecnologica per giovani famiglie e nuove imprese. A Baku se ne parla come del «grande ritorno ai territori liberati dell’Azerbaigian», dopo la fuga di migliaia di azeri durante le guerre del 1988-1994. Il controesodo non c’è ancora stato, ma già si vedono le prime famiglie che prendono possesso di abitazioni appartenute alla comunità armena. Solo nel 2023 l’Azerbaigian ha stanziato 3,1 miliardi di dollari destinati al “reinsediamento” che ha la scopo di scoraggiare ogni speranza di un ritorno per la comunità cristiana.

Allo spostamento della popolazione azera verso ilNagorno, in perfetto stile sovietico, ne corrisponde uno inverso. Dallo scorso settembre, dopo la guerra lampo con cui Baku ha riconquistato il cuore della regione nel Caucaso Meridionale, 130mila persone di etnia armena, quasi l’intera popolazione di origine armena del Nagorno Karabakh, hanno lasciato l’enclave occupata dai separatisti sostenuti da Erevan nei primi anni Novanta. I pochi rimasti non hanno potuto neanche votare.

Che non vi sia più alcuna speranza per un reinsediamento degli armeni nella regione che a Erevan chiamano Artsakh, lo conferma anche lo stanziamento dell’Unione Europea per la loro definitiva sistemazione in Armenia. Da Bruxelles arriveranno altri 5,5 milioni di euro in aiuti umanitari.

Il negoziato di pace procede a strattoni. Baku chiede che le parti si incontrino «nella regione», rifiutando l’ipotesi di colloqui presso l’Unione Europea o negli Usa. Di recente i diplomatici dei due Paesi si sono scambiati alcune bozze. Dopo la lettura, l’Armenia ha accusato l’Azerbaijan di «regressione». Baku ha replicato sostenendo che Erevan vuole guadagnare tempo. Di certo l’Azerbaigian ha cambiato posizione sul ripristino di una via di collegamento ferroviario e stradale tra l’Azerbaijan e la sua exclave di Nakhchivan, incastrata tra Armenia e Turchia. Dopo la riconquista del Nagorno le autorità di Baku avevano annunciato che avrebbe usato il territorio dell’Iran per aprire un corridoio diretto con il Nakhchivan, ma il mese scorso ha nuovamente chiesto di poter attraversare l’Armenia, come inizialmente previsto.

Il timore di diversi funzionari armeni è che dopo la riconquista del Karabakh, l’Azerbaijan possa voler tracciare la strada ricorrendo alla forza. Abbastanza perché Josep Borrell, commissario Ue agli Esteri, mettesse in guardia per le «gravi conseguenze» di un’eventuale incursione militare.

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Armenia. Uccisi quattro soldati in un attacco dell’Azerbaigian (Avvenire e altri 13.02.24)

E’ salito a 4 il numero dei militari armeni uccisi da un attacco a distanza dell’esercito azero. Il Ministero della Difesa armeno aveva dichiarato, in un comunicato pubblicato su Telegram, che due suoi soldati erano stati uccisi dal fuoco azero e diversi altri feriti in una postazione di combattimento vicino al villaggio meridionale armeno di Nerkin Hand. Poche ore dopo si è appreso che il numero di morti è raddoppiato e altri soldati versano in gravi condizioni.

Il servizio di frontiera dell’Azerbaigian per suo conto ha confermato di aver messo in atto «un’operazione di vendetta», in rappresaglia a una «provocazione» delle forze armene, avvenuta il giorno precedente. Baku ha anche annunciato che ulteriori atti ostili verranno affrontati con misure più dure, sostenendo che «la leadership militare e politica dell’Armenia è pienamente responsabile dell’incidente». Secondo il Ministero della Difesa azero lunedì sera militari armeni hanno sparato contro le posizioni azere lungo un tratto nord-occidentale del confine, a circa 300 chilometri da Nerkin Hand. Ma il ministero della Difesa armeno ha negato che sia mai accaduto alcuno scontro.

