122° giorno del #ArtsakhBlockade. L’attacco dell’Azerbajgian a Tegh sul territorio sovrano dell’Armenia ieri. Perché? (Korazym 12.04.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 12.04.2023 – Vik van Brantegem] – Oggi, 12 aprile 2023, sono compiuti 4 mesi di #ArtsakhBlockade da parte dell’Azerbajgian. Il Difensore dei Diritti Umani della Repubblica di Artsakh presenta un rapporto aggiornato sulle violazioni di massa dei diritti collettivi e individuali delle persone dell’Artsakh disponibile in tre lingue, armeno, russo e inglese [QUI].

Come abbiamo riferito [QUI], nel pomeriggio di ieri, le forze armate azere hanno attaccato dei militari armeni nell’area del villaggio di Tegh nella regione di Syunik della Repubblica di Armenia, ultima tappa armena verso il Corridoio di Lachin. Quattro militari armeni sono stati uccisi e sei feriti a seguito dell’attacco terroristico azero, che si è svolto IN Armenia, come dimostrano le prove video (che abbiamo riportato ieri). I militari azeri hanno violato la nuova linea di contatto (spostata in avanti da loro con la forza in marzo), partendo da un’area sul territorio sovrano dell’Armenia occupato in marzo, sono entrano in un’area vicino al villaggio di Tegh in Armenia senza alcun preavviso e hanno iniziato a sparare contro dei militari armeni che stavano conducendo lavori di ingegneria sulle proprie posizioni di difesa per contrastare la strisciante annessione di territorio armeno da parte delle forze armate dell’Azerbajgian. Il totale delle vittime è 17, aggiungendo a quelli armeni, i 3 morti e 4 feriti tra gli aggressori azeri, secondo il Ministero della Difesa dell’Azerbajgian.

Al momento in cui scriviamo nessuna indicazione di operazioni militari in corso tra Armenia e Azerbajgian. Quello di ieri è apparso un’aggressione azera localizzata, seppur grave. Nel frattempo la macchina della propaganda di Baku e il suo esercito di diplomatici e troll si è messo in moto.

L’esperto di sicurezza di EVN Report sottolinea che la narrazione di Baku fornisce il contesto per l’operazione di ieri:

  • Tentativo di “iranianizzare” la situazione, dal momento che ha perso la narrazione in Occidente.
  • Screditare la Missione di monitoraggio dell’Unione Europea in Armenia come inefficace.
  • Migliorare la sua diplomazia “cinetica”.
  • Ingrandire la minaccia di operazioni più ampie.

Secondo la definizione di Alessandro Baricco, staccando i fatti dalla realtà si ottiene la narrazione. Ed è questo che fa il regime di Baku.

«La macchina della propaganda dell’Armenia si è smascherata: è chiaro che la provocazione è stata provocata da Yerevan – Foto».

La risposta della macchina della propaganda dell’Azerbajgian – con la foto che documenta invece il veicoli con i militari azeri che si avvicina ai militari armeni e poi apre il fuoco – è che «la macchina della propaganda dell’Armenia si è smascherata».

I media azeri scrivono che «tre soldati azeri sono stati uccisi durante un attacco delle forze armene nel distretto di Lachin, nella regione di East Zangezur», falsamente affermando che con questo l’aggressione è avvenuta sul territorio dell’Azerbajgian, che era strato invaso dai militare armeni.

Quindi, un troll azero twitta, contro ogni evidenza, a seguito di quanto affermano i media azeri: «Cosa stavano facendo i soldati armeni nelle posizioni azere sul lato del confine azero?» Come il bue che dice cornuto all’asino, o la pignatta che chiama nero il bollitore, come si dicono gli inglesi. A Napoli, per rispondere a chi fa il segno del cornuto, si risponde mostrando le chiavi: ognuno mostra quello che ha.

La scorsa settimana, le forze azere hanno intensificato la loro retorica aggressiva e hanno tentato di fare ulteriori progressi in Armenia e Artsakh, dopo aver occupato aree vicine al villaggio di Tegh da quando sono avanzate in Armenia a marzo. Baku non ha alcun interesse per “integrità territoriale” e “pace regionale”. Il suo unico obiettivo è soggiogare l’Armenia.

C’è questa strana cosa, chiamata confine di Stato, un concetto fluido per Baku. Inoltre, le forze armate azere hanno ucciso e ferito dei militari armeni all’interno del territorio sovrano dell’Armenia. Le prove video dimostrano chiaramente chi ha attaccato chi: l’Azerbajgian ha avviato l’attacco da un’area occupato in Armenia contro l’Armenia in Armenia. Non c’è menzogna e propaganda azera che tiene.

«L’aggressione mortale di oggi da parte dell’Armenia contro il territorio sovrano dell’Azerbajgian non è una coincidenza, accade sullo sfondo delle speranze di pace recentemente aumentate. L’Armenia e i suoi alleati non sono interessati alla pace!» La faccia di bronzo azera in Germania sta mentendo sfacciatamente.

Questa è la reazione di ieri dell’Ambasciatore dell’Azerbajgian in Germania, Nisimi Aghayev, sempre in prima linea nel diffondere l’armenofobia estrema e la propaganda del regime autocrate genocida di Aliyev, nel promuovere il #ArtsakhBlockade negando nel contempo che c’è.

«L’Armenia non viola soltanto l’integrità territoriale e la sovranità dell’Azerbajgian, ma mette anche seriamente in pericolo la pace e la sicurezza regionali! L’Azerbajgian risponderà risolutamente all’attacco e alle provocazioni armene». La faccia di bronzo azera negli Stati Uniti sta mentendo sfacciatamente. E minaccia, la lingua Aliyev parla fluentemente.

E questa è la reazione dell’Ambasciatore dell’Azerbajgian negli Stati Uniti, Khazar Ibrahim.

La reazione dei funzionari e dei troll sui social media del regime autocrate genocida di Baku non desta meraviglia. Niente di nuovo. Negano anche, confermandolo nel contempo, il blocco di 122 giorni del Nagorno-Karabakh e affermano che il Corridoio di Lachin è aperta, visto che passano (solo) i veicoli delle forze di mantenimento della pace russe e del Comitato Internazionale della Croce Rossa.

Le menzogne e fake news sono il marchio della politica statale dell’Azerbajgian. Però, le campagne di disinformazione dei diplomatici azeri sono così maldestre, che a volte sembra che stiano prendendo in giro il regime di Aliyev. La domanda è: ma inganna gli Azeri? La propaganda è solitamente fatta per un pubblico domestico: “Ehi, il nostro leader sta dicendo questo, che è simile a quello che è stato detto prima, e non molti lo contestano, forse è vero”.

Le prove video dimostrano chiaramente e inequivocabilmente come il veicolo con un gruppo di militari azeri, con l’obiettivo di una provocazione, si sta avvicinando ai militari delle forze armate armene, che stavano svolgendo lavori di ingegneria sul territorio sovrano dell’Armenia, e ha aperto il fuoco contro di loro. Inoltre, il fatto che i militari armeni lasciano che il veicolo si avvicina alla loro posizione, dimostra chiaramente che non vogliono l’escalation.

Poi, c’è lo scettico che chiede (cosa che potrebbe cercare benissimo da solo): «Puoi inserire le coordinate esatte su Google Maps in modo che corrispondano al video?».

Il Nagorno Karabakh Observer ha localizzato l’area approssimativa dell’attacco di ieri delle forze armate dell’Azerbajgian sul territorio sovrano dell’Armenia, a meno di 2 km dal villaggio di Tegh. Proprio questa zona ha visto un accumulo di materiale militare azero nei giorni scorsi con segnalazioni di nuove postazioni istituite sul territorio sovrano dell’Armenia dalla fine di marzo.

Per tutta la notte non sono state registrate ulteriori significative violazioni del cessate il fuoco, ha comunicato il Ministero della Difesa dell’Armenia. Dalle ore 08.00 (ore 05.00 di Roma), la situazione. in prima linea continua a rimanere relativamente stabile.

L’Armenia non ha subito perdite di posizione in combattimento a seguito della provocazione dell’Azerbajgian di ieri pomeriggio.

Al momento non si registrano cambiamenti nelle condizioni di salute dei sei militari armeni feriti a seguito della provocazione dell’Azerbajgian di ieri pomeriggio: tre sono in condizioni stabili, gli altri tre sono in condizioni di grado moderato, grave e estremamente grave.

Di seguito i nomi dei militari armeni uccisi durante l’attacco azero di ieri, pubblicati dal Ministero della Difesa dell’Armenia: Arthur Sahakyan (nato nel 1999), Mkrtich Harutyunyan (nato nel 1989), Henrik Kocharyan (nato nel 1997) e Narek Sargsyan (nato nel 1994).

Attendiamo come di consueto che la leadership dell’Unione Europea e la comunità internazionale chiama l’aggressore con il suo nome, condanna fermamente le incursioni illegali delle forze armate dell’Azerbajgian sul territorio sovrano della Repubblica di Armenia e agisce concretamente in modo energico e risolutivo, iniziando con sanzionare l’Azerbajgian per le sue aggressioni non provocate. Ovviamente, stiamo sognando.

E infatti, Nabila Massrali, Portavoce per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha affermato in una nota: «L’Unione Europa deplora gli scontri armati che ieri hanno provocato la morte o il ferimento di diversi militari armeni e azeri al confine tra Armenia e Azerbajgian nella zona di Tegh». «Questo incidente sottolinea ancora una volta che in assenza di un confine delimitato, la linea del 1991 deve essere rispettata e le forze di entrambe le parti sono da ritirare a distanze di sicurezza da questa linea per evitare che si verifichino incidenti simili». «Devono essere rispettati gli impegni precedenti, compresi quelli raggiunti a Praga nell’ottobre 2022 in merito al riconoscimento reciproco dell’integrità territoriale in linea con la Dichiarazione di Almaty del 1991. L’Unione Europea sollecita inoltre l’intensificazione dei negoziati sulla delimitazione del confine e continua a essere pronta a sostenere questo processo».

In questa dichiarazione rilasciata dal servizio diplomatico dell’Unione Europea vengono ribaditi gli appelli alla moderazione e alla risoluzione di tutte le controversie con mezzi pacifici, e che l’Unione Europea continua a sostenere questi sforzi, anche al più alto livello, anche attraverso la presenza della missione dell’Unione Europea in Armenia. Ma nel condannare il fatale scontro di ieri e chiedere moderazione ad ambedue le parti, non viene indicato l’aggressore, Azerbajgian e non viene menzionato che l’aggressione contro l’Armenia è avvenuta sul territorio sovrano dell’Armenia.

Il fatto che l’Azerbajgian continui ad attaccare e ad avanzare nel territorio sovrano armeno, anche se una missione dell’Unione Europea sta presumibilmente monitorando (con i binocoli) il confine, dimostra semplicemente che è impossibile scoraggiare o disincentivare la violenza quando si riceve il gas dell’aggressore.

«Perché l’Azerbajgian è ricorso alla provocazione militare nel villaggio di Tegh in Armenia? Gli Azerbajgiani hanno ucciso 4 e ferito 6 militari armeni. Gli obiettivi del regime di Aliyev sono diversi.

1. Due settimane fa, l’Azerbajgian ha invaso il territorio dell’Armenia da cinque direzioni, a una profondità di almeno 300 metri. Secondo il governo armeno, sono stati effettuati adeguamenti in 7 chilometri della linea di contatto di 12 chilometri appena creata. E ancora a 5 chilometri di distanza erano in corso trattative affinché le forze armate dell’Azerbajgian lasciassero il territorio dell’Armenia. Con questa provocazione, l’Azerbajgian ha interrotto i colloqui di pace affinché le truppe azere continuino a mantenere occupati i territori sovrani armeni. A partire dal 12 maggio 2021, l’Azerbajgian ha occupato almeno 150 chilometri quadrati del territorio dell’Armenia.

