Armenia: turbolenze regionali e fermenti politici (Treccani 26.05.21)

A circa sei mesi dalla disfatta militare consumatasi tra le montagne del Karabakh nel conflitto con l’Azerbaigian, il 23 ed il 24 aprile scorsi si sono svolte in Armenia le commemorazioni del Metz Yerghen, il genocidio perpetrato contro gli Armeni nel 1915-16, in un Impero ottomano prossimo allo sgretolamento. Centinaia di migliaia di persone hanno partecipato alle cerimonie svoltesi nella capitale Erevan, nel corso delle quali l’opposizione non ha mancato di tuonare contro il primo ministro Nikol Pashinyan, accusandolo di essere un traditore.

In Armenia, la sconfitta nella guerra dei 44 giorni dello scorso autunno ha esasperato equilibri politici e sociali già tesi: ad essere contestato da larghi settori della società è proprio il primo ministro Nikol Pashinyan, considerato promotore di una politica debole nei confronti della Turchia, della recente sconfitta militare con l’Azerbaigian e dei problemi economici del Paese. Il bilancio approssimativo delle sei settimane di combattimenti è di almeno 5.000 morti, a cui si sommano migliaia di feriti, invalidi e almeno 100.000 rifugiati che hanno abbandonato le proprie case.  Secondo altre stime le vittime di combattimenti dello scorso autunno potrebbero essere addirittura 10.000.

L’intervento russo, avvenuto con il dislocamento di una forza d’interposizione di circa 2.000 uomini nei territori contesi tra Armenia ed Azerbaigian ha scongiurato per Erevan una sconfitta ben peggiore, rinnovando il ruolo di Mosca nel Caucaso meridionale. Nelle settimane che hanno seguito il cessate il fuoco mediato da Mosca, decine di migliaia di manifestati hanno protestato per le strade di Erevan pretendendo le dimissioni del primo ministro, arrivate soltanto a distanza di mesi.

Il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov si è recato in visita in Armenia il 5 ed il 6 maggio, con un tempismo tutt’altro che casuale: a pochi giorni dal 24 aprile, data in cui gli Armeni commemorano il genocidio del 1915-16, a ridosso del 9 maggio, giorno in cui in Russia si celebra ‒ come nella tradizione sovietica – la vittoria sul nazifascismo avvenuta nel 1945, e a poche settimane dalle elezioni politiche previste a giugno.

Nella cornice della visita, i ministri degli Esteri russo e armeno hanno reso omaggio alle vittime del genocidio ed ai caduti della Grande guerra patriottica – definizione con cui in Russia si ricorda la Seconda guerra mondiale ‒ visitando i due memoriali presenti nella capitale armena Erevan.

Un fatto certamente simbolico, ma nient’affatto formale: tanto meno a pochi giorni dall’annuncio con cui il presidente statunitense Joe Biden ha ufficializzato il riconoscimento statunitense del genocidio armeno: una scelta che si inserisce nel quadro delle forti tensioni tra Mosca e Washington emerse nelle ultime settimane. Benché larghi settori della società armena abbiano accolto questa notizia senza particolari entusiasmi, la mossa di Washington vorrebbe evidentemente essere d’aiuto al primo ministro Nikol Pashinyan in vista dell’imminente competizione elettorale.

Nonostante ciò, una nuova affermazione elettorale di Nikol Pashinyan appare piuttosto remota.

Oltreoceano la volontà di riconoscere ufficialmente il genocidio armeno era già emersa due anni fa con il voto del Congresso statunitense, orientato in modo significativo dalle pressioni della comunità armena degli Stati Uniti: il tempismo scelto dalla Casa Bianca per ufficializzare la decisione si spiega con l’intento statunitense di avvicinare alla propria orbita l’Armenia, a dispetto del suo rapporto strategico con Mosca.

Il cordone ombelicale con la Federazione Russa è infatti uno degli elementi che, nell’ambito dell’Unione euroasiatica, permette alla precaria economia armena di reggersi. A questo si aggiunge il ruolo che Mosca svolge nel fornire assistenza militare all’Armenia e nel presidiarne le delicate frontiere terrestri, oltre alla presenza militare di Mosca in territorio armeno (base di Gyumri e aeroporto militare di Erebuni).

Molti i temi al centro dei colloqui tra Sergej Lavrov, l’omologo armeno Ara Aivazian ed il primo ministro Nikol Pashinyan, come l’implementazione dell’accordo sul cessate il fuoco nei territori contesi del Nagorno-Karabakh, i progetti infrastrutturali di collegamento ferroviario tra Armenia e Federazione Russa, gli investimenti russi in Armenia, le attività di sostegno umanitario.

Rimarcando l’importanza del partenariato strategico tra Mosca ed Erevan, Sergej Lavrov ha auspicato che «armeni ed azeri possano riuscire a convivere pacificamente, come è stato a lungo possibile nel passato». Tuttavia, il ruolo di Ankara e Baku continua ad essere percepito come una minaccia da larghi settori della società armena, nel solco della memoria del genocidio, della conflittualità emersa con l’Azerbaigian durante e dopo il collasso sovietico e del panturchismo promosso da alcune forze politiche turche: una conflittualità che ha esasperato le identità nazionali distinte, alimentando le turbolenze del Caucaso.

