Un inedito di Noè Bordignon. Sabato 23 ottobre Presentazione al pubblico della Pala San Gregorio Illuminatore battezza il re dell’Armenia Trdat III (Storiedieccellenza.it 22.10.21)

Un inedito di Noè Bordignon. Sabato 23 ottobre Presentazione al pubblico della Pala San Gregorio Illuminatore battezza il re dell’Armenia Trdat III

Un inedito di Noè Bordignon a San Zenone degli Ezzelini: è quello che sarà presentato sabato 23 ottobre alle 10.30 presso il Centro Polivalente “La Roggia” in via Caozocco, 10 nell’ambito degli eventi collaterali alla mostra dedicata a Noè Bordignon promossa dal Comune di San Zenone degli Ezzelini e di Castelfranco Veneto.

Si tratta della Pala “San Gregorio Illuminatore battezza il re dell’Armenia Trdat III”, opera inedita non firmata da Noè Bordignon, ma attribuita all’artista trevigiano che conferma il rapporto professionale e di amicizia tra Noè Bordignon, i Padri Armeni Mechitaristi e la Congregazione di San Lazzaro degli Armeni, nella cui Abbazia si conservano ancora importanti opere del pittore.

L’opera era conservata nella chiesetta di Villa Albrizzi di Sopracastello, dal 1896 possedimento della Congregazione di San Lazzaro degli Armeni. La presenza della Congregazione nel territorio comunale facilitò la vicinanza e la relazione umana tra l’artista ed i Padri Armeni Mechitaristi anche negli ultimi anni della sua vita.

Interverranno alla conferenza il dottor Marco Mondi, curatore degli itinerari della mostra, il professor Alberto Peratoner, filosofo ed esperto della lingua e della civiltà armena e Padre Serop vrt. Jamourlian della Congregazione Armena Mechitarista di Venezia.

Al termine della conferenza seguirà la visita all’opera “San Gregorio Illuminatore battezza il re dell’Armenia Trdat III” esposta nella sezione appositamente dedicata all’interno della mostra Noè Bordignon (1841-1920). Dal Realismo al Simbolismo presso la barchessa di Villa Marini Rubelli.

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Azerbaijan: la famiglia dell’offshore (Osservatorio Balcani e Caucaso 22.10.21)

Le informazioni che trapelano dai Pandora Papers mostrano, ancora una volta, l’enorme ricchezza celata all’estero dall’élite al potere in Azerbaijan. Ma quest’ultima nega e media come la Repubblica garantiscono loro un megafono per gridare al complotto

22/10/2021 –  Arzu Geybullayeva

Sono descritti come la più grande fuga di dati offshore  scoperta fino ad oggi. Sequel dei Panama Papers trapelati nel 2016, i Pandora Papers si basano sull’esame di circa dodici milioni di documenti che approfondiscono il sistema finanziario offshore, smascherando un gran numero di aziende o fornitori di servizi finanziari in tutto il mondo soliti trasferire denaro, proprietà e beni di presidenti, oligarchi, truffatori e molti altri. Ci sono voluti due anni e circa 150 testate giornalistiche per setacciare la mole di documenti. Nell’elenco dei presidenti coinvolti compare anche Ilham Aliyev, un nome e un impero familiare già apparsi in una serie di inchieste: Panama Papers  Daphne Project  Azerbaijan Laundromat  Pegasus Project  e ora i Pandora Papers.

Che cosa è cambiato?

In un’intervista  alla statunitense National Public Radio il 14 ottobre 2021 Greg Miller, corrispondente investigativo estero del Washington Post, e tra i più noti giornalisti a far parte del consorzio dell’inchiesta, ha dichiarato: “Mentre i Panama Papers venivano da un unico studio legale di Panama City [lo studio legale panamense Mossack Fonseca], i Pandora Papers provengono da 14 diverse entità da molti luoghi diversi, tra cui Panama ma anche luoghi in Europa e in Asia. Ci offrono una visione molto più ampia del mondo offshore”.

Miller nell’intervista ha poi approfondito il tema del mondo dell’offshoring e dei suoi vantaggi, dall’eludere le tasse all’evitare ricadute dalla corruzione, soprattutto tra i politici. Senza fughe di notizie come i Pandora Papers, spiega Miller, chi fa offshoring non viene scoperto.

Alcuni, tuttavia, la fanno sempre franca. Il presidente in carica dell’Azerbaijan, Ilham Aliyev, al potere dal 2003, ne è un esempio. Ilham Aliyev è salito al potere al posto del suo defunto padre, Heydar Aliyev, con elezioni definite dagli osservatori internazionali dell’epoca né libere né eque  . Da allora, il presidente Aliyev, la sua famiglia e una sfilza di funzionari governativi  sono protagonisti fissi delle indagini  locali e internazionali su corruzione e riciclaggio di denaro nel paese. Senza subire conseguenze.

Immense proprietà immobiliari

Uno dei primi eventi a porre la dinastia sotto i riflettori internazionali è stata un’indagine sull’ormai vasta proprietà immobiliare della famiglia. Nel 2010, un’inchiesta del Washington Post  ha rivelato che i tre figli di Aliyev, Arzu, Leyla e Heydar (all’epoca 24, 21 e 13 anni) possedevano diverse proprietà a Dubai per un valore di 75 milioni di dollari. La corsa all’immobiliare a Dubai non è finita qui. Nel 2018 il Progetto Daphne, una collaborazione di 18 organizzazioni guidate da Forbidden Stories in Francia, ha rivelato che le due figlie di Ilham Aliyev possedevano  sempre a Dubai anche l’hotel Sofitel sull’isola di Palm Jumeirah.

Nel 2012, un’inchiesta  dell’Organized Crime and Corruption Reporting Project (OCCRP) e Radio Free Europe/Radio Liberty (RFE/RL) ha rivelato che la famiglia regnante ha personalmente tratto profitto dalla costruzione dell’enorme sala concerti costruita per ospitare l’Eurovision Song Contest quell’anno, la Crystall Hall, costata 134 milioni di dollari presi dal budget  che avrebbe dovuto coprire il rinnovamento dei sistemi idrici e sanitari nelle aree rurali dell’Azerbaijan, nonché l’aumento di parte degli stipendi e delle pensioni nel paese.

Nel 2012, OCCRP ha anche riferito  che la figlia del presidente Arzu Aliyeva possedeva una villa di lusso del valore di un milione di euro nella ricercata località di Karlovy Vary in Repubblica Ceca, attraverso una società con sede a Praga chiamata ZODIAC Immobilienbesitz. L’indagine ha dimostrato che anche il suocero di Ilham Aliyev, Arif Pashayev, possedeva quote della società di Praga.

