Armeni e azeri ricordano vittime delle reciproche stragi (Asianews 01.03.23)

Mosca (AsiaNews) – Il premier armeno Nikol Pašinyan, insieme al presidente Vaagn Khačaturyan e ad altri esponenti delle autorità di Erevan, ha visitato il Memoriale della collina di Tzitzernakaberd nella capitale. È dedicato alle vittime del genocidio turco, per ricordare il 35° anniversario del pogrom di Sumgait, città azera dove vi sono state 26 vittime armene, inizio del conflitto nella regione che ha portato alla guerra nel Nagorno-Karabakh nei primi anni ’90, riaccesasi negli ultimi anni.

Secondo Pašinyan, “dopo 35 anni gli armeni dell’Artsakh [Karabakh] sono di nuovo davanti alla necessità di difendere il proprio diritto a vivere nella propria casa, nella propria patria”. Anche Khačaturyan ha ribadito le accuse all’Azerbaigian, che dalla fine del periodo sovietico cerca di “deportare a forza gli armeni per saccheggiare le loro terre e i loro beni”. Per i dirigenti armeni, la mancanza di misure punitive per gli eventi del febbraio 1988, ancora nell’epoca sovietica sotto Gorbačëv, ha portato poi al ripetersi di tali tragedie anche a Baku, Gandzak e in altre località dell’Azerbaigian, a danno delle minoranze armene locali.

I toni acuti delle dichiarazioni riflettono anche la situazione dopo 80 giorni di blocco del corridoio di Lačin, un’azione “che ha lo scopo di sfrattare dal territorio i 120mila armeni rimasti”, afferma Pašinyan. A detta del premier armeno, il blocco “continua ignorando perfino le decisioni delle più elevate istanze giudiziarie internazionali, proseguendo nella devastazione e nella profanazione dei monumenti storico-culturali e dei santuari religiosi armeni”.

La repubblica armena, secondo i suoi dirigenti, “esprime la sua coerente adesione alle prospettive di pace e stabilità, ritenendo un imperativo condiviso il raggiungimento di una pace a lungo termine, che comprenda tutte le condizioni necessarie”. Le ambasciate di Usa e Ue a Erevan hanno espresso la loro vicinanza nella commemorazione dei caduti di Sumgait.

Allo stesso tempo in Azerbaigian si ricordano le vittime del massacro di Khodžali. Nella notte tra il 25 e il 26 febbraio del 1992 un battaglione di armeni di stanza a Stepanakert, insieme a una divisione di russi, ha assalito la cittadina azera, dopo vari avvertimenti, facendo una strage tra la popolazione civile. Da Khodžali gli azeri avevano ripetutamente attaccato la capitale armena del Nagorno-Karabakh.

Si tratta dell’episodio più tragico della guerra del Karabakh, che si è protratta dal 1992 fino al 1994, e che derivava dalle tensioni degli ultimi anni sovietici. Si tratta di un conflitto che risaliva agli inizi del XX secolo, con due fasi sanguinose tra il 1905-1907 e il 1918-1920, seguite alla disgregazione dell’impero russo e alle svolte convulse del periodo rivoluzionario.

Nel 1994 le due parti hanno firmato il Protocollo di Biškek sulla sospensione delle ostilità, con la mediazione del Kirghizistan e della Russia. L’accordo ha “congelato” la guerra senza risolvere alcun problema territoriale, e il Nagorno-Karabakh è rimasto di fatto una repubblica armena indipendente fino alla guerra dei 44 giorni del 2020, con l’aggressione dell’Azerbaigian e le nuove stragi di militari e civili da ambo le parti.

Le commemorazioni di eventi passati non aiutano certo a rasserenare la situazione, fornendo ulteriori motivazioni alla reciproca aggressione, che potrebbe presto trasformarsi in nuovi episodi tragici. Le mediazioni di russi ed europei non hanno finora ottenuto alcun risultato concreto, rischiando anche di complicare la situazione.

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Missione UE in Armenia: partito il monitoraggio (Osservatorio Balcani e Caucaso 28.02.23)

La missione di monitoraggio civile disarmata dell’Unione europea (EUMA) in Armenia ha iniziato da qualche giorno a monitorare il confine con l’Azerbaijan. Il suo compito è quello di creare un ambiente più favorevole per i negoziati tra Yerevan e Baku

28/02/2023 –  Onnik James Krikorian

Come previsto, il 20 febbraio la Missione dell’Unione europea in Armenia (EUMA) ha iniziato a monitorare il fragile confine del paese con il vicino Azerbaijan con l’apertura del suo quartier generale nella città meridionale di Yeghegnadzor. Il monitoraggio – realizzato da civili – sarà realizzato da personale distaccato da vari stati membri dell’UE tra cui Francia, Germania, Lituania, Paesi Bassi e Svezia.

“Il personale esclusivamente civile dell’EUMA sarà di circa 100 persone in totale, di cui circa 50 osservatori disarmati”, ha annunciato lunedì 20 febbraio il Consiglio europeo dell’Unione europea in un proprio comunicato. La missione ha avviato immediatamente il suo lavoro di monitoraggio al confine.

“L’EUMA contribuirà alla sicurezza della popolazione, rafforzerà la fiducia sul terreno e sosterrà gli sforzi dell’UE nel processo di pace tra Armenia e Azerbaijan”, ha twittato  l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell.

L’EUMA continuerà in forma ampliata e biennale il lavoro di una precedente missione di monitoraggio dell’Unione europea (EUMCAP) in Armenia, composta da 40 persone e durata due mesi. “Contribuirà alla stabilità e alla pace nella regione”, ha annunciato  l’ufficio del primo ministro Nikol Pashinyan dopo un incontro con Stefano Tomat, comandante delle operazioni civili del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE).

Tuttavia, nonostante il precedente, alcuni media armeni hanno riportato la notizia in modo impreciso, arrivando addirittura ad affermare che, mentre 50 dei 100 membri del personale saranno “osservatori disarmati”, i restanti 50 potrebbero portare armi. Altri rapporti parlavano erroneamente di 100 osservatori e non 50, mentre un altro ancora si riferiva addirittura all’EUMA come a “forza di terra dell’Unione europea”.

Nessuna di queste affermazioni era corretta, tuttavia, e tutte erano potenzialmente dannose per la missione prima ancora che fosse stata operativa per un giorno intero. In tutta onestà, il fraintendimento potrebbe essere legato alla presenza di gendarmi e agenti di polizia distaccati dalla Francia e dalla Germania, evidenziando come per l’UE non sarà facile gestire le aspettative locali per la missione.

“In qualità di osservatori non sono più poliziotti, anche se nel caso di EUMM Georgia alcuni poliziotti distaccati hanno deciso di indossare le loro uniformi. Ma sono sempre disarmati”, chiarisce Tobias Pietz, vice Capo analista presso il Center for International Peace Operations (ZIF), un’agenzia governativa tedesca che fornirà anche personale all’EUMA.

Tuttavia, si sarebbe potuto evitare tale confusione tutt’al più che – come sottolineato dallo stesso Tobias Pietz – in Caucaso dalla fine del 2008 l’UE gestisce anche un’altra missione civile disarmata della politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC) nella regione, la missione di monitoraggio dell’Unione europea (EUMM), che monitora i confini amministrativi della Georgia (ABL) con le repubbliche separatiste di Abkhazia e Ossezia del Sud dopo la guerra dell’agosto 2008 con la Russia.

Il capo-missione dell’EUMA sarà un altro agente di polizia, Markus Ritter, capo del quartier generale della polizia federale tedesca a Stoccarda ed ex capo della missione consultiva dell’Unione europea (EUAM) in Iraq. La missione pattuglierà solo lungo i confini dell’Armenia con l’Azerbaijan e il Nakhichevan. Non potrà monitorare all’interno del territorio dell’Azerbaijan, incluso il Karabakh.

Tuttavia, a Baku sono state sollevate preoccupazioni.

“A differenza della precedente versione temporanea della missione, non esiste un programma di pace chiaro e nessun coordinamento con l’Azerbaijan”, afferma l’analista del centro di ricerca  Topchubashov  Mahammad Mammadov. “Potrebbe danneggiare l’immagine dell’UE come intermediario equidistante nella regione e Baku è molto preoccupata di perdere il canale di mediazione dell’UE, scelta preferita per una serie di motivi”.

