RICORDARE IL PASSATO, VIGILARE IL PRESENTE, TEMERE IL FUTURO (Politicamentecorreto 21.04.23)

RICORDARE IL PASSATO, VIGILARE IL PRESENTE, TEMERE IL FUTURO

Nel 108° anniversario dell’inizio del genocidio (24 aprile 1915) che causò la morte di un milione e mezzo di armeni, associazioni e comunità armene in Italia ribadiscono il fondamentale valore della Memoria come strumento necessario ad impedire nuove tragedie e ad educare le giovani generazioni al rispetto e alla tolleranza.

L’indifferenza, o peggio la negazione, elevano la barbarie ad atto ammissibile. L’equidistanza tra vittime e carnefici si trasforma in complicità con i secondi.

Per tali ragioni, ancora una volta, gli Armeni – in Italia e in ogni continente – ricordano la Giornata della Memoria armena e ringraziano quanti si uniscono a loro nel momento del raccoglimento.

Un filo rosso sangue unisce però il “Grande male” del 1915 all’attualità.
Le minacce dell’Azerbaigian rivolte verso gli armeni del Nagorno Karabakh-Artsakh (da oltre quattro mesi isolati dal resto del mondo a causa del blocco dell’unica strada di collegamento con l’esterno) e le pretese territoriali sulla stessa repubblica di Armenia richiamano le teorie nazionaliste dei Giovani Turchi e mettono a rischio la sicurezza delle popolazioni.

L’occupazione di porzioni del territorio sovrano della repubblica di Armenia, i recenti attacchi militari con conseguente sacrificio di centinaia di vite, unitamente alla consueta retorica minacciosa dell’autocrate Aliyev, sono un pericolo per il popolo armeno ma anche per tutti quei popoli che credono nei valori della democrazia e dell’autodeterminazione.

Per questi motivi, il ricordo del genocidio armeno del 1915 assume un valore che va oltre la mera ricorrenza storica.

Associazioni e comunità armene in Italia confidano che cittadini e istituzioni italiane dimostrino ancora una volta vicinanza al popolo armeno.

Coordinamento delle organizzazioni armene in Italia

Cerimonia commemorativa per il 108esimo anniversario del genocidio armeno (Padovaoggi 21.04.23)

QUANDODal 24/04/2023 al 24/04/202310.30
ALTRE INFORMAZIONISito web padovanet.it
In occasione del 108° anniversario del Genocidio armeno, lunedì 24 aprile alle ore 10.30 nel cortile di Palazzo Moroni, si terrà la cerimonia commemorativa organizzata dal Comune di Padova in collaborazione con l’associazione Italiarmenia.

Dopo la deposizione di una corona di alloro presso il bassorilievo in bronzo, a ricordo dei martiri del Genocidio armeno, interverranno il sindaco Sergio Giordani, il rappresentante della Comunità Armena e dell’Associazione Italiarmenia Aram Giacomelli e Padre Hamazasp Kechichian della Congregazione Mechitarista dell’Isola di San Lazzaro degli Armeni di Venezia.

Alle ore 11.30, inoltre, nella Chiesa di S. Andrea verrà celebrata una Liturgia in rito armeno, in memoria dei martiri del Genocidio degli Armeni, officiata dai Padri della Congregazione Mechitarista dell’isola di San Lazzaro degli Armeni di Venezia.

Info web

https://www.padovanet.it/notizia/20230421/comunicato-stampa-cerimonia-il-108%C2%B0-anniversario-del-genocidio-armeno

24 Aprile. Giorno del ricordo dell’ eccidio del popolo armeno (Viverefano 21.04.23)

Fano 21/04/2023 – In occasione del 24 Aprile, l’associazione culturale Ex Concordia Felicitas organizza un incontro con alcuni rappresentanti del popolo armeno in Italia per Sabato 22 Aprile alle ore 17.30 presso Sala Capitolare del ex Convento di Sant’Agostino in Via Vitruvio 9.

Esistono notizie di serie A e notizie di serie B, come pure esistono tragedie di serie A e tragedie di serie B. Ci sono notizie riportate da tutti i mass media e ce ne sono altre che invece sfuggono, non di se bene per quale ragione…. e l’opinione pubblica resta all’oscuro….

Nessuno parla dell’eccidio armeno e della situazione degli armeni che stanno rischiando di morire di fame nel Nagorno Karabakh, perché gli Azeri, hanno chiuso da mesi l’unica strada che collega il Nagorno Karabakh con l’Armenia. Scarseggiano i medicinali e i viveri, che sono stati razionati; scuole e asili sono stati chiusi. Negli ospedali non si fanno più interventi, salvo che per le emergenze. L’economia è ovviamente collassata…

Parleremo anche di questo.

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131° giorno del #ArtsakhBlockade. Vorrei… eppure, eccoci qui (Korazym 21.04.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 21.04.2023 – Vik van Brantegem] – Oggi è il 131° giorno che l’Azerbajgian tiene il popolo dell’Artsakh sotto un illegale e immorale assedio. E vorrei…