Armenia e Azerbaigian sono in conflitto da oltre tre decenni per il Nagorno-Karabakh, riconquistato dall’Azerbaigian a settembre con un’offensiva lampo, provocando un rapido esodo dell’intera minoranza cristiana, circa 130mila persone, verso il territorio armeno. Negli ultimi mesi i colloqui di pace sono apparsi in una fase di stallo, con entrambe le parti che accusano l’altra di sabotare il processo diplomatico. Soprattutto da quando l’Azerbaigian ha dispiegato un maggior numero di uomini e mezzi in direzione del confine sud, che affaccia su uno stretto corridoio di 43 chilometri, in territorio armeno, la cui conquista creerebbe un passaggio diretto dall’Azerbaigian alla Turchia, grande alleato di Baku. La frontiera sud amena tuttavia si affaccia sull’Iran e Teheran ha più volte intimato a Turchia e Azerbaigian di non creare instabilità sul confine iraniano. Ma proprio la posizione di Teheran nel conflitto mediorientale e la sua pressione internazionale che ne riceve, potrebbe fare gola all’Azerbaigian per aprire un nuovo fronte e intaccando la sovranità armena senza tuttavia sconfinare in Iran, che secondo diversi analisti internazionali in questo momento non potrebbe opporre alcuna reazione se Baku con il favore della Turchia tentasse il blitz lasciando intatta la frontiera iraniana.

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Quattro soldati armeni sono stati uccisi dall’esercito azero al confine fra i due paesi (Il Post)

Armenia-Azerbaijan, 4 morti dopo scontri al confine (Indipendente)

Quattro armeni uccisi negli scontri al confine con l’Azerbaigian (Renovatio21)

 

Ue: nuovi aiuti umanitari agli armeni sfollati del Karabakh per 5,5 milioni. Forniti beni di prima necessità. Lenarcic, “nostro dovere intervenire” (Agensir 13.02.24)

La Commissione europea ha stanziato oggi ulteriori 5,5 milioni di euro in aiuti umanitari per sostenere gli armeni sfollati dalla regione del Nagorno-Karabakh. “Molte delle persone che sono fuggite in Armenia durante l’esodo di massa dell’anno scorso hanno portato con sé pochi o nessun avere, lasciandole dipendenti dagli aiuti di emergenza”, chiariscono dalla Commissione europea. “1,5 milioni di euro di questo finanziamento sono destinati alla preparazione alle catastrofi per migliorare la resilienza delle comunità vulnerabili a potenziali crisi. I restanti 4 milioni di euro di finanziamenti umanitari si concentrano principalmente sulla fornitura agli sfollati armeni del Karabakh di trasferimenti regolari di denaro e voucher per aiutarli a soddisfare i loro bisogni di base”. Attraverso i suoi partner umanitari, l’Ue “mira a sostenere le persone bisognose garantendo loro l’accesso al cibo, all’assistenza sanitaria, ai servizi di salute mentale e alla protezione”.
Sottolineando il sostegno umanitario dell’Ue agli armeni del Karabakh, il commissario per la gestione delle crisi, Janez Lenarčič, ha dichiarato: “questo è il primo inverno per migliaia di armeni del Karabakh fuggiti in Armenia lo scorso autunno. In questi tempi difficili, è nostro dovere umanitario fornire protezione e assistenza alle persone più bisognose. Con questo nuovo finanziamento miriamo a rafforzare ulteriormente la risposta umanitaria esistente dell’Ue agli sfollati in Armenia, fornendo loro l’accesso ai servizi di base”.
Questo finanziamento si aggiunge ai 12,2 milioni di euro già annunciati dalla Commissione europea in risposta all’esodo di massa degli armeni del Karabakh nel settembre 2023.