“Se si invia una missione solo dalla parte armena senza il consenso di Baku, si potrebbe creare un’impressione sbagliata. Baku potrebbe vederlo come un segno di ostilità”, ha riportato l’International Crisis Group citando  un anonimo funzionario dell’UE. “Il dispiegamento della missione dell’UE in Armenia dovrebbe tenere conto dei legittimi interessi dell’Azerbaijan e le sue attività […] non dovrebbero minare la fiducia reciproca”, aveva già affermato in un comunicato  il ministero degli Affari esteri dell’Azerbaijan.

Preoccupazioni sono state sollevate anche dagli analisti armeni: il direttore del Centro per gli studi strategici politici ed economici di Yerevan, Benyamin Poghosyan, ha avvertito che il dispiegare l’EUMA sul terreno non può escòludere nuove violenze, ma semplicemente riduce il rischio che si verifichino. Inoltre – ha affermato pubblicamente – l’Armenia non dovrebbe considerare l’EUMA come una scusa per ritardare l’avanzamento dei negoziati.

“Alcuni ambienti in Armenia ritengono che l’UE abbia inviato osservatori in Armenia solo per scoraggiare future possibili aggressioni azere, svolgere il ruolo di cuscinetto e fornire all’Armenia il tempo necessario per aumentare le sue capacità militari ed essere in grado di respingere future aggressioni azere su propria […] L’UE vede il potenziale dispiegamento di una nuova missione di osservazione da un’angolazione diversa”, ha scritto  Poghosyan a gennaio. “Ha senso solo se l’Armenia e l’Azerbaijan sono impegnati in seri negoziati di pace in cui l’UE svolge un ruolo significativo”.

Anche la Russia ha espresso preoccupazione per la presenza di un nuovo attore della sicurezza nella regione, e in particolare sul suolo del tradizionale alleato.

“Vediamo in questi tentativi uno sfondo prettamente geopolitico che è lontano dagli interessi di una reale normalizzazione delle relazioni nel Transcaucaso”, ha affermato Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo. “Si sta facendo di tutto per estromettere la Russia dalla regione e indebolire il suo ruolo storico di principale garante della sicurezza”, ha accusato.

Forse in risposta, il giorno seguente, un alto legislatore del governo, Hayk Konjoryan, ha detto all’ufficio di Yerevan di RFE/RL che l’Armenia sarebbe anche pronta ad accettare una missione di monitoraggio dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (CSTO) guidata da Mosca. Tuttavia, ha aggiunto, ciò potrebbe accadere solo se la CSTO definisse chiaramente dove si trovano i confini dell’Armenia, motivo iniziale per cui Pashinyan ha rifiutato tale missione all’inizio di questo mese  .

È probabile che tali preoccupazioni vengano nuovamente sollevate sia da Baku che da Mosca durante i due anni di mandato dell’EUMA.

“Gli osservatori devono prestare attenzione all’altro attore importante nella regione, la Russia, che ha guardie di frontiera e militari lungo il confine dell’Armenia con l’Azerbaijan”, ha scritto  l’analista senior dell’International Crisis Group Olesya Vartanyan per la rivista International Politics and Society della Friedrich-Ebert-Stiftung.

“L’UE dovrebbe fornire alla sua missione gli strumenti per facilitare il dialogo tra l’esercito armeno e l’Azerbaijan e le guardie di frontiera disposte lungo il confine se ciò può aiutare a prevenire o attenuare la violenza”, ha inoltre osservato, forse riferendosi a qualcosa di simile al Meccanismo di prevenzione e risposta agli incidenti (IPRM) che l’EUMM ha istituito sugli ABL (confini amministrativi) in Georgia.

Mentre ci sono pochi altri dettagli disponibili su EUMA, l’Unione europea vede davvero la missione come uno strumento per creare un ambiente più favorevole per i negoziati tra Yerevan e Baku. In effetti, quello era stato anche lo scopo della precedente missione EUMCAP, anche nell’assistere il compito di demarcazione e delimitazione dei confini.

È anche quest’ultima possibilità, e quello che sembra essere un tentativo implicito di scavalcare i dettagli del cessate il fuoco trilaterale del novembre 2020 e delle successive dichiarazioni, che ha infastidito Mosca.

“L’attuazione degli accordi è il modo più diretto per migliorare la situazione nella regione”, ha affermato  Zakharova, “compresi passi come lo sblocco delle comunicazioni di trasporto, la delimitazione del confine armeno-azerbaijano, l’instaurazione di contatti tra pubblico, esperti, circoli religiosi e parlamentari dei due paesi, nonché negoziati per l’elaborazione di un trattato di pace”.

È troppo presto per dire quanto successo avrà EUMA, ma molti analisti ritengono che potrebbe contribuire alla pace e alla stabilità sul confine tra Armenia e Azerbaijan. Alcuni come Poghosyan, tuttavia, avvertono che, se non accompagnati da un’autentica ripresa del Processo di Bruxelles, tali sforzi potrebbero portare addirittura di un aumento della rivalità regionale nel Caucaso meridionale.

Ci sono però alcuni segnali di speranza. Nonostante l’improvvisa cancellazione di un incontro del 7 dicembre tra Aliyev e Pashinyan con il presidente del Consiglio europeo Charles Michel a Bruxelles, il percorso negoziale dell’UE non sembra essersi interrotto.

“Abbiamo ripetutamente riaffermato il nostro impegno per il processo di pace, in particolare il processo di Bruxelles”, ha affermato il presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliyev durante una sessione alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco il 18 febbraio scorso. “Ieri durante un incontro con il presidente del Consiglio europeo Charles Michel [e] oggi durante un incontro con il segretario di Stato Blinken”.

Durante la conferenza, per inciso, Aliyev aveva incontrato Michel per discutere della nuova missione dell’UE in Armenia, anche se non si conoscono altri dettagli. Il 25 febbraio il Rappresentante speciale dell’UE per il Caucaso meridionale ha annunciato durante un’intervista nuovi sforzi per rivitalizzare il processo di Bruxelles, sebbene la data di un possibile incontro tra Michel, Aliyev e Pashinyan sia ancora da definire.

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Settantanovesimo giorno del #ArtsakhBlockade. Una missione ONU nel Corridoio di Lachin e in Artsakh è il minimo indispensabile che la comunità internazionale possa fare (Korazym 28.02.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 28.02.2023 – Vik van Brantegem] – Oggi ci fermiamo un instante per commemorare il 35° anniversario del pogrom di Sumgait, l’uccisione sistematica di innocenti Armeni a Sumgait, in Azerbajgian, che ebbe luogo tra il 27 e 29 febbraio 1988. I massacri di Sumgait sono stati la prima campagna di pulizia etnica che gli Azeri hanno commesso come una risposta brutale alle legittime esigenze del popolo dell’Artsakh per esercitare il loro fondamentale diritto all’auto-determinazione. Il brutale pogrom di Sumgait ha alimentato l’odio sponsorizzato dallo Stato azerbajgiano nei confronti degli Armeni e ha preceduto ulteriori episodi sanguinose di pulizie etiche perpetrate dalle autorità azere a Kirovabad, Mingechaur, Baku e altrove in Azerbajgian e in Nagorno-Karabakh.

Oggi, 28 febbraio 2023, in occasione della giornata della commemorazione delle vittime dei massacri organizzati dall’Azerbajgian e di protezione dei diritti dei rifugiati armeni, il Presidente della Repubblica di Artsakh, Arayik Harutyunyan, accompagnato dal Presidente dell’Assemblea nazionale, Artur pervmasyan, dal Primate della Diocesi di Artsakh della Chiesa Apostolica Armeno, Vescovo Vrtanes Abrahamyan, da rappresentanti degli enti legislativi e esecutivi e dai membri del Consiglio di sicurezza hanno partecipato presso il Complesso memoriale di Stepanakert, alla cerimonia di deposizione di una corona di fiori al monumento alle vittime del pogrom di Sumgait. Successivamente, il Vescovo Vrtanes Abrahamyan ha celebrato un Requiem in memoria delle vittime dei massacri.

