L’Armenian national philharmonic orchestra a Siena per due straordinari concerti (Sienanews 18.10.21)

L’Orchestra nazionale filarmonica armena in tour in Italia, sceglie di fare tappa a Siena per due concerti sinfonici martedì 19 ottobre e mercoledì 20 ottobre alle 21 al Teatro dei Rinnovati. Il Comune di Siena e l’Accademia Chigiana in collaborazione con il Centro Studi e Documentazione della Cultura Armena hanno il piacere e l’onore di ospitare in città la longeva e pluripremiata ANPO – Armenian Philharmonic National Orchestra, dal 2000 sotto la direzione di Eduard Topchjan, rinomato direttore d’orchestra, conosciuto in Europa e in Italia per il suo impegno nell’attività artistica e insignito nel 2013 del titolo onorifico di Cavaliere e dell’Onore al Merito del Lavoro dall’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

L’Orchestra Nazionale Filarmonica Armena, istituita nel 1925 è sin dall’inizio impegnata in importanti tournées nazionali e internazionali, ricoprendo il ruolo di ambasciatrice della musica armena nei cinque continenti. Negli anni ha collaborato con artisti e direttori d’orchestra tra i più rilevanti del nostro tempo e ha saputo diventare efficace mezzo di diffusione della cultura e della musica armena in Europa e nel mondo.

I programmi musicali proposti nei due imperdibili concerti di martedì e mercoledì mettono in luce la versatilità della compagine orchestrale e del suo direttore in due programmi assai differenti: repertorio lirico – operistico il primo e principalmente sinfonico il secondo, con giovani solisti emergenti della scena armena e internazionale.

Protagonisti della prima serata dedicata a celebri “Sinfonie e arie d’opera” sono il soprano Juliana Grigoryan e il tenore Tigran Hakobyan, due tra le migliori voci del Teatro lirico della capitale armena. Accanto alle arie tratte dalla Rusalka di Antonín Dvořák, l’Elisir d’amore di Gaetano Donizetti, la struggente scena della Lettera di Tat’jana dell’Evgenij Onegin di Čajkovskij e il duetto da La Vedova allegra di Franz Lehar, l’orchestra eseguirà la sinfonia d’introduzione all’opera di Giuseppe Verdi La forza del destino, l’Intermezzo di Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni e la Polonaise tratta dall’opera di Pëtr Il’íč Čajkovskij dedicata al romanzo in versi di Aleksandr S. Puškin.

Nella seconda serata al Teatro dei Rinnovati di Siena l’Armenian Philharmonic National Orchestra propone un “Omaggio a Ludwig van Beethoven”, introducendo la serata con la Seconda Sinfonia in re maggiore del compositore tedesco e concludendo con il Concerto per pianoforte e orchestra n. 3 in do minore, eseguito al pianoforte da Maya Oganyan giovanissima interprete di grande talento, allieva dei corsi estivi di perfezionamento dell’Accademia Chigiana. Un richiamo alla musica contemporanea armena è dato dalla composizione per orchestra d’archi Poema-Epitaffio di Edvard Myrzoyan, autore armeno scomparso nel 2012, con un brano di grande suggestione dedicato alla memoria dell’amico e sodale Aram Chachaturyan.

Per ascoltare l’Armenian National Philharmonic Orchestra diretta da Eduard Topchjan: martedì 19 ottobre alle 21 al Teatro dei Rinnovati “Sinfonie e arie d’opera” e mercoledì 20 ottobre alla stessa ora sempre presso il Teatro dei Rinnovati di Siena “Omaggio a Beethoven”. I concerti sono realizzati con il supporto di Scudieri International e dell’ACN Siena 1904.

I concerti hanno due tipi di biglietti per tutti i settori: intero: 10 euro; ridotto: 5euro (riservato agli studenti, ai giovani sotto i 26 anni e a chi abbia compiuto 65 anni). È possibile acquistare i biglietti online sul sito www.chigiana.org a partire da lunedì 18 ottobre fino alle ore 12 del giorno dello spettacolo o telefonando al n. 333 9385543 dalle ore 9.30 alle ore 12.30. In alternativa presso il Teatro dei Rinnovati a partire da due ore prima dell’inizio dello spettacolo.

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Armenia-Russia: la politica delle Chiese (Settimananews 18.10.21)

L’Armenia ha necessità di contenere gli effetti gravi della guerra e la Russia di garantire la sua area di influenza. L’incontro dei massimi responsabili delle religioni dei paesi interessati (oltre a quelli indicati, anche l’Azerbaigian) a Mosca, il 13 ottobre, mostra l’azione coordinata delle rispettive Chiese e religioni rispetto alla politica e il loro apporto creativo.

Karekin II, Catholicos della Chiesa armena, Allahshukur Pashazadech, gran Mufti dei musulmani del Caucaso (con sede in Azerbaigian) e Cirillo, patriarca di Mosca, hanno rinnovato un dialogo, avviato nel 1988 e ripreso nel 1993, nel 2010, nel 2011 e nel 2017.

L’incontro

Nel saluto introduttivo Cirillo ha sottolineato: «Siamo chiamati a dare una risposta comune e inequivocabile ai tentativi di collegare la religione con la guerra. Le guerre di religione sono una pagina terribile e peccaminosa nella storia religiosa dell’umanità. In questo secolo dobbiamo fare di tutto perché i concetti di religione e guerra non si giustifichino reciprocamente».