Una tendenza, quella all’esasperazione identitaria, che compromette le possibilità di un equilibrio pacifico e duraturo per la regione, favorendo i tentativi di destabilizzazione e facendone apparire il futuro prossimo quantomai incerto.

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Armenia, epilogo della crisi politica e nuove elezioni (Osservatorio Balcani e Caucaso 26.05.21)

L’Armenia andrà ad elezioni anticipate il prossimo 20 giugno. E’ così che dovrebbe risolversi la grave crisi politica apertasi dopo la sconfitta militare subita nella guerra per il Nagorno Karabakh

26/05/2021 –  Marilisa Lorusso

Con la firma della dichiarazione congiunta del 10 novembre 2020 che ha messo fine ai combattimenti in Nagorno Karabakh sancendo la disfatta armena si è aperta, nel paese, una grave crisi politica. Anche se la questione del Karabakh è rimasta irrisolta per 30 anni, così come la situazione in cui versava l’esercito armeno era frutto di decenni di governo, il peso della disfatta è ricaduto sul governo in carica, non scevro peraltro di responsabilità nell’inasprimento dei rapporti con Baku.

La crisi è stato uno dei fattori che maggiormente ha destabilizzato il periodo post bellico: manifestazioni pro e contro il governo si sono tenute per settimane, con una polarizzazione nazionale che in alcuni momenti ha rischiato di diventare violenta. Alla questione – enorme, colossale – della sconfitta in guerra – e dello stravolgimento dello status quo cui si era abituati quasi fosse ormai intangibile dal 1994 – si sono aggiunte ulteriori spaccature interne, come la tensione fra Pashinyan e lo Stato Maggiore dell’esercito.

Nonostante gli sforzi di un cartello di partiti di opposizione per farlo cadere, il primo ministro Nikol Pashinyan ha continuato a godere di un supporto sufficiente a rendere impossibile la sua abdicazione per pressione della piazza. Lui stesso ha sempre dichiarato di essere al potere per legittima volontà popolare e che avrebbe mantenuto la responsabilità di governo fino a che non fosse stata la medesima a deporlo.

La fine della settima legislatura

Le elezioni in Armenia si sarebbero dovute tenere nel 2023, ma in questi sei mesi è risultato evidente che dopo la guerra e tutti i bilanci negativi emersi dall’analisi delle cause della sconfitta sarebbe stata  necessaria una nuova legittimazione per chi governa. Le elezioni non sono come referendum sulle colpe del governo in carica, ma anche base per rinsaldare il rapporto fra governo e cittadini, e per consegnare a chi governerà un auspicabile e solido mandato per gestire la crisi post-bellica.

È stato quindi concordato fra maggioranza, opposizione parlamentare ed extra parlamentare un iter istituzionale che portasse al voto. Data fissata per le urne: 20 giugno 2021.

Fra un mese circa quindi in Armenia si terranno le elezioni politiche anticipate.

Dopo che le parti in causa hanno negoziato duramente il percorso di uscita dalla crisi, si sono attivati i meccanismi affinché tutto procedesse come concordato. Il 25 aprile Pashinyan ha rassegnato le dimissioni, innescando una crisi di governo. Secondo la Costituzione, l’Assemblea Nazionale per sciogliersi non sarebbe dovuta essere in grado di eleggere un nuovo primo ministro per due volte. Così è stato: il 3 e il 10 maggio Pashinyan si è candidato ma – come d’accordo – non è stato eletto,  e 40 giorni dopo, come previsto dalla legge, poteva essere tenuta una tornata elettorale anticipata. Questi due passaggi, che erano per lo più formali, sono diventati occasione per un confronto sulle questioni più critiche affrontate dal governo Pashinyan: la guerra, le relazioni con la Turchia, le varie ipotesi complottiste – come accordi segreti, alti tradimenti – che attraversano la società armena, ancora traumatizzata dalla guerra e alle prese con l’emergenza umanitaria e di sicurezza che ne è seguita.

Il 10 maggio scorso ha quindi avuto fine la settima legislatura, nata dalle speranze della rivoluzione di velluto e travolta dalla pandemia, dalla guerra e dai suoi postumi, da un rialzo spaventoso dei prezzi dei beni di prima necessità per una combinazione della crisi pandemica mondiale e di fattori climatici, dalle fluttuazioni monetarie. Nell’ultimo anno in Armenia si sta registrando un aumento dei prezzi di quasi il 9%  . I prezzi di zucchero e oli vegetali sono al rialzo su scala globale e un paese importatore come l’Armenia non può che risentirne. Inoltre il paese ha una valuta debole che si sta deprezzando rispetto al dollaro, per cui negli scambi internazionali paga anche il costo del proprio deprezzamento.

La crisi di Syunik e il voto

Le scadenze per arrivare al voto sono ormai prossime: entro oggi 26 maggio si devono registrare i partiti candidati alle elezioni. La campagna elettorale durerà dal 7 al 18 giugno. Si voterà con un sistema proporzionale puro, con sbarramento al 5% per i partiti, 7% per le coalizioni. Tutto sotto la spada di Damocle della recente crisi di Syunik, legata ad un recente sconfinamento dell’esercito dell’Azerbajian in territorio armeno.