Lo stesso anno, il parlamento dell’Azerbaijan ha votato  una legge che impedisce l’accesso del pubblico alle informazioni riguardanti la registrazione delle società e la proprietà delle società, temendo ulteriori indagini sugli interessi e le iniziative imprenditoriali dell’élite al potere.

Oltre a Dubai e Praga, Londra è un’altra città in cui le due figlie del presidente sembrano possedere proprietà immobiliari. In totale, l’OCCRP ha riportato in un’inchiesta del 2016  che la famiglia possedeva immobili per 140 milioni di dollari.

Nel 2019, Proyekt Media ha riferito  di proprietà di lusso appartenenti ai membri della famiglia di Ilham Aliyev in Russia, compreso ancora una volta suo suocero Arif Pashayev.

I più recenti Pandora Papers rivelano  che le prime stime sulle proprietà della famiglia regnante solo nel Regno Unito hanno raggiunto i 694 milioni di dollari. “La loro proprietà di questo impero immobiliare è stata per anni sistematicamente nascosta dietro società offshore con nomi generici come Sheldrake Six e Fliptag Investments”, ha scritto OCCRP, parte del team di giornalisti che indagano sui 14 milioni di documenti.

OCCRP ha affermato di aver trovato un elenco aggiuntivo di 84 società offshore che il presidente Aliyev e i suoi associati possedevano almeno dal 2006. “Suo figlio, Heydar, ha acquisito la sua prima società offshore mentre era ancora alle elementari. Sua figlia Arzu, che ha studiato psicologia a Londra, aveva appena compiuto 19 anni quando ha acquisito la propria”, riporta OCCRP.

Quanto dimostrano le indagini più recenti è la vastità dell’impero immobiliare, imprenditoriale e di società offshore  che l’élite dominante dell’Azerbaijan è riuscita ad accumulare e costruire. Altrettanto vaste l’impunità e la sfacciataggine con cui figure come quella di Ilham Aliyev si pongono al di fuori della legge. L’intervista rilasciata al quotidiano La Repubblica  il 12 ottobre ne è l’esempio più recente. Alla domanda sui Pandora Papers, Aliyev li ha liquidati come sciocchezze, accusando gli autori delle indagini di cospirare contro il paese e la sua leadership. “Non è la prima volta che vengo accusato di malversazioni. In Occidente ci sono gruppi di potere vicini all’Armenia che usano questo tipo insinuazioni al solo scopo di screditarmi. So bene chi c’è dietro questo tipo di inchieste giornalistiche e so anche che la nostra recente vittoria nella guerra del Nagorno Karabakh non è piaciuta a tutti. Ma si tratta soltanto di una campagna orchestrata ad hoc per colpire il mio paese”, ha dichiarato il presidente al giornalista.

Aliyev ha anche affermato di aver trasferito le sue attività ai figli dopo aver preso il potere nel 2003. All’epoca Arzu, Leyla e Heydar Aliyev avevano solo 14, 17 e 6 anni. “Tutte le loro attività sono trasparenti”, ha dichiarato a La Repubblica. Rimane lecito chiedersi quanto siano effettivamente trasparenti queste attività. Le proprietà elencate finora sono state tutte scoperte nell’ambito di indagini internazionali. Né il presidente, né l’élite al potere dietro le società offshore hanno mai reso pubbliche queste loro attività economiche. Se c’è stata qualche dichiarazione, è sempre stata quella dei vari funzionari statali che negavano le richieste di spiegazioni.

Nell’intervista con NPR, il corrispondente del Washington Post Greg Miller ha dichiarato: “A causa della complessità e della segretezza del sistema offshore, non è possibile sapere quanta di quella ricchezza sia legata all’evasione fiscale e ad altri crimini e quanto coinvolga denaro che proviene da fonti legittime e se è stato segnalato alle autorità competenti”.

Si può aggiungere che è legittimo avere sospetti  su come un ragazzo di 12 anni o le sue sorelle ventenni possano acquistare proprietà per milioni di dollari a Dubai e in altre parti del mondo.
Se c’è una cosa che abbiamo imparato finora da tutte le recenti indagini sulle accuse di corruzione e riciclaggio di denaro, è che i protagonisti di queste storie la fanno franca. A luglio di quest’anno, una  cugina del presidente azero, Izzat Khanimeed e il figlio dell’ex vice ministro dell’Energia Suleyman Javadov se la sono cavata  consegnando 5,5 milioni di dollari alle autorità britanniche dopo essere stati colti in flagrante in operazioni di riciclaggio di denaro.

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La memoria non va annacquata né dimenticata: la memoria è fonte di pace e di futuro (Imgpress 22.10.12)

“Qui prego, col dolore nel cuore, perché mai più vi siano tragedie come questa, perché l’umanità non dimentichi e sappia vincere con il bene il male /…/. La memoria non va annacquata né dimenticata; la memoria è fonte di pace e di futuro”.

Questa è la frase scritta da Papa Francesco sul Libro d’Onore al Memoriale del genocidio armeno al termine della sua visita (26 giugno 2016) al luogo dedicato ai massacri.

È indubbio: il Papa, sul “genocidio degli armeni”, termine con cui si indicano le deportazioni ed eliminazioni di armeni perpetrate dall’Impero ottomano tra il 1915 e il 1916, che causarono circa 1,5 milioni di morti, ha fatto bene a dire la verità, a chiamare le cose con il loro nome senza estenuate distinzioni storiografiche. Interrogarsi sui fatti del passato, è un modo per farsi trovare meglio attrezzati nella comprensione del presente.

Ciò dovrebbe valere anche per la stessa Chiesa Cattolica, che deve riconoscere i suoi errori, i suoi peccati, la sua presunzione, la crudeltà felle sue decisioni, la sua storia fatta sì di santi e di martiri per la fede, ma anche di soprusi, divieti, stragi, censure, torture inenarrabili, condanne, scomuniche, roghi, che sarebbe veramente difficile riportarli tutti in una breve nota.

A dire il vero già Giovanni Paolo Secondo nel 2000 aveva chiesto scusa degli errori fatti dai suoi predecessori, ma quello del papa polacco, anche se è stato il più grande “mea culpa”, forse l’unico di un Papa, non ha messo, però, in discussione allora e nei lunghi anni del suo pontificato, la dottrina che sta alla base degli stessi errori.