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Nagorno-Karabakh, dall’Ue 5,5 milioni per gli armeni sfollati (Redattoresociale)

Pieve, in Magnifica tre millenni di Armenia (Amicodelpopolo 13.02.24)

A Pieve di Cadore, nel alone della Magnifica Comunità Cadorina, sabato 24 febbraio alle 17.30 il Gruppo Archeologico Cadorino invita alla conferenza dal titolo «L’Armenia attraverso i millenni: archeologia, arte, storia». L’evento è organizzato in collaborazione con la Magnifica Comunità di Cadore e con il patrocinio di Casa Armena Hay Dun Milano. L’ingresso è libero.

Relatore sarà il professor Aldo Ferrari, storico e docente di Lingua e Letteratura Armena all’Università Ca’ Foscari di Venezia, parteciperà Marina Mavian presidente di Casa Armena Hay Dun Milano.

Il relatore proporrà un quadro introduttivo descrivendo tre millenni di storia e cultura dell’Armenia, a partire dal patrimonio archeologico più antico.

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Armenia dimenticata, il peso del gas azero sull’Europa (Cittanuova 13.02.24)

Quattro soldati armeni sono stati uccisi da un’azione dell’esercito azero sul confine tra i due Stati.  Silenzio imbarazzante in Europa dopo la pulizia etnica nel Nagorno Karabakh dove si stanno cancellando le tracce della presenza ultra millenaria della comunità cristiana armena

Nelle foto Ansa alcuni scatti che testimoniano l’esodo forzato di circa 100 mila armeni dalla regione contesa del Nagorno Karabakh avvenuto lo scorso settembre 2023 e l’arresto dei leader della comunità definita separatista da parte delle autorità armene.

Le ultime notizie delle riportano l’uccisione di 4 soldati armeni sul confine tra i due stati per un’operazione di vendetta dichiarata dallo stato maggiore azero.

Allo stesso tempo è da notare, come segnala il sito green.it, che il governo dell’Azerbaigian, pur preparandosi a ospitare la Cop29 sui cambiamenti climatici, non sta per nulla «nascondendo le sue mire in campo energetico. Al contrario: in dicembre il presidente Ilham Aliyev ha espresso il proprio desiderio di raddoppiare l’export di gas verso l’Europa già entro il 2027. Tra i clienti del gas azero ci sono inoltre anche Georgia e Turchia, con l’Azerbaigian che intende sfruttare a proprio favore il venir meno delle forniture russe in Unione Europea».

Come riporta Elisa Pinna su Terrasanta. net , «gli azeri hanno già cominciato a cancellare le tracce armene dai luoghi sacri, in quattro mesi hanno cambiato l’aspetto di una decina di chiese negli ultimi territori occupati», spiega l’archimandrita Tirayr Hakobyan, rappresentante presso la Santa Sede della Chiesa apostolica armena in Europa Occidentale. Il loro metodo – denuncia l’archimandrita – è cancellare ogni scritta, ogni simbolo che possa suggerire la presenza ultramillenaria armena. Talvolta sostituiscono le parole incise sulla pietra con scritte in lingua albana, appartenente all’ antico regno cristiano dell’Albania caucasica, scomparso del tutto nel VI secolo d.C. (niente a che vedere con l’Albania balcanica – ndr.). «In molte occasioni, dopo l’invasione e la conquista di gran parte del Nagorno Karabakh nel 2020, l’Azerbaigian ha usato metodi più brutali. Ha distrutto importanti chiese, compresa la cattedrale di Shushi, vandalizzato monasteri risalenti al IX secolo, polverizzato croci di pietra», riferisce l’archimandrita, in un incontro con alcune testate giornalistiche, tra cui Terrasanta.net.

Lo scorso 7 febbraio il presidente azero Ilham Aliyev, nella foto, si è assicurato un quinto mandato consecutivo con il 92% dei voti.

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Commissione europea: colpi armeni deplorevoli, ma la reazione da Baku è sproporzionata (Ansa 13.02.24)

“I colpi di arma da fuoco armeni contro i militari azeri sono stati deplorevoli, ma la risposta dell’Azerbaigian appare sproporzionata e ignora la dichiarazione del ministero della Difesa armeno secondo cui la questione era oggetto di indagine”. Lo ha detto l’Alto rappresentante Ue agli affari esteri, Josep Borrell, durante una conferenza stampa a Bruxelles assieme al ministro degli Esteri armeno Ararat Mirzoyan.