28 febbraio, giorno della memoria delle vittime del pogrom di Sumgait. Il 35° anniversario dell’orrore di Pietro Kuciukian – 26 febbraio 2023 [QUI]

Foto dal posto di blocco postate su social media azeri il 27 febbraio 2023. Come si nota nella foto a sinistra, i reparti speciale dell’esercito dell’Azerbajgian sono sempre presenti, all’altra parte della rete, su territorio della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh con la guerra dei 44 giorni di fine 2020.

Oggi, nessun cambiamento nella situazione relativa al blocco del Corridoio di Berdzor (Lachin) in Artsakh/Nagorno-Karabakh, nel 79° giorno che sedicenti “eco-attivisti” organizzati dal regime criminale dell’Azerbajgian continuano con il blocco illegale dell’intera popolazione della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh. La politica della pulizia etnica di Armeni nell’Artsakh continua. Carenze di prodotti alimentari, farmaci, energia continuano ad essere segnalati dai cittadini Armeni della Repubblica.

La protezione dei diritti umani del popolo del Nagorno-Karabakh è stata continuamente trascurata, ha affermato il Ministro degli Esteri armeno, Ararat Mirzoyan, intervenendo alla 52ª sessione del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite.

“Mentre possiamo apprezzare la gravità della situazione altrove a causa di altri conflitti e crisi, non possono esserci gerarchie di sofferenza basate su considerazioni e interessi geopolitici”, ha affermato il Ministro degli Esteri armeno, sottolineando che “contro ogni previsione, il popolo del Nagorno-Karabakh si è sforzato di esercitare liberamente i propri diritti umani”. “Questa determinazione non è cambiata anche dopo devastanti ondate ripetitive di repressione e aggressione dell’Azerbajgian che hanno ucciso migliaia di persone e rovinato centinaia di città e villaggi, infrastrutture civili, patrimonio culturale e religioso. La comunità internazionale, tuttavia, è rimasta in gran parte inattiva, perciò l’appetito dell’Azerbajgian è stato incoraggiato dall’impunità. Quest’ultimo, poi, ha attaccato e occupato i territori sovrani della Repubblica di Armenia”, ha osservato il Ministro Mirzoyan.

“In un’atmosfera di totale impunità, l’Azerbajgian continua a violare i principi del diritto internazionale dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario. Sono circa 80 giorni che l’Azerbajgian ha bloccato il Corridoio di Lachin, l’unica strada che collega il Nagorno-Karabakh all’Armenia e al resto del mondo. L’Azerbajgian ha anche interrotto l’elettricità e interrompe regolarmente la fornitura di gas. Di conseguenza, gli Armeni del Nagorno-Karabakh sono sull’orlo di una catastrofe umanitaria. Nel frattempo, l’Azerbajgian ha annunciato ai massimi livelli che può revocare il blocco per tutti coloro che vogliono lasciare il Nagorno-Karabakh. È in atto una strisciante pulizia etnica”, ha sottolineato il Ministro Mirzoyan.

Il Ministro degli Esteri dell’Armenia ha sottolineato che il 22 febbraio la Corte Internazionale di Giustizia ha emesso un provvedimento provvisorio giuridicamente vincolante nei confronti dell’Azerbajgian nel procedimento avviato dall’Armenia nei suoi confronti, respingendo all’unanimità le richieste dell’Azerbajgian formulate nel procedimento parallelo in merito a presunta posa di mine da parte dell’Armenia. “Nell’ordinanza menzionata, la Corte ha rilevato che esiste un rischio imminente di danno irreparabile ai diritti degli Armeni ai sensi della Convenzione per l’eliminazione della discriminazione razziale e ha ordinato all’Azerbajgian di adottare tutte le misure necessarie per garantire il movimento senza ostacoli di persone, veicoli e merci lungo il Corridoio di Lachin in entrambe le direzioni. Le misure provvisorie della Corte Internazionale Giustizia sono legalmente vincolanti. Tuttavia, finora l’Azerbajgian non ha revocato il blocco del Corridoio di Lachin”, ha osservato. “L’Azerbajgian commette questo crimine in mezzo all’ampia e veramente globale richiesta di aprire il Corridoio di Lachin, anche da parte del Segretario Generale delle Nazioni Unite e dell’Alto Commissario per i Diritti Umani”, ha sottolineato il Ministro Mirzoyan.

Allo stesso modo, ha detto, l’Azerbajgian non ha indagato sulle esecuzioni extragiudiziali, le torture, le mutilazioni e la profanazione dei corpi dei soldati armeni morti, comprese delle donne, come è stato specificamente richiesto dai titolari del mandato delle procedure speciali delle Nazioni Unite [QUI]. Gli esperti delle Nazioni Unite per i diritti umani hanno inoltre sottolineato che attendono ancora dall’Azerbajgian “informazioni sui motivi di fatto e legali per la continua detenzione dei prigionieri di guerra dopo la cessazione delle ostilità, e le misure adottate per informare le famiglie degli scomparsi sul loro destino e il luogo esatto in cui si trova.

Il Ministro degli Esteri della Repubblica di Armenia ha sottolineato che è “la ferma convinzione dell’Armenia che il dispiegamento della missione inter-agenzia delle Nazioni Unite nel Corridoio di Lachin e nel Nagorno-Karabakh sia il minimo indispensabile che la comunità internazionale possa fare in queste circostanze”. “Le Nazioni Unite sono dotate di un mandato universale e dovrebbero godere di un accesso incondizionato e senza ostacoli alle persone bisognose. Il meccanismo delle Nazioni Unite per i diritti umani dovrebbe essere utilizzato per salvare vite umane, estendere l’assistenza umanitaria necessaria e proteggere i diritti umani delle persone interessate. Il mondo ha bisogno di casi positivi e di successo dell’applicazione dei meccanismi internazionali, quelli per cui sono stati creati e previsti. Il sistema internazionale non può permettersi di sostenere l’ennesimo fallimento”, ha affermato il Ministro Mirzoyan.

Ha ribadito l’incrollabile impegno dell’Armenia per la protezione e la promozione dei diritti umani, ricordando che anche quest’anno l’Armenia ha ricevuto i primi posti nella regione dal World Press Freedom Index e dal Democracy Index dell’Economist Intelligence Unit. “In qualità di membro del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, anche nel suo ufficio di presidenza nel 2022, l’Armenia si è impegnata a dare un contributo significativo agli sforzi internazionali per promuovere e proteggere i diritti umani in tutto il mondo. Vorrei sottolineare in particolare il contributo dell’Armenia agli sforzi internazionali per la prevenzione del genocidio. Ringraziamo ogni Stato che ha sostenuto l’adozione consensuale delle risoluzioni del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite sulla prevenzione del genocidio presentate dall’Armenia nel 2022″, ha affermato.

La modalità operativa del Corridoio del Lachin dovrebbe essere conforme alla Dichiarazione tripartita del 9 novembre 2020 dei leader della Federazione Russa, dell’Armenia e dell’Azerbaigian, con non prevede l’istituzione di posti di blocco, ha dichiarato il Ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, durante la conferenza stampa tenutasi dopo i negoziati con il Ministro degli Esteri azero, Jeyhun Bayramov, ha riferito l’agenzia Tass: “Il suo [del Corridoio di Lachin] regime operativo deve rispettare pienamente la prima Dichiarazione tripartita del 9 novembre 2020, che significa la necessità di garantire la libera circolazione dei beni civili e umanitari e dei civili. Questo è esattamente ciò per cui ci battiamo, principalmente attraverso la forza di mantenimento della pace russa. Non è prevista la creazione di posti di blocco lì”.

Dimostrando la preparazione costante dell’Azerbajgian alla guerra di aggressione contro l’Armenia (che chiamano Azerbajgian occidentale e terra loro) e contro l’Artsakh (che chiamano Regione economica del Qarabağ e terra loro), il Ministero della Difesa dell’Azerbajgian informa che il Colonnello generale Zakir Hasanov con un gruppo di ufficiali del dipartimento del lavoro ideologico e del supporto morale-psicologico dello Stato maggiore dell’Esercito ha visita le truppe in un’installazione militare nei territori della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh che furono occupati con la guerra dei 44 giorni di fine 2020, probabilmente nella regione di Kelbajar, al confine con l’Armenia. La mappa sul muro evidenzia le aree sul territorio sovrano dell’Armenia occupate durante l’invasione di settembre 2022.