2. Con la provocazione di ieri, l’Azerbajgian ha cercato di interrompere la costruzione di postazioni militari da parte delle forze armate dell’Armenia nei territori armeni sulla nuova linea di contatto, al fine di avere buone posizioni per l’imminente attacco.

3. Negli ultimi 10 giorni, due alti funzionari dell’Azerbajgian si sono espressi contro la presenza della Missione di osservazione dell’Unione Europea di stanza in Armenia. Il 3 aprile a Baku, il Ministro degli Esteri dell’Azerbajgian, Jeyhun Bayramov, si è lamentato in un incontro con Dirk Schübel, Inviato speciale per il partenariato orientale del Servizio per le relazioni estere dell’Unione Europea, che l’Armenia non adempie ai propri obblighi a causa della presenza di osservatori dell’Unione Europea. Se traduciamo, Bayramov afferma che l’Armenia non soddisfa le richieste illegali dell’Azerbajgian (in riferimento al “Corridoio di Zangezur”), perché la presenza degli osservatori dell’Unione Europea impedisce all’Azerbajgian di continuare a fare pressioni sull’Armenia con il ricatto militare. E in secondo luogo, il Capo della rappresentanza dell’Azerbajgian presso l’Unione Europea, Vagif Sadigov, ha dichiarato in un’intervista a Politico che la presenza della missione dell’Unione Europea vicino al confine con l’Azerbajgian desta preoccupazione a Baku. Ha accusato l’Unione Europea di aver rafforzato la sua presenza nel Caucaso meridionale attraverso la Missione di osservazione.
Perché l’Azerbajgian si oppone al rafforzamento della posizione dell’Unione Europea? È una domanda interessante, vero?
Il Ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, è arrivato in Turchia pochi giorni prima di questa provocazione dell’Azerbajgian. Lavrov ha anche discusso in dettaglio del processo di pace Armenia-Azerbajgian con il Ministro degli Esteri turco, Mevlüt Çavuşoğlu. Il funzionario russo ha accusato l’Occidente di interrompere il processo di risoluzione con il piano russo (annuncio del 9 novembre 2020). Capisci ora dove coincidono gli interessi di Russia e Azerbajgian?
A loro viene impedito dall’Occidente, con gli osservatori dell’Unione Europea, di compiere attacchi su larga scala contro l’Armenia attraverso provocazioni militari e ottenere concessioni illegali.
La provocazione azerbajgiana nel villaggio di Tegh mira a delegittimare la Missione di osservazione dell’Unione Europea. Anche qui c’è chiaramente un’impronta e un interesse russi.

4. Nei giorni scorsi la Russia, tramite l’Ambasciatore Sergey Kopirkin e il Portavoce del Ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha dichiarato di essere pronta a schierare osservatori dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO) in Armenia. Cosa li ferma? La presenza degli osservatori dell’Unione Europea e la decisione dell’Armenia di preferire gli Europei alla CSTO. Delegittimando gli osservatori dell’Unione Europea con questa provocazione, l’Azerbajgian con la Russia sta aprendo la strada agli osservatori della CSTO.
Perché l’Azerbajgian è favorevole agli osservatori della CSTO? Perché mentre Unione Europea e USA condannavano gli attacchi azeri e l’occupazione dei territori armeni, la CSTO non ha nemmeno criticato Baku. Se l’Azerbajgian riuscirà a delegittimare gli osservatori dell’Unione Europea e gli osservatori della CSTO saranno dispiegati in Armenia, ciò significherà che l’Azerbajgian sarà in grado di effettuare nuovi attacchi militari senza ostacoli. Gli osservatori dell’Unione Europea non lo consentono ora.

5. I propagandisti e i lobbisti dell’Azerbajgian nell’Unione Europea e negli StatiUniti affermano che Iran, Russia e Armenia sono alleati e agiscono insieme contro l’Azerbajgian filo-occidentale. Aliyev ha affermato in Occidente che l’Armenia e la Russia attaccheranno l’Azerbajgian e, per impedirlo, l’Azerbajgian ha lanciato un attacco su larga scala contro l’Armenia il 13 settembre 2022 e si è impadronito delle vette armene.
L’Azerbajgian afferma inoltre che l’Armenia è un alleato dell’Iran e si stanno preparando ad attaccare l’Azerbajgian insieme. Non è un caso che dopo la provocazione dell’11 aprile l’Azerbajgian abbia diffuso la falsa notizia che l’Armenia utilizzasse droni iraniani. Queste false narrazioni mirano a privare l’Armenia del sostegno dell’Occidente e ad attaccare l’Armenia senza restrizioni per attuare il piano russo-turco del 9 novembre 2020.
Con questa provocazione, l’Azerbajgian ha cercato di coinvolgere l’Iran nell’escalation militare. Baku sa che l’Iran considera il confine e l’integrità territoriale dell’Armenia una linea rossa. La provocazione di oggi mirava a incitare l’Iran ad attaccare l’Azerbajgian.
In realtà, l’Armenia e l’Iran hanno relazioni normali. La cooperazione armeno-iraniana non ostacola in alcun modo la cooperazione armeno-occidentale. La prova di ciò è il dispiegamento di osservatori dell’Unione Europea in Armenia, che Teheran ha sostenuto.
E, naturalmente, il Ministro della Difesa dell’Armenia è arrivato in visita di lavoro a Brussel, presso la sede del comando supremo delle forze alleate della NATO in Europa. Pochi giorni fa è stato in Iran il Segretario del Consiglio di Sicurezza dell’Armenia.
L’Azerbajgian sta attualmente conducendo una guerra ibrida contro l’Armenia. L’Azerbajgian intende isolare l’Armenia dall’Occidente con false narrazioni, delegittimazione degli osservatori dell’Unione Europea e spianare la strada alla CSTO in Armenia. Questa è l’ultima possibilità per l’Azerbajgian di scatenare nuove guerre. E Aliyev non è solo» (Robert Anayan).

«Gli Evangelici (a lungo corteggiati da Baku) stanno voltando le spalle all’Azerbajgian ricco di petrolio, prendendo le distanze dall’escalation di pulizia etnica degli Armeni cristiani da parte di questa autocrazia. Cancellano viaggi pagati, restituiscono regali, rifiutano di prestare i loro nomi per coprire crimini basati sulla fede» (Armenian National Committee of America).

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]

NAGORNO KARABAKH. SCONTRI TRA ARMENI E AZERI, 7 MORTI (Notizie Geopolitiche 12.04.23)

di Angelo Gambella –

Situazione di calma relativa oggi al confine tra Armenia e Azerbaijan dopo gli scontri di ieri, quando le forze azere e quelle armene si sono affrontate con armi leggere nelle vicinanze del villaggio armeno di Tegh.
A seguito della guerra del 2020 l’Azerbaijan ha ripreso il controllo delle sette province azere che aveva perso nel conflitto dei primi anni Novanta, nonché di una parte del territorio dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh sostenuta dall’Armenia. Da allora si registrano scaramucce, specialmente presso il corridoio di Lachin dove sono presenti forze russe (complessivamente 2mila militari) per il mantenimento della pace, ma è tutto il confine dell’Azerbaijan con l’Armenia e con l’Artsakh ad essere costantemente a rischio di focolai.
Il bilancio delle vittime delle sparatorie di ieri è di 7 morti, 4 militari armeni e 3 azeri, nonché di alcuni feriti. Armenia e Azerbaijan si stanno accusando a vicenda per gli scontri a fuoco, e una nota del ministero degli Esteri di Baku riferisce di “provocazioni”, sottolineando che “unità delle forze armate dell’Armenia dalla direzione dell’insediamento di Digh (Tegh) del distretto di Gorus hanno sottoposto a fuoco intenso le posizioni opposte dell’esercito dell’Azerbaigian, di stanza nella direzione del distretto di Lachin”. “Il fatto – continua il comunicato – che tali provocazioni da parte dell’Armenia abbiano avuto luogo a fronte di serie richieste di negoziati su un accordo di pace da parte della comunità internazionale, dimostra che l’Armenia non è interessata al processo di pace. (…) Le provocazioni dell’Armenia contro l’Azerbaigian violando le norme e i principi del diritto internazionale, non solo violano l’integrità territoriale e la sovranità dell’Azerbaigian, ma minacciano anche seriamente la pace e la sicurezza regionali”.
Ovviamente contrapposta la versione armena, secondo cui “le unità delle forze armate azere hanno aperto il fuoco contro membri delle forze armate armene che stavano svolgendo lavori di ingegneria in direzione del villaggio di Tegh nella regione armena di Syunik, al confine con l’Azerbaigian”.
La polizia militare russa fa sapere che in giornata ci sono state 4 violazioni della tregua senza provocare vittime.
Il presidente armeno Vahagn Khachaturyan su indicazione del primo ministro Nikol Pashinyan ha rimosso il comandante delle guardie di frontiera.
I precedenti scontri di media intensità si sono registrati lo scorso settembre, con quasi 300 morti.

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L’altra guerra che rischia di lasciare l’Ue a corto di gas (Europatoday 12.04.23)

Nella sua affannosa ricerca di fornitori di gas alternativi alla Russia, l’Unione europea aveva trovato un’intesa di rilievo con l’Azerbaigian. Il governo di Baku l’estate scorsa si era impegnato ad aumentare l’invio di metano all’Ue dagli 8 miliardi di metri cubi registrati negli anni scorsi ai futuri 20 miliardi. Ma a far traballare l’accordo con Bruxelles sono le crescenti tensioni tra l’Azerbaigian e l’Armenia sul controllo della regione del Nagorno Karabakh. Una crisi mai risolta che rischia ciclicamente di degenerare con conseguenze imprevedibili.

La pace fragile

Il conflitto armato più recente, quello dell’autunno del 2020, è durato sei settimane e ha causato oltre 7mila vittime. Da allora vige un fragile cessate il fuoco che non ha sopito i venti di guerra, con entrambe le parti che continuano a prepararsi a un probabile nuovo scontro bellico. Ne sono una dimostrazione i quasi cento morti (49 tra i soldati armeni e 50 tra quelli azeri) dello scorso settembre, quando le due fazioni si sono scontrate dopo uno spostamento di mezzi d’artiglieria dell’esercito azero nel territorio controllato dagli armeni. La ripresa delle ostilità ha convinto Bruxelles all’invio di cento agenti con il compito di monitorare il rispetto del cessate il fuoco.

Roma finanzia l’offensiva dell’Azerbaigian contro l’Armenia

Le pressioni sull’Ue

La mossa ha suscitato l’ira di Baku che ha accusato Bruxelles di interferire nella disputa “senza cercare di risolvere il problema, bensì di congelarlo”, ha denunciato il mese scorso il presidente azero Ilham Aliyev. Da parte dell’Armenia arrivano invece pressioni affinché l’Europa faccia di più per impedire una temuta offensiva di primavera. “L’obiettivo dell’Azerbaigian è chiaro a tutti, è la pulizia etnica, è un genocidio che sta preparando”, ha detto ieri la diplomatica armena Hasmik Tolmajian ai giornalisti dell’Associazione della stampa diplomatica francese. “L’Azerbaigian sta facendo morire di fame un’intera popolazione per costringerla a lasciare il territorio”, ha aggiunto accusando i militari azeri di bloccare da metà dicembre una strada vitale – il corridoio Lachin – che collega l’Armenia ai territori controllati dai separatisti armeni nel Nagorno Karabakh.