«Vorrei che questo conflitto in Artsakh trovasse una soluzione pacifica.
Vorrei che il popolo dell’Artsakh non fosse sotto blocco.
Vorrei che i bambini avessero lotte quotidiane regolari piuttosto che la preoccupazione della guerra e della pulizia etnica.
Vorrei che i bambini aspirassero ad essere ciò che vogliono nella vita e ad avere quel futuro in Armenia e Artsakh.
Vorrei che non ci fosse più la guerra nella regione.
Vorrei scrivere i miei giovedì pensierosi.
Vorrei passare il tempo a fare qualcos’altro.
Eppure eccoci qui.
Ho iniziato a scrivere perché non sapevo cos’altro fare.
Ho iniziato a scrivere per me stesso.
Ho iniziato a scrivere perché stavo cominciando a impazzire, sentendomi così impotente. Era la mia liberazione, ed è stata la mia liberazione quotidiana.
Mi sento obbligato a fare qualcosa.
Mi sento ancora impotente, ma spero che i miei scritti raggiungano qualcuno. Almeno mi hanno permesso di raggiungere le persone che ho incontrato in Artsakh e riaccendere la nostra relazione. Per lo meno, spero di mostrare loro che ci sono persone al di fuori dell’Artsakh che li hanno nei loro pensieri.
Non so cos’altro fare, quindi continuerò a scrivere per me stesso. Si spera che possa fornire qualcosa per gli altri» (Varak Ghazarian – Medium.com, 20 aprile 2023 – Nostra traduzione italiana dall’inglese).

Varak Ghazarian esprime esattamente mio pensiero. Anch’io scrivo per me stesso e spera che posso fornire qualcosa per chi legge. Continuo a scrivere perché mi sento impotente e per mostrare alla gente dell’Artsakh che le ho nei miei pensieri… e spero in quelli dei miei lettori. Vorrei giustizia per tutti i crimini di guerra azeri in corso. Vorrei giustizia per il #ArtsakhBlockade. Vorrei giustizia per tutte le azioni di pulizia etnica in corso. Ma sarei già felice se il popolo di Artsakh fosse libero di vivere in pace nella propria terra.

Si è conclusa ieri in Artsakh la Spartakiad di pallavolo con la partecipazione delle squadre femminili delle scuole. Il team Stepanakert detiene il titolo di vincitore per un altro anno. I membri del team sperano che il #ArtsakhBlockade finisca e possano partecipare alla fase finale che si terrà a Yerevan in autunno.

«Oggi nell’Artsakh operano tre organizzazioni: l’Unione Europea, le Nazioni Unite e la Croce Rossa. Solo la Croce Rossa entra e esce. Gli altri non entrano nemmeno. Guardano e basta. L’Artsakh/Nagorno-Karabakh è bloccato da 131 giorni. #ArtsakhBlockade» (Fernando Andrade, giornalista di Rádio CBN, Brasile).

Artsakh vive

«Ricordavo le parole di Winston Churchill quando gli fu chiesto di tagliare i fondi per le arti a favore dello sforzo bellico: “Allora per cosa stiamo combattendo?” L’Orchestra Jazz Statale dell’Artsakh organizzerà una giornata jazz in #ArtsakhBlockade, e non posso essere più che d’accordo con questo» (Irina Safaryan).

L’Orchestra Jazz Statale dell’Artsakh presenta la Giornata Internazionale del Jazz in Artsakh “Artsakh vive”

Il 30 aprile 2023 alle ore 19.00 presso il Forrest Hub in via Naberezhnaya 3 a Stepanakert, l’Orchestra Jazz Statale dell’Artsakh (Direttore Tigran Suchyan e Direttore Artistico Eduard Danielyan), con il Complesso di Strada Statale dell’Artsakh, il Nova Band e il Step Band, ospiteranno un concerto congiunto dal titolo “Artsakh vive”, dedicato alla Giornata Internazionale del Jazz. Il concerto è sostenuto dal Ministero dell’Istruzione, Scienza, Cultura e Sport dell’Artsakh, dal Comune di Stepanakert e dall’organizzazione giovanile Frontartsakh https://frontartsakh.com/.

Il Ministero della Difesa dell’Armenia ha riferito che il 20 aprile, tra le ore 15.40 e le 19.00, le loro posizioni militari e le persone che stavano svolgendo lavori di fortificazione su di esse vicino a Verin Shorzha sono state prese di mira dalle forze armate dell’Azerbajgian. Nessun ferito riportato.

Il Difensore dei Diritti Umani dell’Artsakh ha riferito che il 18 aprile, intorno alle ore 12:00, le forze armate dell’Azerbajgian hanno aperto il fuoco su civili che conducevano lavori agricoli nel villaggio Aknakhbyur della regione di Askeran della Repubblica di Artsakh. Il lavoro agricolo è stato sospeso, non sono state segnalate vittime. Il terrore azero contro i lavori agricoli continua nello spirito della totale impunità.

Terrorizzare gli Armeni e commettere crimini di guerra sembra essere uno dei passatempi preferiti in Azerbajgian.

Il Ministero della Difesa dell’Azerbajgian sta diffondendo false informazioni per giustificare la loro potenziale aggressione contro l’Artsakh. Dopo che le forze armate azere hanno preso il controllo della strada sterrata che collega l’Armenia con l’Artsakh e stabilito posizioni sulle alture, completando l’attrezzatura ingegneristica delle loro posizioni, probabilmente hanno deciso di tagliare completamente questa strada. Come parte dei loro sforzi per giustificare la loro potenziale aggressione, stanno diffondendo un video che ritrae un convoglio di forze di mantenimento della pace russe, accusando falsamente il contingente russo di mantenimento della pace e le autorità della Repubblica di Artsakh di trasferire truppe e armi dall’Armenia attraverso questa strada.

«L’Armenia non risponde alle proposte di pace dell’Azerbajgian e continua a inviare armi, soldati, mine nel territorio sovrano dell’Azerbajgian utilizzando le strade non asfaltate» (Nasimi Aghaev).