«Mentre l’Azerbajgian sta letteralmente commettendo un genocidio lento con il #ArtsakhBlockade con impunità, il governo del Regno Unito sta pubblicando annunci per promuovere l’Azerbajgian. 450 società del Regno Unito operano in Azerbajgian» (Nara Matini).

La BBC è stata accusata di aver “imbiancato” il regime autocratico dell’Azerbajgian nel film sponsorizzato dalla BP, “Wonders of Azerbaijan” realizzato con il finanziamento del gigante britannico del petrolio e del gas, British Petroleum (BP) e il sostegno della controversa famiglia Aliyev al potere nel Paese
di James Dowsett
openDemocracy, 22 novembre 2022

(Nostra traduzione italiana dall’inglese)

Al pubblico che si è sintonizzato su BBC World News ad agosto è stato promesso che avrebbe scoperto “come la ricchezza petrolifera dell’Azerbajgian ha permesso alla capitale Baku di prosperare” e “guadagnato la reputazione di essere la ‘Parigi dell’Est’” nel film Wonders of Azerbaijan presentato dalla storica Bettany Hughes, che ha co-fondato SandStone, sponsorizzato da BP.

BP ha speso 300.000 sterline per il film, che è stato realizzato dalla società di produzione britannica SandStone Global con il sostegno di una fondazione e di un media center gestito dai membri della famiglia Aliyev al potere in Azerbajgian.

Emin Huseynov, un giornalista azero fuggito dalla persecuzione politica in Azerbajgian nel 2015, ha accusato la BBC di “imbiancare una dittatura” con il film. Husyenov, che del 2006 ha realizzato un premiato documentario della BBC, che ha seguito i giovani attivisti pro-democrazia in Azerbajgian, ha detto a openDemocracy che la BBC ha subito “una trasformazione vergognosa e ha dato la parola ad uno dei regimi più sanguinari e corrotti del mondo”. Ha anche accusato la BBC di essere “passiva” nella sua copertura della situazione dei diritti umani in Azerbajgian e rilevato la mancanza di controllo sui legami di BP con il regime di Aliyev.

Negli ultimi dieci anni, le autorità azere hanno ripetutamente represso i manifestanti (Foto di Freedom House).

La BBC ha detto a openDemocracy che il film Wonders of Azerbaijan “non è un programma di attualità”. “La più ampia storia geopolitica della regione è stata ampiamente riportata dai servizi di BBC News”, ha detto un portavoce.

Chris Garrard, del gruppo della campagna artistica Culture Unstained, ha detto a openDemocracy che gli accordi di sponsorizzazione dei media come BP “legittimano” le compagnie di combustibili fossili mentre continuano a investire in nuove infrastrutture per petrolio e gas, piuttosto che cercare di raggiungere obiettivi net-zero. Dati i precedenti del regime azero in materia di violazioni dei diritti umani, la “prospettiva culturale positiva sull’Azerbajgian” del film della BBC ha funzionato a “vantaggio della BP”, ha detto Garrard.

Il film ha anche promosso implicitamente le rivendicazioni dell’Azerbajgian su Shusha, una città nel territorio conteso del Nagorno-Karabakh che l’Azerbajgian ha sottratto dalle forze armene durante la seconda guerra del Karabakh nel 2020. L’Azerbajgian ora vuole trasformare la regione in una “zona di energia verde” – con l’aiuto di BP. In base al suo cosiddetto “contratto del secolo” nel 1994, BP è il più grande investitore aziendale straniero nell’Azerbajgian, ricco di risorse. Ha da tempo affrontato critiche da parte di attivisti per i diritti umani e per il clima per i suoi legami con il regime al potere di Aliyev, che è stato accusato di “frode elettorale”, di aver messo a tacere le voci di dissenso e di aver beneficiato in modo sproporzionato della ricchezza di petrolio e gas dell’Azerbajgian.

“BP ha bisogno di mantenere il governo [azerbajgiano] dalla sua parte e questo [film] è un modo a basso costo per farlo”, ha detto l’attivista James Marriott, coautore di Crude Britannia: How Oil Shaped a Nation.

Un portavoce della BP ha detto a openDemocracy che intende lavorare per lo sviluppo “efficace e responsabile” delle risorse energetiche del Mar Caspio a beneficio dell’Azerbajgian e della compagnia. Ha aggiunto di avere un’ambizione netta pari a zero e sta lavorando per decarbonizzare le operazioni e sviluppare l’energia rinnovabile in Azerbajgian. “Non sosteniamo individui o gruppi politici in nessun Paese”, ha detto a openDemocracy un portavoce dell BP.

Un portavoce della BBC ha dichiarato: “Ospitare pubblicità e sponsorizzazioni al di fuori del Regno Unito, che è chiaramente etichettato come tale ed è completamente separato dalla nostra produzione editoriale, ci consente di investire nel giornalismo di livello mondiale della BBC, che fornisce notizie indipendenti e imparziali in tutte le argomenti, tra cui il cambiamento climatico, la crisi energetica e la geopolitica”.

Viaggiatori curiosi

BBC World News ha trasmesso il film in due parti ai suoi telespettatori al di fuori del Regno Unito per una settimana ad agosto, la stessa settimana in cui il pubblico britannico ha visto la BBC trasmettere un’ampia copertura della crisi energetica e delle bollette del carburante in aumento. Insieme al film sponsorizzato dalla BP sono stati mostrati spot pubblicitari rivolti al “viaggiatore curioso ed eco-consapevole”, come parte di un accordo tra la BBC Global News (una delle filiali commerciali della BBC) e l’ente turistico ufficiale dell’Azerbajgian.

Il film della BBC Wonders of Azerbaijan fa parte di una più ampia serie editoriale , anch’essa presentata da Bettany Hughes, che esplora aree di interesse naturale, artistico e culturale in tutto il mondo.

La BBC ha concesso in licenza il contenuto per il film in due parti della società di produzione di Hughes, SandStone Global. La BBC ha modificato il materiale, ma il copyright rimane di SandStone Global. La produzione stessa è stata finanziata da BP, la cui sponsorizzazione è stata resa chiara sullo schermo quando il programma è andato in onda.

Ciascuno dei due episodi è stato trasmesso in tutto il mondo cinque volte alla fine di agosto, affiancato da annunci di viaggio per l’Azerbaigian. Non è stato trasmesso nel Regno Unito.

Un rappresentante di SandStone Global ha detto a openDemocracy che era “pratica standard” per la società di produzione ottenere supporto da “organizzazioni locali” per i servizi in loco. Il Baku Media Center ha fornito supporto logistico a SandStone, mentre la Heydar Aliyev Foundation ha aiutato la società britannica a ottenere i permessi per le riprese e l’accesso a siti storici unici, ha affermato il rappresentante. l Baku Media Center è gestito dalla figlia minore del presidente azero Ilham Aliyev, Arzu Aliyeva. Lavora a stretto contatto con la fondazione a conduzione familiare.

Il rappresentante di SandStone Global ha dichiarato: “[Il coinvolgimento delle organizzazioni] non equivale a un’influenza editoriale, poiché tutte le decisioni relative alle nostre produzioni vengono prese dal team di SandStone Global”. Arzu Aliyeva non è stata coinvolta personalmente nel processo di produzione, ha aggiunto. Il portavoce della BBC ha dichiarato: “Sebbene il programma originale non sia stato realizzato dalla BBC, solo la BBC ha il pieno controllo editoriale su tutto ciò che viene trasmesso sul suo canale, in linea con le sue solide linee guida editoriali”. BP ha sostenuto il programma come “contributo alla promozione globale dell’Azerbajgian” in collaborazione con la Fondazione Heydar Aliyev, dal nome dell’ex Presidente, che ha guidato il Paese sia prima che dopo l’indipendenza dall’Unione Sovietica nel 1991. Heydar Aliyev è succeduto nel 2003, dopo dieci anni di governo, da suo figlio, l’attuale Presidente autocratico Ilham Aliyev. La fondazione è presieduta dalla moglie di Ilham, Mehriban Aliyeva, che è anche Vicepresidente del Paese [nominato al suo marito].