“L’Armenia ha la volontà politica di tornare al tavolo dei negoziati a Bruxelles, speriamo che ciò accada presto”, ha aggiunto Mirzoyan. “Il Consiglio europeo ha chiesto a me e alla Commissione di rinforzare le nostre relazioni con l’Armenia e in questo contesto abbiamo deciso di lanciare una nuova, e rinforzata, agenda per la partnership tra Unione europea e Armenia. Riguardo ai nuovi punti in agenda è stata affrontata la questione della liberalizzazione dei visti, e abbiamo preso nota dell’interesse armeno nell’andare avanti”, ha spiegato Borrell.

“L’Armenia ritiene che tutti i requisiti necessari siano stati soddisfatti ed è giunto il momento di avviare la liberalizzazione dei visti tra noi e l’Unione”, ha aggiunto il ministro armeno.

Una nuova agenda di partenariato Armenia-Ue nel giorno del grave incidente con l’Azerbaigian (Eunews 13.02.4)

Bruxelles – È scomparsa da mesi dalle cronache dei quotidiani europei, ma la crisi tra Armenia e Azerbaigian non si è mai risolta dopo l’azione militare improvvisa e durissima dell’esercito azero nella regione del Nagorno-Karabakh condotta in un solo giorno tra il 19 e il 20 settembre 2023. Questa mattina (13 febbraio) quattro soldati armeni sono stati uccisi in uno scontro a fuoco con le forze di Baku lungo il confine, a seguito degli spari di ieri (12 febbraio) dalla parte armena denunciati dall’Azerbaigian ma non confermati da Yerevan. Si rischia, ancora una volta, un’escalation di tensione che non favorisce la stabilizzazione del Caucaso meridionale e nemmeno gli sforzi incessanti dell’Unione Europea di spingere il processo di pace tra due Paesi in guerra – combattuta o congelata – da oltre 20 anni.

Ue Armenia Borrell
Da sinistra: il ministro degli Esteri dell’Armenia, Ararat Mirzoyan, e l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (13 febbraio 2024)

“Abbiamo discusso della situazione regionale e del processo di normalizzazione tra Armenia e Azerbaigian, compresi gli ultimi incidenti di confine”, ha reso noto l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, in conferenza stampa con il ministro degli Esteri armeno, Ararat Mirzoyan, al termine della quinta riunione del Consiglio di partenariato Ue-Armenia: “Gli spari sui soldati azeri sono deplorevoli, ma la risposta sembra essere sproporzionata“. Mentre da parte di Yerevan sono state confermate “investigazioni” su quanto accaduto ieri, a Bruxelles non viene meno l’impegno “pieno” dell’Unione per una pace “sostenibile e duratura, basata sulla sovranità, sull’inviolabilità dei confini e sull’integrità territoriale”, ha ribadito con forza Borrell. A seguito della “pulizia etnica” nell’ex-enclave armena in Azerbaigian – come l’ha ricordata il ministro Mirzoyan, secondo la linea condivisa dal Parlamento Ue – l’Unione ha non solo rafforzato la missione Ue in Armenia, ma ha anche stanziato proprio oggi “5,5 milioni di euro aggiuntivi in aiuti umanitari” per supportare gli sfollati dal Nagorno-Karabakh, “che si aggiungono ai 12,2 milioni già forniti a settembre“.

Armenia Azerbaigian Nagorno-Karabakh
(credits: Alain Jocard / Afp)

L’incidente di questa mattina – che Baku definisce esplicitamente una “operazione di vendetta” – nella regione meridionale di Syunik è il più grave da quando l’Azerbaigian ha ripreso il Nagorno-Karabakh, provocando l’esodo della popolazione di etnia armena verso Yerevan (oltre 100 mila profughi riversatisi in un Paese di 2,8 milioni di abitanti). Da mesi non hanno fatto progressi i contatti tra Bruxelles, Yerevan e Baku per arrivare a quell’accordo di pace generale che il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, dall’Aula di Strasburgo aveva prospettato per fine 2023 se solo il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, avesse deciso di non ostacolare più il processo come fatto al terzo vertice della Comunità Politica Europea del 5 ottobre scorso in Spagna (quando ha disertato il quintetto con il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, e il presidente francese, Emmanuel Macron).