Pashinyan ha allo stato attuale un buon margine nei sondaggi. La campagna elettorale è già di fatto in corso, e oltre al peso della gestione della pandemia, della guerra, della crisi economica il governo uscente è sotto la lente scrutatrice di un elettorato – nei sondaggi si parla di un 40% di indecisi – che valuta anche la gestione della crisi di Syunik. Qualora la crisi dovesse acutizzarsi, per altro, il governo potrebbe decidere, o trovarsi costretto, a reintrodurre la legge marziale e lo stato di emergenza, il che comporterebbe una sospensione delle elezioni fino alla fine dell’emergenza medesimi.

Intanto l’opposizione non è più unita. A rimescolare le carte delle candidature di rilievo è ri-disceso in campo Robert Kocharyan. Il secondo presidente armeno, originario del Karabakh, ha guidato il paese dal 1998 al 2008. Un processo a suo carico per la repressione della manifestazione post-elettorale del 2008 che era costata 10 morti e 130 feriti è finito nel 2020, quando la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale l’articolo del Codice Penale per il quale Kocharyan era incriminato. La sua candidatura è sostenuta dalla Federazione Rivoluzionaria Armena (FRA), partito storico, ben radicato nella diaspora e che lui stesso aveva riammesso nell’agone politico durante in suo primo mandato dopo che il predecessore Ter Petrosyan lo aveva dichiarato fuori legge.

Oltre alla FRA la candidatura di Kocharyan è sostenuta dal partito Armenia Rinata, il cui segretario è l’ex governatore di Syunik e proprio su questa provincia Kocharyan si è espresso nel discorso  della propria discesa in campo: “Syunik oggi è l’epicentro delle minacce per l’Armenia. Dipende da Syunik se l’Armenia rimarrà un attore regionale o null’altro che un corridoio. Sono minacce serie. Credo che Syunik oggi sia il simbolo della nostra battaglia”.

La crisi di Syunik oltre a una minaccia alla sicurezza è anche una mina vagante nel voto armeno.

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Aiuti umanitari: nuovi stanziamenti verso Africa centrale e Nagorno-Karabakh (Apiceuropa 25.05.21)

Anche questa settimana l’Unione europea non ha fatto mancare il proprio contributo alle iniziative umanitarie in corso nelle diverse aree di crisi nel mondo.

Un pacchetto di aiuti da 210 milioni di Euro è stato approvato a beneficio dei Paesi dell’Africa Centrale e del Sahel. I fondi finanzieranno progetti di assistenza rivolti alle comunità maggiormente colpite dai conflitti e dalle migrazioni forzate, fornendo generi alimentari, assistenza sanitaria e istruzione di base.

I fondi verranno così ripartiti: alla Nigeria andranno 37 milioni di Euro, al Chad 35.5 milioni, al Niger 32.3 milioni, al Mali 31.9 milioni, al Burkina Faso 24.3 milioni, alla Repubblica Centrafricana 21.5 milioni, al Camerun 17.5 milioni e alla Mauritania 10 milioni.

Un altro pacchetto di aiuti dal valore di 10 milioni di Euro sarà invece destinato alla popolazione del Nagorno-Karabakh, al centro del conflitto che ha visto contrapporsi nei mesi scorsi Armenia e Azerbaijan.

Anche in questo caso, gli aiuti finanzieranno programmi di assistenza di base a beneficio delle comunità maggiormente colpite dalla guerra.

Con quest’ultimo stanziamento, il totale degli aiuti erogati a civili della regione dall’inizio del conflitto sale a 17 milioni di Euro.

Per approfondire: gli aiuti verso il Sahel e l’Africa centralegli aiuti nel Nagorno-Karabakh

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Scomparso il patriarca Gregorio Pietro XX, guida della Chiesa Armeno cattolica (Vaticannews 25.05.21)

E’ deceduto questa mattina a Beirut, in Libano, sua beatitudine Gregorio Pietro XX Ghabroyan, patriarca di Cilicia degli Armeni Cattolici, 86 anni, malato da più di cinque mesi. Gregorio Pierre XX era stato eletto alla guida della Chiesa Armeno cattolica il 25 luglio del 2015, dopo la scomparsa del patriarca Nerses Bedros XIX. Le sue esequie saranno celebrate sabato 29 maggio.

Nato ad Aleppo, in Siria, e studi anche alla Gregoriana

Nato ad Aleppo, in Siria, il 14 novembre 1934, il defunto patriarca aveva compiuto i suoi studi primari nel convento di Bzommar, che da 250 anni ospita la residenza del patriarca della Chiesa Armeno cattolica, e si trova a 36 km a nordest di Beirut. Si era poi trasferito a Roma al Pontificio Collegio Armeno, per concludere i suoi studi di filosofia e di teologia presso la Pontifica Università Gregoriana. Ordinato sacerdote il 28 marzo del 1959, Ghabroyan è stato nominato un anno dopo prefetto degli studi nel seminario di Bzommar, e poi rettore dell’Istituto Mesrobian in Libano dal 1962 al 1969, per poi essere scelto come rettore del Seminario di Bzommar fino al 1975.