La Fondazione Heydar Aliyev ha il compito di promuovere l’immagine dell’Azerbajgian all’estero, anche promuovendo la posizione del governo sul Nagorno-Karabakh. Ma i critici del governo affermano che questo lavoro si estende a distogliere l’attenzione dall’incessante repressione del regime contro il dissenso e la sua corruzione sistemica. “La fondazione è stata istituita dalla famiglia regnante per imbiancare l’immagine dell’Azerbajgian”, ha detto a openDemocracy Arzu Geybullayeva, una giornalista azerbajgiana che vive in esilio. Ha aggiunto: “Non può in alcun modo essere descritto come indipendente dallo Stato”. La Fondazione Heydar Aliyev non ha risposto alle richieste di commento [1].

Intervenendo ad un evento di lancio del film a Baku a settembre, la presentatrice Bettany Hughes ha dichiarato: “Capisco la storia non attraverso la politica… non mi occupo affatto di politica. Ma vado in posti che sono stati straordinari dal punto di vista culturale. Quindi è stato eccezionale per me avere accesso a luoghi in cui quando sono venuto l’ultima volta non potevo andare perché c’erano troppi conflitti lì”.

Territorio conteso

Hughes parlava del Nagorno-Karabakh, che è riconosciuto a livello internazionale come territorio dell’Azerbajgian, ma era sotto il controllo etnico armeno dall’inizio degli anni ’90. Questo fino al 2020, quando l’Azerbajgian ha iniziato una guerra di 44 giorni per prendere il controllo di parte del territorio conteso, come ha recentemente ammesso lo stesso Ilham Aliyev. Migliaia di persone furono uccise nei combattimenti mentre le forze armene tentavano di proteggere il territorio [2].

In effetti, la serie della BBC presentava un segmento in cui Bettany Hughes si recava nella città di Shusha, nel Nagorno-Karabakh. L’Azerbajgian ha conquistato la città nel novembre 2020 come parte della sua brutale offensiva militare. In precedenza, Shusha – noto come Shushi agli Armeni – era stato sotto controllo degli Armeni etnici sin dalla prima guerra del Nagorno-Karabakh tre decenni prima.

L’Azerbajgian ha ora dichiarato Shusha una “capitale culturale” e sono in corso importanti sforzi per ripristinare la cultura azera nella città. La Fondazione Heydar Aliyev sta conducendo lavori di restauro a Shusha. Alcuni di questi lavori sono stati presentati nel programma della BBC, inclusa una sequenza girata all’interno di un mausoleo ricostruito dell’era sovietica al poeta e statista azero del XVIII secolo Vagif. Il monumento cadde in rovina quando la città era sotto il controllo armeno.

Parlando a Shusha nel giugno 2022, il Presidente regionale di BP, Gary Jones, ha affermato che il Nagorno-Karabakh dispone delle “migliori risorse solari e geotermiche” del Paese, rendendolo una “opportunità perfetta per un sistema completamente zero”. BP sta progettando una centrale solare nella città di Jabrayil, di cui l’Azerbajgian ha ripreso il controllo durante la guerra del 2020.

Wonders of Azerbaijan, che non affrontava i collegamenti dell’Armenia con Shusha o la storia aspramente contestata del Nagorno-Karabakh, è stato trasmesso nell’ultima settimana di agosto.

Due settimane dopo, le forze azere hanno effettuato ulteriori incursioni nel territorio armeno, la peggiore escalation del conflitto armeno-azerbajgiano dalla guerra del 2020.

Jones di BP è salito sul palco alla première del film a Baku alla fine di settembre per elogiare “l’incrollabile sostegno del governo [azerbajgiano]” per la sua compagnia e le operazioni dei suoi co-investitori nel Paese. Jones ha anche parlato dello “sforzo congiunto” che è stato necessario per creare il documentario. Ha ringraziato la Fondazione Heydar Aliyev per il suo sostegno e ha reso un omaggio personale alla figlia del Presidente, Arzu Aliyeva, e al Baku Media Center che dirige, “per il loro eccezionale supporto tecnico” alla produzione.

Campagna turistica

Questa non è la prima volta che BP collabora con la Heydar Aliyev Foundation, o che la fondazione è comparsa sulla BBC. L’anno scorso, BBC StoryWorks, lo studio di contenuti interno per la pubblicità BBC Global News, ha condotto una campagna separata incentrata sul turismo per l’Azerbaigian per celebrare il 30° anniversario dell’indipendenza del Paese dall’Unione Sovietica. La campagna includeva un annuncio pubblicitario a pagamento che invitava i lettori a “scoprire di più” sull’Azerbajgian seguendo un collegamento a un sito Web esterno gestito dalla Fondazione Heydar Aliyev. Il portale Azerbajgian afferma (tra le altre cose) che l’attuale Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, “si è sempre concentrato sull’assicurare una più piena tutela dei diritti umani e delle libertà nel Paese”. Contiene anche informazioni sul cosiddetto ” problema armeno “.
I funzionari azeri hanno una lunga storia nell’uso di un linguaggio e immagini disumanizzanti sugli Armeni, inclusa l’apertura di un “parco di guerra” lo scorso anno contenente armi, armature e veicoli sequestrati alle forze armene e figure di cera di Armeni – come riportato dalla BBC nel Regno Unito.

Il collegamento è stato rimosso dopo che openDemocracy ha contattato la BBC per un commento.

BP, nel frattempo, ha firmato un accordo di cooperazione con la Fondazione Heydar Aliyev per realizzare congiuntamente alcuni dei suoi progetti di investimento sociale. Precedenti progetti congiunti hanno incluso film sponsorizzati, come The Last Session, un documentario del 2018 che commemora la nascita della Repubblica Democratica dell’Azerbajgian, lo stato indipendente di breve durata che fu terminato dall’invasione sovietica nel 1920. BP ha speso 320.000 dollari per il progetto, organizzato dal Baku Media Centre e con Arzu Aliyeva come produttore esecutivo del film.

Nella sua dichiarazione a openDemocracy, BP ha affermato che la sua politica di investimenti sociali in Azerbajgian – e altrove nella regione – era “in linea con il quadro di sostenibilità del nostro gruppo”. La società ha affermato di aver sostenuto oltre 100 comunità in Azerbajgian attraverso iniziative educative e culturali, compresi progetti volti a creare opportunità per far avanzare la transizione energetica.

[1] La Fondazione Heydar Aliyev svolge anche un ruolo cruciale nei rapporti tra l’Azerbajgian e la Santa Sede: «Un impulso essenziale all’avanzamento dei rapporti con la Santa Sede lo ha fornito anche la Fondazione Heydar Aliyev. Mehriban Aliyeva, Presidente della Fondazione Heydar Aliyev e Primo Vicepresidente della Repubblica dell’Azerbaigian, negli ultimi anni ha visitato la Santa Sede più volte. Su sua iniziativa sono stati realizzati progetti di restauro di importanti esemplari del patrimonio culturale ed artistico del Vaticano. Tra questi, le catacombe dei Santi Marcellino e Pietro, il restauro di 16 manoscritti rinvenuti nella Biblioteca Apostolica Vaticana e la digitalizzazione di altri 65, la statua di Zeus nel Museo Pio Clementino e gli antichi gabinetti della Sala Sistina dei Musei Vaticani, i sarcofagi nelle catacombe di San Sebastiano. Il 22 febbraio 2020 Mehriban Aliyeva ha ricevuto la Gran Croce dell’Ordine di Pio IX per i suoi contributi allo sviluppo della cultura, tra cui la crescita dei rapporti con le strutture della Santa Sede» (Ilgar Mukhtarov, Ambasciatore dell’Azerbajgian presso la Santa Sede, nell’intervista concesso a Exaudi Catholic News del 21 febbraio 2023).