Il gas a rischio

“L’Unione Europea ha abbastanza leve nel suo arsenale diplomatico per fare pressione sull’Azerbaigian”, ha sottolineato l’ambasciatrice che ha chiesto “sanzioni mirate” al Paese che fornisce gas all’Unione europea. “L’Azerbaigian non è la Russia, non è la Turchia, non è la Cina”, ha precisato aggiungendo che “se le leve venissero usate, sarebbero efficaci”. Ma se l’Ue sceglierà di intervenire dovrà dolorosamente rinunciare ai 20 miliardi di metri cubi di gas concordati l’estate scorsa.

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Ancora irrisolta la contesa tra Erevan e Baku sul corridoio di Lačin (Asianews 12.04.23)

Chiuso da Baku, serve a collegare Erevan con il Nagorno Karabakh, enclave armena in territorio azero. Tensione sullo status del villaggio di Tegh. La popolazione locale provata dalla disputa. Ogni trattativa deve fare i conti con il carattere indomabile della popolazione armena dell’area.

Mosca (AsiaNews) – Il presidente della Commissione parlamentare per la Difesa dell’Armenia, Andranik Kočaryan (v. foto), ha incontrato i giornalisti per illustrare la situazione della contesa del corridoio di Lačin, che blocca le comunicazioni di Erevan con il Nagorno Karabakh, enclave armena in territorio azero. Il deputato armeno si è concentrato sulla situazione del villaggio di Tegh, snodo fondamentale della zona interessata nella parte orientale della regione di Siunyk, a 88 chilometri dalla città di frontiera di Kapan, dove dal novembre 2020 è insediato il comando delle forze “pacificatrici” dell’esercito russo.

In quella posizione si sono disposte anche le armate dell’Azerbaigian, e non si riesce a capire fino a che punto siano conniventi o conflittuali con i russi, oltre che con gli armeni. Secondo Kočaryan, gli azeri non hanno fatto nulla per liberare la zona, nonostante le ripetute affermazioni in questo senso. Allo stesso tempo sono al lavoro gli organi incaricati da Baku e Erevan per la correzione delle frontiere, che sembra stia portando a qualche miglioramento, almeno sulla carta, proprio intorno al villaggio di Tegh, fino all’altro centro di Kornidzor.

Come ha spiegato il deputato, “quando parliamo di miglioramenti, intendiamo che almeno si è cominciato a discutere di questo tratto cruciale, anche se non si vedono ancora veri trasferimenti, ma forse cominciamo a capirci su che cosa è nostro e cosa è loro”. La speranza è che gli azeri “comincino almeno un po’ a farsi da parte”.

Lo stesso premier armeno Nikol Pašinyan ha affermato durante una riunione del governo che “sono stati fissati i punti di dislocazione delle frontiere a 7 e 12 chilometri, e si lavora su altri 5 chilometri intorno a Tegh”. Secondo le valutazioni degli armeni, gli avversari hanno disposto strutture con lavori di ingegneristica a 100-300 metri dai punti di frontiera, violando le distanze di sicurezza e gli accordi generali. Come afferma il premier, “ne stiamo parlando con gli azeri, per farli allontanare da Tegh, ma se non capiscono arriverà il giorno in cui dovremo trovare il modo di farglielo capire”.

Come precisa Kočaryan, quando Baku comincerà davvero a liberare la zona si potrà parlare del “reciproco allontanamento” dei militari dalle aree più calde. Quindi sarà necessaria un’inchiesta su basi giuridiche, per capire fino in fondo le colpe degli incidenti che hanno portato a diverse vittime e alla somma dei problemi che hanno bloccato l’intero corridoio, “a tutti i livelli, da quelli più bassi a quelli più alti, mettendo a fuoco le azioni delle varie autorità sul posto”.

Nello stesso villaggio di Tegh esiste un capo amministrativo della comunità, e un insieme di abitanti e forze militari tra loro mescolati. La manutenzione e riparazione delle strade, ad esempio, riguarda tratte di decine di metri, spesso decisivi per il passaggio dei mezzi. Finora da parte armena non sono stati presi provvedimenti contro alcun funzionario, e il Consiglio municipale di Tegh attende l’arrivo di una commissione d’inchiesta, insieme a rappresentanti del governo, per “chiarire le moltissime questioni rimaste oscure”, ribadisce Kočaryan.

Uno dei membri del Consiglio di Tegh, che rappresenta l’opposizione agli “anziani” del villaggio, Masis Zejnalyan, si è recato al capoluogo di Siunyk, chiedendo agli amministratori regionali di venire a loro volta a verificare la situazione, “non importa per quale parte tengano, vengano pure i professori della Casa della Cultura”, purché qualcuno cerchi di capire veramente come vivono gli abitanti del luogo, “oggi abbandonati come farfalle che svolazzano in una prigione”. Gli azeri avrebbero distrutto delle coltivazioni per piazzare le proprie strutture, e gli abitanti si sentono incastrati tra soldati e poliziotti di tutte le fazioni.

I cittadini di Tegh, afferma Zejnalyan, non hanno intenzione di “rinunciare al proprio pane e arrendersi senza combattere, che futuro avremmo?”. Come sempre in questi territori, ogni trattativa deve sempre fare i conti con il carattere indomabile della popolazione.

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Cerimonia per il 108° anniversario del Genocidio Armeno (Agenparl 11.04.23)

(AGENPARL) – PADOVA mar 11 aprile 2023 Nel quadro storico del primo conflitto mondiale (1914-1918) si compie, nell’area dell’ex Impero Ottomano in Turchia, il genocidio del popolo armeno (1915-1923), il primo del XX secolo. Con esso il governo dei Giovani Turchi, che ha preso il potere nel 1908, attua l’eliminazione dell’etnia armena presente nell’area anatolica fin dal VII secolo a.C.
Gli storici stimano che persero la vita circa i 2/3 degli armeni dell’Impero Ottomano, quindi circa un milione cinquecentomila persone.

Medz Yegern – il Grande Male – è l’espressione con la quale gli Armeni nel mondo designano il massacro subito in Anatolia dal loro popolo, tra il 1915 e il 1916.

In occasione del 108° anniversario del genocidio, l’associazione Italiarmenia e il Comune di Padova organizzano alcune iniziative e una cerimonia commemorativa.

Cerimonia commemorativa

Lunedì 24 aprile, ore 10:30
Cortile di Palazzo Moroni, via VIII Febbraio – mappa

Deposizione di una corona di alloro, presso il bassorilievo in bronzo, a ricordo dei martiri del genocidio armeno.
Interventi di:

Sergio Giordani, sindaco di Padova;
​Aram Giacomelli, rappresentante della Comunità Armena e dell’Associazione Italiarmenia;
Padre Hamazasp Kechichian Congregazione Mechitarista dell’Isola di San Lazzaro degli Armeni – Venezia.

Fonte/Source: https://www.padovanet.it/evento/cerimonia-il-108%C2%B0-anniversario-del-genocidio-armeno

Zone calde, quelle aree del mondo dove si combatte fuori dai riflettori (Espresso 11.04.23)

Da ormai più di un anno, una cortina di ferro divide l’Europa. Il mondo sembra tornato sotto sfere d’influenza, l’opinione pubblica è assuefatta alla geopolitica che apre quotidiani e telegiornali. La guerra in Ucraina infuria sui telefonini, il campo di battaglia si fa più vicino, mentre si scrollano le pagine dei social network. Prima si parla di fin dove riuscirà a spingersi l’esercito russo, poi si attende l’offensiva di primavera di Kiev. Ma da mesi i piani sbandierati dalle autorità si manifestano in un nulla di fatto. In uno stallo come quello che circonda la piccola città di Bakhmut, nel Donbass, ormai quasi del tutto controllata dai russi. Una delle numerose zone definite simbolo di questa guerra. Come Buča, Mariupol, Irpin: fino a un anno fa semi-sconosciute, oggi tristemente note.

Impantanate all’apparenza anche le trattative di pace, quantomeno quelle che non rimangono segrete. All’inizio il mediatore numero uno era considerato il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, alle prese con gravi problemi interni dopo il terremoto e con le elezioni a breve. Adesso c’è chi invoca, tra le diffidenze di Washington, il ruolo del leader cinese Xi Jinping, che ha interesse a intestarsi una tregua, ma che ci guadagna, secondo gli analisti, da un conflitto lungo e a bassa intensità. I margini dei negoziati si assottigliano e l’assenza di alternative – ribaltando la celebre frase dell’ex segretario di Stato statunitense Henry Kissinger – non schiarisce la mente. Anzi, rende forse ancor più fragile il lavoro diplomatico anche in altre zone calde del mondo.

Come in Nagorno-Karabakh, conteso tra Armenia e Azerbaigian. In questa regione nel Caucaso meridionale sono forti gli effetti della guerra in Ucraina. Nonostante la tregua di due anni e mezzo fa, gli scontri non si sono mai fermati. L’unico che era riuscito a mediare tra le parti era stato Vladimir Putin: a novembre 2020, strategicamente, si era affermato come arbitro imponendo una presenza militare russa (circa duemila unità) in Azerbaigian, ex repubblica sovietica, e come garante della sicurezza armena. Mentre le preoccupazioni del Cremlino isolato sono rivolte altrove, però, gli azeri sondano il terreno e il rischio di escalation è alto. E il cessate il fuoco fragilissimo.

La storia ci riporta tragicamente agli anni Novanta anche in Myanmar, o Birmania, dove il primo febbraio 2021 i militari hanno rovesciato il governo democraticamente eletto. Il Paese delle pagode d’oro è scivolato velocemente in una sanguinosa guerra civile. Da una parte il Tatmadaw, l’esercito con una lunga storia di atrocità contro i civili, dall’altra i numerosi gruppi ribelli in parte riuniti sotto la sigla del People’s Defence Force, il braccio armato del governo di coalizione nazionale, esecutivo in esilio che sfida la giunta al potere guidata dal generale Min Aung Hlaing.

Le iniziali manifestazioni pacifiche, brutalmente represse, diventano lotta armata. Ai raid aerei dell’esercito i ribelli rispondono con la guerriglia, tradizionale in queste zone, e i numeri (difficili da verificare) parlano chiaro: più di undicimila morti e circa un milione e mezzo di sfollati interni. Amnesty International, nel suo ultimo rapporto, scrive di «migliaia di arresti arbitrari e di esecuzioni sommarie» delle forze armate.

«In qualche modo la tragedia birmana non è entrata nella coscienza del mondo. Difficile spiegare perché», raccontava il giornalista Tiziano Terzani nel 1991. Vale pure oggi. «Se i governi stranieri vogliono davvero aiutare – dice a L’Espresso lo storico Thant Myint-U, nipote di un vecchio segretario dell’Onu – dovrebbero innanzitutto agire a livello multilaterale. Ma, dopo aver indebolito le Nazioni Unite per molti decenni, non sono sicuro che sia facile, anche con una sufficiente volontà politica».

In Yemen, invece, si intravedono timidi segnali positivi. Dopo una guerra devastante durata otto anni tra i ribelli Houthi, sostenuti dall’Iran, e il governo yemenita, appoggiato dall’Arabia Saudita, la recente ripresa delle relazioni tra Teheran e Riad potrebbe promuovere una certa stabilità nella penisola arabica. «I Paesi della regione condividono un unico destino», aveva commentato il ministro degli Esteri saudita, il principe Faisal bin Farhan Al Saud, al momento dell’accordo. Sul campo yemenita, però, una vera pace ancora non c’è e le sorti della popolazione sono scritte nei dati dell’Onu: dal 2015 quasi 400 mila morti, circa la metà uccisi negli scontri armati, gli altri per gli effetti indiretti della guerra. Malnutrizione, scarsità di acqua, epidemie: uno stato di emergenza cronica per cui le piccole aperture producono effetti limitati.