Eparca degli Armeni Cattolici a Parigi dal 1976 al 2015

Nel 1976 è stato nominato dalla Santa Sede eparca degli Armeni Cattolici dell’eparchia di Saint-Croix de Paris. Ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 13 febbraio 1977 in Libano, dall’allora patriarca di Cilicia degli armeno cattolici, Hmaiag – Pietro XVII. A fine luglio del 2015, come detto, i padri sinodali della Chiesa armeno cattolica lo hanno eletto ventesimo patriarca di Cilicia degli armeno cattolici.  La cerimonia di intronizzazione si è svolta il 9 agosto dello stesso anno nel Convento patriarcale di Bzommar, in Libano, dove dopo il funerale del 29 maggio Gregorio Pietro XX Ghabroyan sarà sepolto.

Il messaggio di Papa Francesco per la sua elezione

In occasione della sua elezione, Papa Francesco aveva inviato un messaggio di congratulazioni con il quale concedeva la “Ecclesiastica Communio”, richiesta dallo stesso Gregorio. “L’elezione di Sua Beatitudine avviene in un momento in cui la vostra Chiesa si confronta con diverse difficoltà e nuove sfide” aveva scritto il Papa, facendo riferimento alle difficili prove che sta vivendo una parte dei fedeli armeno cattolici del Medio Oriente. “Tuttavia – affermava – illuminata dalla luce della fede in Cristo risorto, la nostra visione del mondo è piena di speranza e di misericordia, perché siamo certi che la Croce di Gesù è l’albero che dà la vita”.

Gli incontri col Papa a Santa Marta e in Armenia

Poco più di due mesi dopo, il 7 settembre 2015, aveva concelebrato nella Messa del mattino di Papa Francesco a Casa Santa Marta. In quell’occasione Francesco aveva definito quello degli armeni, il primo genocidio del XX secolo”. Nel corso della visita del Pontefice in Armenia, il 25 giugno 2016 il patriarca Gregorio Pietro XX Ghabroyan aveva concelebrato nella Messa in Piazza Vartanants a Gyumri, e poi lo aveva accolto nella sua visita nella cattedrale dei Santi Martiri a Gyumri.

Una Chiesa per la diaspora armena nel mondo

La Chiesa Armeno cattolica è una Chiesa cattolica patriarcale “sui iuris”, nata nel 1742 dalla Chiesa nazionale armena. Fu riconosciuta da Papa Benedetto XIV. È presente in Libano, Iran, Iraq, Egitto, Siria, Turchia, Israele, Palestina ed in altre realtà della diaspora armena nel mondo. In minima parte è presente anche nella madrepatria armena. Il numero dei fedeli, nel 2010, era stimato in 585mila. Il patriarcato di Cilicia ha sede a Bzommar, ma la residenza del patriarca è a Beirut.

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E’ morto il Catholicos armeno-cattolico Krikor Bedros XX (Asianews 26.05.21)


ASIA/LIBANO – Addio a Krikor Bedros Ghabroyan, Patriarca degli armeni cattolici (Agenzia Fides 26.05.21)


La Chiesa cattolica armena in lutto: morto il Patriarca Krikor Bedros XX Ghabroyan (Acistampa 26.05.21)

RUSSIA. Mosca e Ankara hanno molti punti comuni, ma Erdogan non deve aiutare Kiev (Agcnews 25.05.21)

La Russia e la Turchia si impegnano in un intenso dialogo politico e hanno sviluppato una cooperazione reciprocamente vantaggiosa in vari settori, nonostante le esistenti «gravi differenze su una serie di questioni internazionali», ha detto il 24 maggio il ministro degli Esteri russo.

Commentando il sostegno della Turchia all’Ucraina e la sua posizione sul conflitto del Nagorno-Karabakh, Sergey Lavrov ha detto al settimanale russo Argumenty i Fakty, AiF che queste questioni non impediscono a Russia e Turchia di sviluppare relazioni bilaterali reciprocamente vantaggiose.

La Turchia ha acquistato i sistemi di difesa aerea S-400 dalla Russia nonostante «le gravi pressioni di Washington», e i paesi hanno anche contribuito a fermare la guerra in Siria e il conflitto dello scorso anno nel Nagorno-Karabakh, ha detto Lavrov, riporta Anadolu.

Tuttavia, «senza minimizzare le differenze esistenti», la Russia continuerà a «sviluppare la cooperazione con la Turchia guidata dalla visione strategica degli interessi comuni», ha aggiunto.

Non sono tutte rose, però. Le differenze cui ha fatto ceno Lavrov riguardano l’Ucraina. Il ministro degli Esteri russo ha avvertito la Turchia contro quelli che ha detto essere tentativi di alimentare il “sentimento militarista” in Ucraina dopo che Ankara si è mossa per aumentare la cooperazione con Kyiv, riporta Economic Times. Il presidente turco Tayyip Erdogan il mese scorso ha promesso sostegno a Kiev visto l’accumulo di forze russe lungo il confine con l’Ucraina.