[2] Lo storico ebreo francese Marc Knobel sul settimanale francese Nouvel Obs ha osservato in riferimento al «destino degli Armeni durante l’autunno del 2020, quando subirono gli assalti congiunti dell’esercito azero e di quello turco, supportati da 2.000 mercenari jihadisti siriani», che «la guerra contro gli Armeni è finita nel punto cieco della comunicazione»: «Questo massacro moderno, perpetrato con l’intera panoplia di armi autorizzate e proibite, uccise 4.500 coscritti armeni in quarantaquattro giorni. Questo è un peso incredibile rispetto ai 3 milioni di Armeni che ancora vivono nei loro territori storici. A titolo di paragone, la guerra iniziata da Putin ha ucciso alcune migliaia di soldati ucraini in un anno (tra i 10.000 e i 13.000), per una popolazione di 44 milioni di abitanti. Queste cifre danno un’idea dell’ondata di violenza che si è abbattuta sugli Armeni durante questo mese e mezzo. Testimoniano anche, senza sprofondare nella competizione delle vittime, l’ineguale copertura mediatica di queste due tragedie».

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]

In Armenia, sotto il governo di Pashinyan, ci sarà una nuova guerra e una nuova capitolazione (Avia.pro 27.02.23)

Preservare il potere del primo ministro Nikol Pashinyan in Armenia porterà a una nuova guerra, nuove perdite e un’altra capitolazione, ha dichiarato il 25 febbraio Ishkhan Saghatelyan, deputato del blocco di opposizione armeno, parlando al Bekum Youth Forum tenutosi in Armenia, il rapporti di agenzia Notizie armene – Notizie am.

L’opposizione ha espresso rammarico per il fatto che le attuali autorità dell’Armenia abbiano convinto i cittadini della repubblica che la situazione in Armenia non sarebbe cambiata, indipendentemente da chi fosse salito al potere. Secondo lui, se nella repubblica si stabilisce un governo nazionale, allora sarà sicuramente in grado di fermare la serie di sconfitte e portare il Paese fuori dalla situazione attuale.

“Sotto il potere di Nikola, avremo una nuova guerra e una nuova capitolazione. Il nostro compito principale è preparare seriamente e continuare la lotta. Questo potere porterà nuove perdite ogni giorno”, ha detto Saghatelyan.
Подробнее на: https://avia-pro.it/blog/v-armenii-pri-vlasti-pashinyana-budet-novaya-voyna-i-novaya-kapitulyaciya

Settantottesimo giorno del #ArtsakhBlockade. La dittatura armenofoba di Aliyev non demorde, ma il popolo armeno dell’Artsakh è resiliente (Korazym 27.02.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 27.02.2023 – Vik van Brantegem] – L’assedio terroristico di 120.000 Armeni in Artsakh/Nagorno-Karabakh da parte dell’Azerbajgian continua da 78 giorni, nonostante gli appelli, le dichiarazioni e le condanne della comunità internazionale, l’ordine legalmente vincolante della Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite all’Azerbajgian per terminare il blocco.

«Durante il #ArtsakhBlockade sono stati registrati 30 casi di avvelenamento da gas a causa delle interruzioni periodiche della fornitura di gas causate dall’Azerbajgian e il ripristino incompleto. A causa del continuo stress causato da incertezze e minacce durante il #ArtsakhBlockade, il numero di malattie e complicazioni è aumentato nell’Artsakh. Tra queste ci sono la cardiopatia ischemica +58%, l’ictus +36%, le complicanze alla nascita +11,6% e una serie di altre malattie» (Siranush Sargsyan, giornalista freelance a Stepanakert).

«300 bambini sono nati negli ospedali di maternità #Artsakh durante il blocco imposto dall’Azerbaigian. A seguito della campagna di terrore dell’Azerbaigian contro la popolazione dell’Artsakh, i neonati affrontano ogni giorno serie preoccupazioni legate alla carenza di cibo per bambini e medicinali» (Horizon Armenian News).

«A causa dell’#ArtsakhBlockade e soprattutto dell’interruzione della fornitura di elettricità dal 9 gennaio, 96.000 ettari di terra azera non riceveranno acqua sufficiente per l’irrigazione dal bacino idrico di Sarsang durante la stagione. Dobbiamo utilizzare in gran parte quelle risorse idriche per la produzione locale di elettricità» (Artak Beglaryan, Consigliere del Ministro di Stato dell’Artsakh).

Non dimentichiamo che l’Azerbajgian è una dittatura armenofobica indottrinata a livello statale dal criminale di guerra Aliyev. L’Azerbajgian, che sta conducendo la pulizia etnica, parla senza vergogna di diritto internazionale e i suoi diplomatici continuano a ripetere la menzogna: “L’Armenia ha violato molteplici disposizioni della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati e principi fondamentali del diritto internazionale”. Ricordiamo che la macchina di menzogne azere funziona da sempre.

«Lo sapevi che l’Armenia ha abbattuto un aereo civile azero IL-76 inviato in missione di aiuto umanitario a Spitak per sopperire alle conseguenze del tragico terremoto avvenuto lì il 7 dicembre 1988? Tutti i 78 membri del personale azero a bordo sono stati uccisi».

«Ganjaliyev è una persona così spregevole. Diffonde bugie/odio anti-armeno tutto il tempo, ma non posso dimenticare questa. Ho visto la totale devastazione, il caos e la disperazione dopo il terremoto di Spitak del 1988 in Armenia. Che tipo di essere umano mente su questo? Una bugia disgustosa. È stato un incidente aereo. Era un aereo cargo sovietico che apparteneva al Ministero della Difesa sovietico. Tutti gli 11 membri dell’equipaggio erano russi, gli altri erano multinazionali: Azeri, Lezgini, Tartari, Russi, Armeni, Ebrei» (Nara Matini).

Ricordiamo la copertura mediatica massiccia sull’Ucraina e il silenzio sul blocco dell’Artsakh. L’Unione Europea ha adottato NESSUNA sanzione contro l’autocrazia dell’Azerbajgian dopo tre invasioni (2020, 2021 e 2022) del territorio armeno, il #ArtsakhBlockade da 78 giorni con 120.000 vite in pericolo. L’Unione Europea fa NULLA per fermare Aliyev e invece acquisto il suo gas. Mentre Putin reindirizza i flussi di gas russo attraverso l’Azerbajgian, l’Europa si congratula con se stesso. Prende due dittature al prezzo di una. Questa è l’ambizione Net Etico Zero 2030.

Ma il popolo armeno dell’Artsakh è resiliente, vuole continuare a vivere in pace sulla propria terra. Ogni giorno gli Armeni dell’Artsakh dimostrano che qualsiasi potere, specialmente un delinquente autoritario corrotto come Aliyev, non può convincerli ad abbandonare la loro patria ancestrale. I fascisti dell’Azerbajgian fallirono nel 1918, 1988, 2020 e stanno fallendo ora.

«Le persone continuano a vivere in Artsakh in queste condizioni. Il nonno semina patate» (Ani Balayan, fotografa in Artsakh [QUI] mailto:anivannlll@gmail.com).

«Artsakh oggi» (David Ghahramanyan, fotoreporter a Stepanakert [QUI] mailto:ghahramanyan91@internet.ru).