Tante le incognite anche in Etiopia. Per ora regge l’accordo siglato il 2 novembre scorso a Pretoria, Sudafrica, dal governo federale etiope guidato da Abiy Ahmed Ali e dalle autorità del Tigray People’s Liberation Front, i ribelli della regione del Tigray, nel Nord del Paese. Un primo passo verso il silenzio delle armi, certo, ma si potrebbe arretrare senza il controllo della comunità internazionale. Innanzitutto perché la guerra, scoppiata a fine 2020, ha ridato vita a lotte identitarie in un contesto inter-etnico. Tanto che per mesi si è parlato di balcanizzazione del conflitto con conseguenze drammatiche per i civili.

Poi c’è la questione dell’Eritrea, in questo caso alleata di Addis Abeba, la cui posizione non è stata del tutto chiarita nelle trattative. Infine, le indagini sui crimini di guerra, forse commessi da entrambe le parti, sono state affidate al governo etiope e non a un’autorità esterna. Decisione che rischia di seppellire la verità. Che in guerra è sempre la prima vittima.

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Cava ricorda il genocidio del popolo armeno (Inprimanews 11.04.23)

Giovedì sera l’associazione “Joined Cultures” ricorderà la memoria del genocidio del popolo armeno nei primi anni dell’900

Per molti secoli la frazione Alessia di Cava de’ Tirreni ha dato ospitalità alla comunità armena mostrando da sempre vicinanza. Dallo scorso anno il consiglio comunale ha voluto far sentire ancor di più la sua amicizia a una popolo che nei primi anni del secolo scorso ha subito atroci barbarie, istituendo il 24 aprile giorno della Memoria del Genocidio degli Armeni.

Questo giovedì 13 aprile, alle ore 18.30, a palazzo di città si terrà un incontro organizzato dall’associazione “Joined Cultures” dedicato alla memoria e alla commemorazione del genocidio perpetrato dai turchi nei confronti del popolo armeno, prima, durante e dopo la prima guerra mondiale.

Era il 24 aprile 1915, un sabato, con l’arresto della maggioranza dell’élite armena di Costantinopoli prendeva avvio una carneficina pianificata e organizzata nei minimi dettagli, mirata all’eliminazione totale della razza armena. Un odio che si tradurrà in un genocidio, nell’eliminazione brutale di tre quarti della popolazione armena.

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>>“Armenia, il primo genocidio”: Cava de’ Tirreni ricorda

Sette morti per gli scontri a fuoco alla frontiera tra Armenia e Azerbaigian (Rainews 11.04.23)

Ci sono vittime da entrambe le parti; per gli scontri a fuoco i due stati confinanti e rivali si stanno accusando a vicenda. Dura da 35 anni la conflittualità per il controllo della regione del Nagorno-Karabakh

Idue storici rivali del Caucaso meridionale, Armenia e Azerbaigian, si stanno accusando a vicenda per uno scontro a fuoco alla frontiera, intorno alla contesa regione del Nagorno-Karabakh. Nello scontro tra le truppe armene e quelle azere sarebbero stati uccisi almeno sette soldati stando a quanto affermano i ministeri della Difesa di Yerevan e Baku, ripresi dall’agenzia Interfax. Secondo il dicastero armeno, sarebbero morti quattro militari armeni e sei sarebbero rimasti feriti. Le forze azere riferiscono invece della morte di tre propri soldati. Armenia e Azerbaigian si accusano a vicenda per le violenze.

I due stati confinanti – entrambi ex appartenenti all’Unione Sovietica – hanno combattuto ripetutamente negli ultimi 35 anni per il controllo del Nagorno-Karabakh, che è riconosciuto a livello internazionale come parte dell’Azerbaigian ma ospita una popolazione prevalentemente di etnia armena. Lo scontro segue mesi di tensioni causate dal blocco dell’unica strada che collega l’Armenia con il Nagorno-Karabakh.

“In seguito a una provocazione della parte opponente, militari azeri sono diventati martiri e sono stati feriti”, ha dichiarato il ministero della Difesa azero secondo Interfax. Secondo Baku, “unità delle forze armate armene, utilizzando armi leggere dalle posizioni in direzione dell’insediamento di Digh, nella regione di Gorus, hanno sottoposto a fuoco intenso le posizioni opposte dell’esercito azero posizionate in direzione della regione di Lachin”.

Yerevan punta invece il dito contro le truppe azere. “Verso le 4 del pomeriggio dell’11 aprile – affermano le autorità armene – le unità delle forze armate azere hanno aperto il fuoco contro membri delle forze armate armene che stavano svolgendo lavori di ingegneria in direzione del villaggio di Tegh nella regione armena di Syunik, al confine con l’Azerbaigian”.

Nell’autunno del 2020 ci sono stati sanguinosi combattimenti tra armeni e azeri nel Nagorno-Karabakh, dove si stima che abbiano perso la vita oltre 6.500 persone. Un accordo di cessate il fuoco tra Armenia e Azerbaigian è stato siglato nel novembre del 2020 con la mediazione di Mosca. In base al documento, l’Azerbaigian ha mantenuto i territori conquistati e l’Armenia gli ha ceduto anche altre zone del conteso Nagorno-Karabakh e dei territori limitrofi. Sempre sulla base dell’accordo, inoltre, la Russia ha inviato circa 2.000 soldati nel Nagorno-Karabakh con l’obiettivo ufficiale di far rispettare la tregua. A metà settembre si sono registrati altri combattimenti alla frontiera, nei quali si stima che siano morte oltre 280 persone, che i due Stati si accusano a vicenda di aver provocato.

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121° giorno del #ArtsakhBlockade – Continuazione. Nuovo attacco delle forze armate dell’Azerbajgian in Armenia. Così Aliyev esprime come intende la pace (Korazym 11.04.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 11.04.2023 – Vik van Brantegem] – Questo pomeriggio, l’Azerbajgian ha avviato un’altra provocazione al confine armeno-azerbajgiano, a seguito della quale ci sono nuove vittime da ambedue le parti. Questo è il risultato della precedente violazione dell’integrità territoriale dell’Armenia da parte dell’Azerbajgian e dell’occupazione del territorio sovrano dell’Armenia. Ora l’Azerbajgian cerca di nuovo occupare ulteriori territori.

Il programma automatico dell’autocrate di Baku e i suoi troll trasmettono ancora il copione: “Gli Armeni stanno attaccando il territorio dell’Azerbajgian”. Sono gli stessi che twittano a raffica: “Gli Armeni stanno bloccando l’Artsakh”. The Azeri Times scrive, con la tipica logica di Baku, arrampicandosi sugli specchi: «Armen Gyozalyan, il Comandante del Corpo speciale dell’esercito armeno è rimasto gravemente ferito durante la scaramuccia [sic!]. Il fatto che un alto funzionario come il comandante delle forze speciali sia rimasto ferito suggerisce che l’attacco potrebbe essere stato premeditato dall’Armenia». È bello vedere che The Azeri Times finalmente ha abbandonato il pretesto comico di essere uno organo di stampa “indipendente”, diffondendo felicemente le stesse narrazioni che il regime guerrafondaio di Baku alimenta con i suoi strumenti di propaganda più servili. Come risposta dovrebbe bastare far presente, che quando un comandante (armeno) sta sul proprio territorio sovrano (armeno), ciò suggerisce che aveva tutto il diritto di essere lì dove si trovava quando è stato ferito dalle forze armate invasori (azere).

Sia i funzionari armeni che quelli azeri stasera privatamente stanno minimizzando le possibilità di un nuovo conflitto. Fonti a Yerevan affermano che lo scontro a fuoco di questo pomeriggio è un incidente isolato e non si ritiene che faccia parte di un’offensiva più ampia, mentre un funzionario a Baku afferma che Tegh «non è un punto di tensione». Tuttavia, i giovani soldati che tornano a casa nelle bare testimoniano quanto sia teso questo confine. C’è anche una paura palpabile in Armenia che questo scontro possa essere il culmine di settimane di retorica infuocata, di cui abbiamo riferito. Nel frattempo, la missione di monitoraggio della frontiera dell’Unione Europea deve ancora rilasciare una dichiarazione in risposta. Intanto, un alto funzionario del governo azero, parlando in modo anonimo dopo i fatali scontri a fuoco al confine con l’Armenia di questo pomeriggio, afferma che la diplomazia è fallita e «li costringeremo [gli Armeni] alla pace – sembra che non ci sia altro modo».

Il Ministero della Difesa armeno in un comunicato ha dichiarato, che le forze armate azere hanno aperto il fuoco intorno alle ore 16.00 (ore 13.00 di Roma) dell’11 aprile contro i militari armeni che stavano conducendo lavori di ingegneria vicino al villaggio di Tegh, dove le forze armate azere avevano già avanzate recentemente le loro posizioni oltre il confine.

Tigran Hovsepyan, il corrispondente a Syunik di Azatutyan, il programma armeno di Radio Liberty, ha riferito: «Hanno iniziato a sparare dalle ore 16.00, con armi leggere, poi sono passati al fuoco di mortaio. Poco fa sono stato al posto di blocco nel villaggio di Tegh, dove abbiamo sentito di nuovo i rumori dell’artiglieria, accompagnati anche da colpi di mitragliatrice, si vede del fumo dalla zona di interposizione. Al momento gli abitanti del villaggio non hanno informazioni chiare su cosa sia iniziato, si sa che c’è stata una scaramuccia nella zona interposizionale, che al momento sta continuando».

All’interno dei confini internazionalmente riconosciuti dell’Armenia, Tegh è l’ultimo villaggio sulla strada da Goris verso il Corridoio di Lachin che collega l’Armenia all’Artsakh, ora chiuso a tutti tranne che alle forze di mantenimento della pace russe e agli operatori umanitari del Comitato Internazionale della Croce Rossa.

Il Ministero della Difesa armeno ha informato, che l’esercito armeno ha preso le contromisure. «Secondo le prime informazioni ci sono morti e feriti [truppe] dalla parte armena», ha aggiunto il Ministero della Difesa.

«Le forze armate azere continuano la provocazione. Intorno alle ore 17.30 (ore 14.30 di Roma), le unità delle forze armate azere hanno usato colpi di mortaio nella stessa direzione. Le forze armate armene stanno adottando le necessarie misure difensive», si legge in un comunicato del Ministero della Difesa armeno. Usare i mortai significa aumentare la tensione e causare nuove vittime.

Le forze armate azere hanno anche sparato contro le postazioni armene situate nella sezione Sotk del confine armeno-azerbajgiano, ha dichiarato Ruzanna Grigoryan, il rappresentante della società che gestisce la miniera d’oro di Sotk, Geopromining: «Hanno iniziato a sparare intorno alle ore 17.15 (ore 14.15 di Roma). La società ha interrotto il lavoro della miniera di Sotk e ha evacuato i dipendenti per motivi di sicurezza». Nel frattempo sono continuati gli scontri vicino al villaggio di Tegh.

I social media affiliati allo Stato dell’Azerbajgian pubblicano avvertimenti alle sue truppe di non scattare e condividere foto di oggetti e veicoli militari. Messaggi simili sono stati visti durante precedenti operazioni militari, in particolare poco prima della guerra dei 44 giorni del Nagorno-Karabakh nel 2020.