Erdogan ha detto all’epoca che la Turchia, membro della Nato, e l’Ucraina avevano lanciato una piattaforma con i loro ministri degli Esteri e della Difesa per discutere la cooperazione nell’industria della difesa, ma ha aggiunto che questa non era «in alcun modo una mossa contro i paesi terzi». «Raccomandiamo vivamente ai nostri colleghi turchi di analizzare attentamente la situazione e di smettere di alimentare il sentimento militarista di Kiev», ha detto il ministro degli Esteri russo in un’intervista al giornale AiF.

Ha detto che incoraggiare le azioni ucraine “aggressive” verso la Crimea, annessa alla Russia equivale a uno sconfinamento nell’integrità territoriale della Russia: «Speriamo che Ankara aggiusti la sua linea sulla base delle nostre legittime preoccupazioni».

La Turchia, insieme al resto della NATO, ha criticato l’annessione della Crimea da parte di Mosca nel 2014 e ha espresso sostegno all’integrità territoriale dell’Ucraina mentre le forze di Kiev combattono i separatisti filorussi nell’Ucraina orientale. Ankara ha anche venduto droni a Kiev nel 2019. Ma Ankara ha anche forgiato una stretta cooperazione con Mosca sui conflitti in Siria, Libia e Nagorno-Karabakh, nonché nei settori della difesa e dell’energia.

Antonio Albanese

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Armenia-Azerbaigian: ministero Difesa Erevan comunica morte di un soldato lungo zona di confine (Agenzianova 25.05.21)

Erevan, 25 mag 15:52 – (Agenzia Nova) – Il ministero della Difesa dell’Armenia ha comunicato oggi la morte di un soldato, colpito da un bombardamento effettuato dalle forze armate dell’Azerbaigian. “Intorno alle 14.20 del 25 maggio, è stato registrato un incidente con l’uso di armi da fuoco nella zona di confine vicino al villaggio di Verin Shorzha della regione di Gegharkunik. Il nemico ha sparato in direzione delle posizioni armene”, ha detto comunicato il dicastero di Erevan, che ha confermato la morte di un soldato. (Rum)

Armenia-Azerbaigian: ministero Esteri Erevan, prigionieri di guerra come ostaggi politici (Agenzia nova 25.05.21)

Erevan, 25 mag 09:29 – (Agenzia Nova) – L’Azerbaigian continua a utilizzare i prigionieri di guerra armeni come ostaggi politici. È quanto dichiarato dal ministero degli Esteri in un comunicato, in si cui condanna “fermamente l’azione penale ufficiale di Baku contro Lyudvik Mkrtchyan e Alyosha Khosrovyan, che sono stati catturati durante la recente aggressione dell’Azerbaigian contro l’Artsakh (così si definisce l’autoproclamata repubblica del Nagorno-Karabakh)”. “Secondo il diritto internazionale umanitario, in particolare le Convenzioni di Ginevra, questi ultimi sono considerati prigionieri di guerra e avrebbero dovuto essere immediatamente rilasciati dopo la fine delle ostilità”, sostiene il ministero, ma “nel frattempo, l’Azerbaigian ha intentato false cause penali contro di loro, violando così apertamente sia le norme del diritto internazionale umanitario, che i suoi obblighi secondo la dichiarazione trilaterale del nove novembre 2020”. Nonostante i numerosi appelli della comunità internazionale, “l’Azerbaigian continua a utilizzare i prigionieri di guerra armeni come ostaggi politici, e perpetua la politica di tortura e pressione psicologica su di loro”, si leg

Il consiglio di sorveglianza di Facebook ha dato un parere importante sul diritto di satira (Wired.it 24.05.21)

L’Oversight Board, il comitato di sorveglianza super partes con il compito di rivedere – ed eventualmente ribaltare – alcune decisioni sulla moderazione dei contenuti prese da Facebook, si è espresso su un altro caso dopo lo sforzo intrapreso sul caso Trump.

La questione esaminata fa riferimento alla sospensione di un post in cui, prendendo a prestito un celebre meme, l’utente esprimeva una critica dissacrante verso il genocidio armeno in Turchia. L’enorme scoglio incontrato dall’Oversight Board durante la revisione di questo caso è stato l’intento evidentemente satirico con il quale l’utente ha utilizzato l’immagine.

Il meme in questione è una variante del meme dei due pulsantinel quale al protagonista della vignetta vengono mostrati due interruttori e una scelta impossibile, o surreale, da compiere scegliendone solo uno. Nell’immagine al centro del caso, sui due pulsanti troneggiavano le scritte – in inglese – “il genocidio armeno è una bugia” e “gli armeni erano terroristi che se lo meritavano”, mentre il viso sudante del protagonista dell’immagine era stato sostituito dalla bandiera turca.

In un primo momento un moderatore di Facebook aveva stabilito che l’immagine violava gli standard della comunità sui contenuti che incitano all’odio. Un secondo moderatore, invece, ha deciso che il contenuto violava le regole in relazione ai post che esprimono crudeltà e insensibilità, e l’immagine è stata rimossa per questo motivo dal social network.