Nella dichiarazione finale lo stesso patriarca indica i temi essenziali del confronto. «Oggi è particolarmente importante ripristinare la fiducia reciproca delle persone, imparare di nuovo a guardare al prossimo con rispetto e disponibilità all’aiuto reciproco. La chiave di volta di tale appello è il rispetto per gli edifici religiosi, i monumenti storici e i cimiteri, il rispetto per i sentimenti religiosi delle persone di fede diversa, il dovere di custodire la memoria dei defunti. I leader religiosi sono chiamati a spendere la loro autorità per creare e custodire il buon vicinato fra religioni e popoli. Vi esortiamo a chiarire il destino dei dispersi, a facilitare il rilascio dei prigionieri di guerra, a prevenire l’uso non autorizzato di armi che minacciano la vita dei civili. In futuro è necessario sforzarsi con tutti i mezzi per evitare il linguaggio dell’odio e per astenersi dagli appelli all’azione militare nella zona del conflitto».

Equilibri e mediazioni

Nel 2020 si è riacceso il conflitto fra Armenia e Azerbaigian per il territorio conteso del Nagorno-Karabakh, enclave armena dentro i confini dell’Azerbaigian. La vittoria militare del paese islamico, favorita dalla armi fornite dalla Turchia, ha lasciato dietro di sé 6.000 morti e 100.000 sfollati che chiedono di tornare nei loro territori.

All’attivismo del Catholicos si salda il rinnovato dialogo del governo con la Russia, punto di mediazione dell’area. All’inizio di ottobre, mentre il primo ministro armeno, Nikol Pašinyan era a Mosca per parlare con Putin circa l’attuazione degli accordi di pace, il presidente dell’Armenia, Armen Sarkisyan, era a Roma per chiedere a papa Francesco di favorire il processo di pacificazione e per aprire formalmente una nunziatura nel paese.

Pochi giorni dopo Pašinyan arrivava in Georgia per una mediazione con la Turchia e garantire un corridoio di comunicazione (sotto la responsabilità dell’ONU) fra il Nagorno-Karabakh e l’Armenia (cf. Asianews, 13 ottobre).

Il ruolo di Mosca

L’incontro a Mosca dei leader religiosi conferma il riconoscimento del ruolo del dipartimento patriarcale dei rapporti con l’estero, presieduto da Hilarion Alfaev e della complicata partita per rafforzare il riferimento della Chiesa ortodossa russa come garanzia dell’egemonia culturale (il pensiero russo) su tutta l’area ex sovietica e, dall’altro, il conflitto sempre più acceso dentro i confini dell’Ortodossia con Costantinopoli.

Espressione dell’egemonia sono l’ottenimento di una diocesi russa in Armenia e il discorso di Cirillo ai rappresentanti dei russi all’estero. Parlando il 15 ottobre al Congresso mondiale dei russi all’estero, il patriarca Cirillo ha rivendicato le ragioni del potere russo sia nei confronti della verità storica (non accettare che la Russia possa avere responsabilità nella guerra mondiale in ragione del patto con la Germania nazista), sia nell’attuale tensione con l’Ucraina.

I caratteri del popolo russo (fede, valori evangelici, forza di volontà, perseveranza, ospitalità, grandezza d’animo ecc.) giustificano anche una parziale correzione della prima lettera di Paolo a Timoteo, in cui il versetto 5,8 («Se uno non si cura dei suoi cari» ) diventa per il patriarca: «Se uno non si cura del suo popolo». È necessario garantire la sicurezza dei russi all’estero e la possibilità del loro ritorno in patria (c’è un fenomeno migratorio dalle ex Repubbliche sovietiche asiatiche).

«Nell’era della globalizzazione, dobbiamo concentrarci sulla nostra identità, non vergognarci della nostra “differenza”, percorrere il nostro percorso storico e preservare i nostri valori ovunque ci troviamo».

La difesa dell’uso della lingua russa va preservata in tutti i paesi ex sovietici. Preoccupazione molto viva in particolare nel Kirghizistan.

Lo scisma ortodosso

Sullo scisma intra-ortodosso va segnalata la decisione di posticipare il previsto consiglio dei vescovi russi dal 15-18 novembre al 26-29 maggio 2022. P. Anderson interpreta la scelta, oltre che per l’esigenza pandemica, anche per andare incontro alle richieste della Chiesa di Antiochia di non compiere gesti troppo rapidi e radicali verso Costantinopoli.

Nella riunione era prevista la discussione sulla condanna di Bartolomeo. Nella stessa riunione si prevedeva anche il riconoscimento formale delle reliquie di Nicola II e della famiglia imperiale, previo alla proclamazione della santità della famiglia, trucidata dai bolscevichi nel 1917.

Sono usciti nel frattempo un paio di volumi del Comitato d’inchiesta statale sul riconoscimenti dei resti. Il risultato positivo viene considerato dalla Chiesa come subalterno e legittimabile solo con l’assenso ecclesiale.

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Diplomazia pontificia, un protocollo di intesa Armenia – Santa Sede (AciStampa 16.10.21)

La visita del presidente armeno Sarkissian si è conclusa con la firma di un protocollo di intesa tra Armenia e Santa Sede che coinvolgerà una serie di aspetti culturali. Parlando con un gruppo di giornalisti, il presidente ha sottolineato i buoni rapporti con la Santa Sede, dicendo però che i rapporti sarebbero ulteriormente migliorabili.

Si ricomincia a sentire profumo di viaggi per Papa Francesco. Mentre in Vaticano, una conferenza si occupa di come guarire l’Europa.