Tale dottrina, a mio parere, scaturisce da una  “strategia teologica” – con la quale la Chiesa e i suoi teologi,  fanno credere, insegnano e predicano  che la Chiesa cattolica sia una realtà divina, una società perfetta, intoccabile e, pertanto, i suoi peccati e i suoi  errori, le persecuzioni e le crudeltà  da essa operate lungo l’arco dei secoli e gli stessi abusi sessuali del clero, che sono  venuti fuori negli ultimi tempi,  siano da considerare solo microscopici  ostacoli collaterali che si incontrano lungo la “maestosa strada che conduce al Regno di Dio” ed è bene, quindi che non se ne parli.

Si coltiva, così, l’illusione di poter in qualche modo “dimenticare”, di tenere sotto controllo le spaventose sensazioni ad essi correlate, Ma così facendo, non si pensa che si sperimenta la situazione paradossale per cui più si cerca di dimenticare più finisce per ricordare sempre di più. Scriveva Michel de Montaigne: “Niente fissa una cosa così intensamente nella memoria come il desiderio di dimenticarla”.

Per la bimillenaria istituzione della Chiesa Cattolica, è stato sempre così, ad iniziare, dall’Editto di Milano dell’imperatore Costantino del 313 d.C. e dell’Editto di Tessalonica del 380 d.C.

Proprio allora, molti pagani, infatti, rifiutarono di convertirsi alla nuova Religione e la Chiesa in virtù di tali Editti, li ha torturati ed uccisi, inaugurando, così, il suo modo di procedere forzoso di conversioneche è durato per molti secoli.

Con quegli Editti finiva il tempo di Tertulliano che presentava la comunità cristiana come una comunità vasta e vivace con differenti correnti di pensiero, dove la presenza cristiana era diffusa capillarmente (cfr. Apol. 1,7; Ad Scapulam 2,10) con missionari itineranti dei quali nella letteratura del primo e del secondo secolo si parlava molto della generosità, ospitalità dei singoli e delle comunità. I missionari itineranti non obbligavano e non costringevano ad accettare il cristianesimo né minacciavano di sanzioni.

il cristianesimo, pertanto, a contatto con il potere, si trasformò in una religione che ereditava dal paganesimo romano il suo “modus facendi et operandi”, cioè il suo modo di fare e di operare, che era quello dell’assenso pieno ed indiscusso per non incorrere in una pena che minacciava la stessa vita.

Tale mentalità o cultura fu sicuramente profonda e si è accompagnata sempre ad ambiguità e contraddizioni concernenti la fede che la Chiesa affermava di professare, che teneva, però, sganciata dalla carità intesa come accoglienza, disponibilità verso il prossimo, volontà di mettersi al servizio degli altri, dei poveri, dei bisognosi, in nome di un senso di giustizia superiore, di un anelito a ciò che è giusto, buono, bello.

Diciamolo con estrema chiarezza: questa mentalità accompagnata da tali ambiguità e contraddizioni, nella Chiesa, sono durate per quasi due millenni, fino ai nostri giorni, fino agli ultimi Papi e fino a Papa Francesco, che cerca di scardinare, In tutte le maniere, la teologia del “castigo”, della “scomunica” della “separazione” delle “mura” e la sostituisce con quella della “misericordia”, dei “ponti”, che è innanzitutto basata sulla verità e sulla tolleranza.

Papa Bergoglio sa bene come il passato prema sul presente e come il compito, che si è prefisso di compiere, comporti rilevanti problemi teorici e pratici – vere e proprie sfide alla prassi secolare della Chiesa, che molti all’interno e all’esterno dei “palazzi” pontifici, vorrebbero e lottano con tutte le forze per potere mantenere o fare rinascere.

Sa ancora come sia necessario ripensare il rapporto tra rivelazione e morale, evidenziare l’intimo intreccio di misericordia, giustizia e verità.

In modo particolare credo che sia necessario leggere con misericordia i “segni dei tempi”, di attingere, cioè, il senso della Chiesa contemporanea, di aprire un corso nuovo, cambiare metodo, lasciando alle spalle gran parte dell’impianto ereditato da lontano per ciò che riguarda i rapporti con l’umanità. Il doppio vincolo della fedeltà a Dio e all’uomo segnala un doppio percorso da intersecare. Dio non ha parlato solo nei tempi antichi e in Gesù Cristo ma parla anche oggi. La sua voce è legata ai «segni dei tempi», cioè agli eventi che ci sconcertano e in cui si avverte qualcosa che resiste e spinge oltre.

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Alla scoperta dell’Armenia: una perla tra i mondi del Caucaso (In Terris 21.10.21)

L’Armenia è una piccola nazione che ha raggiunto la sua indipendenza appena trent’anni fa dopo epoche di varie dominazioni straniere, l’ultima quella sovietica. Ma l’Armenia è anche un popolo atavico, una civiltà millenaria di origine indoeuropea e dall’identità forgiata su secoli di espressione culturale e di lotta per la sopravvivenza. Benché incastrata fra i monti del Caucaso e geograficamente non vicina, questa terra ha molti legami con l’Italia e può essere considerata a tutti gli effetti come la frontiera più orientale di un’Europa dei Popoli.

Parco della Vittoria in Armenia – Foto di Giorgio Arconte

Primo popolo cristiano della storia

Mentre nei primi secoli il Cristianesimo si diffondeva lentamente attraverso il sangue dei martiri, nel 301 d.C. Tiridate III, sovrano del regno di Armenia, a seguito di un evento miracoloso per intercessione di San Gregorio l’Illuminatore, abbraccia il Vangelo e ne fa diventare per la prima volta nell’umanità la religione di Stato. Questo evento segnerà profondamente l’anima e la storia del popolo armeno che ha assunto il Cristianesimo come fosse lo stesso colore della sua pelle e che nemmeno le persecuzioni ottomane né quelle sovietiche sono riuscite a sbiadire.

Fra Khachkar e monasteri qui le pietre parlano

Il rapporto Armenia e Cristianesimo non è scandito semplicemente dalla striscia di sangue lasciata dai tanti martiri ma si è manifestato anche con la presenza di due elementi artistici, monumentali e spirituali. Il primo sono i khachkar, ovvero croci votive scolpite dentro la pietra con ricche decorazione. Questo forma artistica è unica di questa nazione e la si trova in ogni angolo che se ne percorre a perenne esortazione della propria religiosità e identità. Il secondo sono i tanti e suggestivi monasteri (alcuni patrimonio Unesco) disseminati su tutto il territorio, espressione di un’anima profondamente mistica ma anche della ricchezza culturale di questo popolo.