Di fronte a queste difficoltà proseguono però i lavori per un avvicinamento all’Ue da parte dell’Armenia, rimasta politicamente e diplomaticamente scottata dal “tradimento” dello storico alleato russo nelle vicende belliche autunnali in Nagorno-Karabakh (dove le truppe di peacekeeping di Mosca non hanno preso alcuna iniziativa contro l’esercito azero). “Sappiamo che c’è spazio per sviluppare il potenziale di questo accordo, dopo che da ottobre avete deciso di lavorare per avvicinarvi all’Unione”, ha sottolineato Borrell, spiegando che “abbiamo esplorato le modalità per rafforzare i rapporti”. In particolare “abbiamo deciso di lanciare i lavori su una nuova agenda ambiziosa per il partenariato“, che “manda un messaggio forte e fornisce una tabella di marcia all’intera regione”, tra cui anche la possibilità della liberalizzazione dei visti Schengen per i cittadini armeni: “Da parte vostra c’è forte interesse, vi incoraggio a rafforzare le riforme per fare progressi in questa direzione”, è l’esortazione dell’alto rappresentante Ue.

Il conflitto tra Armenia e Azerbaigian

Nagorno Karabakh Armenia AzerbaijanTra Armenia e Azerbaigian è dal 1992 che va avanti una guerra congelata, con scoppi di violenze armate ricorrenti incentrate nella regione separatista del Nagorno-Karabakh. Il più grave degli ultimi anni è stato quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh. Dopo un anno e mezzo la situazione è tornata a scaldarsi a causa di alcune sparatorie alla frontiera a fine maggio 2022, proseguite parallelamente ai colloqui di alto livello stimolati dal presidente del Consiglio Ue, fino alla ripresa delle ostilità tra Armenia e Azerbaigian a settembre, con reciproche accuse di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra.

La mancanza di un monitoraggio diretto della situazione sul campo da parte della Russia – che fino allo scoppio della guerra in Ucraina era il principale mediatore internazionale – ha portato alla decisione di implementare una missione Ue, con 40 esperti dispiegati lungo il lato armeno del confine fino al 19 dicembre 2022. Una settimana prima della fine della missione l’Azerbaigian ha però bloccato in modo informale – attraverso la presenza di pseudo-attivisti ambientalisti armati – il corridoio di Lachin, mettendo in atto forti limitazioni del transito di beni essenziali come cibo e farmaci, gas e acqua potabile. Il 23 gennaio 2023 è arrivata la decisione del Consiglio dell’Ue di istituire la missione civile dell’Unione Europea in Armenia (Euma) nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, ma la tensione è tornata a crescere il 23 aprile dopo la decisione di Baku di formalizzare la chiusura del collegamento strategico attraverso un posto di blocco. Da Bruxelles è arrivata la condanna dell’alto rappresentate Ue Borrell, prima della ripresa delle discussioni a maggio e un nuovo round di negoziati di alto livello il 15 luglio tra Michel, il primo ministro armeno Pashinyan e il presidente azero Aliyev.

Nagorno-Karabakh Azerbaijan e Armenia
Esplosioni in Nagorno-Karabakh

L’alternarsi di sforzi diplomatici e tensioni sul campo ha messo in pericolo anche gli osservatori Ue presenti dal 20 febbraio 2023 in Armenia per contribuire alla stabilità nelle zone di confine. Il 15 agosto una pattuglia della missione Euma è rimasta coinvolta in una sparatoria dai contorni non meglio definiti (entrambe le parti, armena e azera, si sono accusate a vicenda), senza nessun ferito. Solo un mese più tardi è sembrato che la situazione potesse pian piano stabilizzarsi, con il passaggio del primo convoglio con aiuti internazionali il 12 settembre attraverso la rotta Ağdam-Askeran e poi lo sblocco del corridoio di Lachin il 18 settembre dopo quasi nove mesi di crisi umanitaria. Neanche 24 ore dopo sono però iniziati i bombardamenti azeri contro l’enclave separatista che – per la sproporzione di forze in campo – ha determinato il cessate il fuoco e la resa fulminea dei militari di Stepanakert, con la presa totale del controllo da parte dei soldati di Baku.