                                                FOCUS ARMENIA

L’Armenia firma un protocollo di intesa con la Santa Sede

Il presidente armeno Armen Sarkissian ha firmato, nel corso della sua visita in Vaticano l’11 ottobre, un protocollo di intesa con il Pontificio Consiglio della Cultura. Il protocollo punta a salvare il patrimonio cristiano armeno, specialmente in quelle regioni dove è più a rischio, come il Nagorno Karabakh (in armeno, Artsakh), dove un accordo doloroso ha posto fine lo scorso anno al conflitto azero-armeno mettendo parte del patrimonio storico cristiano a rischio, con monasteri isolati all’interno di nuovi confini.

Come ogni conflitto, ci sono due punti di vista su chi abbia iniziato le ostilità. Quello che però colpisce è la progressiva perdita di patrimonio cristiano nella regione nel corso degli anni, tanto che alcuni hanno parlato di genocidio culturale, e l’ombusman Tatoyan, in viaggio la scorsa settimana con il Catholicos armeno Karekin II, non ha esitato a denunciare una generale “armenofobia” in un rapporto presentato al Tribunale Internazionale dell’Aja.

L’accordo con la Santa Sede è parte di uno sforzo diplomatico importante. La Santa Sede non ha mai fatto mancare l’appoggio all’Armenia. Quando scoppiò il conflitto c’era, per una ironia della sorte, il Catholicos Karekin II in visita da Papa Francesco, e il Papa fu pronto a fare un primo appello all’Angelus subito dopo l’incontro. Per il presidente Sarkissian, i rapporti tra Armenia e Santa Sede sono “buoni, ma potrebbero essere migliori”.

E per migliori intende proprio un comune impegno culturale, con magari scambi tra opere d’arte dei Musei vaticani e quelle armene, dove c’è anche uno straordinario Museo del Libro, il Matenadaran, che sta proprio a significare l’importanza della scrittura per il popolo armeno.

Parlando con un piccolo gruppo di giornalisti il 12 ottobre, il presidente Sarkissian, che fu il primo ambasciatore di Armenia presso la Santa Sede, ha notato come Armenia e Vaticano si assomiglino, essendo “piccoli Stati con una grande nazione”. La nazione dell’Armenia, la prima a proclamarsi cristiana nel mondo, è data dalla incredibile diaspora sparsa ovunque nel mondo, alimentata anche dal genocidio (non riconosciuto comunque come tale da tutte le nazioni, a partire dalla Turchia) del 1915 che è ancora una ferita aperta per il popolo armeno.

La nazione del Vaticano è invece quelle dei cattolici in tutto il mondo. E il presidente armeno, fisico di formazione e coniatore del concetto di “politica quantica”, pensa proprio in termini di cooperazione tra Stati piccoli, messi ai margini della storia.

Sono temi che il presidente ha sviluppato nel suo incontro con Papa Francesco prima e con il Cardinale Piero Parolin e l’arcivescovo Paul Richard Gallagher dopo. Il conflitto in Nagorno Karabakh, e in particolare la perdita del patrimonio cristiano, allarmano gli armeni.

Così come c’è allarmismo sui soldati armeni prigionieri di guerra nelle carceri azere. “Non abbiamo nemmeno i numeri di quanti sono realmente imprigionati, non possiamo nemmeno vedere i volti dei prigionieri, denuncia il presidente. Non vuole entrare nei dettagli della conversazione con il Papa, che ovviamente resta riservata, ma sottolinea che la Santa Sede, e in particolare Papa Francesco, ha un soft power che non va sottovalutato, e che può in qualche modo indirizzare anche il modello diplomatico.

Il protocollo di intesa siglato con il pontificio consiglio della Cultura – nota il presidente .- “consentirà di svolgere ricerche congiunte su questioni di interesse storico. Ci auguriamo che contribuisca ad intensificare ulteriormente la cooperazione tra l’Armenia e la Santa Sede in materia di cultura, scienza, archeologia e altri settori, nonché la partnership tra la Chiesa apostolica armena e la Chiesa cattolica di Roma”.

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Assegnato il Premio Nobel per l’ Umanità a Venezia Per la prima volta al di fuori dell’ Armenia (Panorama.it 16.10.21)

Assegnato il Premio Nobel per l’Umanità a Venezia. Per la prima volta al di fuori dell’Armenia (Di sabato 16 ottobre 2021) L’Umanità si sta svegliando e chi contribuisce a questo risveglio viene premiato con 1 milione di dollari da spendere per la causa difesa. È successo a Venezia, in un soleggiato fine settimana autunnale, grazie all’Aurora Prize for Awakening Humanity. L’Aurora Prize, riconosciuto come il Premio Nobel per l’Umanità, viene Assegnato ogni anno a partire dal 2015 a chi aiuta e assiste le persone in difficoltà mettendo a repentaglio la propria vita. È stato istituito in memoria dei sopravvissuti del Genocidio Armeno da tre fondatori armeni: l’ingegnere Noubar Afeyan (presidente e co-fondatore della società del vaccino Moderna), l’imprenditore e filantropo Ruben Vardanyan e lo storico Vartan Gregorian. La cerimonia della premiazione, quest’anno intitolata …

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Turchia, quello sforzo ecumenico delle chiese cristiane che sono in minoranza (AciStampa 14.10.21)

Era stato eletto patriarca armeno di Costantinopoli nel 2019, ma solo quest’anno, dopo uno stop forzato dovuto alle restrizioni della pandemia, Sahak II Mashalyan è potuto venire a Roma e ha potuto incontrare Papa Francesco. Un incontro “di cortesia”, ha raccontato ad ACI Stampa lo stesso patriarca. Il quale ha portato con sé a Roma una ventata di impegno ecumenico, e soprattutto un piccolo libro in inglese, Christianity (Cristianesimo).