L’attraente natura del Caucaso

Girare l’Armenia significa fare un’affascinante immersione nella storia ma anche attraversare altipiani, gole e canyon di carismatica bellezza. I monti del Caucaso si aprono a scenari che lasciano incantati per la rigogliosa varietà paesaggistica presente in ogni diversa provincia e che insieme alla copiosa presenza di acqua (che alimenta fontane disseminate ovunque) offrono spettacoli meravigliosi come quello delle cascate di Shaki, anche queste avvolte dalla leggenda.

Le cascate di Shaki – Foto di Giorgio Arconte

La tragedia del genocidio armeno

Una drammatica pagina di storia che ancora viene negata, ma che ha ferito terribilmente questo popolo, è l’opera di pulizia etnica perpetrata fra il 1915 e il 1918 a opera dei turchi-ottomani e che ha portato allo sterminio di ben un milione e mezzo di armeni. Chiunque voglia davvero immergersi in questo dolore e voglia esprimere la propria solidarietà, deve visitare il Tsitsernakaberd, la “collina delle rondini” dove nel silenzio si alza l’urlo doloroso del monumento ai martiri del genocidio.  La memoria è giustizia, si spera possa essere presto anche fonte di conciliazione e di pace.

Il Tsitsernakaberd – Foto di Giorgio Arconte

L’Artsakh (Nagorno Karabakh) e la guerra che continua

L’Armenia è stretta a tenaglia a Occidente dalle ostilità turche mentre a Oriente dalle aggressioni azere. L’origine di questo perenne conflitto è sicuramente storico-etnico, si trascina dall’Impero ottomano, passa per il genocidio, fino ad alimentarsi ai giorni nostri per il controllo dell’Artsakh. Questa regione dove ogni singola pietra parla armeno, negli anni ’20 è stata arbitrariamente ceduta da Stalin all’Azerbaijan per normalizzare i rapporti con la Turchia ma facendone di fatto una turbolenta enclave armena in terra straniera. Con lo scioglimento dell’Unione Sovietica, l’Artsakh (intanto divenuto oblast autonomo nell’URSS) ha proclamato la propria indipendenza raggiunta con il sacrificio di una guerra che ha animato i primi anni ’90 e che si concluse con una schiacciante vittoria armena benché la comunità internazionale non riconobbe mai il nuovo Stato. Nell’autunno scorso le forze militari azere, con una pesante offensiva hanno rioccupato 2/3 della regione rovesciandone completamente gli equilibri. Nonostante il cessate il fuoco mediato dalla Russia, questo conflitto è destinato a riaccendersi presto nell’indifferenza di un Occidente molto attento ai diritti umani ma solo quando non disturbano i suoi interessi legati al petrolio e al gas, nella fattispecie quelli azeri che fruttano l’uso di armi non convenzionali, il dispiegamento di mercenari jihadisti e soprattutto il silenzio della comunità internazionale.

Armenia, sorella d’Italia

Una piccola curiosità è sapere che Casa Savoia, seppur formalmente, detiene ancora il titolo di sovrana dell’Armenia e fa pensare quanto questo popolo così lontano sia in realtà profondamente legato con l’Italia. Ci sarebbe tanto da scrivere in merito, dalle comunità della diaspora arrivate sulla nostra penisola per sfuggire al genocidio armeno, dall’isola di San Lazzaro a Venezia che ospita l’ordine dei mechitaristi, dalle testimonianze archeologiche, monumentali e linguistiche che hanno lasciato gli armeni durante il medioevo quando difendevano le coste dell’Italia bizantina dalle incursioni saracene, dalle oltre cento aziende italiane che continuano a investire in questa terra. Un rapporto così ricco che di fatto rende l’Armenia una storica sorella del Belpaese, benché trascurata.

Trincea nella guerra del sangue contro l’oro

La civiltà armena è millenaria, ha affrontato secoli di prepotenze straniere senza mai lasciarsi assorbire (e così morire), è rinata dopo un genocidio che ne aveva decimato la popolazione, ha resistito alla violenza sovietica. L’Armenia sa che da sempre deve sopravvivere e anche oggi è così. La sua forza risiede in una profonda coscienza nazionale forgiata dalla lotta e maturata dall’amore per la propria identità. Lo spirito armeno è espressione di una spiccata sensibilità artistica e culturale, rafforzato da un’autentica religiosità, che ha consentito a questo popolo di avvinghiarsi al proprio patrimonio identitario per affacciarsi sul terzo millennio ancora integro. Ma le nuove sfide sono ancora più impegnative perché oggi il nemico è immateriale, si presenta con i volti affascinanti e menzogneri di “progresso” e “globalizzazione”. Ma per i nuovi sacerdoti arcobaleno non sarà facile travolgere e livellare ai grigi canoni del consumismo questa terra che si regge ancora sulla solidità delle proprie famiglie, focolari di amore, baluardo della tradizione, eredità per le generazioni.

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Tamponi obbligatori e vaccinazioni: nuove restrizioni in Armenia (Osservatorio Balcani e Caucaso 21.10.21)

In Armenia forte impatto della nuova ondata di Covid-19. Il governo approva nuovi vincoli e valuta la possibilità di introdurre un pass sanitario per entrare nei ristoranti e partecipare ai concerti

21/10/2021 –  Armine Avetisyan

Un’altra ondata di Covid sta colpendo l’Armenia. Secondo le statistiche ufficiali, si registrano all’incirca 1000 nuovi casi al giorno. Sale anche il numero dei morti: in questi giorni si sono registrati in media 30 decessi, numero molto alto rispetto alle cifre precedenti. Questo nonostante il paese di quasi 3 milioni di abitanti sia sottoposto a rigide misure per il contenimento della pandemia.

L’Armenia è in quarantena ormai da un anno. Nei luoghi chiusi devono essere indossate le mascherine, utilizzati termometri sia nei luoghi di lavoro che nei luoghi pubblici, e bisogna sempre disinfettarsi le mani. Gli addetti ai controlli – tra cui anche la polizia – effettuano numerose ispezioni nei luoghi pubblici – trasporti pubblici compresi – 7 giorni su 7. Chi viola le restrizioni viene multato. Un’attività economica che viola le norme, ad esempio, è multata tra i 100 e i 300 mila dram armeni (approssimativamente tra i 180 ai 545 euro), e in caso di violazioni ripetute tra i 150 e i 500 mila dram (approssimativamente tra i 270 e i 905 euro).