L’utente responsabile del post ha però presentato ricorso per cercare di far ripristinare l’immagine. Facebook ha tuttavia stabilito, senza informare l’utente, che il post sarebbe rimasto oscurato per via delle motivazioni legate all’hate speech segnalate dal primo moderatore.

È a questo punto che è intervenuto l’Oversight Board: l’organismo ha stabilito che il post rientra in quelle eccezioni che permettono agli utenti di condividere dei contenuti controversi allo scopo di condannarli o creare consapevolezza. La maggioranza dei membri che hanno analizzato il caso ha ritenuto che il contenuto dovesse essere inserito anche nelle eccezioni da considerare per il loro tono satirico, strappi alla regola che ancora non rientrano negli standard della community di Facebook.

Il comitato ha quindi ribaltato la decisione del social network ripristinando il contenuto, e ha suggerito a Facebook di includere l’eccezione per satira e di adattare le procedure per moderare adeguatamente i contenuti satirici tenendo conto del contesto in cui sono collocati.

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Facebook ha deciso di affrontare il tema del diritto di satira (Giornalettismo)

Calcio: Mkhitaryan non convocato dall’Armenia, ‘sorpreso, motivazioni non mi convincono’ (Adnkronos 24.05.21)

Roma, 24 mag. – (Adnkronos) – L’attaccante della Roma Henrikh Mkhitaryan, non è stato convocato a sorpresa dalla nazionale dell’Armenia in vista delle prossime partite contro Croazia e Svezia. Il 32enne, stella indiscussa del calcio armeno, ha commentato l’esclusione su Twitter. “Con mia grande sorpresa, sono stato informato dallo staff della Nazionale armena che non sono stato convocato per le prossime gare. Le ragioni che mi hanno fornito non mi convincono. Auguro comunque buona fortuna ai nostri ragazzi per le prossime partite”.

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Armenia, Mkhitaryan escluso dai convocati: “Le spiegazioni ufficiali non mi convincono” (Goal.com)

L’Armenia non lo convoca, Mkhitaryan polemizza: “La motivazione ufficiale non mi convince” (Il Romanista)

Alla scoperta dei riti e delle tradizioni del lavash, il pane armeno Patrimonio dell’UNESCO (City Roma 24.05.21)

Parlare di cucina armena non è fatto semplice. Nel corso della storia, infatti, la diaspora dopo il genocidio, il succedersi di migrazioni, le invasioni e le lotte hanno fatto sì che questo popolo si unisse e contaminasse ad altri nel mondo, rendendo pressoché impossibile stabilire un confine netto tra piatti armeni e non. “Quello che mangi a casa mia non lo mangi in Armenia!” ci dice Shaké Pambakian, cuoca armena alla terza generazione, con nonni sfollati in Austria e Svizzera e genitori cresciuti tra Italia e Grecia. Sono loro, infatti, ad averle trasmesso queste ricette (che infatti sono diversissime da quelle che ad esempio ho provato in un ristorante armeno a Gerusalemme). Perché la cucina armena oggi è proprio questa: quella trasmessa in ogni famiglia, di generazione in generazione, anche non in Armenia.

Un punto fermo però c’è, un richiamo comune, un simbolo di appartenenza che lega e unisce tutti gli armeni del mondo: è il pane, in particolare il lavash. Ve ne parliamo grazie all’incontro con lo chef Sedrak Mamulyan con cui abbiamo fatto una videochiamata direttamente dal suo ristorante Megeryan Carpet di Yerevan; e poi grazie al primo e unico panificio che prepara il lavash in Italia, Urartu Group, aperto proprio negli ultimi mesi a Milano, che ci ha fatto scoprire Shaké. Infine vi daremo anche la ricetta del lavash, presa dal grandissimo libro di Verjin Manoukian, che non può mancare nella vostra libreria se siete interessati alle tradizioni gastronomiche armene. Insomma, un articolo a più voci, anche perché, come scoprirete, gli armeni hanno sempre qualcosa da dire sul lavash.

La centralità del pane nella cultura armena: il forno tonir, i riti e le tradizioni 

Ancora oggi nella cultura armena c’è una fortissima ritualità legata al grano, in particolare al pane. “In Armenia il pane è il simbolo più comune e antico del nutrimento quotidiano, quello che scandisce e accompagna la vita dell’uomo e assume forme e aspetti diversi, per corrispondere alle varie esigenze poste dalle condizioni del lavoro e del costume sociale” ci racconta lo chef Sedrak.