È un libro che ha la sua importanza nel cammino dell’ecumenismo, perché racconta anche di un lavoro costante fatto ad Istanbul da tutte le vecchie confessioni cristiane. “Costantinopoli – spiega Sahak II ad ACI Stampa – ha tutto il suo peso storico, con le divisioni tra cristiani, gli scismi. Eppure qui abbiamo una commissione congiunta delle Chiese Cattoliche, Ortodosse e Protestanti, e con questa commissione abbiamo pubblicato in turco e poi tradotto in inglese questo libro in cui si affrontano i temi fondamentali della nostra fede. È un libro che racconta di un programma comune”.

Nel piccolo libro vengono affrontati tutti i temi teologici in comune tra le confessioni cristiane, secondo la logica del guardare prima quello che unisce piuttosto che quello che si divide.

Si va, allora, dall’esistenza e unicità di un Dio al tema della seconda venuta di Gesù Cristo, passando per l’attività dello Spirito Santo, il posto e l’importanza della Chiesa nel mondo, la resurrezione dei morti e persino i fondamenti dell’etica cristiana, nonché il rapporto del cristianesimo con la cultura.

È un libro che ha un suo peso, in un posto come la Turchia, dove il cristianesimo, sommando tutte le confessioni cristiane, non raggiunge lo 0,2 percento della popolazione. E gli armeni, di questo gruppo, sono i più numerosi. “Siamo cinquantamila – racconta il patriarca Sahak II – mentre i cattolici, divisi in cattolici di rito latino, siriano e caldeo, sono 21.500, i greco ortodossi 2 mila, i siriaci 12 mila e i protestanti 5 mila”.

Gli armeni sono numerosi in Turchia. Il Patriarca Sahak II ricorda che gli armeni sono “una minoranza bilingue”, ma che in fondo non stanno malissimo, considerando che hanno anche un periodico nella loro lingua, e persino le relazioni tra armeni e turchi sono considerate un problema del passato.

I problemi veri – aggiunge – sono quelli che vive “ogni minoranza nel mondo”, a partire dal problema demografico, perché “siamo una comunità che muore, abbiamo un tasso di mortalità dell’1,2 per cento a fronte di un tasso di mortalità del 2,6 per cento”.

C’è poi il tema di trovare una ragione per rimanere in Turchia, nonostante ci sia “libertà di culto e la comunità goda di buona salute, anche se ci sono, non lo nego, alcuni problemi a livello locale. Le nostre istituzioni hanno una buona forma dal punto di vista finanziario, ma non abbiamo uno status legale, un riconoscimento giuridico”.

In tutto questo, quel piccolo libro ecumenico può rappresentare un passo avanti perché le Chiese cristiane siano più uniti. “A volte, si riescono ad avere migliori relazioni con chi sta fuori che nella tua stessa Chiesa. Le relazioni non sono tanto quanto prendi, ma quanto riesci a dare”.

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L’ennesima sfida di Petrosyan: c’é Banchamek per il titolo mondiale di ONE Championship (Gazzetta.it 14.10.21)

A Singapore l’armeno naturalizzato italiano affronta il campione thailandese nella categoria -70 Kg: “Ho una boxe migliore, non mi interessa lo show ma penso solo a colpire forte e a portare a casa la cintura”

Giorgio Petrosyan, 35 anni

Molti lo hanno già definito il più grande evento nella storia della Kickboxing. One Championship: First Strike andrà in scena domani a Singapore dalle 14.30 ora italiana (visibile in chiaro sulla app e sul canale youtube di One fc), ma tutti aspettano il gran finale, previsto invece tra le 17.30 e le 18.00: a combattere per il titolo dei Pesi Piuma (-70 kg) ci sarà infatti Giorgio Petrosyan. “The Doctor”, leggenda italiana di questo sport, per molti il miglior kickboxer di sempre. Con 104 vittorie (41 per k.o.) e 2 sole sconfitte in carriera (l’ultima risale al 2013) ha conquistato così tante cinture che occupano un’intera parete nella sua palestra di Milano. Ha vinto tutti i principali tornei del Mondo e nel momento in cui erano al culmine del loro prestigio, a cominciare dal K1 Max e da Glory. A fine 2019 il suo successo più altisonante: la conquista del Grand Prix Pesi Piuma di One con uno straordinario premio di un milione di dollari. Una miriade di successi che hanno indotto molti fans e addetti ai lavori in tutto il mondo a considerarlo “the goat” come dicono gli americani, The Greatest Of All Times nella Kickboxing.

L’AVVERSARIO

A Singapore affronterà un osso duro: l’ex pluricampione del mondo e di Thailandia di Muay Thai Superbon Banchamek. Trentun anni, professionista da quando ne aveva 15, da un po’ è passato alla più redditizia Kickboxing vincendo anche qui importanti titoli. Saranno 5 round da 3 minuti di altissimo livello tecnico ed estremamente duri per entrambi i fighters. “Petrosyan ha pugni veloci e tecniche di attacco pericolosissime, colpisce con una potenza e una precisione incredibile. Dovrò contrastarlo attaccando per primo, la mia forza sta nell’essere un fighter a tutto tondo e a sfruttare le mie abilità di Muay Thai anche nella kickboxing. E ho più esperienza di lui”. Nei giorni scorsi Superbon aveva anche provato a provocare Petrosyan, che però si è mostrato tranquillo: “Non mi interessa, parli pure, sul ring non c’è bisogno di parlare. Lui è uno tosto, bravo nei calci. Io penso di avere una boxe migliore, ma non significa nulla se non lo dimostro in combattimento. Non mi interessa lo show, penso solo a colpire forte e a portare a casa la cintura”.