I media armeni riportano, che il Comandante del Corpo d’armata speciale, Armen Gozalyan, è stato ferito durante l’attacco dell’Azerbajgian alle posizioni vicino al villaggio di Tegh.

L’intensità degli scontri al confine è notevolmente diminuita verso le ore 19.00 (ore 16.00 di Roma), ha informato dal Ministero della Difesa armeno. «Le informazioni sui bombardamenti in direzione di Vardenis al momento non corrispondono alla realtà, la situazione nella direzione menzionata è al momento relativamente stabile. Le informazioni diffuse dai media azeri sul presunto utilizzo di droni iraniani da parte armena non corrisponde alla realtà. Non ci sono droni iraniani nell’arsenale delle forze armate armene. Esortiamo a non pubblicare informazioni non verificate, a seguire solo notizie ufficiali. Rilasceremo rapporti ufficiali sulla situazione», ha affermato il Ministero della Difesa armeno.

A seguito della provocazione azera, la parte armena ha 4 vittime e 6 feriti, ha riferito il Ministero della Difesa armeno, aggiungendo che la parte azera ha molte vittime e feriti.

Alle ore 19.35 (ore 16.35 di Roma), la situazione sulla linea di contatto era ritornata relativamente stabile e alle ore 20.30 (ore 17.30 di Roma) la situazione era rimasto relativamente stabile. In caso di qualsiasi cambiamento della situazione, il Ministero della Difesa rilascerà una dichiarazione.

In un video [QUI] pubblicato dal Ministero della Difesa armeno, si vede come i militari delle forze armate dell’Azerbajgian si avvicinano in auto a scopo di provocazione e sparano in direzione dei militari delle forze armate dell’Armenia, che svolgono lavori di ingegneria, e aprono il fuoco.

L’Azerbajgian continua l’aggressione ingiustificata contro l’Armenia, ha scritto l’Ambasciatore con incarichi speciali armeno, Edmon Marukyan, in un post sul suo account Twitter, riferendosi all’aggressione scatenata dall’Azerbajgian nella zona del villaggio di Tegh: «L’Azerbajgian continua la sua aggressione non provocata e ingiustificata contro l’Armenia, perché, in quanto Stato aggressore, non sono state imposte sanzioni all’Azerbajgian e le sue azioni non sono state adeguatamente condannate dalla comunità internazionale».

La situazione nella comunità locale di Tegh non si è ancora calmata, da quando i residenti hanno lanciato l’allarme dalla fine di marzo, che gli Azeri di stanza sul territorio armeno non portano la pace, per dirla in parole povere. Hanno accusato le autorità armene di non impedire l’avanzata delle forze armate azere. «Cosa significa, che la situazione è così? Non sanno dall’alto che questo villaggio sarà distrutto in questo modo? È possibile qualcosa del genere? Stanno dormendo nel Ministero? Cosa stanno facendo i Parlamentari mentre sono seduti in una riunione? Il mio cuore batte forte, è questo un modo di vivere?», ha detto uno dei residenti di Tegh a Azatutya, il programma armeno di Radio Liberty.

Il Ministro della Difesa armeno, Suren Papikyan, ha interrotto la sua visita di lavoro a Brussel e sta tornando in Armenia. Armenpress ha chiesto al Portavoce del Ministero della Difesa armeno, Aram Torosyan: «Si sa che in questi giorni il Ministro della Difesa della Repubblica di Armenia, Suren Papikyan, è a Brussel in visita di lavoro. Il Ministro continua gli incontri, tenendo conto del fatto che l’11 aprile le unità delle forze armate azere hanno effettuato un altro attacco contro il territorio sovrano della Repubblica di Armenia, a seguito del quale la parte armena ha vittime e feriti?»
Risposta: «Il Ministro della Difesa ha interrotto la sua visita di lavoro e sta rientrando in Armenia. Il 10 aprile la delegazione guidata dal Ministro della Difesa della Repubblica di Armenia, Suren Papikyan, è partita per Brussel per una visita di lavoro. L’11 aprile, unità delle forze armate azere hanno sparato contro militari armeni che svolgevano lavori di ingegneria nell’area del villaggio di Tegh. La parte armena ha intrapreso azioni di ritorsione. A seguito della sparatoria su larga scala, la parte armena ha 4 vittime e 6 feriti, la parte azera ha un gran numero di vittime e feriti».

Il Ministero degli Esteri della Repubblica di Armenia ha rilasciato una dichiarazione in cui condanna la nuova provocazione dell’Azerbajgian contro l’integrità territoriale dell’Armenia, che ha causato vittime tra i militari delle forze armate della Repubblica di Armenia:
«L’11 aprile, intorno alle ore 16.00, nel territorio della Repubblica di Armenia, nell’area del villaggio di Tegh, regione di Syunik, un gruppo di soldati delle forze armate azere si è avvicinato ai soldati delle forze armate della Repubblica di Armenia con il pretesto di regolare i punti di schieramento al confine, ha aperto il fuoco con armi di diverso calibro, verso i militari e le posizioni delle forze armate armene, che hanno intrapreso azioni di rappresaglia e hanno difeso il territorio sovrano della Repubblica di Armenia. Ci sono vittime e feriti. Queste azioni aggressive della parte azera sono state condotte nonostante la volontà della parte armena di risolvere i problemi sul campo attraverso negoziati costruttivi.
La provocazione che ha avuto luogo è un’altra invasione dell’Azerbajgian sull’integrità territoriale della Repubblica di Armenia. Questa politica dell’Azerbajgian non è nuova, è la continuazione degli attacchi compiuti contro l’Armenia a maggio e novembre del 2021, oltre che nel mese di settembre del 2022, a seguito dei quali l’Azerbajgian occupa i territori sovrani della Repubblica di Armenia.
È un dato di fatto che l’uso della forza e la minaccia dell’uso della forza sono parte integrante della politica dell’Azerbajgian e mirano a destabilizzare in modo significativo la situazione nella regione e a minare gli sforzi dei partner mediatori per continuare i negoziati di pace. Chiediamo alla comunità internazionale e a tutti i partner interessati alla pace e alla stabilità nella regione di condannare le azioni aggressive dell’Azerbajgian attraverso dichiarazioni mirate e misure chiare a prevenire un’ulteriore escalation della situazione da parte di quest’ultimo».

Mentre l’Azerbajgian attacca l’Armenia, Cirielli afferma che gli Azeri sono disponibili a costruire la pace

«Il dibattito in Azerbajgian e Armenia è dominato dalla questione del conflitto ma ho notato, nonostante una tensione durata trent’anni, che gli Azerbajgiani sono molto disponibili a fare la pace», ha dichiarato il Viceministro degli Esteri italiano, Edmondo Cirielli, un punto su cui trovare un l’incontro con la leadership armena guidata dal Primo Ministro Nikol Pashinyan. «La leadership attuale è molto interessata alla pace. Ci sono state delle elezioni dopo la guerra del 2020 che hanno visto il Premier vincere ampiamente, a dimostrazione che il popolo armeno vuole la pace», ha aggiunto Cirielli. Entrambi i Paesi, ha proseguito, «chiedono una mediazione da parte nostra per trovare una pace onorevole per entrambe le parti e noi cerchiamo di dare loro una mano».

«Il Caucaso è importantissimo per l’energia viste le forniture di gas e petrolio che riceviamo dall’Azerbajgian ed è la porta dell’Oriente, per questo storicamente l’Italia – prima l’Impero romano, poi le Repubbliche marinare, poi il Regno d’Italia – ha sempre visto nel Caucaso una zona importante per i nostri commerci e traffici economici», ha spiegato, Cirielli. «Vogliamo aiutare i Paesi a garantire la loro stabilità e a crescere economicamente. E in tal senso ci sono buone prospettive: io ne ho parlato con il Ministro degli Esteri e della Cooperazione internazionale, Antonio Tajani, e con il Presidente del Consiglio dei Ministri, Giorgia Meloni, e penso che prossimamente che il Ministro prenderà delle iniziative politiche importanti. Vogliamo dare una mano concreta», ha concluso Cirielli.

Ecco quello che dice Cirielli: gli Azeri sono disponibili a costruire pace. Quale è la pace secondo loro vediamo ogni giorno e oggi di nuovo: questo e il rispetto che hanno gli Azeri verso il loro partner strategico Italia.

L’Armenia chiede all’Unione Europea di fare pressione sull’Azerbajgian

L’Unione Europea potrebbe fare di più “per fare pressione” sull’Azerbajgian, che sta soffocando gli Armeni che vivono nell’enclave del Nagorno-Karabakh, ha stimato martedì l’Ambasciatore armeno in Francia, accusando Baku di preparare “un’epurazione etnica”.

“L’obiettivo dell’Azerbajgian è chiaro a tutti, è la pulizia etnica, è un genocidio che si sta preparando”, ha detto Hasmik Tolmajian ai giornalisti dell’associazione stampa diplomatica francese. “L’Azerbajgian sta facendo morire di fame un’intera popolazione per costringerla a lasciare il territorio”, ha aggiunto. Yerevan accusa i militanti azeri di bloccare da metà dicembre una strada vitale – il Corridoio di Lachin – che collega l’Armenia ai territori controllati dal governo della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh.

L’Armenia da mesi avverte di una “crisi umanitaria” a causa di questo blocco, che ha causato carenza di medicinali e interruzioni di cibo e elettricità. Ma Baku ha negato queste accuse. Armenia e Azerbajgian, due ex repubbliche sovietiche nel Caucaso, si sono scontrate in una guerra di 44 giorni nel 2020 per Nagorno-Karabakh. Questo conflitto aveva provocato una disfatta militare armena e un accordo di cessate il fuoco sponsorizzato dalla Russia, che vi ha dispiegato forze di mantenimento della pace. Ma le aggressioni dell’Azerbajgian restano frequenti e minacciano di far deragliare la fragile tregua.

L’Ambasciatore armeno in Francia, Hasmik Tolmajian, ha sottolineato che ci sono state condanne internazionali per il blocco del Corridoio di Lachin. Ma questo è ancora insufficiente. “L’Unione Europea ha abbastanza leve nel suo arsenale diplomatico per fare pressione sull’Azerbajgian”, ha sottolineato Tolmaijan, prospettando la possibilità di ricorrere a “sanzioni mirate” mentre il Paese fornisce gas all’Unione Europea. “L’Azerbajgian non è la Russia, non è la Turchia, non è la Cina”, ha continuato, aggiungendo che “se le leve fossero usate, sarebbero efficaci”.

Regione montuosa popolata principalmente da Armeni, che si è separata dall’Azerbajgian al crollo dell’Unione Sovietica, la questione del Nagorno-Karabakh ha avvelenato le relazioni tra Yerevan e Baku. Armenia e Azerbajgian hanno combattuto due guerre, negli anni ’90 e nel 2020, per il controllo di questa enclave. Tolmaijan ha accusato l’Azerbajgian anche di voler “rosicchiare” il territorio armeno e ha insistito sul fatto che l’Armenia rimane “molto attaccata a una soluzione politica pacifica”. “Ma non possiamo imporre la pace”, ha reagito, esprimendo il senso di isolamento del suo Paese.

Mentre tutta l’attenzione è posto sull’Ucraina, “sotto diversi aspetti, il Nagorno-Karabakh e l’Armenia rischiano di diventare vittime collaterali di questa guerra”, ha anche considerato. Il mese scorso il Ministro degli Esteri francese, Catherine Colonna, che ha annunciato di volersi recare “ad aprile” nelle capitali dell’Azerbajgian e dell’Armenia per ricordare in particolare “la necessità di una soluzione politica”.