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Baku, un’autocrazia con cui dover fare i conti (Insideover 13.02.24)

Altri sette anni di mandato, altra elezione arrivata in modo sostanzialmente plebiscitario e a poco più di vent’anni dalla prima, ottenuta nel 2003 subito dopo la morte del padre. Ilham Aliyev si è di nuovo confermato presidente dell’Azerbaijan. O, per meglio dire, vero e al momento unico uomo forte del Paese caucasico.

“C’erano pochi dubbi sulla sua vittoria – ha dichiarato a InsideOver il ricercatore Francesco Trupia  gli altri candidati in realtà non hanno mai avuto la possibilità di insidiare Aliyev”. Figlio di Heydar Aliyev, al timone del Paese nel primo decennio di indipendenza, Ilham si è presentato davanti ai suoi concittadini quale unico attore in grado di garantire una certa stabilità economica e politica. Ma Aliyev, davanti agli occhi degli elettori, ha soprattutto voluto sfoggiare la vittoria militare nella guerra contro l’Artsakh per il recupero del Nagorno Karabakh.

Una vittoria che peraltro non sta contribuendo a smorzare la tensione nell’area. In questo martedì mattina, almeno quattro soldati armeni sono morti in uno scontro con azeri lungo il confine meridionale tra i due Paesi. Segno di una situazione ancora molto grave.

La vittoria di Aliyev

Le stesse elezioni sono state convocate con più di un anno di anticipo per permettere, almeno secondo quanto dichiarato dall’uscente e rientrante presidente azero, di votare per la prima volta anche all’interno del Nagorno. Chiaro quindi come il conflitto abbia inevitabilmente rappresentato l’elemento cardine del voto svolto nei giorni scorsi.

Francesco Trupia è un ricercatore dell’università Niccolò Copernico di Torun, in Polonia, e ha studiato molto da vicino le dinamiche politiche e sociali del Caucaso“Posso dirle – è il suo aneddoto raccontato su InsideOver – che a Baku e nelle altre città hanno festeggiato la vittoria militare nel Nagorno al pari di come dalle nostre parti si festeggia una vittoria ai mondiali”. Segno di come la questione, all’interno della popolazione azera, fosse sentita.

“La sconfitta maturata a opera degli armeni nel 1994 – ha proseguito Trupia – ha rappresentato non solo un trauma ma anche un colpo molto duro all’orgoglio nazionale. Per anni nel Paese si è immaginato il momento in cui l’intero Nagorno sarebbe tornato in mani azere”. Ma non è solo per questo che l’esito del voto appariva, già alla vigilia, così scontato.

Aliyev senza dubbio ad oggi viene considerato come il vero padre della vittoria, il condottiero che ha reso possibile il recupero di una regione persa nei primi anni di vita del Paese. Il suo potere è però fuori discussione per altri motivi. Lo dimostra il risultato finale: all’uomo forte di Baku è andato il 92% dei consensi, lo sfidante più “vicino”, ossia l’indipendente Zahid Oruj, si è fermato al 2%.

Tutto quindi ruota attorno al presidente e ai suoi più stretti collaboratori. Una situazione certificata anche dall’Ocse, i cui delegati hanno seguito da vicino le fasi del voto e quelle della campagna elettorale: “Le elezioni presidenziali anticipate si sono svolte in un ambiente restrittivo – si legge in una nota dell’Ocse – e, sebbene siano state preparate in modo efficiente, le voci critiche e le alternative politiche erano in gran parte assenti. Purtroppo, le precedenti raccomandazioni volte ad allineare il quadro giuridico agli standard internazionali per le elezioni democratiche sono rimaste irrisolte e continuano ad esistere numerose restrizioni nella legge e nella pratica”.