Il 1° ottobre è entrato in vigore un nuovo regolamento. Per ordine del ministero della Salute armeno, i lavoratori che non sono vaccinati senza avere sostanziali controindicazioni, ogni 14 giorni devono presentare un certificato che confermi il risultato negativo del test PCR COVID-19. In caso di mancanza di certificato vaccinale o di certificato di negatività, come nel caso di violazione degli obblighi di tenuta dei relativi registri, sanzioni amministrative sono applicate dall’organo di ispezione dal 14 ottobre. La violazione della presentazione di certificazione è punibile con una multa che va dai 10 ai 20 mila dram (tra i 18 e i 36 euro) per i lavoratori, mentre da 40 a 120 mila (tra 72 e 218 euro) per i datori di lavoro.

“Sono venuta al policlinico di prima mattina e ho fatto la fila per la vaccinazione: voglio recuperare per la mia sicurezza e per avere un certificato di vaccinazione entro il termine stabilito dal governo”, racconta Lilit, 40 anni, che non si era ancora vaccinata perché Moderna, il vaccino di sua scelta, non era disponibile in Armenia.

Lilit lavora in un’azienda privata; non sono in molti ed hanno opinioni differenti: per alcuni, la vaccinazione è molto importante, mentre altri ci stanno ancora riflettendo. Secondo Lilit, a parte questo, tutti stanno seguendo alla lettera le normative anti-covid, perché capiscono che attraverso queste semplici regole possono ridurre la probabilità di venire contagiati.

“Non ho mai avuto dubbi sul vaccinarmi” aggiunge Lilit che ha studiato le informazioni disponibili su internet riguardo i vaccini e ha aspettato che Moderna arrivasse in Armenia. 50 mila dosi del vaccino Spikevax dalla compagnia americana Moderna sono arrivate in Armenia il 4 ottobre, in dono all’Armenia dal governo lituano. Prima di questo, in Armenia venivano somministrati quattro tipi di vaccini anti-covid: il russo Sputnik V, il britannico-svedese Astra Zeneca, i cinesi CoronaVac e Sinopharm. Dall’inizio delle vaccinazioni in Armenia erano state effettuate – al 10 ottobre – 514.241 vaccinazioni, di cui 344.029 prime dosi e 170.212 seconde dosi, pari rispettivamente all’11.6% e al 5,7% rispetto alla popolazione.

Il numero di persone che hanno scelto di vaccinarsi è aumentato negli ultimi giorni, fatto evidenziato anche dalle code ai centri vaccinali, ma il governo armeno denuncia che non sono ancora sufficienti. Durante una delle ultime riunioni del consiglio dei ministri, il Primo ministro ha richiesto di utilizzare tutte le leve dello stato per questa battaglia. L’esecutivo armeno ha stanziato più di 2,4 miliardi di dram armene per la prevenzione, il controllo e la cura del Covid-19.

Se a settembre la media di persone vaccinate era di 6.000 al giorno, questo mese il numero è raddoppiato. Affinché le vaccinazioni non portino a lunghe code, i medici armeni effettuano anche vaccinazioni ambulatoriali. Inoltre, se lo si desidera, un gruppo di specialisti visita aziende, dipartimenti, istituzioni educative ed effettua la vaccinazione sul posto.

“L’intera infrastruttura è pronta per effettuare un gran numero di vaccinazioni. Aggiungo che la vaccinazione non esclude la malattia, ma riduce il rischio di contagio”, ha riferito la ministra della Salute armena Anahit Avanesyan durante una recente conferenza stampa, aggiungendo che l’entrata in vigore delle misure restrittive così tardi è stata una lacuna del suo dipartimento.

Secondo la ministra, al momento stanno valutando l’opzione di richiedere certificazione di negatività da Covid o di vaccinazione per entrare nei ristoranti e partecipare ai concerti.

“Ci stiamo lavorando, raccogliendo esperienze sul funzionamento di questi meccanismi di regolazione. Il piano preliminare sarà pronto a breve, entro le prossime due settimane”.

Simili misure stringenti sono già in campo in un gran numero di paesi in tutto il mondo. L’obiettivo è lo stesso: superare l’emergenza pandemica e tornare a una vita normale. Secondo l’immagine fornita da Reuters, le tre migliori campagne vaccinali sono portate avanti dagli Emirati Arabi (96% di copertura), dal Portogallo (87,2%) e da Cuba (84,4%). Gli specialisti informano che da due settimane dopo la seconda dose, anche se la persona viene contagiata, i sintomi sono molto più lievi e il peggioramento delle condizioni è poco probabile.

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«Right to Read». Il salone del libro lancia il progetto per i bimbi africani e armeni (Panorama.it 21.10.21)

Il Salone Internazionale del Libro di Torino torna nella sua versione off-line, quella originaria, con la gioia degli espositori , dei visitatori e di una Torino felice di accogliere questo turismo letterario, in ricordo della propria eredità di città luminosa ed energizzante, in cui in passato hanno vissuto scrittori stranieri del calibro di Twain, Gogol, Nietzsche, Melville e Dumas.