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Nagorno Karabakh: le conseguenze della guerra (Osservatorio Balcani e Caucaso 13.10.21)

A fine settembre il Consiglio di Europa ha votato una risoluzione che ha fatto il punto sulla situazione umanitaria nel Nagorno Karabakh. Una panoramica

13/10/2021 –  Marilisa Lorusso

Il 27 settembre scorso in Armenia, Azerbaijan e Nagorno Karabakh si è commemorato il primo anniversario della guerra dei 44 giorni che ha riportato buona parte dei territori conquistati dagli armeni nella prima guerra del Karabakh sotto il controllo azero.

Lo stesso giorno dall’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa è stata adottata la Risoluzione 2391  , “Conseguenze Umanitarie del conflitto fra l’Armenia e l’Azerbaijan / Conflitto del Nagorno Karabakh”. La Risoluzione è stata approvata  con 80 voti a favore, 18 contrari, e 3 astensioni. Hanno votato a favore i parlamentari armeni, contro invece quelli dell’Azerbaijan.

Nel giorno in cui quindi si è ricordato l’inizio della guerra, al Consiglio d’Europa si è riflettuto su quanto è accaduto, e quanto a distanza di un anno la situazione rimanga difficile. Il punto di partenza di questa riflessione è stato un report preparato per mesi, che ha implicato anche visite dirette nella regione da parte di Paul Gavan, responsabile della sua redazione, membro irlandese dell’Assemblea Parlamentare. Il report è un unicum, perché a distanza di un anno l’area del conflitto rimane sigillata a presenze esterne. Lo stesso Gavan non si è potuto recare nel Karabakh rimasto armeno, e se ne rammarica nel report.

Il secondo conflitto del Nagorno Karabakh dalla sua sospensione non è stato internazionalizzato. L’unica presenza a parte quella Croce Rossa Internazionale che lavora con la consueta discrezione è quella russa. Il concordato intervento dell’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati e dell’UNESCO non si è, ad oggi, materializzato.

La situazione umanitaria

Il Report fornisce il quadro aggiornato all’estate 2021 delle conseguenze umanitarie del conflitto, ma riprende anche i lasciti del conflitto precedente. Dalla prima guerra del Karabakh rimangono ignote le sorti di 3890 azeri e un migliaio di armeni, dalla seconda di 243 armeni e 7 azeri. I resti che vengono man mano ritrovati sono scambiati dalle parti. Più problematico lo scambio dei prigionieri di guerra. Fra gli armeni attualmente detenuti in Azerbaijan alcuni sono stati processati, e condannati per episodi risalenti all’ultimo conflitto e a quello precedente.

Sono stati scambiati entro l’estate 103 armeni e 21 azeri. In luglio due gruppi di quindici armeni sono stati scambiati in cambio di mappe di campi minati, anche grazie alla mediazione georgiana  . Rimane prioritaria per l’Azerbaijan la questione dello sminamento di quella che è stata una delle aree più minate del mondo. Le mine e gli ordigni inesplosi hanno ucciso più di 150 armeni e di 350 azeri fra le due guerre, e l’Azerbaijan continua a fare i conti con incidenti ricorrenti mentre procede nella riqualificazione e la ricostruzione delle zone riconquistate. Sono già quasi 150 i feriti e almeno 27 i morti a causa delle mine in questo ultimo dopoguerra.

Il patrimonio artistico

Proprio la ricostruzione ha aperto una nuova ferita. L’ingresso azero nelle aree contese fra le due guerre è avvenuto in un mare di macerie. Una tabula rasa di insediamenti, i cui proprietari sono stati sfollati e ora vorrebbero (almeno il 65% ha così dichiarato) rientrare. Paul Gavan ha visitato Ağdam, così come molti rappresentanti della comunità internazionale, e ne ha constatato l’avanzato stato di degrado. Di fatto la scomparsa della città.

Pietro Kuciukian nel suo “Giardino di Tenebra – Viaggio in Nagorno Karabakh  ” definiva Ağdam una città fantasma “la vergogna segreta” dell’Armenia e Fizüli “la città che non c’è più”. Nei 30 anni fra le due guerre le aree contese sono state saccheggiate e gli insediamenti e il patrimonio artistico danneggiati, a volte in modo irreversibile. Secondo il ministero della Cultura dell’Azerbaijan – che sta ancora facendo una stima dei danni – sarebbero 706 i monumenti di carattere storico e culturale distrutti, fra cui 6 artefatti di architettura di interesse mondiale, cinque beni archeologici pure di interesse mondiale, 119 di importanza nazionale e altri 121 reperti archeologici di valore nazionale. Inoltre l’Azerbaijan accusa di essere stato depredato di beni risalenti al XIII secolo, che si trovavano nel monastero Khudavang/Dadivank e altrove e che sono stati traslati in Armenia.

Dall’altra parte del confine, l’Armenia accusa l’Azerbaijan di avere operato un analogo ma contrario processo di annichilimento della memoria della presenza – questa volta armena – in Nakhchivan. Secondo gli armeni sono 89 le chiese medievali armene distrutte, 5.840 khachkars, le tipiche croci di pietra incise armene, e 22.000 lapidi funebri.

Ovunque non sono stati risparmiati i cimiteri, né nei loro monumenti, né i sepolti.