Ovviamente, il pappagallo che Aliyev tiene come Ambasciatore dell’Azerbajgian in Germania, tale Nasimi Aghaev, con la faccia di bronzo non perde tempo a diffondere la fake news.

Il Ministero della Difesa dell’Armenia ha smentito le affermazioni del Ministero della Difesa dell’Azerbajgian secondo cui un convoglio militare delle forze armate dell’Armenia, accompagnato dalle forze di mantenimento della pace pace russe, sarebbe entrato nel Nagorno-Karabakh. «Anche tutte le affermazioni del Ministero della Difesa dell’Azerbajgian riguardo al trasferimento di personale, armi ed equipaggiamento militare delle forze armate dell’Armenia sono false», ha aggiunto il Ministero della Difesa dell’Armenia in una dichiarazione.

«SOS. Aiutatemi urgentemente. Sono il blogger politico azero Manaf Jalilzade. Tutte le organizzazioni internazionali per i diritti umani per favore aiutatemi urgentemente. Lo Stato svizzero mi deporterà in Azerbajgian il 27 aprile. Se vengo deportato in Azerbajgian, il regime del dittatore Aliyev mi ucciderà con gravi torture. Non permettere allo Stato svizzero di mandarmi nella prigione del dittatore Aliyev. La mia vita è in pericolo» (Manaf Jalilzade).

Di Manaf Jalilzade qualche volta abbiamo riportato dei post, l’ultima volta il 13 aprile 2023: «Il Presidente dell’Azerbajgian sta trasferendo artiglieria pesante Dana da 152 mm e lanciarazzi multipli Smerch da 300 mm nell’area di Lachin (Berdzor). Il dittatore Aliyev si sta preparando per una guerra più sanguinosa questa volta. Se la gente di entrambi i paesi non si alzeranno e fermeranno la guerra, questa guerra causerà la morte di migliaia di persone da entrambe le parti. Al terrorista Aliyev piace uccidere le persone. Popolo dell’Azerbajgian, o poveri, non mandare a morire i vostri poveri figli. Ayağa qalx Azərbaycan, Diktator Əliyev balalarınızı qıracaq [Alzati Azerbajgian, il dittatore Aliyev massacrerà i tuoi figli]» (Manaf Jalilzade).

24 aprile – Giornata della Memoria Armena
Ricordare il passato, vigilare il presente, temere il futuro

Nel 108° anniversario dell’inizio del genocidio (24 aprile 1915) che causò la morte di un milione e mezzo di Armeni, associazioni e comunità armene in Italia ribadiscono il fondamentale valore della Memoria come strumento necessario ad impedire nuove tragedie e ad educare le giovani generazioni al rispetto e alla tolleranza.

L’indifferenza, o peggio la negazione, elevano la barbarie ad atto ammissibile. L’equidistanza tra vittime e carnefici si trasforma in complicità con i secondi.

Per tali ragioni, ancora una volta, gli Armeni – in Italia e in ogni continente – ricordano la Giornata della Memoria armena e ringraziano quanti si uniscono a loro nel momento del raccoglimento.

Un filo rosso sangue unisce però il “Grande male” del 1915 all’attualità.

Le minacce dell’Azerbajgian rivolte verso gli Armeni del Nagorno-Karabakh/Artsakh (da oltre quattro mesi isolati dal resto del mondo a causa del blocco dell’unica strada di collegamento con l’esterno) e le pretese territoriali sulla stessa Repubblica di Armenia richiamano le teorie nazionaliste dei Giovani Turchi e mettono a rischio la sicurezza delle popolazioni.

L’occupazione di porzioni del territorio sovrano della Repubblica di Armenia, i recenti attacchi militari con conseguente sacrificio di centinaia di vite, unitamente alla consueta retorica minacciosa dell’autocrate Aliyev, sono un pericolo per il popolo armeno ma anche per tutti quei popoli che credono nei valori della democrazia e dell’autodeterminazione.

Per questi motivi, il ricordo del genocidio armeno del 1915 assume un valore che va oltre la mera ricorrenza storica.

Associazioni e comunità armene in Italia confidano che cittadini e istituzioni italiane dimostrino ancora una volta vicinanza al popolo armeno.

Coordinamento delle organizzazioni armene in Italia

Il governatore di Istanbul vieta per il secondo anno consecutivo l’evento di commemorazione del genocidio armeno

“Affrontare il 1915 è un passo necessario per costruire la democrazia, l’uguaglianza e la coesistenza pacifica su solide basi oggi”, ha affermato la piattaforma commemorativa del 24 aprile.
Il divieto di İstanbul di commemorare il genocidio armeno continua quest’anno, poiché l’ufficio del governatore ha ancora una volta proibito un evento previsto nel distretto di Kadıköy. La piattaforma commemorativa del 24 aprile ha affermato che il motivo del divieto era che si riteneva “inappropriato” tenere l’evento. Anche la commemorazione dello scorso anno è stata vietata dal governatore e nei due anni precedenti l’evento si è tenuto online a causa della pandemia.
Il genocidio armeno viene ricordato ogni anno il 24 aprile, che segna l’arresto di oltre 200 intellettuali a Istanbul nel 1915, ampiamente considerato come l’inizio del genocidio.
La Piattaforma della commemorazione del 24 aprile, che dal 2010 organizza eventi commemorativi, ha criticato il divieto del governatore, affermando che gli eventi commemorativi si sono sempre svolti senza problemi nonostante siano stati presi di mira da vari poteri dal 2010: «Non c’è motivo ragionevole perché quest’anno il nostro evento di commemorazione sia vietato, come lo è stato l’anno scorso. In un clima in cui si organizzano liberamente incontri e manifestazioni razziste, in cui coloro che continuano a demonizzare i discendenti degli Armeni e degli Assiri uccisi nel 1915 e continuano ad alienare le comunità minoritarie con discorsi di odio razzista che sono pronunciati liberamente, il divieto di questo evento, con cui ricordiamo rispettosamente e con calma coloro che abbiamo perso nel 1915, è inaccettabile. Affrontare il 1915 è un passo necessario per costruire la democrazia, l’uguaglianza e la convivenza pacifica su basi solide oggi. Senza questo confronto, nessuna mossa democratica può essere permanente e nessuna relazione sociale può essere egualitaria. L’Ufficio del Governatore ha chiaramente dimostrato di essere contrario alle dinamiche di democratizzazione vietando il nostro evento commemorativo. Chiediamo all’Ufficio del Governatore di annulare questa decisione».
Nel frattempo, l’Associazione per i Diritti Umani si prepara a tenere un evento di commemorazione nel quartiere di Sultanahmet, nella penisola storica di Istanbul, come fa ogni anno (Fonte: Ufficio Stampa del Independent Communication Network-BİA).