Trattare con il diavolo: Aliyev vuole davvero la pace?
di Karena Avedissian [*]
EVN Report, 10 aprile 2023

(Nostra traduzione italiana dall’inglese)

Il dittatore azero è un uomo che non mantiene le sue promesse. Ma gli alti funzionari armeni affermano che al momento non c’è altra scelta.
Dopo settimane di sanguinosa guerra, la dichiarazione di cessate il fuoco del 2020 che ha posto fine alla guerra di 44 giorni sul Nagorno-Karabakh ha sancito la realtà della situazione sul terreno: l’Azerbajgian aveva vinto e gli Armeni che vivevano sia in Artsakh che in Armenia dovevano fare i conti con la loro sconfitta. Ma l’accordo tripartito mediato dalla Russia era ben lungi dall’essere l’ultima parola in materia.

Nonostante abbia conquistato aree di territorio nella regione, l’Azerbajgian non ha ancora raggiunto il suo obiettivo finale di ottenere il controllo sull’intero Nagorno-Karabakh, che continua a insistere sia necessario per qualsiasi tipo di pace negoziata. Ma, data la credibile paura degli Armeni del Karabakh che essere governati da Baku significhi morte o esilio, è possibile una tale pace senza forzare il loro esodo?

La dichiarazione di cessate il fuoco del 2020 stabiliva che lo status della Repubblica di Nagorno-Karabakh doveva essere deciso attraverso colloqui, ma né l’Azerbajgian né l’Armenia sono in grado di concedersi reciprocamente le concessioni richieste dall’altro. Per Baku è accettabile solo una capitolazione totale, mentre Yerevan semplicemente non può impegnarsi in alcun accordo che possa esporre al rischio di pulizia etnica, un rischio che gli esperti internazionali di genocidio avvertono è molto reale.

Da parte sua, l’Armenia ha adempiuto a quasi tutti i suoi obblighi derivanti dall’accordo di cessate il fuoco, inclusa la consegna di distretti precedentemente sotto il suo controllo come Aghdam e Kelbajar (Karvachar) e il rimpatrio di tutti i prigionieri di guerra azeri in Azerbajgian. Ha anche ceduto il controllo del Corridoio di Lachin alle forze di mantenimento della pace russe. L’Armenia si è anche astenuta dall’avanzare posizioni militari o dall’iniziare ostilità, secondo la missione di monitoraggio di Mosca e altri osservatori stranieri.

L’unico punto dell’accordo che l’Armenia deve ancora rispettare è quello di “garantire la sicurezza dei collegamenti di trasporto” tra l’Azerbajgian e la sua exclave di Nakhichevan. Tuttavia, l’Azerbajgian ha imposto la sua interpretazione di ciò come dargli il diritto di creare un “corridoio” sul quale l’Armenia non avrebbe alcun controllo sovrano – qualcosa che Yerevan ha rifiutato. Lo stallo ha fatto deragliare ulteriori colloqui, con Baku che si rifiuta di muoversi.

Al contrario, l’Azerbajgian non ha rispettato la sua parte dell’accordo, violando l’ accordo di cessate il fuoco nel Nagorno-Karabakh , attaccando l’Armenia, continuando a mantenere i prigionieri di guerra armeni, spostando le posizioni militari in avanti nel Nagorno-Karabakh e all’interno della Repubblica di Armenia , e bloccando il Corridoio di Lachin.

Il Presidente dell’Azerbajgian Ilham Aliyev, chiede ulteriori concessioni all’Armenia che non erano incluse nell’accordo. Ciò include l’installazione di un posto di blocco presidiato dalle forze armate azere nel Corridoio di Lachin, nonché il completo disarmo dell’esercito di difesa dell’Artsakh, che secondo Baku è un’estensione delle forze convenzionali della Repubblica di Armenia, che Yerevan ha già ritirato. Per gli armeni locali, sono l’ultima linea di difesa contro un potere ostile che cerca di sottometterli.

La definizione di “pace” dell’Azerbajgian è subordinata all’acquiescenza dell’Armenia su ciascuno di questi fronti, anche se sono arbitrari e richiederebbero la capitolazione totale sia degli Armeni del Nagorno-Karabakh che dell’Armenia.

Non essendo in grado di ottenere queste concessioni, Aliyev ha ampliato le rivendicazioni territoriali dell’Azerbajgian alla Repubblica di Armenia, che spesso chiama “Azerbajgian occidentale”. Il 19 marzo 2023, Aliyev ha minacciato l’Armenia, twittando: “C’è una condizione affinché possano vivere comodamente su un’area di 29.000 chilometri quadrati: l’Armenia deve accettare le nostre condizioni”.

La comunità internazionale ha chiuso un occhio davanti alla retorica bellicosa e ha continuato a interagire con Aliyev come se fosse una parte lesa, che agisce in buona fede. Questo ha solo incoraggiato le linee di attacco provenienti da Baku.

Quindi, il 30 marzo 2023, il Servizio di Sicurezza Nazionale armeno ha riferito che le forze armate azere erano entrate nel territorio armeno, spingendosi fino a 300 metri all’interno del confine. Hanno iniziato a svolgere lavori di ingegneria, secondo quanto riferito in cinque diverse località. L’Armenia ha scelto di non opporsi alla mossa per evitare l’escalation.

Aliyev continua a coltivare all’estero un’immagine di cercatore di pace, che molti attori internazionali hanno abbracciato, mentre interpreta il focoso uomo forte vestito con la divisa militare a casa.
Nell’agosto 2022, il Presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, ha ringraziato sia Aliyev che il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, per gli scambi “aperti e produttivi” e ha osservato che “sono stati compiuti parecchi passi per portare avanti gli accordi raggiunti durante il nostro ultimo incontro” ad aprile. L’Azerbajgian ha attaccato la Repubblica di Armenia due settimane dopo.

L’Azerbajgian ha ripetutamente accusato l’Armenia di aver bloccato i negoziati, cercando di dare l’impressione che gli Armeni stiano ostacolando la pace. Quindi, nel novembre 2022, Aliyev ha annullato un colloquio programmato, affermando che l’inclusione del Presidente francese, Emmanuel Macron, era una linea rossa. Aliyev considera inaccettabili i negoziati che coinvolgono qualsiasi potere che limiterebbe le sue opzioni massimaliste.

In quanto parte vincente, l’Azerbajgian, che è anche più potente politicamente, militarmente ed economicamente, ha più potere contrattuale e può esercitare maggiore influenza sui termini della pace. Ma questo non può anche significare che l’Armenia e gli Armeni del Nagorno-Karabakh, in quanto parti perdenti, non possano o non debbano avere voce in capitolo nel processo di pace.

Nei conflitti, la comunità internazionale e i mediatori mirano spesso a garantire che tutte le parti, comprese le parti perdenti, abbiano un ruolo nel plasmare i termini della pace. Ciò si basa sul principio di affrontare le cause profonde del conflitto al fine di raggiungere una pace sostenibile e duratura. Secondo gli Armeni, la causa principale del conflitto moderno è la sicurezza degli Armeni rispetto a Baku.

Attualmente, l’idea di “pace” dell’Azerbajgian implica la sottomissione della popolazione armena del Nagorno-Karabakh, che di fatto la costringerà ad andarsene. Ciò equivale a pulizia etnica, e si verificherà a meno che la comunità internazionale non intervenga. Il fatto che la comunità internazionale non lo prenda sul serio è preoccupante.

I funzionari azeri negano pubblicamente che un’acquisizione risulterà in una pulizia etnica, nonostante le preoccupazioni armene. Assicurano alla comunità internazionale che gli Armeni del Karabakh saranno “cittadini dell’Azerbajgian”, il che implica che saranno protetti. Tuttavia, la storia recente mostra che un passaporto azero non protegge i cittadini dalla violenza per mano del proprio Stato.

I diritti delle minoranze e le espressioni pubbliche delle identità delle minoranze in Azerbajgian sono soppressi e i gruppi minoritari non hanno mezzi per organizzarsi in modo indipendente o difendere i propri interessi. Sebbene ci sia un numero trascurabile di Armeni in Azerbajgian, gli Armeni come gruppo sono presi di mira e demonizzati nel discorso pubblico azero, nella retorica ufficiale e nelle sfere sociali e culturali. I funzionari azeri si impegnano in una tale retorica razzista e di odio contro gli Armeni, che la Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite ha ordinato loro di smetterla. Tuttavia, il sentimento anti-armeno persiste, con il Parlamento dell’Azerbajgian che definisce la diaspora armena europea nel marzo 2023 un “tumore canceroso”.

Gli Armeni del Nagorno-Karabakh hanno resistito per decenni al dominio azero e si sono effettivamente governati autonomamente per tutto il periodo post-sovietico. Ciò è dovuto proprio al loro timore di persecuzioni e discriminazioni anti-armene. Laddove l’Azerbajgian ha preso territorio, ha sistematicamente cancellato l’eredità e la presenza storica armena, come documentato da Caucasus Heritage Watch.

Ad oggi, nessun grande attore internazionale ha affrontato il potenziale destino degli Armeni del Nagorno-Karabakh se fossero integrati con la forza in uno Stato che ha mostrato il desiderio di eliminarli. Ecco perché un alto funzionario armeno, coinvolto in colloqui bilaterali dal 2020, parlando a condizione di anonimato, mi dice che gli sforzi diplomatici armeni sono concentrati sul mantenere vivo il processo negoziale. “L’Azerbajgian si lamenta del fatto che stiamo utilizzando tutte le piattaforme negoziali, inclusi il gruppo di Minsk, gli Stati Uniti e Mosca. Sappiamo che non sono un partner in buona fede, ma sappiamo anche che non ci sono altre opzioni. Stiamo cercando di ripristinare i negoziati come possiamo, anche se ciò significa proseguire i negoziati contemporaneamente attraverso gli Stati Uniti, l’Unione Europea e Mosca”, ha affermato.

Il 13 marzo e di nuovo il 27 marzo, l’Azerbajgian ha esteso gli inviti ai funzionari del Nagorno-Karabakh per i negoziati a Baku. Tuttavia, questi inviti sono stati respinti dai funzionari del Nagorno-Karabakh. Tigran Grigoryan, Presidente del Centro regionale per la democrazia e la sicurezza, ritiene che lo scopo dell’invito sia politico. “Vogliono dimostrare che i negoziati sono un processo interno – che i negoziati possono svolgersi senza coinvolgimento internazionale. Ciò significa che la loro agenda per i colloqui è l’integrazione”, afferma. Grigoryan spiega che l’invito a Baku ha un altro scopo: un pretesto per un’altra possibile escalation. “Vogliono dimostrare che la parte del Nagorno-Karabakh non collabora e che l’Azerbajgian è pronto a parlare, ma gli Armeni no. L’Azerbajgian mira a imporre il suo programma di integrazione al Nagorno-Karabakh e all’Armenia, ed è disposto a usare la forza militare per raggiungere questo obiettivo. Un mese fa, l’Azerbajgian ha emesso un ultimatum, affermando “o accetti questo processo di integrazione o faremo un’escalation sul campo”, e da allora ha continuato a peggiorare la situazione. E Stepanakert non può accettare questa proposta perché significherebbe che i negoziati riguardano l’integrazione in Azerbajgian”, dice. “Stepanakert afferma la sua disponibilità a discutere questioni tecniche e infrastrutturali con Baku”, afferma Grigoryan. “Tuttavia, ritiene che le questioni politiche debbano essere risolte attraverso un meccanismo internazionale che possa fornire garanzie per la continuazione del processo di pace se viene firmato un trattato tra l’Azerbajgian e l’Armenia”.