Dal 14 al 18 ottobre si sono susseguiti incontri, presentazioni, esibizioni musicali e proiezioni : la cultura che ruota attorno alla cultura, la bellezza che circonda i diversi contenuti di chi la racconta.Protagonisti i libri e le case editrici, fatte di persone che hanno dedicato la propria vita a diffondere cultura portando luce, informando, facendo sognare e riflettere. Si è liberi quando si sa cosa scegliere e si sa cosa scegliere quando si è scoperto il mondo. Marcel Proust in merito a questo aspetto diceva “Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi.” E un bambino in risposta a questa citazione chiederebbe : dove si trovano degli occhi nuovi? Illuminarsi e aprirsi al nuovo implica volontà e coraggio, la visione di voler scoprire nuovi punti di vista, ascoltare storie lontane dalle nostre, riflettere su problematiche distanti dal nostro quotidiano.Purtroppo però leggere , questo misterioso viaggio verso l’ignoto, non è qualcosa che tutti si possono permettere in questo pianeta, per via di una guerra che impedisce l’accesso ai luoghi di cultura o perché un libro può costare metà del proprio salario o perché se si è donne non si ha il diritto di istruirsi.
La Fondazione Circolo dei Lettori e l’Assessorato alla Cooperazione Internazionale Regione Piemonte hanno realizzato il progetto “Right to Read- Leggere è un Diritto”: un’iniziativa tesa a costruire o integrare biblioteche scolastiche dove l’infanzia è minacciata da conflitti o crisi umanitarie.
Questo progetto di diffusione culturale e letteraria è stato presentato durante una conferenza organizzata all’Arena Piemonte del Salone Internazionale del Libro di Torino domenica 17 ottobre.
Maurizio Marrone , Assessore alla Cooperazione Internazionale Regione Piemonte , ed Elena Loewenthal, Direttore Fondazione Circolo dei Lettori, hanno presentato l’iniziativa sottolineando l’importanza della cultura nella rinascita di un popolo nelle zone colpite da guerre, povertà e crisi umanitarie.
Durante la conferenza sono intervenuti vari ospiti tra cui : D’Agostino, presidente dell’associazione Fiori di Ciliegio, che ha realizzato l’installazione artistica a forma di cuore legata al progetto; il Sindaco di Racconigi ,Oderda, che coopera con Capo Verde; Zanetta ,Vicesindaco di Borgomanero e Vicepresidente dell’ANCI Piemonte, che coopera in Benin ; Stefania Valentini, Vicepresidente della Fondazione Hope che interviene in Siria; Gayané Khodaveerdi, presidente di AGBU Milan (Armenian General Benevolent Union) che coopera per la creazione della biblioteca di una scuola armena in Artsakh; il coordinatore dei Programmi del CISV di Torino, OSC Marco Alban che interviene in Senegal ; l’associazione Help che da anni opera in Kosovo.


Ben 12 scuole riceveranno una fornitura di libri e una donazione in denaro per allestire e arredare le biblioteche scolastiche. Il progetto si inserisce nel più ampio quadro delle politiche regionali tese a favorire lo sviluppo e la collaborazione tra differenti territori .In Kosovo l’intervento raggiungerà una scuola di Banja, dove le tensioni etniche dei Balcani sottopongono le enclavi ortodosse serbe a discriminazioni e violenze. In Artsakh, l’enclave armena del Nagorno-Karabakh, il progetto costruirà una biblioteca scolastica nella capitale Stepanakert, colpita dai recenti bombardamenti azeri , così come avverrà nelle due cittadine ucraine di Jassinovataja e Debal’tsevo. In Burkina Faso, in Benin, in Guinea Conakry e in Senegal, luoghi da tempo aiutati dalla Regione Piemonte, saranno inviati libri e attrezzature per le biblioteche .Sull’isola di Fogo a Capo Verde gli studenti delle scuole comunali riceveranno libri e attrezzature per la biblioteca. A Maaloula in Siria, la Regione Piemonte ha sostenuto la ricostruzione dell’asilo San Giorgio, a cui verranno donati dei libri.
Citando l’Assessore Marrone “Sogno che in ogni luogo colpito da fame e guerra i bambini possano avere un posto sicuro dove viaggiare con la fantasia, ispirati dalla bellezza della letteratura a ricostruire le loro nazioni: in questi luoghi sarà presente con una targa esplicativa il Piemonte di cui andiamo orgogliosi.”
Il diritto alla lettura, il diritto alla scelta, il diritto alla rinascita : per i bambini di oggi e gli illuminati di domani.

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ARMENIAN PHILHARMONIC Niente concerti per un positivo (La Nazione 21.10.21)

Annullati i concerti della Armenian National Philharmonic Orchestra, dopo l’identificazione di un soggetto positivo. I promotori parlano di ’motivi tecnici’ ma l’annullamento sembra legato a motivi sanitari.

I due straordinari concerti erano in programma martedì e ieri sera al teatro dei Rinnovati, ed era prevista anche un’esibizione, con tutti gli orchestrali al Teatro Verdi di Firenze stasera. Le due serate senesi e quella fiorentina sono dunque saltate di fronte a motivi di sicurezza, che non hanno consentito l’esibizione.

L’Orchestra Nazionale Filarmonica Armena in tour in Italia, era stata invitata a fare tappa a Siena dal Comune e l’Accademia Chigiana in collaborazione con il Centro Studi e Documentazione della Cultura Armena. L’Orchestra, dal 2000 sotto la direzione di Eduard Topchjan, è stata istituita nel 1925: sin dall’inizio della sua attività è impegnata in tournées nazionali e internazionali, ricoprendo il ruolo di ambasciatrice della musica armena nei cinque continenti; negli anni ha collaborato con artisti e direttori d’orchestra e ha saputo diventare efficace mezzo di diffusione della cultura e della musica armena in Europa e nel mondo.

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Rai: Sono 41 i Paesi partecipanti al 66° Eurovision a Torino (Anche l’Armenia) – (Lospiffero.it 20.10.21)