A questa distruzione che si è perpetrata negli anni fra le due guerre si aggiungono ora i danni dovuti agli aspri combattimenti del 2020. In particolare a Shusha è stata colpita la Cattedrale del Santo Salvatore Ghazanchetsots, episodio che ha avuto una certa risonanza per la scelta che è parsa deliberata di colpire un obiettivo civile e luogo di culto.

La tutela del patrimonio artistico e religioso desta preoccupazione anche in questo secondo dopoguerra. Sono molti i beni archeologici e culturali che sono passati di mano, trovandosi nelle aree ritornate sotto il controllo azero. Secondo quanto riportato del rapporto del CoE redatto da Paul Gavan sarebbero 161 le chiese e i monasteri che ora sono sotto il controllo di Baku, 591 khachkars, 345 pietre tombali di interesse storico o artistico o archeologico, 108 cimiteri e insegne religiose, 43 fortezze e palazzi, e un paio di centinaia di altri monumenti.

L’Albania caucasica cristiana

Desta preoccupazione in Armenia anche l’applicazione di un possibile revisionismo storico di cui viene accusata Baku, una nuova lettura di beni artistici, archeologici, storici, religiosi non come manufatti e tracce della presenza armena della regione, ma come prodotti della cultura dell’antica Albania caucasica.

In epoca preistorica nei territori dell’odierno Azerbaijan emerse un regno, posteriormente chiamato Albania caucasica, che risentiva dell’influenza della dinastia iraniana dei Sassanidi. Gli scavi archeologici, gli ornamenti ritrovati, la letteratura e il folklore confermano la forte influenza della cultura iranica in tutto il Caucaso meridionale. Come l’Armenia, con l’avvento del cristianesimo anche l’Albania caucasica si cristianizzò. Oggi il presidente Ilham Aliev chiama albane alcune delle sedi di culto negli ex territori contesti, che periodicamente visita. Parlando ad Hadrut di quella che è per gli armeni la Chiesa della Madre di Dio, parte del Monastero di Tsaghkavank, ha dichiarato  : “Questo è un nostro antico monumento storico, il tempio dei nostri fratelli Udi.[…] Proprio come hanno violato le nostre moschee gli armeni hanno violato anche questo antico tempio dell’Albania caucasica. Ma lo ripristineremo. Tutti gli articoli che hanno scritto a riguardo sono falsi, sono stati scritti solo di recente. Hanno creato una falsa storia per se stessi nelle nostre antiche terre.”

Una storia antica di convivenza, integrazione, assimilazione che rischia di divenire una narrazione negazionista della presenza dell’altro. Questo rifiuto di riconoscimento reciproco così ostile e radicato ha determinato non solo la barbarie di cui sopra, ma si proietta ora fino alla preistoria. Gavan ricorda nel report la risoluzione ONU 2347/2017 la quale sottolinea come: “La distruzione illegale del patrimonio culturale, il saccheggio e il contrabbando di beni culturali durante un conflitto, anche perpetrato da gruppi terroristi, e i tentativi di negare le radici culturale e la diversità culturale possono alimentare ed esacerbare conflitti e impedire una riconciliazione post-bellica”.

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Nagorno-Karabakh: incontro trilaterale leader religiosi di Armenia, Russia e musulmani. Patriarca Kirill, “non c’è altro futuro che vivere insieme” (Agensir 13.10.21)

Garantire il rispetto per i santuari religiosi, i monumenti storici e i cimiteri; facilitare il processo di rilascio dei prigionieri di guerra e prevenire l’uso non autorizzato di armi; sforzarsi con tutti i mezzi per evitare il linguaggio dell’odio e contribuire alla riconciliazione dei popoli dell’Azerbaigian e dell’Armenia per il bene e la prosperità delle generazioni presenti e future. Sono i “punti chiave” della Dichiarazione che oggi il patriarca Kirill di Mosca e di tutta la Russia ha letto al termine dell’incontro trilaterale dei leader spirituali di Azerbaigian, Armenia e Russia. L’incontro si è svolto presso il monastero Danilov di Mosca ed erano presenti il patriarca Kirill, il presidente del Consiglio dei musulmani caucasici, Sheikh-ul-Islam Allahshukur Pashazade, e il patriarca supremo e catholicos di tutti gli Armeni, Karekin II. I leader religiosi dell’Armenia e dell’Azerbaigian sono giunti nella capitale russa su invito del primate della Chiesa ortodossa russa per discutere le modalità per risolvere il conflitto causato dal problema del Nagorno-Karabakh. Dopo l’incontro, Kirill ha affermato: “Siamo convinti che le nostre religioni abbiano un potenziale unico di pacificazione”. “Non importa quanto siano difficili le relazioni armeno-azerbaigiano in questa fase, crediamo che la fede in Dio e l’amore possono aiutare a guarire le ferite inflitte da molti anni di tragico confronto. È un percorso molto difficile, richiede saggezza spirituale e lungimiranza. Il Caucaso è sempre stato famoso per la sua enorme diversità di popoli, lingue e culture. Per i popoli azero e armeno non c’è altro futuro che vivere insieme. Oggi è particolarmente importante ripristinare la fiducia reciproca delle persone, imparare di nuovo a percepire il prossimo con rispetto e disponibilità all’assistenza reciproca”. La Dichiarazione si fa a questo punto appello. I leader chiedono il rispetto dei luoghi di culto, dei “sentimenti religiosi delle persone di una fede diversa” e la “attenta conservazione della memoria dei morti”. Si chiede poi di avviare al più presto il processo per la liberazione dei prigionieri di guerra. “In futuro – si legge nella Dichiarazione – è necessario sforzarsi con tutti i mezzi di evitare il linguaggio dell’odio, astenersi dagli appelli all’azione militare nella zona del conflitto. Invitiamo i giovani a non soccombere allo spirito di aggressione e radicalismo, a cercare prima di tutto la pace. I leader religiosi sono pronti a contribuire alla riconciliazione dei popoli dell’Azerbaigian e dell’Armenia per il bene e la prosperità delle generazioni presenti e future”. Il patriarcato di Mosca ricorda che sono più di 30 anni che la Chiesa ortodossa russa è impegnata a favorire il mantenimento della pace nella Regione del Nagorno-Karabakh. Il primo incontro trilaterale dei capi delle tre comunità religiose ebbe luogo nel maggio 1993 sempre presso il monastero Danilov di Mosca. Altri incontri simili si sono svolti nell’ambito dei forum interreligiosi nel 2010 a Baku e nel 2011 a Yerevan, nonché nel 2017 presso il monastero Danilov di Mosca.