Lo stesso funzionario armeno afferma che il pensiero prevalente all’interno del governo è che la parte armena debba negoziare con Aliyev, pur sapendo che qualsiasi accordo potrebbe non durare a lungo. “Anche se sappiamo che non manterrà i suoi impegni, dobbiamo persistere nel processo in quanto al momento non ci sono alternative praticabili”, ha affermato il funzionario. “La cosa più importante è trovare meccanismi che possano estendere i colloqui e frenare Aliyev. Sappiamo che quando Aliyev non ottiene ciò che vuole, ricorre alla forza, come ha fatto quando ha conquistato il territorio vicino a Jermuk in Armenia dopo non aver ottenuto ciò che voleva. Ha anche chiuso il Corridoio di Lachin per spingere per un altro incontro. Sta usando la forza e il ricatto. È fondamentale stabilire un meccanismo per impedirgli di farlo in futuro”, ha aggiunto il funzionario.

Il cessate il fuoco che ha posto fine, o forse solo messo in pausa, la guerra del 2020 prevedeva che i diplomatici armeni e azeri si sedessero per negoziare un futuro per la regione. Baku potrebbe accusare l’Armenia di temporeggiare, ma sa bene che Yerevan non può dare ad Aliyev ciò che vuole veramente: un Nagorno-Karabakh senza Armeni.

[*] Karena Avedissian è una scienziata politica che si occupa di movimenti sociali, nuovi media, società civile e sicurezza nell’ex Unione Sovietica, con particolare attenzione alla Russia e al Caucaso. Ha conseguito il dottorato di ricerca presso l’Università di Birmingham nel 2015. Da allora, ha lavorato come ricercatrice presso l’Università della California meridionale e l’Università di Birmingham su temi di democrazia comparata e autoritarismo, costruzione dello Stato in Armenia e influenza dello Stato nello spazio post-sovietico. I suoi scritti sono stati pubblicati su The Guardian, Moscow Times, Open Democracy, Global Voices, Transitions Online e Hetq. Attualmente è docente presso l’American University of Armenia.

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]

121° giorno del #ArtsakhBlockade. Cosa dovrebbero fare gli Armeni per attirare l’attenzione dei media? (Korazym 11.04.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 11.04.2023 – Vik van Brantegem] – Nel giorno 121 dell’illegale blocco criminale dell’Artsakh da parte del regime genocida autocratico dispotico di Aliyev, ispirato dalla sua decennale impunità, le autorità della Repubblica di Artsakh, tramite le forze di mantenimento pace della Russia, hanno inviato una proposta all’Azerbajgian per tenere un incontro nel commando e con la mediazione del contingente di mantenimento della pace della Russia per discutere questioni umanitarie urgenti.

I rappresentanti delle autorità dell’Arsakh e dell’Azerbajgian si sono incontrati l’ultima volta presso il comando russo all’aeroporto di Stepanakert a Kholajy, il 1° marzo. I rappresentanti dell’Azerbajgian volevano invece parlare di questioni relative all’integrazione e i rappresentanti dell’Artsakh l’hanno rifiutato. Successivamente, le forze armate dell’Azerbajgian hanno ucciso tre agenti di polizia dell’Artsakh, hanno occupate alture nelle aree vicino all’autostrada che collega il Nagorno Karabakh con l’Armenia che tiene bloccata e hanno invitato i rappresentanti della “regione economica di Karabakh dell’Azerbajgian” per colloqui a Baku sull’integrazione (proposto respinta).

Mentre pesanti sanzioni colpiscono la Russia, nonostante l’ordine giuridicamente vincolante della Corte Internazionale di Giustizia di aprire il Corridoio di Lachin, l’autocrazia dell’Azerbajgian sta continuando impunemente il blocco di 120.000 Armeni e l’invasione di terre armene, come risultato della politica di sanzioni zero. Nel frattempo la Commissione Europea acquista il gas azero-russo da Aliyev e Ursula von der Leyen va in Cina nella remota speranza di separare la Cina dalla Russia, ma al ritorno è stata persino costretta a passare per i normali controlli passeggeri all’aeroporto. Non solo la Commissione Europea ha raccolto un altro fallimento, ma anche stavolta ha collezionato un’amara umiliazione (ricordando il sofà al cospetto del Sultano sul Bosforo). Cosa aspetta di provare a fare la stessa cosa in Azerbajgian, provando a separare l’Azerbajgian dalla Turchia?

Ovviamente è una domanda retorica. Invece, una «domanda genuina. Cosa dovrebbero fare gli Armeni per attirare l’attenzione dei media sul #ArtsakhBlockade da parte della dittatura dell’Azerbajgian? In 4 mesi, The New York Times l’ha coperto una volta. La CNN non ha trasmesso un solo servizio televisivo su questa crisi umanitaria» (Nara Matini).

Il lavoro agricolo nelle aree della linea di contatto dell’Artsakh con le forze armate dell’Azerbajgian sarà accompagnato dalle forze di mantenimento della pace russe per aumentare la sicurezza, a seguito dei recenti attacchi azeri. I residenti devono contattare il centro di coordinamento per assicurarsi che le forze di mantenimento della pace russe siano presenti prima di iniziare il lavoro.

I parenti dei prigionieri di guerra, che sono detenuti nelle carceri dell’Azerbajgian, hanno bloccato sin dalle prime ore del mattino la strada che porta al posto di blocco armeno-georgiano “Bavra”. Chiedono il ritorno dei prigionieri e non vedono alcun motivo per negoziare con i rappresentanti delle autorità.

«Coloro che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo» (George Santayana).
«Noi studiamo la storia non per conoscere la storia ma per allargare i nostri orizzonti, per capire che una situazione non deriva da una legge naturale e non è inevitabile, che di conseguenza abbiamo di fronte a noi molte più possibilità di quanto immaginiamo» (Yuval Noah Harari).
«La storia non è magistra di niente che ci riguardi, ne siamo pure un po’ vittime e la colpa è degli altri» (Daniele Lo Vetere).

«L’Azerbajgian ha mostrato il potere dei Turchi al mondo intero sul campo di battaglia – Çavuşoğlu.
Baku. TurkicWorld: L’Azerbajgian ha mostrato il potere dei Turchi al mondo intero sul campo di battaglia e ha liberato le sue terre dall’occupazione.
Lo ha detto, secondo TurkicWorld, il Ministro degli Esteri turco, Mevlüt Çavuşoğlu, nel suo discorso all’apertura del Centro di Coordinamento Elettorale di Afyonkarahisar [una città della Turchia occidentale a 250 km da Ankara] del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo».

Piccoli Paesi, Grande Guerra
Il conflitto tra Armenia e Azerbajgian potrebbe scatenare una crisi più ampia
di Mohammad Ayatollahi Tabaar [*]
Foreign Affairs, 10 aprile 2023

(Nostra traduzione italiana dall’inglese)

Il conflitto di lunga data tra Armenia e Azerbajgian sulla regione contesa del Nagorno-Karabakh ha creato dei partnership nel Caucaso meridionale che attraversano i confini religiosi, etnici e geopolitici in modi sorprendenti. L’Iran, che è governato da religiosi sciiti, ha fornito un’ancora di salvezza economica all’Armenia a maggioranza cristiana, il cui principale sostenitore è stata a lungo la Russia. Nel frattempo, Israele e la Turchia a maggioranza sunnita hanno stretto un’alleanza strategica con l’Azerbajgian a maggioranza sciita. E i due Paesi a maggioranza sciita nel mix, Iran e Azerbajgian, rimangono bloccati in un’aspra disputa decennale su territorio e identità.

Per quasi tre decenni, con il conflitto del Nagorno-Karabakh congelato in una situazione di stallo, questa configurazione è stata per lo più vista come un caso in cui la politica fa strani compagni di letto: curioso, ma non motivo di allarme. Nel 2020, tuttavia, lo slancio del conflitto si è spostato decisamente verso l’Azerbajgian, che ha ottenuto una netta vittoria militare sull’Armenia durante una breve ma consequenziale guerra sul territorio. Quel risultato sta lentamente ma inesorabilmente aumentando, con effetti pericolosi, tensioni intrinseche ma a lungo nascoste tra i giocatori della regione. Tutto questo sta avvenendo mentre la Russia, che è stata tradizionalmente l’attore esterno più importante nel conflitto, è stata distratta dalla sua vacillante guerra contro l’Ucraina.

Nel frattempo, mentre i legami di Israele con un incoraggiato Azerbajgian si sono approfonditi, l’Iran si è preoccupato che Israele stia trasformando l’Azerbajgian nel suo delegato e usandolo come trampolino di lancio per operazioni contro l’Iran. Negli ultimi anni, l’Iran ha assistito all’avvicinamento di Israele e delle monarchie arabe del Golfo Persico, a causa di una comune inimicizia nei confronti di Teheran. Gli Iraniani ora temono che una dinamica simile stia prendendo forma tra Israele e due Paesi a prevalenza turca, la Turchia e l’Azerbajgian. La minaccia percepita di essere schiacciato tra un blocco israelo-arabo del Golfo a sud e un blocco israelo-turco a nord, insieme ai disordini interni in Iran, potrebbe indurre Teheran a entrare apertamente nel conflitto dalla parte armena e tentare di destabilizzare lo Stato azero. Nel frattempo, un Azerbajgian sempre più sicuro di sé potrebbe cercare di armare e alimentare il separatismo tra la popolazione azera-iraniana.

La lotta per il Nagorno-Karabakh ha ribollito per decenni, ma è stata generalmente trattata come una sorta di baraccone geopolitico. Durante l’era sovietica, la regione di circa 2.736 chilometri quadrate era un oblast autonomo della Repubblica Socialista Sovietica di Azerbajgian; oggi è riconosciuto a livello internazionale come parte della Repubblica di Azerbajgian, che lo circonda completamente. Ma la popolazione del Nagorno-Karabakh è stata a lungo prevalentemente armena e, dopo la disgregazione dell’Unione Sovietica, sono scoppiati combattimenti tra l’Azerbajgian e le forze armene locali fortemente sostenute dalla Russia. Nel 1994, la Russia ha mediato un cessate il fuoco e, per i successivi 25 anni circa, si è tenuta una situazione di stallo in cui le forze sostenute da Armenia e Russia controllavano efficacemente il territorio. Nel 2020, tuttavia, è scoppiata una seconda guerra e questa volta l’Azerbajgian ha ottenuto una vittoria decisiva, espellendo le forze armene dai distretti dominati dagli Azeri che l’Armenia aveva occupato e portando a un fragile cessate il fuoco mediato dalla Russia.

Uno dei motivi di quella vittoria è stato l’aiuto israeliano. Dal 2016, l’Azerbajgian ha ricevuto quasi il 70% delle sue importazioni di armi da Israele, che a sua volta acquista il 40% del suo petrolio da Baku. Gli Iraniani, tuttavia, credono che Israele ottenga anche qualcos’altro dalla relazione. Secondo diversi resoconti della stampa, le principali operazioni israeliane contro l’Iran, compreso il furto nel 2018 di informazioni riguardanti il suo archivio nucleare, sono state condotte con l’assistenza dell’Azerbajgian. Inoltre, l’Iran afferma che l’Azerbajgian ha permesso a Israele di contrabbandare armi in Iran e ha offerto i suoi aeroporti ai droni israeliani per operare all’interno dell’Iran. Baku ha negato tali notizie e ha annunciato che non consentirà a Israele di utilizzare l’Azerbajgian come trampolino di lancio per attaccare l’Iran. Ma i leader e i funzionari militari iraniani hanno ripetutamente avvertito che non tollereranno questo presunto “nido” nemico.