Emittenti pubbliche di 41 Paesi parteciperanno all’Eurovision Song Contest, il più grande evento musicale dal vivo del mondo che si terrà a Torino il prossimo maggio. Il 66° Eurovision Song Contest, organizzato dall’European Broadcasting Union (EBU) e dal suo membro italiano Rai, si terrà al PalaOlimpico di Torino il 10, 12 e 14 maggio 2022 e tutte le 39 emittenti partecipanti all’edizione 2021 torneranno l’anno prossimo. A loro si uniranno RTCG del Montenegro e l’emittente nazionale armena ARMTV che ha gareggiato l’ultima volta nel 2019, anno in cui furono ancora 41 i Paesi partecipanti. Martin Oesterdahl, supervisore esecutivo dell’Eurovision Song Contest, ha dichiarato: “Siamo entusiasti di avere ancora una volta oltre 40 emittenti in competizione per vincere l’iconico trofeo Eurovision a Torino, il prossimo maggio. Il team della Rai sta lavorando alacremente ai preparativi per accogliere tutte le delegazioni in una nuova città ospitante e garantire che l’Eurovision Song Contest porti il divertimento e lo spettacolo all’avanguardia attesi da quasi 200 milioni di spettatori”. Simona Martorelli e Claudio Fasulo della Rai hanno aggiunto: “Dopo 31 anni, l’Italia e’ orgogliosa di ospitare di nuovo l’Eurovision Song Contest! Come Executive Producers, siamo incredibilmente entusiasti di allestire questo straordinario evento e di accogliere delegazioni provenienti da 41 nazioni a Torino il prossimo anno. Soprattutto, crediamo fortemente che l’Eurovision Song Contest ci permetterà di mostrare e condividere la bellezza dell’Italia con un pubblico globale attraverso gli elementi che ci uniscono tutti: musica e armonia”. Delle 41 nazioni partecipanti, 36 si sfideranno in due semifinali e le 10 canzoni vincitrici di ogni semifinale si uniranno per la Finalissima ai “Big 5”: Francia, Germania, Spagna, Regno Unito e Italia, Paese organizzatore. L’Italia ha vinto il diritto a organizzare l’evento del prossimo anno durante il Contest del maggio scorso, quando i Maneskin hanno regalato al proprio Paese la sua prima vittoria dal 1990 con la canzone “Zitti e Buoni”. La Rai ospiterà per la terza volta l’Eurovision Song Contest dopo aver già ospitato l’evento a Napoli nel 1965 e a Roma nel 1991. Maggiori dettagli sull’Eurovision Song Contest 2022, tra cui lo slogan per l’evento e i dettagli sulla vendita dei biglietti, saranno rivelati nei prossimi mesi. I seguenti paesi (e le emittenti membri dell’EBU) parteciperanno all’Eurovision Song Contest 2022 a Torino: Albania (RTSH) Armenia (AMPTV) Australia (SBS, associato EBU) Austria (ORF) Azerbaigian (Ictimai TV) Belgio (RTBF) Bulgaria (BNT) Croazia (HRT) Cipro (CyBC) Repubblica Ceca (CT) Danimarca (DR) Estonia (ERR) Finlandia (YLE) Francia (FT) Germania (ARD/NDR) Georgia (GPB) Grecia (ERT) Islanda (RUV) Irlanda (RTE) Israele (KAN) Italia (RAI) Lettonia (LTV) Lituania (LRT) Malta (PBS) Moldavia (TRM) Montenegro (RTCG) Paesi Bassi (AVROTROS) Macedonia del Nord (MKRTV) Norvegia (NRK) Polonia (TVP) Portogallo (RTP) Romania (TVR) Russia (RTR) San Marino (RTV) Serbia (RTS) Slovenia (RTVSLO) Spagna (TVE) Svezia (SVT) Svizzera (SRG SSR) Ucraina (UA:PBC) Regno Unito (BBC).

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Iran e Azerbaijan: la crisi dei camion (Osservatorio Balcani e Caucaso 20.10.21)

Dopo due settimane di tensioni crescenti tra Iran e Azerbaijan ora pare finalmente che si sia ridato voce alla diplomazia. Al centro della crisi le rotte commerciali che passano attraverso il Nagorno Karabakh

20/10/2021 –  Marilisa Lorusso

Seppur in misura minore dell’Armenia e dell’Azerbaijan, ma anche l’Iran ha risentito del blocco dei traffici seguito alla prima guerra del Nagorno Karabakh  . Nel periodo sovietico e fin da prima della Seconda guerra mondiale, Armenia e Azerbaijan erano collegati da una ferrovia che proseguiva fino al Nakhchivan e che correva lungo il confine iraniano. L’Iran si era collegato con un proprio ramo a questa rete e da questo transito dipendevano nel 1990 il 10% delle importazioni nazionali iraniane. Con la distruzione di questa connessione – arrivata col primo conflitto del Nagorno Karabakh – l’Iran ha perso l’unica strada ferrata di collegamento commerciale con il Caucaso. Le ferrovie rimaste, l’Armenia-Georgia e la Azerbaijan-Russia, sono troppo distanti e non integrate nel sistema ferroviario iraniano.

Sono tre decenni che l’Iran dimostra interesse per ricreare una o più vie di trasporto per le proprie esportazione e importazioni. Nel 2005 Russia-Azerbaijan-Iran hanno concordato la costruzione della linea Astara-Rasht-Qazvin, di cui l’ultimo tronco è effettivamente operativo dal 2018, mentre la sezione azero-iraniana è in ritardo anche per via delle sanzioni internazionali contro l’Iran. Nel 2008 un accordo armeno-iraniano ha sancito la nascita del progetto Yerevan-Tabriz, che però deve ancora trovare i fondi per essere realizzato.

Dopo le dichiarazioni congiunte azero-armene del 10 novembre 2020 e dell’11 gennaio 2021 che hanno messo fine ai combattimenti della seconda guerra del Nagorno Karabakh e previsto la riapertura di tutte le vie regionali di commercio e di interscambio, l’Iran si augura il ripristino della tratta ferroviaria Azerbaijan-Armenia-Nakhchivan che, combinata con il progetto già in corso e con quello sottoscritto tra Iran ed Armenia, integrerebbe il paese in un sistema di trasporti su rotaia nel Caucaso e lo inserirebbe nella Nuova Via della Seta.

L’Iran non fa parte dei gruppi tecnici nati dopo la fine del secondo conflitto nel Karabakh che si occupano degli studi di fattibilità e della possibile attuazione dei progetti (gruppi tripartiti russo-armeno-azeri), ma chiaramente è una delle parti più interessate. Per questo ha ben accolto la proposta russa di creare un tavolo 3+3, cioè i 3 paesi caucasici di Georgia, Armenia, Azerbaijan e i tre confinanti, Turchia, Russia, Iran per la gestione del rilancio commerciale e infrastrutturale dell’area. Mentre questa proposta si scontra con le spigolosità reciproche dei paesi che ne dovrebbero fare parte (particolarmente difficile la relazione russo-georgiana), l’Iran cerca di ottimizzare quello che ha attualmente a propria disposizione: il trasporto su strada, con le vie che già esistono e la diplomazia.

La crisi di Kapan-Goris

Per perorare la causa degli interessi iraniani nel Caucaso il ministero degli Esteri iraniano e poi quello delle Infrastrutture hanno visitato due volte nel 2021 l’area, recandosi sia in Armenia che in Azerbaijan, a gennaio e a giugno. A settembre, dopo una serie di allusioni a “mezzi stranieri” che si recano in Karabakh senza l’autorizzazione di Baku, è scoppiata la crisi dell’autostrada Kapan-Goris: l’Azerbaijan ha cominciato a bloccare i camion iraniani che attraverso quella autostrada riforniscono sia l’Armenia che il Nagorno Karabakh.

Il presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliyev aveva espresso rimostranze anche sull’attività dei peacekeeper russi che non fermavano questi mezzi in ingresso in Karabakh. Secondo Baku infatti il Nagorno Karabakh non esiste più come regione a parte, il suo statuto autonomo è stato abolito, e l’unico motivo per cui l’Azerbaijan non entra nel territorio abitato dagli armeni è che ha concordato un periodo transitorio di presenza militare russa, durante il quale gli abitanti della regione, secondo Baku, dovrebbero accettare il ritorno alla piena cittadinanza azerbaijana. Pertanto il Karabakh è per Baku Azerbaijan: transito, importazioni ed esportazioni devono essere quindi essere autorizzati da Baku.