Cardinal Parolin: la divisione pacifica della Cecoslovacchia come modello per i conflitti di oggi

Alcuni giorni fa abbiamo riportato le parole del Segretario di Stato, Cardinale Pietro Parolin sulla divisione pacifica della Cecoslovacchia come modello per i conflitti di oggi [QUI].

Mastro Titta: De Profundis della diplomazia vaticana
Stilum Curiae, 20 aprile 2023

Il Segretario di Stato Pietro Parolin non si espone molto, ma quando lo fa va ascoltato con attenzione. Qualche giorno fa ha espresso alcune lapidarie considerazioni geopolitiche: parlando dei conflitti in corso, ha ricordato che esisterebbe un “modello” di divisione pacifica, l’esempio dato della Cecoslovacchia.

Il cardinale dice cose di buonsenso, ma non ne dice altre di altrettanto buonsenso. Fugge dal sen il doveroso riferimento alla guerra tra Russia e Ucraina – dove, sia ben chiaro, l’aggressore è la prima e l’aggredito la seconda – omette di precisare che le due contendenti sono separate e reciprocamente riconosciute dal 1991. Un bel po’ di anni.

Dunque il “modello pacifico” di divorzio geopolitico dovrebbe applicarsi anche alla Crimea, e successivamente alle quattro regioni separatiste di Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Kherson. Tutte annesse per via referendaria, evidenza che l’Ucraina rigetta con furore ideologico quasi patetico: in sostanza, rivendica il diritto a massacrare impunemente una parte di sé, come fa dal 2014 nel Donbass. E come non va giù all’Ucraina nata da Euromaidan, non va giù alla Nato. Ma sono dettagli.

Se proprio volessimo dare alla Storia il peso che le spetta, dovremmo considerare che l’Ucraina è Russia tanto quanto la Russia è Ucraina, ed entrambe sono in Europa, come si studiava una volta a scuola.

La Russia lo era almeno sino agli Urali, e il fatto che le tre capitali storiche, Kiev, San Pietroburgo e Mosca stessa, pendano verso l’Europa e non verso l’Asia molto dovrebbe dire ai fautori delle linee immaginarie. Invece non dice niente. Le linee immaginarie le sposti come a piacere, secondo la pruderie del momento.

Dopo di che c’è la piaga della guerra civile, guarda caso retaggio nelle sue varie forme degli stati assoluti, degli imperi dissolti e dissoluti e, nella fase terminale, del colonialismo: come se gli imperi, vittime dell’ideologia borghese che mirava dritta al suffragio universale e quella forma imperfetta di partecipazione politica che chiamiamo democrazia, siano andati ad installare altrove le proprie pulsioni assolutiste. Deputati in casa propria, satrapi all’estero.

Basta gettare un’occhiata alle botte di righello date in tutta l’Africa per capire che qualcosa doveva andare storto. Il potere assoluto, la superiorità tecnica e antropologica, ha rinculato nelle terre di origine, approvvigionandosi in terra straniera di ciò che serviva a mantenere lo statu quo democratico: il benessere diffuso, vagamente tamarro.

Le guerre civili sono pane quotidiano anche in Occidente. In ordine sparso: la Guerra Civile americana, la repressione della Vandea, la Rivoluzione Spagnola, l’opera di persuasione di Oliver Cromwell nei confronti dei cattolici inglesi come antesignano del tema, con metodi da far sembrare l’Isis un gruppo scout.

Davvero si può erigere un’eccezione quasi isolata a “modello”?
Tuttavia, prendiamo per buona l’ipotesi di Sua Eminenza. L’idea stessa di risolvere pacificamente i conflitti interni – etnici, culturali, economici – dovrebbe applicarsi anche alle federazioni come l’UE. Dopo i 70 anni di pace e vacche magre, l’UE è diventata la gabbia di matti che si dissangua (e soprattutto dissangua gli altri) con invii massivi di armi in Ucraina: sicuri che sarebbe incapace di bombardare un paese, ad esempio l’Ungheria di Orban, che voglia uscirne per prendere una boccata d’aria? Ricordiamoci lo zelo con cui l’UE, messo il cappello della Nato, bombardò Belgrado, nel cuore dell’Europa geografica. Ai 70 anni di vacche magre potrebbero succedere 70 anni di vacche scheletriche, grazie a politiche demenziali e anti-storiche, o perfino anti-tutto, messe in atto. Cosa non si sopporta per amor dell’unità.