Nel frattempo, l’Iran ha espresso allarme per un potenziale risultato della vittoria dell’Azerbajgian nella guerra del 2020 sul Nagorno-Karabakh. Baku sta attualmente chiedendo che Yerevan accetti la creazione di un corridoio attraverso il territorio armeno che collegherebbe l’Azerbajgian a Nakhchivan, un’enclave a maggioranza azera all’interno dell’Armenia. A gennaio, il Presidente azero Ilham Aliyev ha definito questo passaggio “una necessità storica… [che] accadrebbe se l’Armenia lo volesse o no”. Un tale corridoio taglierebbe l’accesso dell’Iran all’Armenia, perché i due Paesi non condividerebbero più un confine. L’Iran vede l’Armenia come un legame fondamentale con l’Eurasia e ha minacciato di usare la forza militare contro qualsiasi modifica dei confini internazionalmente riconosciuti della regione. Durante un incontro con il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan lo scorso luglio, il leader supremo dell’Iran, l’Ayatollah Ali Khamenei, ha messo in guardia contro la creazione di una barriera tra Iran e Armenia bloccando quella che “è stata una via di comunicazione per migliaia di anni”.

Negli ultimi due anni, l’esercito regolare iraniano e il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche hanno condotto esercitazioni militari su larga scala lungo il confine con l’Azerbajgian e si sono esercitati ad attraversare il fiume Aras, che separa i due stati. In risposta, l’Azerbajgian e la Turchia hanno lanciato esercitazioni militari congiunte sulla sponda settentrionale del fiume. Le ansie dell’Iran sono state ulteriormente accresciute dalle notizie secondo cui la Turchia ha portato in Azerbajgian centinaia di mercenari estremisti dalla Siria per aiutare durante la guerra del 2020 contro l’Armenia.

Gli stretti legami etnici tra Iran e Azerbajgian conferiscono ulteriore complessità a questo conflitto emergente. Sebbene l’Azerbajgian abbia un’affinità linguistica con la Turchia, gli Azeri tendono a identificarsi meno con l’etnia turca che con gli iraniani di etnia azera, che costituiscono il più grande gruppo di minoranza etnica dell’Iran e circa il 20% della sua popolazione totale. Più Azeri vivono in Iran (da 15 a 20 milioni) che in Azerbajgian (circa dieci milioni). Gli Azeri iraniani hanno svolto un ruolo centrale nella storia, nell’economia, nella società e nella politica dell’Iran, anche durante il movimento costituzionale del 1905 e la rivoluzione del 1979. Gli Azeri su entrambi i lati del confine sottolineano spesso che il padre di Khamenei aveva un’eredità azera.

Molti Azeri credono che l’area che considerano il “Grande Azerbajgian” sia diventata ingiustamente una pedina in una contesa geopolitica tra Iran e Russia. La parte di quest’area che si trova a nord del fiume Aras ha ottenuto l’indipendenza dopo il crollo dell’Unione Sovietica (ed è oggi la Repubblica di Azerbajgian), mentre l’area a sud del fiume rimane sotto il controllo dell’Iran. In questa prospettiva, il Grande Azerbajgian è una nazione che è stata divisa dalla storia e attende la sua giusta unificazione.

Per l’Iran, tuttavia, la “Repubblica di Azerbajgian” è un termine improprio applicato alla regione sbagliata. Il nome “Azerbajgian” è stato storicamente usato dagli Iraniani per riferirsi a quelle terre a sud dell’Aras, che sono attualmente divise in diverse province iraniane. Gli Iraniani sottolineano che quella che è oggi la Repubblica di Azerbajgian un tempo era controllata dall’Iran, che la perse all’Impero russo durante diverse guerre che si conclusero con due trattati umilianti nel 1813 e nel 1828, che costrinsero l’Iran a cedere i suoi vasti territori in Transcaucasia, Nord Caucaso e Caucaso meridionale. Queste perdite territoriali sono state successivamente radicate nella psiche nazionale iraniana e nella memoria collettiva, vividamente e dolorosamente riflesse nella poesia iraniana e persino nella retorica politica quotidiana.

Dalla fine della Guerra Fredda, l’Iran e l’Azerbajgian hanno dispiegato le loro identità religiose ed etniche per proiettare il potere l’uno nel territorio dell’altro. Baku ora accusa Teheran di tentare di “libanonizzare” l’Azerbajgian promuovendo organizzazioni sciite militanti simili a Hezbollah in Azerbajgian. Lo scorso novembre, le autorità di Baku hanno arrestato membri di un gruppo armato presumibilmente addestrato dal Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche in Iran e Siria. Nel frattempo, Teheran accusa Baku di aspirare a “balcanizzare” l’Iran appoggiando movimenti separatisti tra la popolazione iraniana di etnia azera. Una settimana dopo gli arresti di novembre, l’Iran ha annunciato che un membro dello Stato Islamico (noto anche come ISIS) si è recato da Baku a Teheran con un passaporto azero per organizzare un recente attacco mortale nella città meridionale di Shiraz.

Le tensioni sono ulteriormente aumentate a gennaio, quando un uomo armato ha fatto irruzione nell’Ambasciata dell’Azerbajgian a Teheran, uccidendo il suo capo della sicurezza e ferendone altri due. Baku lo ha definito “un attacco terroristico ” e ha evacuato l’Ambasciata; I funzionari iraniani hanno insistito sul fatto che l’aggressore avesse motivazioni personali piuttosto che politiche. Poi, il 28 marzo, un parlamentare azero anti-iraniano è sopravvissuto a un tentativo di omicidio. Il giorno successivo, l’Azerbajgian ha aperto la sua Ambasciata a Tel Aviv, diventando il primo Paese a maggioranza sciita a inviare un ambasciatore in Israele.

Dalla sua vittoria nel 2020 sull’Armenia, Baku ha adottato un tono insolitamente risentito nei confronti dell’Iran. Lo scorso autunno, Aliyev ha dichiarato che le relazioni con l’Iran non sono mai state così scarse. “Faremo di tutto per proteggere il nostro stile di vita e lo sviluppo secolare dell’Azerbajgian e degli Azeri, compresi gli Azeri in Iran”, ha affermato. “Fanno parte della nostra nazione”. Diversi commentatori azeri hanno chiesto la separazione dell’”Azerbajgian meridionale” (il nome che danno alla regione azera dell’Iran), e lo scorso novembre un canale televisivo azero ha riferito che un comitato di Azeri iraniani in esilio si era incontrato con parlamentari azeri per discutere la formazione di un “parlamento ad interim dell’Azerbajgian meridionale”.

Da parte loro, i commentatori dei media iraniani affermano che molti cittadini dell’Azerbajgian, incluso un gruppo chiamato Movimento Popolare Iraniano di Nakhchivan, si oppongono all’influenza turca e della NATO nel Caucaso e vogliono ricongiungersi alla loro “madrepatria” iraniana. Le autorità iraniane hanno anche accusato Israele e Turchia di riscrivere la storia per aiutare il governo dell’Azerbajgian a promuovere un’identità turca-azera laica che allontanerebbe ulteriormente gli Azeri da quello che Teheran vede come il loro posto storico nella civiltà iraniana e nella cultura sciita e invece li avvicinerebbe alla Turchia. A luglio, l’Ambasciatore israeliano in Azerbajgian ha scritto in un tweet che leggeva un libro intitolato Mysterious Tales of Tabrizgli, che aveva insegnato “così tanto sulla storia e la cultura dell’Azerbajgian a Tabriz”. Tabriz è la quarta città più grande dell’Iran e la capitale della provincia dell’Azerbajgian orientale. In risposta, la sua controparte iraniana a Baku ha twittato: “Per informazione di questo ragazzo avventuroso: la nostra amata Tabriz è conosciuta come la terra dei PRIMI nell’orgogliosa storia dell’Iran. Apparentemente, anche il PRIMO malvagio sionista sarà seppellito dalla zelante gente di Tabriz. Non attraversare mai la nostra linea rossa, mai!”.

Queste tensioni sono andate crescendo nel contesto dei disordini in Iran, iniziati lo scorso settembre dopo la morte di Mahsa Amini, che era sotto la custodia della polizia morale. Il profondo conflitto stato-società che è seguito da allora può indurre il regime a cercare una battaglia diversiva. I disordini interni della Repubblica Islamica potrebbero anche segnalare debolezza e incoraggiare l’avventurismo dell’Azerbajgian contro l’Iran.

Intanto vacilla il cessate il fuoco tra Azerbajgian e Armenia, con entrambe le parti che si scontrano per il controllo di un tratto di terra che collega il Nagorno-Karabakh all’Armenia. Se la guerra tra Armenia e Azerbajgian dovesse scoppiare di nuovo, l’Iran probabilmente fornirà un sostegno più aperto all’Armenia di quanto non abbia fatto in passato perché la posta in gioco ora è molto più alta. Lo scorso ottobre, un alto comandante del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche e Consigliere militare del leader supremo iraniano ha dichiarato che l’Armenia aveva espresso interesse per l’acquisto di droni iraniani. Inoltre, fonti dei media azeri hanno riferito che, dallo scorso autunno, l’Iran ha fornito sistemi missilistici anticarro e missili all’Armenia, sebbene Yerevan neghi queste accuse.

In uno scenario potenziale, l’Iran potrebbe scegliere di condurre attacchi missilistici e droni su quelle che il governo iraniano sostiene essere basi israeliane in Azerbajgian, simili alle operazioni lanciate negli ultimi mesi contro i “centri strategici” israeliani nelle regioni dell’Iraq dominate dai curdi. (I funzionari curdi iracheni hanno negato l’affermazione che tali basi esistano.) Quindi, l’Azerbajgian e Israele, forse con la cooperazione della Turchia, potrebbero cercare di fomentare un’insurrezione tra gli Azeri etnici in Iran, che potrebbe, a sua volta, provocare l’esercito iraniano a avventurarsi nello stesso Azerbajgian.

Per ora, una tale sequenza di eventi rimane puramente ipotetica. Ma ciò che non è ipotetico è la possibilità che un conflitto nel Caucaso meridionale precipiti in una crisi, che potrebbe coinvolgere Stati Uniti e NATO (dalla parte di Azerbajgian, Israele e Turchia) e Russia (dalla parte di Armenia e Iran), aprendo così un’altra faglia nelle travagliate relazioni dell’Occidente con la Russia e consolidando una nascente partnership militare tra Teheran e Mosca.

Nel tentativo di ridurre le tensioni, il Segretario di Stato americano, Antony Blinken ha tenuto colloqui trilaterali con Aliyev e il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan. Ha anche chiesto ad Aliyev di riaprire immediatamente una strada commerciale che collega il Nagorno-Karabakh all’Armenia per evitare un disastro umanitario. Anche il Presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, ha avuto conversazioni telefoniche con entrambi i leader, esortandoli ad astenersi da un’ulteriore escalation. Ma fino a quando la comunità internazionale non si renderà conto di come questo conflitto tra due piccoli Paesi potrebbe trasformarsi in una crisi con implicazioni globali, una svolta rimane improbabile.

[*] Mohammad Ayatallohi Tabaar è Professore Associato di Affari Internazionali presso la Bush School of Government and Public Service della Texas A&M University e Fellow presso il Baker Institute for Public Policy della Rice University. È l’autore di Religious Statecraft: The Politics of Islam in Iran.

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]