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I leader religiosi di Azerbaigian, Armenia e Russia si incontrano a Mosca (Idna.ir.it)

Papa Francesco preoccupato per la distruzione del patrimonio cristiano, accordo con l’Armenia per tutelarlo (Il Messaggero 12.10.21)

Città del Vaticano – Salvare il patrimonio cristiano armeno dalla distruzione azera. Un importante accordo di cooperazione culturale tra l’Armenia e il Vaticano è stato raggiunto per sostenere, difendere, promuovere il patrimonio artistico e cristiano dell’Armenia, il paese caucasico detentore del primato mondiale di avere abbracciato il cristianesimo ben prima dell’Editto di Costantino. La preoccupazione comune è sostanzialmente quella di fermare la lenta e costante distruzione di un importante patrimonio millenario messo a repentaglio dalla manifesta volontà di demolizione da parte dell’Azerbaigian. «E’ una importante eredità comune da tutelare. Siamo allarmati per quello che sta accadendo in alcune zone del Nagorno-Karabakh». Il presidente dell’Armenia Armen Sarkissian reduce da una visita in Vaticano incontra alcuni giornalisti in un albergo della capitale e si sofferma a parlare dei contatti avuti al di là del Tevere.

Prima ha avuto una udienza con Papa Francesco e successivamente con il cardinale Pietro Parolin, ma con entrambi ha affrontato il tema legato alla guerra in Nagorno-Karabakh appena conclusa con la vittoria degli azeri. Ha parlato anche dei soldati armeni ancora prigionieri di guerra nelle carceri azere. Un nodo diplomatico che è stato denunciato a livello internazionale a più riprese anche da diverse associazioni umanitarie tra cui Amnesty International.

«Le nostre relazioni sono buone ma possono essere ulteriormente migliorate» ha detto Armen Sarkissian. Il capo di stato armeno ha fatto ritorno nel palazzo apostolico dopo quasi trent’anni visto che è stato il primo ambasciatore armeno presso la Santa Sede dopo l’indipendenza dell’Armenia raggiunta nel 1992. Sarkissian riconosce il potenziale espresso dal soft power esercitato da Papa Francesco a livello internazionale. Gli è riconoscimente per avere alzato la voce quando, l’anno scorso scoppiò il conflitto in Nagorno-Karabakh. «Durante la guerra purtroppo c’è stato un silenzio assordante da parte di tanti paesi e persino dalla Nato. Ma il Vaticano ha parlato».

In Vaticano Sarkissian ha visitato anche il Pontificio consiglio della cultura dove ha incontrato il cardinale Gianfranco Ravasi. Come riferito dalla presidenza armena, durante l’incontro sono state discusse questioni relative alla cooperazione tra l’Armenia e la Santa Sede e lo sviluppo delle relazioni inter-ecclesiali. Il presidente Sarkissian ha affermato che esiste un grande potenziale utile ad approfondire la cooperazione tra l’Armenia e la Santa Sede nei campi della cultura, dell’istruzione e della conservazione del patrimonio storico.

Il protocollo d’intesa consentirà di svolgere ricerche congiunte su questioni di interesse storico. Ci auguriamo che contribuisca ad intensificare ulteriormente la cooperazione tra l’Armenia e la Santa Sede in materia di cultura, scienza, archeologia e altri settori, nonche’ la partnership tra la Chiesa apostolica armena e la Chiesa cattolica di Roma».

Il Vaticano ha anche deciso di aprire una nunziatura in Armenia. I dettagli sono stati presi in questi giorni, durante la visita del presidente armeno in Vaticano.

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Una scuola per far ripartire l’Artsakh, dove gli armeni sono «a rischio genocidio» (Tempi 12.10.21)

A un anno dalla guerra mossa da Azerbaigian e Turchia, gli armeni del Nagorno-Karabakh aprono in collaborazione con l’Italia l’istituto Antonia Arslan per formare i giovani. «Ai crimini di Erdogan rispondiamo con l’educazione»

La scuola armeno-italiana Antonia Arslan in Artsakh, nel Nagorno-Karabakh
Da sinistra, all’interno di un’aula della scuola professionale Antonia Arslan a Stepanakert, in Artsakh: Giliola Isotton, Tatev Zakaryan, preside dell’istituto, Ambrogina Vismara, Lusine Karakhanyan, ministro dell’Istruzione, Rita Mahdessian, presidente della Cinf, Gianantonio Sanvito

«L’Azerbaigian ha occupato 108 scuole, 37 tra asili, istituti di musica e arte, istituzioni culturali, 11 laboratori di ingegneria. Ci hanno sottratto circa 2.000 monumenti, 10 musei statali e due privati: non abbiamo più accesso ad almeno 20 mila opere d’arte. La nostra civiltà è in pericolo». Parlando con il ministro di educazione, scienza, cultura e sport della Repubblica dell’Artsakh, Lusine Karakhanyan, è facile intuire che la minaccia azera agli armeni che vivono nel Nagorno-Karabakh non è soltanto militare, ma esistenziale.