tonir forno

Daniel Tadevosyan/shutterstock.com

La preparazione del pane è un evento centrale nella vita domestica. Si cuoce nel tonir, il focolare scavato al centro del pavimento delle tipiche case armene, soprattutto in campagna: si tratta di una sorta di fossa cilindrica con le pareti rivestite in terracotta, che spesso funge anche da riscaldamento. Nel tonir il fuoco inizia ad ardere fin dal primo mattino, sprigionando il fumo che esce dal foro centrale del tetto e che simboleggia la durata e la continuità della vita familiare e comunitaria. Ancora oggi, non è cambiato molto dai tempi in cui le donne si riunivano attorno al tonir per preparare il pane, processo molto importante che inizia sempre con una benedizione, dove ci sono vari compiti, divieti e significati ben precisi, a seconda dell’età e del ruolo in famiglia. “Ad esempio” ci racconta Sedrak, “c’è chi si occupa di toccare la farina e preparare l’impasto, chi di stendere la pasta, chi di infornare… Si tratta di un mondo antico, di cui non conosciamo precisamente tutto, anche perché non è stato scritto molto, ma sappiamo che è particolarmente legato alle energie femminili”. Un’altra regola, infatti, riguarda il divieto di fare il lavash per le donne vedove, senza figli o impossibilitate ad averne, perché il pane è molto connesso alla fertilità. “Il forno, ossia il tonir, è tondo in quanto rappresenta il grembo materno, per questo in passato spesso toccava alle donne anche montarlo, mentre invece oggi lo fanno quasi sempre gli uomini”.

Nel ristorante Megeryan Carpet di Sedrak Mamulyan è presente il tonir e un reparto dedicato al lavash, “La casa del lavash”, dove spesso lo chef mostra ai suoi clienti la preparazione del pane e dei vari riti connessi. Una di queste è la tradizione cerimoniale dell’hatz-yev-agh, cioè di “pane e sale” che è il simbolo di apertura e accoglienza verso l’ospite che varca la porta di casa: “si spezza il pane e si offre con il sale, proprio come segno di disponibilità”, continua Sedrak. Pensate che il pane è ritenuto talmente sacro che in armeno “io mangio pane” significa e indica “io mi nutro” in generale, così come il verbo “nutrirsi” si traduce letteralmente in “mangiar pane”. Anche la parola “generoso” in armeno si dice “persona con il pane”, o “uno per bene” è “uno con il pane”. Insomma, tutto a conferma di quanto questo cibo sia un elemento centrale. Per questo c’è un’infinità di tipologie di pani nella tradizione armena, con semi, noci, e c’è anche una pagnotta di forma allungata che si chiama proprio pan. Ma ce n’è uno sempre al primo posto, che più di tutti fa da richiamo nello spirito per il popolo armeno nel mondo e quel pane è il lavash.

Il lavash, il tipico pane armeno Patrimonio dell’UNESCO

Il lavash è il pane armeno per eccellenza, quello di cui gli armeni vanno fieri in tutto il mondo, per vari motivi. In primis perché tra i più antichi pani che ci sia nel Caucaso, fatto con acqua, sale e lievito madre che spesso si tramanda da generazioni in ogni famiglia. Poi perché è tra i pochi pani al mondo che dura a lungo, anche fino a un anno. “Siamo orgogliosi del lavash perché racconta l’abilità sviluppata nei secoli dal popolo armeno di conservare a lungo il pane senza che perda il sapore, la fragranza e tutte le altre caratteristiche originarie. Anzi, basta solo un po’ d’acqua per farlo rinvenire e sembra davvero appena sfornato!” Il lavash, infatti, ha una consistenza unica, elastica ma non gommosa, che lo rende davvero imparagonabile a qualsiasi altra tipologia presente altrove. A molti, infatti, ricorda il carasau, poiché si presenta in forma di dischi o rettangoli sottili, ma in realtà è diverso dal collega sardo, soprattutto per la morbidezza e la fragranza che lo contraddistinguono una volta bagnato.

pane armeno lavash

Foto di Giulia Ubaldi

Oltre che dall’impasto, la lunga durata di questo pane dipende dalla cottura: “il lavash risponde all’esigenza di una rapida cottura che fa risparmiare combustibile e alla necessità di una lunga conservazione, requisito essenziale per l’uso che ne facevano pastori e carovanieri”. Il lavash viene cotto facendo aderire i dischi di pasta alle pareti verticali del tonir ed è pronto in pochissimi minuti; i dischi fragranti vengono poi accatastati sopra una base di legno e conservati in pile alte oltre un metro. Infine, al momento del consumo lo si ammorbidisce avvolgendolo per un quarto d’ora circa in un panno umido, che gli fa riacquistare flessibilità e freschezza. Per tutti questi motivi è stato riconosciuto come Patrimonio dall’UNESCO: anche altri pani simili hanno fatto poi richiesta, ma senza successo, perché il lavash è davvero unico. Ma il lavash perfetto non è solo una questione tecnica, anzi: attorno alla sua preparazione ruotano riti e credenze antiche. Ad esempio in occasione di un matrimonio, quando i genitori della sposa vanno a trovare quelli dello sposo, si mette il lavash sulle spalle dei giovani: se cade, è considerato un cattivo segno. Infatti, ci sono due divinità armene che non sono potute stare insieme perché era caduto il lavash prima del matrimonio. Lo chef Sedrak ci racconta un’altra tradizione ancora molto viva legata a questo cibo, soprattutto nelle campagne: “quando le donne preparano il lavash, i primi pani che sfornano vengono offerti a sette vicini di casa e ai passanti, quando e se passavano”. Insomma, il lavash è quanto c’è di più legato al popolo armeno, che si impara a fare fin da piccoli e si cerca di trasmettere e tramandare il più possibile. Ma oggi per fortuna c’è una grande novità, che abbiamo scoperto grazie a Shaké, grande cuoca della comunità armena di Milano.