Infine, sento un sottofondo critico amaro nelle parole di Parolin: la situazione della stessa Chiesa Cattolica, dilaniata da conflitti dottrinali esplosi con il papato illuminato di Francesco.

Dopo una decade di Fratelli Tutti, misericordia, accoglienza e ogni genere di scarabocchio mentale universale – avete presente quei disegnini con bambini e bambine neri, gialli e rosa che fanno il girotondo su un bel prato verde sormontati dall’arcobaleno? – ecco esplodere tutte le contraddizioni, le guerre e le divisioni. E allora Parolin, salomonicamente, spedisce ognuno a casa propria, in lockdown culturale e geopolitico, purché in pace. La pace dei cimiteri e dell’irrilevanza. La Chiesa etnica avanza a passo di canguro.

Temo che il cardinale parli a nuora perché suocera intenda. Del resto, un’istituzione in frantumi come la Chiesa Cattolica difficilmente può insegnare agli altri come tenersi insieme.

Parolin certifica che il Nuovo Ordine Mondiale è nato morto e che la Chiesa, a parte qualche vago pistolotto su quanto sia bello salutare il vicino di casa col sorriso sulle labbra salvo scannarsi perché l’acqua dei fiori ti cola in balcone, non abbia molto da dire.

Certo, il Segretario di Stato fa un rapido passaggio su Cristo non come repressore dei conflitti, ma come portatore di giustizia e misericordia.
Cristo, appunto. Non africani dispersi dentro ignobili bagnarole, la tutela della biodiversità, la salvezza del pianeta, dilemmi laceranti sull’abbattimento di orsi o i diritti dei trans. Ma tanto, in Cristo chi ci crede più?

È un mondo che finisce “non già con uno schianto, ma con un lamento” di Eliot. Se le armi negoziali in mano alla diplomazia vaticana sono queste, ne vedremo delle brutte.

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]

SCUOLA/ Dagli armeni a Perlasca, prof al bivio tra memoria (vera) e retorica (Il Sussidiario 21.04.23)

Cosa fare davanti a fatti del passato, celebrati come eventi di una memoria collettiva e fondante, che negli studenti non suscitano più alcun interesse?

Basterebbe rileggere alcune pagine di Pavese de La casa in collina, oppure con alcune frasi di Vittorini sulla felicità, o immedesimarci nel dramma della questione privata di Milton o nel desiderio di fuga del piccolo Pin fra i suoi ragni. Basterebbe accantonare la pompa patinata di qualsiasi colore per andare a leggere alcune pagine de I guardiani della memoria della Pisanty, oppure lo scomodo Decontaminare le memorie di Alberto Cavaglion, oppure ancora conoscere le riflessioni di Frankl in Uno psicologo nel lager, così come lo sguardo illuminato della Hillesum nel suo Diario. Basterebbe anche vedere certi film, come Swing kids o Miracolo a Sant’Anna, dove la rigida separazione fra buoni e cattivi, fra Bene e Male, si fanno sottili nel grande guazzabuglio del cuore umano.

Insomma, basterebbe questo per scardinare la retorica di tanti nostri riti e di tante parole, di cui abbiamo perso quella verità, storica ed esistenziale, a cui però i nostri ragazzi hanno diritto. Ecco, almeno noi educatori glielo dobbiamo, mentre siamo in aula a seminare futuro ed altri invece si azzuffano per bieca ideologia.

Basterebbe ascoltare le parole di Anna Foa sulla Shoah o di Antonia Arslan sul genocidio armeno o, più recentemente, della senatrice Liliana Segre, per comprendere che, rispetto alle nuove generazioni, abbiamo un serio problema sulla questione della memoria: schemi, parole, riti, vetusti e ossidati dal tempo, si perpetuano, anche nelle scuole, ma raramente toccano il cuore dei giovani che, infatti, spesso chiedono ragione di certe massime imparate dagli adulti (“fare memoria perché non si ripeta il passato”, “mai più”, “not in my name”), ma da quegli stessi adulti evidentemente disattese, giacché superate dall’orrore di altri misfatti contemporanei, individuali o collettivi.

Più spesso, non chiedono nemmeno le ragioni e stanno lì, annoiati e rassegnati, a sorbirsi l’ennesima morale. Cosa rispondiamo? Da dove ripartiamo? Non possiamo certo continuare soltanto a lamentarci dei ragazzi di oggi, rievocando come eravamo bravi noi delle passate generazioni. Forse vale la pena tentare di guardare fino in fondo a questo loro disinteresse per capirne l’origine, magari ritrovando in quell’origine qualcosa delle nostre formule vuote, delle nostre forme prive di sostanza, da loro (giustamente) rifiutate.

Io ho iniziato a farmi questa domanda quando un ragazzo mi chiese perché fosse importante studiare lo sterminio degli ebrei di tanti anni fa, mentre vedeva intorno a sé fatti, a suo avviso, ben peggiori, tipo madri che abbandonano figli nel cassonetto, oppure migranti lasciati morire in mare. In quel momento, ho capito che la realtà era più grande – ancora oggi, caro Orazio… –  della mia filosofia e delle mie conoscenze; così, per passione verso quella faccia un po’ cinica, un po’ smarrita, ma esigente e vera, ho ripreso in mano quel che già pensavo di sapere.