«È in atto un genocidio, non solo culturale»

A un anno dalla guerra di 44 giorni che ha permesso all’aggressore azero, con l’aiuto della Turchia, di occupare ampie porzioni di territorio del Nagorno-Karabakh, la situazione sul campo è difficile. A causa dei missili azeri e dei droni turchi, più di 7.000 edifici residenziali sono stati colpiti per un danno stimabile in 80-90 milioni di euro. In sei settimane di guerra sono morte circa 6.000 persone, gli armeni hanno perso in battaglia 3.300 effettivi e tre quarti del Nagorno-Karabakh. Circa 40 mila armeni hanno dovuto abbandonare la propria casa.

«È in atto un genocidio, non solo culturale», spiega a Tempi Karakhanyan. «E nessuno ci difende dagli azeri, tanto meno l’Europa e l’Occidente cristiani». Il ministro dell’Istruzione parla all’interno di un’aula della nuova scuola professionale armeno-italiana Antonia Arslan. Da anni infatti la famosa scrittrice armena, insieme alla fondazione Christians In Need Foundation (Cinf), sta promuovendo un programma di scambio culturale tra l’Artsakh e l’Italia.

La scuola Antonia Arslan

Il risultato più importante è proprio la scuola professionale sorta nella capitale dell’Artsakh, Stepanakert, dove con l’aiuto di insegnanti e istituzioni locali e italiane, tra le quali la scuola alberghiera dell’istituto Don Gnocchi di Carate Brianza, sono stati istituiti corsi per falegnami, cuochi, sarti, parrucchieri e molto altro.

«Attualmente abbiamo 310 studenti», spiega a Tempi Tatev Zakarya, direttore per l’Artsakh della Cinf e preside del nuovo istituto, che dovrebbe essere inaugurato formalmente in primavera. «La costruzione della scuola è iniziata nel 2019, ma durante la guerra l’edificio è stato colpito da un missile, che l’ha distrutto. Ci hanno colpito intenzionalmente, ma dopo la guerra abbiamo subito iniziato a ricostruire».

«Questi italiani sono i nostri eroi»

Una scuola è soltanto una goccia nel mare, se si considerano i tanti bisogni dell’Artsakh, la cui stessa esistenza è minacciata. Ma è una goccia che fa la differenza: «Dopo un anno di guerra il problema principale della nostra gente è che si sente isolata e tradita dall’Occidente», aggiunge Rita Mahdessian, presidente della Cinf. «Oggi l’Artsakh è il baluardo della civiltà occidentale, accerchiata da paesi islamici come Azerbaigian e Turchia. Siamo vittime di un tentativo di pulizia etnica: anche dopo la firma dell’armistizio, gli azeri continuano a tagliarci elettricità, acqua e internet per renderci la vita impossibile, nella speranza che ce ne andremo tutti. Ma questa è la nostra terra e noi qui abbiamo una missione».

Nonostante Europa e Occidente non abbiano mosso un dito per difendere gli armeni dell’Artsakh, la nuova scuola Antonia Arslan sta riaccendendo una speranza nella popolazione: «Ci sono qui adesso tre amici italiani, artigiani, bravissimi nel loro campo, che hanno lasciato il comfort delle loro case per venire da noi e aiutare i nostri studenti a imparare. Siamo grati a queste persone: sono i nostri eroi e la nostra speranza», continua Mahdessian.

«Erdogan vuole completare il genocidio»

Che la stessa esistenza degli armeni sia oggi minacciata non c’è da dubitarne. Ad aprile, l’Azerbaigian ha inaugurato nella capitale Baku un parco a tema dove sono esposti gli elmetti dei soldati armeni uccisi in guerra e dove la popolazione irride le statue di cera a grandezza naturale di armeni raffigurati in posizioni e atteggiamenti umilianti.

Ma gli armeni dell’Artsakh vogliono rispondere all’odio e alla crudeltà con un’altra moneta: «Vuole sapere qual è la mia motivazione? Eccola», parla il ministro Karakhanyan mostrando la foto di un giovane soldato armeno ucciso nei suoi vent’anni. «Voleva frequentare l’università, studiare fisica, invece è stato falcidiato da un drone turco mentre difendeva la sua terra dagli aggressori. Il presidente turco Recep Erdogan vuole portare a termine il genocidio del 1915, ma non glielo permetteremo. Io voglio vendicare questo giovane ucciso, ma non intendo farlo con i metodi barbari dei turchi e degli azeri. Lo farò con la scienza e l’educazione del mio popolo». La scuola professionale Antonia Arslan è il primo passo di questo cammino.

A fine ottobre Tempi si recherà nell’Artsakh per realizzare un reportage sulla scuola Antonia Arslan e sulla situazione della popolazione armena, la cui esistenza è minacciata. Chi volesse sostenere il reportage, può farlo con una donazione al Fondo Più Tempi. Per non perdere il reportage e le altre notizie del mensile e del sito, è necessario sottoscrivere l’abbonamento.

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