“La guerra contro gli Armeni è finita nel punto cieco della comunicazione”
“Alcuni conflitti suscitano emozione, reattività e commenti, sia tra i politici che sui media”, scrive lo storico Ebreo francese Marc Knobel sul settimanale francese Nouvel Obs. “Nei conflitti che oggi insanguinano il pianeta, c’è una guerra particolarmente dura condotta dall’Azerbajgian contro l’Armenia, a quattro ore di volo da Parigi. Certo, l’Armenia è lontana e il Nagorno-Karabakh – chiamato anche Artsakh dagli Armeni – sembra enigmatico, come se fosse ancora più misterioso. I nostri contemporanei troverebbero difficile localizzarli su una mappa geografica. Questa ignoranza generale è la sfortuna degli Armeni. Porta gioia anche ai loro nemici, le forze del pan-turchismo, responsabili del genocidio del 1915, che ne approfittano per portare a termine l’opera di nascosto. È così che l’ultimo atto dell’uccisione di questa gente superflua può avvenire proprio in questo momento. Un’entità cristiana, innamorata della democrazia, dei valori europei, la cui plurimillenaria esistenza in quest’area flagellata da ogni forma di totalitarismo costituisce un’eccezione culturale e politica. Non stupisce quindi che, secondo la regola del fanatismo in vigore sotto questi cieli, si tratti di farlo sparire. Da un lato, sulla base di ciò che è; dall’altro, per l’ostacolo geografico che rappresenta per la Turchia e l’Azerbajgian. La fase finale del piano di pulizia etnica è iniziata il 12 dicembre 2022, con i militanti nazionalisti azeri guidati a distanza da Baku che hanno bloccato il Corridoio di Lachin, l’unica strada che collega il Nagorno-Karabakh all’Armenia. Risultato: i 120.000 Armeni dell’enclave vivono da allora in una prigione a cielo aperto, completamente tagliati fuori dal mondo.  Tuttavia, quasi nessuno parla del dramma che si sta svolgendo. È vero che la morte per asfissia è meno spettacolare, meno pubblicizzata, di quella provocata dai bombardamenti. Tuttavia, è chiaro che difficilmente avevamo parlato di più del destino degli Armeni durante l’autunno del 2020, quando subirono gli assalti congiunti dell’esercito azero e di quello turco, supportati da 2.000 mercenari jihadisti siriani. Questo massacro moderno, perpetrato con l’intera panoplia di armi autorizzate e proibite, uccise 4.500 coscritti Armeni in quarantaquattro giorni. Questo è un peso incredibile rispetto ai 3 milioni di armeni che ancora vivono nei loro territori storici. A titolo di paragone, la guerra iniziata da Putin ha ucciso alcune migliaia di soldati ucraini in un anno (tra i 10.000 e i 13.000), per una popolazione di 44 milioni di abitanti. Queste cifre danno un’idea dell’ondata di violenza che si è abbattuta sugli Armeni durante questo mese e mezzo. Testimoniano anche, senza sprofondare nella competizione delle vittime, l’ineguale copertura mediatica di queste due tragedie. Come ignorare il fatto che cento anni dopo il genocidio impunito di 1915, i pochi Armeni che restano sul poco che rimane del loro suolo ancestrale possono continuare a soffrire dagli stessi aggressori, o dai loro figli spirituali, un identico odio, una violenza della stessa natura?” (Il Foglio, 27 febbraio 2023 – Traduzione di Giulio Meotti).

Oggi ricorre il 35° dei massacri di Armeni di Sumgait. Ricordiamo tutte le vittime innocenti di questa azione disumana dell’Azerbajgian per la pulizia etnica. Fu un punto di non ritorno, la madre di tutte le pulizie etniche azere

Sumgait 1988-Artsakh 2023.

Il pogrom di Sumgait è stata la prima campagna di pulizia etnica che gli Azeri hanno commesso come risposta brutale alle legittime richieste del popolo dell’Artsakh di esercitare il loro diritto fondamentale all’auto-determinazione.

I massacri pianificati dalle autorità azere nel 1988 lontano dall’Artsakh, sono stati compiuti per sopprimere brutalmente la lotta civile del popolo dell’Artsakh per vivere con dignità e pacificamente nella loro patria storica.

Ancora oggi l’Azerbajgian pianifica qui la pulizia etnica.

L’orrore di Sumgait che gli Azeri cercano di nascondere con le menzogne

Da alcuni anni la diplomazia azera è particolarmente attiva nella sua propaganda su Kojali. Come abbiamo già evidenziato nei giorni precedenti [QUI e QUI] le menzogne e le calunnie della narrazione diplomatica (anche qualche giorni fa ripetuta dal nuovo Ambasciatore azero presso la Santa Sede) e mediatica azera (alla quale si prestano anche servi sciocchi o marchettari di basso lignaggio nostrani) è servita e serve solo a coprire l’orrore del pogrom anti-armeno di Sumgait, di cui abbiamo parlato ieri [QUI].

Il primo Presidente dell’Azerbajgian, Ayas Mutalibov, annunciò che gli eventi di Kojali erano stati organizzati dall’opposizione azera per rimuoverlo dall’incarico. Gli Armeni non c’entravano per niente.

I massacri di Armeni a Sumgait nel febbraio del 1988 hanno il dubbio onore di essere stati la prima pulizia etnica attuata in quello che era ancora territorio sovietico.

A una serie di dimostrazioni pacifiche di Armeni nel Nagorno-Karabakh, che desideravano decidere le loro proprie vite, il proprio futuro, non nell’ambito della giurisdizione dell’Azerbajgian, il governo azero rispose con la violenza e la repressione.

L’esempio più violento e più manifestatamente politico di questa risposta sono proprio i massacri che ebbero luogo per tre giorni nel febbraio del 1988 nella città di Sumgait, a molti chilometri di distanza dal territorio del Nagorno Karabakh.

La violenza contro gli Armeni a Sumgait ha invero cambiato la natura del conflitto del Karabakh militarizzandolo.

Non c’era alcun rifugiato ed alcuna questione territoriale quando il popolo del Nagorno-Karabakh sovietico intraprese tutte le necessarie azioni legali al fine di optare per l’auto-determinazione in conformità con la legislazione del tempo dell’USSR. La risposta fu un’aggressione militare. È molto significativo che un governo sovrano abbia risposto ad azioni democratiche dei propri cittadini con l’uso delle armi. Inoltre, la violenta risposta militare non fu nemmeno diretta contro la popolazione del Nagorno Karabakh, (almeno in un primo momento), ma contro gli Armeni di Sumgait e Baku, chilometri lontano dal territorio e dalla popolazione del Nagorno Karabakh.

I massacri di Armeni a Sumgait (una città situata a mezz’ora di auto dalla capitale dell’Azerbaigian, Baku) si svolsero in pieno giorno, testimoniati da numerosi attoniti passanti. Il picco delle atrocità commesse da azeri fu raggiunto il 27-29 febbraio 1988. Gli eventi furono preceduti da una ondata di dichiarazioni anti-armene e manifestazioni che attraversarono l’intero Azerbajgian nel febbraio del 1988.

Il quotidiano Izvestia Daily del 20 agosto 1988 cita il vice procuratore sovietico Katusev che ha detto che quasi tutta l’area di Sumgait, una città con popolazione di 250.000 abitanti, era diventato un luogo di libero pogrom di massa. Gli autori materiali che fecero irruzione nelle case degli armeni erano stati aiutati da liste preparate con i nomi dei residenti. Erano armati con sbarre di ferro, pietre, asce, coltelli, bottiglie e taniche piene di benzina. Secondo testimoni, alcuni appartamenti sono stati perquisiti da gruppi da 50 a 80 persone. Simili folle (fino a 100 persone) hanno preso d’assalto le strade.

Ci furono dozzine di incidenti e 53 assassinati – la maggior parte di quelli bruciati vivi dopo essere stato aggrediti e torturati. Centinaia di persone innocenti furono ferite e rese invalide. Molte donne, tra le ragazze adolescenti, furono violentate. Più di duecento appartamenti furono perquisiti, decine di auto bruciate, numerosi negozi e botteghe saccheggiate. I manifestanti scagliarono mobili, frigoriferi, televisori, letti dai balconi e poi li bruciarono. Il risultato diretto e indiretto di questi orrori furono decine di migliaia di profughi.

Queste furono le perdite umane. Politicamente, è stato più orribile e significativo che né la polizia né gli addetti alla pubblica emergenza interferirono. Il testimone S. Guliev descrisse gli eventi: “La polizia ha lasciato la città in balia della folla. Non era in nessun posto. Non ho visto alcun poliziotto in giro”.

In tribunale, il testimone Arsen Arakelian raccontò la malizia dei medici dell’ambulanza che non vennero per aiutare la madre sofferente di una commozione cerebrale, con le ossa rotte, emorragie e bruciature, né lasciarono che venisse portata in ospedale.

L’esercito arrivò a Sumgait il 29 febbraio. Tuttavia, si è limitò a fare scudo contro i manifestanti che devastavano e lanciavano pietre contro i soldati e fece poco per proteggere gli Armeni. ”Noi non abbiamo istruzioni per andare dentro”, fu ‘risposta dei soldati alle richieste di aiuto delle vittime, secondo la testimonianza di S. Guliev.