L’escalation

“È irrispettoso verso di noi, verso l’integrità territoriale dell’Azerbaijan, […] All’inizio di ogni mese registravamo i dati su quanti camion partivano, quanti entravano, cosa portavano, cosa portavano fuori. Abbiamo tutte le informazioni, comprese le targhe. […] E allora che hanno fatto? Hanno cercato di installare targhe armene sui camion iraniani. Hanno fatto ricorso a una tale truffa. Hanno cercato di ingannarci. Hanno fatto un lavoro così incompetente che c’erano iscrizioni in persiano sulle cisterne ma numeri armeni sotto. […] abbiamo emesso una nota diplomatica ufficiale, l’ambasciatore iraniano in Azerbaijan è stato convocato al ministero degli Esteri. Gli sono state presentate lamentele e gli abbiamo chiesto di porre fine a questo. Questo è successo a metà agosto.” Così Ilham Aliyev  a fine settembre sul crescente nervosismo di Baku per i commerci Karabakh-Iran. Lo scontro verbale è avvenuto sullo sfondo di esercitazioni militari iraniane presso i confini azerbaijani, anche queste criticate da Baku, cosa che ha a sua volta irritato Teheran. Alle parole di Aliyev il ministro degli Esteri iraniano ha anche risposto  che Teheran non tollera la presenza del regime israeliano lungo i propri confini.

La questione della supposta presenza israeliana nelle zone riconquistate ha contribuito a una escalation verbale. L’Azerbaijan ha rapporti intensi con Israele, è acquirente delle sue armi  , i droni israeliani sono stati usati nell’ultimo conflitto e stando a fonti israeliane Baku sta ponderando l’acquisto  del sistema missilistico ipersonico israeliano Arrow 3 che rafforzerebbe notevolmente le capacità difensive del paese. Secondo l’Ambasciatore israeliano a Mosca la loro presenza militare in Karabakh: “È una gran stupidaggine, perché stiamo parlando della regione del Nagorno Karabakh che è presidiata da militari russi e turchi. A questo punto, fantasia per fantasia, dicano che ci sono i marziani”.

Il 30 settembre l’Iran ha lanciato nuove esercitazioni  delle forze di terra lungo il confine con l’Azerbaijan. Dopo cinque giorni Teheran ha chiuso lo spazio aereo  ai mezzi militari azerbaijani e dopo due giorni Turchia e Iran hanno reciprocamente chiuso i confini  ai rispettivi camion. È intervenuta nella crisi anche la Russia, dopo un bilaterale a Mosca fra il ministro degli Esteri iraniano e russo, che ha esortato ad attivare il formato 3+3 e ad escludere paesi terzi dalla regione come prevede la Convenzione sul Caspio, tra l’altro non ratificata proprio dall’Iran e quindi non ancora in vigore.

Dopo due settimane di crescenti tensioni, il 13 ottobre una telefonata fra i ministri degli Esteri azerbaijano Jeyhun Bayramov e iraniano Hossein Amir-Abdollahian ha riportato in primo piano la diplomazia, con le parti che si sono impegnate a risolvere la crisi  attraverso canali negoziali. Sicuramente una dichiarazione più promettente del tweet  dell’Ayattolah Ali Khamenei a inizio mese: “Chi scava una buca ai propri fratelli, ci cadrà dentro per primo”.

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Lo scandalo dei passaporti vaccinali falsi in Armenia (Globalvoices 19.10.21)

Questo articolo di Ani Avetisyan è stato precedentemente pubblicato [en] su OC Media. Ripubblichiamo qui una versione ridotta, grazie a un accordo di collaborazione relativo alla pubblicazione dei contenuti. 

Il 13 ottobre scorso, sei operatori sanitari del Gyumri Family Medical center, nella provincia di Shirak in Amernia, sono stati sottoposti a fermo dopo che gli inquirenti hanno scoperto che la struttura stava distribuendo certificati vaccinali falsi. Secondo quanto riportato dal verbale ufficiale, i membri dello staff stavano emettendo i certificati falsi in cambio di mazzette, che andavano dalle 5,000 alle 10,000 dram armene (corrispondenti a 10–20 dollari).

In base a quanto stimato dalle autorità, sono più di 700 le persone che hanno comprato i certificati vaccinali falsi a Gyumri — seconda città armena per grandezza.

Il giorno precedente, i Servizi di Sicurezza Nazionale avevano comunicato l’arresto di un infermiere di una clinica a Yeranos, nella provincia di Gegharkunik, colpevole di aver distribuito certificati vaccinali falsi ai residenti.

Gli arresti sono arrivati poco dopo l’annuncio del Primo Ministro Nikol Pashinyan, il quale aveva manifestato una certa insoddisfazione nei confronti del numero ridotto di vaccinati nel paese. In una riunione governativa del 7 ottobre, Pashinyan aveva affermato che stava affidando una “sfida” agli organi dello stato: “Andate e risolvete la situazione”.

Nello specifico, aveva richiesto alle forze dell’ordine di inasprire i controlli sui falsi documenti vaccinali.

“Ai Servizi di Sicurezza Nazionale e alla Polizia: Non voglio più sentir parlare di vaccinazioni false. Arrestateli.” aveva detto.

L’unico arresto di questo tipo, precedente agli ordini impartiti da Pashinyan era avvenuto a Yerevan dove, secondo quanto riportato, un medico avrebbe emesso passaporti vaccinali falsi in cambio di denaro.

La questione dei certificati vaccinali falsi è nata con l’introduzione nel paese della vaccinazione obbligatoria per tutti i lavorati o, in alternativa, l’effettuazione ogni due settimane di test molecolari a pagamento.

Nella giornata di giovedì, il Ministero della Salute ha annunciato che i certificati vaccinali o i test molecolari verranno presto richiesti anche per accedere a bar, ristoranti e altri luoghi pubblici.

Mentre i casi giornalieri di COVID-19 continuano a crescere e la media di decessi è di 20 persone al giorno, solo il 6% circa della popolazione è completamente vaccinata. Il numero di persone che hanno ricevuto almeno una dose si aggira intorno alle 500,000, ovvero il 12% circa della popolazione totale.

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