Possiamo ripartire, innanzitutto, dalle parole tanto abusate, quanto misconosciute perché spesso formali: genocidio (o massacro?), liberazione (o libertà?), totalitarismo (mediatico?), razzismo (io non lo sono, però…), antisemitismo (fra stereotipi e complotti), eutanasia (e oggi?), ghetto (periferie?), tanto per dirne alcune, rintracciando fatti ed esperienze dell’oggi, per intuire che questo vocabolario non è tanto antiquato come pensavamo e per iniziare a capire che la memoria non incensa il passato né evita i  ricorsi storici, ma legge il presente ed il compito che io posso avere dentro al presente.

E poi spaziare nel tempo, dall’Holodomor agli Armeni al Rwanda al Darfur ai Balcani, fino al popolo degli Yazidi, per conoscere eventi genocidari susseguitisi prima e dopo la Shoah, universalmente iconica ed insostituibile, ma anche tragicamente ripetibile. E poi spaziare sul planisfero, dalla Corea all’Arabia, dal Congo alla Turchia, dalla Russia all’Iran, scoprendo che non ancora per tutti la democrazia è compiuta (cfr. Democracy Index 2023) e che non tutti sono liberi davvero con più di 70 muri nel mondo, per oltre 40mila km di recinzioni, dal Messico a Macao. Sì, cari ragazzi, anche dopo Berlino, altri muri sono stati costruiti per nuovi minacciosi nemici.

Adesso però sorge una domanda: cosa desidero mostrare veramente ai miei studenti? Soltanto che il Male continua a manifestare il suo volto feroce? Che non c’è un Male assoluto già alle nostre spalle, ma tutto si può sempre ripetere? Come vincere lo sconforto davanti alla banalità del male, che capiamo essere sempre in agguato dentro ognuno di noi, mentre in aula guardiamo smarriti la faccia di Eichmann, durante il processo a Gerusalemme, così troppo simile alla foto sbiadita del nonno sul comò di casa? Non vorremo anche insegnare loro a riconoscere il Bene e preservarne la memoria?

Dentro la grande storia della Resistenza, oltre le storie eroiche, nelle quali spesso i ragazzi non si riconoscono, potremmo insegnare anche altri volti, altre resistenze, altre azioni, che nel silenzio hanno operato per il bene e la giustizia. Facciamo loro conoscere le vite dei Giusti (Giornata dei Giusti, 6 marzo, www.gariwo.net), il sacrificio dei fratelli Scholl, il coraggio dei ragazzi di Piazza Majakovskij, Gino Bartali o Salvo D’Acquisto o Antonio Perlasca, o tanti altri uomini e donne comuni come ognuno di noi, segni della banalità del bene che ognuno di noi sempre può compiere (“Cos’altro avrei dovuto fare?”, dicevano tanti Giusti) e che continua a salvare misteriosamente il mondo intero.

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Cagliari e gli armeni (Unionesarda 21.04.23)

I l futuro dell’Europa passa attraverso il Bosforo. Una storia millenaria che si ripete con rinnovata apprensione perché dal destino di Erdogan e dalle scelte politiche della Turchia dipenderanno molto le prossime decisioni dell’Ue e della Nato. Si avvicinano le elezioni presidenziali e del Parlamento (il 14 maggio) che per la prima volta vedono un’opposizione compatta di sei partiti contro la ricandidatura del “sultano”. I sondaggi sono incerti e alcuni lo danno sconfitto, ma Erdogan non è certo disposto ad abdicare dopo vent’anni in cui ha portato il Paese a giocare un ruolo importante.

L a Turchia è l’ago della bilancia nelle contrapposizioni delle grandi potenze. Finito il boom economico oggi la Turchia vive un momento molto difficile ed è per questo che la leadership di Erdogan comincia a traballare. All’interno incidono la dura repressione contro i curdi, le carceri stracolme di oppositori, il pugno di ferro per fermare le proteste popolari, la libera stampa, gli intellettuali e le donne. Insofferenti persino i generali che con l’esercito sinora hanno garantito la laicità del Paese dalle ambizioni dei religiosi che dominano gran parte del Medio Oriente. La Turchia come baluardo davanti al fondamentalismo musulmano con Erdogan capace di gestire la politica estera con estrema spregiudicatezza avvicinandosi alla Russia e alla Cina, intervenendo in Libia e Siria e trattando con l’Ue l’accoglienza di quattro milioni di profughi siriani e mezzo milione di afghani.

Ma ora, anche alla luce degli sviluppi della guerra in Ucraina, la situazione è davvero preoccupante per l’Europa. La Turchia non è stata ancora accolta nell’Unione dove sarebbe il Paese più grande e popoloso con i suoi 85 milioni di abitanti. Inoltre conta le forze armate più numerose e potenti, seconde solo agli Stati Uniti nell’alleanza atlantica di cui invece fa parte.

La presenza della Turchia nell’Ue, dunque, sarebbe fondamentale visto il suo peso demografico, politico, militare ed economico. Ma ai problemi comunitari politici e “tecnici”, si aggiungono i veti di numerosi Paesi che bloccano l’ingresso con una motivazione storica legata al riconoscimento del massacro degli armeni, il primo genocidio del secolo scorso.

Il 24 aprile è la ricorrenza in cui gli armeni in tutto il mondo ricordano quella tragedia avvenuta nel 1915, un anno dopo lo scoppio della Grande guerra. Quel giorno vennero arrestati tutti i notabili, gli intellettuali e i maggiori esponenti della comunità armena, accusati di essere ostili allo Stato e inclini al tradimento. Nel frattempo, interi battaglioni di armeni arruolati nell’esercito dal novembre 1914, vennero disarmati, radunati e massacrati. In tutto il Paese la popolazione fu deportata in convogli scortati da militari e, anche se non uccisa in massa, venne sterminata lungo il percorso dalle malattie e dagli stenti. Le stime delle vittime sono ancora oggi discusse, si parla un milione e mezzo tra uccisi e dispersi. Chi potè, riuscì a fuggire in esilio nella diaspora che ha sparso quel popolo ovunque, migliaia anche in Italia.