Il primo ed unico panificio di lavash in Italia 

Qualche mese fa è successo un miracolo: finalmente il lavash è arrivato a Milano! È successo all’inizio del 2021 a Paderno Dugnano, grazie a Karen, di origine armene, che ha aperto il primo e unico panificio di lavash in Italia: Urartu Group, Pane Armeno Lavash, dal nome dell’antico regno Urartu che in Armenia durò dal 860 al 585 a.C. Così oggi è possibile gustare questa delizia! L’idea, infatti, gli è venuta proprio durante il lockdown, dopo mesi che non poteva far ritorno nel suo Paese: “facevo il montatore di mobili, poi ho capito che volevo fare qualcosa, come ad esempio diffondere, portare e far conoscere in Italia un prodotto così importante per noi armeni. Così ho cambiato completamente vita e mi sono buttato in questa avventura, dopo infinite prove, esperimenti, telefonate a signore in Armenia… Ma per fortuna sta andando tutto alla grande, sforniamo 800 fogli a settimana e stiamo facendo consegne in tutta Italia!”

panificio lavash

Foto di Francesco Lorusso

Qui il lavash, per ovvie ragioni tecniche, viene preparato in modo semi artigianale: “ma in Armenia anche il più industriale è semiartigianale!”. Gli ingredienti sono acqua, lievito madre e un mix di farina 0 e 00 di una piccola azienda piemontese selezionata da Karen, ed è in arrivo anche la versione completamente integrale. “Nessun grasso, conservante o lievito industriale” precisa. Ad aiutarlo ci sono Bruno, di origini calabresi e Melsida, una signora armena: “lei qui è fondamentale, perché sembra facile, ma fare il lavash è difficilissimo, soprattutto per quei dieci secondi in cui deve cuocere sul forno e poi far riposare su una sorta di cuscino”. Ma la qualità e la precisione sono state subito apprezzate: “continuano ad arrivare tante soddisfazioni, come tutte le volte che mi chiamano per dirmi che è buonissimo e per ringraziarmi di aver portato il lavash in Italia”. “È persino più buono di tanti che ci sono in Armenia!” ci dice Shaké. Ma oltre a far gioire gli armeni in Italia, Karen ha un altro obiettivo: “il mio scopo è riuscire a far entrare il lavash nel mercato italiano e nella preparazione di alcuni piatti; ad esempio alcuni lo stanno già prendendo per fare la piadina!” Ma se non doveste avere subito l’occasione di andare a trovare Urartu a Paderno Dugnano, potete provare a preparare il lavash anche a casa.

La ricetta del lavash

Fare il lavash a casa è molto difficile, poiché come abbiamo visto è necessario avere un forno specifico, almeno simile – se non uguale – all’antico tonir. Ma in ogni caso potete comunque provarci in una padella o in un forno normale. La ricetta che segue viene da quel capolavoro “Cucina Armena” di Verjin Manoukian, un libro da avere assolutamente in casa se siete interessati al tema.

lavash ricetta

Foto di Francesco Lorusso

Ingredienti

  • 25 g di lievito di birra
  • 6 dl di acqua tiepida
  • 1300 g di farina 00
  • 1 cucchiaio di sale
  • 1 cucchiaino di zucchero

Procedimento 

  1. In una larga ciotola sciogliete il lievito, il sale e lo zucchero nell’acqua tiepida; fatevi poi cadere a pioggia la farina e impastate aggiungendo, se necessario, un altro po’ di acqua, sino a ottenere una pasta ben compatta e ben lavorata.
  2. Fatene una palla e lasciatela lievitare nella ciotola coperta da un panno per circa tre ore.
  3. Lavorate ancora energicamente la pasta per qualche minuto e lasciatela lievitare per un’altra mezz’ora.
  4. Su di un piano cosparso di farina, suddividete la pasta in tante piccole porzioni delle dimensioni di un uovo (se ne otterranno circa 25-30).
  5. Con un sottile e lungo mattarello stendete ciascun uovo di pasta in una sfoglia di 20-25 cm di diametro. La pasta deve essere spessa non più di 2 mm.
  6. Punzecchiate con una forchetta la superficie delle sfoglie per evitare che si formino bolle eccessivamente grandi durante la cottura.
  7. Preriscaldate il forno a 200 °C e infornate i dischi di pasta e lasciateli cuocere per circa 3 minuti finché saranno coloriti a vostro gusto.
  8. Man mano che i dischi di pane saranno cotti, metteteli in un cestino, coperti con un tovagliolo per tenerli in caldo fino al momento di servirli.

Se il lavash non viene consumato subito, può essere conservato, anche per mesi, in sacchetti di plastica tenuti in luogo asciutto o in freezer. Al momento poi di servirsene, se desiderate ammorbidirli, avvolgete i dischi di pane in un panno inumidito, oppure metteteli un attimo sotto l’acqua corrente.

Allora, vi abbiamo fatto venire voglia di lavash? Tanto ora sapete dove e come trovarlo!

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