Secondo Francesco Trupia, il controllo di Aliyev sulla vita politica dell’Azerbaijan è pieno e strutturale“Per gli azeri – ha sottolineato il ricercatore – il presidente viene visto come garante della stabilità politica ed economica del Paese. La vittoria nel Nagorno ne ha poi aumentato la credibilità agli occhi della popolazione, contribuendo a solidificare il suo potere”.

Il voto nel Nagorno – Karabakh

La riconquista della regione contesa per anni con gli armeni è stata centrale anche durante le ore del voto: “Il Nagorno per adesso è disabitato, a partire da gennaio per effetto degli ultimi accordi tra le parti è stata sciolta la Repubblica di Artsakh e gli armeni sono andati via – ha spiegato Francesco Trupia – nelle città della regione si trovano soltanto militari, almeno per il momento”.

Ma per Aliyev era comunque importante aprire i seggi anche da queste parti. Quei pochi soldati arrivati per prendere in mano il Nagorno, hanno presidiato scuole ed edifici dove è stata innalzata la bandiera azera e dove sono state piazzate le urne elettorali: “Lo stesso Aliyev – ha poi aggiunto Trupia – si è recato a votare in un seggio della periferia di Stepanakert, assieme alla moglie e alla famiglia”. Un gesto simbolico, prima ancora che elettorale. Un modo per il governo di Baku di celebrare la vittoria, tanto a livello interno quanto a livello internazionale.

L’interesse nel vedere stabilità a Baku

La presa di Aliyev sul Paese non sembra quindi avere ostacoli. Non ci sono all’orizzonte vere alternative politiche al suo potere, la stabilità e la vittoria militare hanno poi contribuito a rafforzarne il ruolo di leader. Le critiche dell’Ocse e le osservazioni giunte da diverse organizzazioni internazionali appaiono, almeno per il momento, riposte in secondo piano.

Anche perché è proprio la comunità internazionale al momento a vedere di buon occhio la stabilità garantita da Aliyev a Baku: “La stabilità di Aliyev – ha chiarito Trupia – anzi viene proprio data dalla comunità internazionale. Quando ad esempio la Von Der Leyen va a Baku e firma documenti su un partenariato tra Ue ed Azerbaijan, sostanzialmente prepara l’Europa ad avere rapporti con il Paese caucasico almeno per i prossimi venti anni”.

Il riferimento è al partenariato strategico siglato tra Bruxelles e Baku che riguarda soprattutto i temi legati all’energia. Davanti Baku, tra i fondali del Mar Caspio, ci sono giacimenti di gas essenziali per il Vecchio Continente per sopperire alla mancanza delle materie prime provenienti dalla Russia. È proprio il gas la carta vincente di Aliyev: in una fase come quella attuale, le materie prime azere sono molto importanti e, conseguentemente, tra le varie cancellerie internazionali prevale la volontà di vedere a Baku una situazione politica stabile e positiva in vista di nuovi accordi.

Una circostanza che riguarda anche l’Italia, i cui rapporti con l’Azerbaijan sono in crescita. Dal Mar Caspio arriva circa il 15% del fabbisogno di gas per il nostro Paese, con Baku al secondo posto dietro l’Algeria tra i fornitori della penisola. Emblema degli stretti rapporti con il Paese caucasico è il Tap, il gasdotto che transita sotto l’Adriatico e si allaccia alla linea italiana in Puglia.

“Aliyev rappresenta uno di quei tanti autocrati – è il pensiero di Francesco Trupia – con cui l’Italia e l’Europa di oggi devono tenere rapporti e con cui fanno affari. Un paradosso, pensandoci bene: l’Ue nasce anche per difendere determinati valori, ma appare fondamentale dover avere stretti rapporti anche con sistemi autocratici, come nel caso azero”.

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