Come il nonno della celebre attrice Laura Ephrikian, prima moglie di Gianni Morandi, che in questi giorni ha presentato il suo libro autobiografico all’Unesco e poi nella sede del Cnr a Cagliari, ricordando le sue origini armene (da cui il cognome). Il genocidio del 1915 può essere considerato il primo del secolo scorso che aprì le porte all’olocausto degli ebrei. Tutt’oggi Istanbul nega il genocidio sostenendo che non esistesse, da parte dello Stato turco, un progetto di sterminio nei confronti della popolazione armena. Vi era piuttosto l’intento da parte degli Ottomani di impedire agli a rmeni di unirsi all’esercito russo che avanzava verso l’Anatolia. Il governo turco ha sempre affermato che non esistono documenti che dimostrino la pianificazione e che tale strage fu dovuta a una guerra civile accompagnata dalle carestie e dalle malattie. Chi afferma il contrario rischia il carcere.

Ma contro le tesi negazioniste si schiera buona parte della comunità internazionale a partire dagli Stati Uniti con il riconoscimento del genocidio. In Francia dal 2001 è reato, l’Ue nel 2015 e l’Italia nel 2019 hanno approvato mozioni di condanna che costituiscono uno stop insormontabile per l’accettazione della Turchia nell’assemblea comunitaria. Sulla negazione invece Erdogan è stato sempre categorico, minacciando gravi ritorsioni e facendone un punto forte della sua politica nazionalista.

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NAGORNO KARABAKH. Tensioni armene-azere per il conflitti a Tekh (Agcnews 21.04.23)

Nonostante le parole di conforto pronunciate dalle parti in causa le fonti locali affermano che la situazione in Nagorno Kharabak è tutt’altro che tranquilla.

L’11 aprile, nei pressi del villaggio di Tekh, si è verificato uno scontro tra i militari delle Forze Armate dell’Azerbaigian e dell’Armenia. Di conseguenza, tre persone sono state uccise dalla parte azera, dalla parte armena: quattro morti e sei feriti.

L’incidente è avvenuto dopo che i militari azeri hanno tentato di interrompere i lavori di ingegneria presso la postazione armena. Dopo il rifiuto del personale militare armeno, le guardie di frontiera azere hanno iniziato l’attacco.

Il giorno prima, il DRG è entrato in Armenia dal territorio di Nakhichevan e ha attraversato più di 10 km senza ostacoli. Uno dei cittadini azeri è stato catturato a Sisian e un altro solo il 13 aprile vicino al villaggio di Achanan vicino a Kapan.

Le truppe iraniane hanno portato le loro unità al massimo grado di prontezza al combattimento, trascinando le forze al confine. Diversi UAV da ricognizione pattugliano in volo in servizio.

Dopo le battaglie, a Tekh sono apparse diverse fonti con filmati del trasferimento di armi e attrezzature militari delle forze armate azere al confine con l’Armenia, che potrebbero essere state trasportate sotto la leggenda di manovre militari avvenute nelle vicinanze. Una storia vecchia questa che abbiamo già visto nella seconda guerra del Nagorno Karabakh o Artsakh.

Il 17 aprile, intorno alle 15.00, c’è stato un altro scontro nei pressi del villaggio di Tekh, la cui causa non è ancora chiara. Al momento, la situazione intorno all’Armenia e al Karabakh è ancora instabile. Il discorso di Nikol Pashinyan ha dimostrato la preparazione delle autorità armene per la resa dell’Artsakh (Nagorno Kharabak) .

E l’intervista con Ilham Aliyev, che aveva un significato opposto, testimonia ancora una volta che gli azeri sembrano volere la guerra e il popolo dell’Artsakh sta aspettando l’espulsione forzata o il genocidio nel caso di sconfitta.

Gli eventi in Transcaucasia si stanno spostando verso il culmine, con scenari prima impensabili.

A Milano la memoria del genocidio armeno (Chiesadimilano 21.04.23)

Momento di raccoglimento in ricordo del milione e mezzo di vittime, in programma alle 11 nella chiesa armena di via Jommelli 30

Genocidio armeno Cropped

Martedì 24 aprile, nel giorno in cui gli Armeni, in tutto il mondo, ricordano il genocidio del loro popolo, avviatosi con i primi arresti tra il 23 e il 24 aprile 1915 ad opera dell’Impero ottomano, si pregherà alle 11 con i fedeli della Chiesa apostolica armena di via Jommelli 30.

Alle 11 avrà luogo la cerimonia di Commemorazione dei Santi Martiri del Genocidio del 1915.
Dopodiché ci si riunirà alle 14 davanti al Khatchkar nel giardino della Memoria, in Piazza Sant’Ambrogio.

In allegato la locandina con ulteriori dettagli.

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Domenica, commemorazione del genocidio armeno del 1915 (Ilroma 21.04.23)

NAPOLI. Domenicca, 23 aprile, sarà ricordato Medz Yegern – il Grande Male – espressione con la quale gli Armeni nel mondo designano il massacro subito in Anatolia tra il 1915 e il 1916. In occasione del 108° anniversario del Genocidio armeno, la Comunità Armena di Napoli e il “Comitato per il riconoscimento del Genocidio armeno” dell’Associazione Internazionale Regina Elena Odv, organizzano: “ATTO DI COMMEMORAZIONE DEL GENOCIDIO ARMENO DEL 1915.

I responsabili del “Comitato per il riconoscimento del Genocidio armeno” e dell’Associazione Internazionale Regina Elena Odv, rispettivamente, Gevorg Tovmasyan,  e il Gr. Uff. Rodolfo Armenio, invitano i cittadini sensibili verso questa grande tragedia dimenticata a portare un fiore o un cero davanti al ‘Khatchkar’ (croce di pietra – stele commemorativa delle vittime del genocidio armeno, situata all’ingresso della Chiesa di San Gregorio Armeno in Via S. Gregorio Armeno n. 44 – Napoli).

Con il termine genocidio armeno, talvolta indicato anche come olocausto degli armeni, o massacro degli armeni, si indicano le deportazioni e le eliminazioni di armeni perpetrate dall’Impero ottomano tra il 1915 e il 1919, che causarono circa 1,5 milioni di morti. Tale genocidio viene commemorato dagli armeni il 24 aprile.

Il 12 aprile 2015 Papa Francesco riferendosi agli avvenimenti ha parlato esplicitamente di genocidio, citando una dichiarazione del 2001 di papa Giovanni Paolo II e del patriarca armeno, in occasione della messa di commemorazione del centenario in San Pietro, dichiarando che quello armeno «generalmente viene definito come il primo genocidio del XX secolo». Il papa ha denunciato il genocidio come una delle tante persecuzioni ai danni di cristiani che “vengono pubblicamente e atrocemente uccisi – decapitati, crocifissi, bruciati vivi -, oppure costretti ad abbandonare la loro terra”. In risposta, il governo turco ha immediatamente convocato il nunzio apostolico ad Ankara e ritirato l’ambasciatore presso la Santa Sede in segno di protesta. Per analoghi motivi, nello specifico una mozione del parlamento austriaco che riconosce il genocidio, è stato richiamato anche l’ambasciatore turco a Vienna. La dichiarazione ha anche suscitato una forte reazione del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan che il 14 aprile 2015 ha ammonito Papa Francesco affermando che «quando i politici e i religiosi si fanno carico del lavoro degli storici non dicono delle verità, ma delle stupidaggini». Nel giugno 2016 Bergoglio, durante il viaggio in Armenia, utilizza nuovamente il termine “genocidio” scatenando la dura reazione del vice primo ministro turco Nurettin Canikli[45]. Come emerso recentemente dalle carte adesso consultabili dell’archivio segreto vaticano, la Santa Sede non ha fatto altro che rendere più esplicita quella che è sempre stata la sua posizione sulla vicenda poiché ha fin dal principio tentato di opporsi a questo sterminio: ne abbiamo testimonianza grazie alle lettere del legato apostolico di Costantinopoli e dei vari nunzi apostolici, fra i quali il futuro Pio XII (Eugenio Pacelli) che rivelano un’opera incessante in favore del popolo armeno. Anche l’ex presidente statunitense Barack Obama «ha più volte riconosciuto come un fatto storico che 1,5 milioni di armeni furono massacrati negli ultimi giorni dell’Impero ottomano e che un pieno, franco e giusto riconoscimento dei fatti è nell’interesse di tutti». Il 22 aprile 2015 anche la cancelliera tedesca Angela Merkel ha usato per la prima volta il termine genocidio.

 

Sul piano internazionale, sono 30 gli Stati che hanno ufficialmente riconosciuto come genocidio gli eventi descritti.

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Giornata del Ricordo del Genocidio armeno, un incontro alla Biblioteca “Pratt” (Il Nuovo Terraglio 20.04.23)

Giornata del Ricordo del Genocidio armeno, un incontro alla Biblioteca “Pratt” sul tema “Donne del genocidio armeno: tra memorie e letteratura”

Il calendario di iniziative per la Giornata del Ricordo del Genocidio armeno, promosso per il secondo anno consecutivo dalla Presidenza del Consiglio comunale in collaborazione col Servizio Produzioni culturali del Comune, è entrato nel vivo. Fino al 16 maggio, sono previsti una ventina di eventi, tra dibattiti, conferenze, spettacoli teatrali, proiezioni di film, visite guidate e incontri con gli studenti, che si svolgeranno in diverse parti della città per ricordare il dramma del popolo armeno e far conoscere la sua plurisecolare storia e cultura anche alle nuove generazioni.

Oggi, alla biblioteca “Pratt” del Lido, si è svolta la conferenza “Donne del genocidio armeno: tra memorie e letteratura”, curata dall’”Associazione Civica Lido Pellestrina”, alla quale ha partecipato la presidente del Consiglio comunale, Ermelinda Damiano, in rappresentanza della città. Domani, invece, ci saranno due eventi: la cerimonia cittadina in ricordo del genocidio del Popolo armeno presso la Scuola di San Teodoro, e la proiezione del video “Dal genocidio alla ricostruzione dell’identità nazionale” all’Auditorium dell’M9 di Mestre.

Inoltre, venerdì 5 maggio, per la seconda volta, i cittadini veneziani potranno partecipare a una visita guidata all’Isola di San Lazzaro degli Armeni, dove si potranno ammirare la biblioteca multidisciplinare, la stamperia di fine ‘700, la pinacoteca, il museo e molti manufatti arabi, indiani ed egiziani raccolti dai monaci o ricevuti come doni da collezionisti. La presidente Damiano ha dichiarato che l’obiettivo non è solo quello di commemorare la tragedia che ha colpito questo popolo, ma anche di valorizzarne la cultura, la storia e le tradizioni.

Per maggiori informazioni e per iscrizioni: LINK