Quanto accaduto a Sumgait (e poi a Baku e Kirovabad) fa parte della storia e non può essere negato. Il regime azero cerca però di nascondere questo crimine e, negli anni, ma in particolare negli ultimi, ha montato controstorie che, grazie a generose prebende, riescono ad avere anche una qualche risonanza mediatica.

Ma l’orrore del febbraio 1988 non potrà certamente essere dimenticato o essere cancellato dalle menzogne e calunnie dell’Azerbajgian.

Per saperne di più

– La tragedia di Sumgait. 1988. Un pogrom di armeni nell’Unione Sovietica di Shahmuradian Samuel. Introduzione di Rouben Karapetian. Presentazione di Bernard Kouchner. Prefazione di Elena Bonner. Edizione italiana a cura di Pietro Kuciukian (Guerini e Associati 2013, 198 pagine) [QUI].
– Sito in lingua italiana sui massacri di Sumgait [QUI].

1988, Sumgait, Repubblica Socialista Sovietica di Azerbajgian: tre giorni di caccia all’armeno e il primo dei conflitti interetnici dell’Unione Sovietica. Chi avrebbe potuto intuire e prevenire ciò che è accaduto tra azeri e armeni, uniti fino a quel momento dagli ideali del comunismo? Come cogliere i segni del male in eventi apparentemente trascurabili che poi sfociano in uno sterminio? Una folla fanatizzata attraverso un’opera di disinformazione, distribuzione di alcool e armi bianche, e persone inermi massacrate dai propri vicini con i quali, fino al giorno prima, avevano convissuto in modo pacifico. Le testimonianze tragiche dei sopravvissuti, per la prima volta in traduzione italiana, sono un drammatico appello alla responsabilità individuale e pubblica e restituiscono una traccia delle motivazioni e dei meccanismi con cui un uomo può essere spinto contro un altro uomo nella maniera più brutale. E tuttavia i giusti al tempo del male ci sono stati anche a Sumgait, ed è in nome della verità dei fatti che sorge l’imperativo di valorizzare quegli episodi nei quali azeri vicini di casa, compagni di scuola, colleghi di lavoro, hanno saputo dire “no”. Di fronte alla violenza devastante che si abbatteva sugli innocenti, hanno reagito, si sono opposti, non hanno voltato le spalle.

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]

“La guerra contro gli armeni è finita nel punto cieco della comunicazione” (Il Foglio 27.02.23)

L’intellettuale ebreo francese Marc Knobel denuncia sull’Obs il silenzio attorno alla conquista turco-azera del Nagorno Karabakh

“Alcuni conflitti suscitano emozione, reattività e commenti, sia tra i politici che sui media”, scrive lo storico ebreo francese Marc Knobel sul settimanale francese Nouvel Obs. “Nei conflitti che oggi insanguinano il pianeta, c’è una guerra particolarmente dura condotta dall’Azerbaigian contro l’Armenia, a quattro ore di volo da Parigi. Certo, l’Armenia è lontana e il Nagorno-Karabakh – chiamato anche Artsakh dagli armeni – sembra enigmatico, come se fosse ancora più misterioso. I nostri contemporanei troverebbero difficile localizzarli su una mappa geografica. Questa ignoranza generale è la sfortuna degli armeni. Porta gioia anche ai loro nemici, le forze del pan-turchismo, responsabili del genocidio del 1915, che ne approfittano per portare a termine l’opera di nascosto. E’ così che l’ultimo atto dell’uccisione di questa gente superflua può avvenire proprio in questo momento. Un’entità cristiana, innamorata della democrazia, dei valori europei, la cui plurimillenaria esistenza in quest’area flagellata da ogni forma di totalitarismo costituisce un’eccezione culturale e politica. Non stupisce quindi che, secondo la regola del fanatismo in vigore sotto questi cieli, si tratti di farlo sparire. Da un lato, sulla base di ciò che è; dall’altro, per l’ostacolo geografico che rappresenta per la Turchia e l’Azerbaigian. La fase finale del piano di pulizia etnica è iniziata il 12 dicembre 2022, con i militanti nazionalisti azeri guidati a distanza da Baku che hanno bloccato il Corridoio Lachin, l’unica strada che collega il Nagorno-Karabakh all’Armenia. Risultato: i 120.000 armeni dell’enclave vivono da allora in una prigione a cielo aperto, completamente tagliati fuori dal mondo.  Tuttavia, quasi nessuno parla del dramma che si sta svolgendo. E’ vero che la morte per asfissia è meno spettacolare, meno pubblicizzata, di quella provocata dai bombardamenti. Tuttavia, è chiaro che difficilmente avevamo parlato di più del destino degli armeni durante l’autunno del 2020, quando subirono gli assalti congiunti dell’esercito azero e di quello turco, supportati da 2.000 mercenari jihadisti siriani. Questo massacro moderno, perpetrato con l’intera panoplia di armi autorizzate e proibite, uccise 4.500 coscritti armeni in quarantaquattro giorni. Questo è un peso incredibile rispetto ai 3 milioni di armeni che ancora vivono nei loro territori storici. A titolo di paragone, la guerra iniziata da  Putin ha ucciso alcune migliaia di soldati ucraini in un anno (tra i 10.000 e i 13.000), per una popolazione di 44 milioni di abitanti. Queste cifre danno un’idea dell’ondata di violenza che si è abbattuta sugli armeni durante questo mese e mezzo. Testimoniano anche, senza sprofondare nella competizione delle vittime, l’ineguale copertura mediatica di queste due tragedie. Come ignorare il fatto che cento anni dopo il genocidio impunito di 1915, i pochi armeni che restano sul poco che rimane del loro suolo ancestrale possono continuare a soffrire dagli stessi aggressori, o dai loro figli spirituali, un identico odio, una violenza della stessa natura?”.

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Caucaso, ministro Sangiuliano: “Cultura rafforzerà i rapporti tra Italia e Armenia”. (Sardegnagol 27.02.23)

“L’Italia ha consolidati rapporti con l’Armenia che affondano le radici in una storia ricca di contatti secolari e tradizioni comuni. La cultura può rafforzare tutto ciò attraverso un’efficace collaborazione in campo archeologico, museale, artistico e musicale. Gli incontri col Primo Ministro Nikol Pashinyan e il Ministro Zhanna Andreasyan hanno aperto collaborazioni fattive in tal senso”.

Lo ha detto il Ministro della cultura, Gennaro Sangiuliano, durante la missione in Armenia, in cui ha incontrato il Primo Ministro Nikol Pashinyan e il Ministro della cultura, educazione, scienza e sport Zhanna Andreasyan con cui sono stati discussi progetti di collaborazione in campo culturale.

Una missione che non solo ha consolidato i legami storici tra Italia e Armenia, ma è stata anche l’occasione per porre le basi per ulteriori sinergie bilaterali e future collaborazioni sul fronte della tutela e della valorizzazione dei beni culturali, su quello della formazione del personale culturale e della realizzazione di programmi di restauro. Anche a tal fine, il Ministro ha visitato alcuni luoghi simbolo per la cultura e il popolo armeno come il tempio di Garni, il monastero di Geghard e la galleria nazionale d’Armenia.

Onorificenza armena a medico palermitano (Palermotoday.it 27.02.23)

Nota- Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di PalermoToday

Il 27 febbraio si è tenuta a Roma presso l’Ambasciata della Repubblica d’Armenia la cerimonia di consegna della Medaglia della Gratitudine al dottore Francesco Paolo Guarneri. L’importante onorificenza gli è stata concessa dal Presidente della Repubblica Armena Vahagn Khachaturyan per mano di S.E. l’Ambasciatrice Tsovinar Hambardzumyan, per il sostegno socio-umanitario prestato dal dottor Guarneri durante la guerra del 2020 in Nagorno-Karabakh e proseguito pressoché ininterrottamente fino ad oggi durante la crisi umanitaria del cosiddetto “corridoio di Lachin”.

Il conferimento di questa onorificenza ad un cittadino italiano, ancorché palermitano, suggella ancora una volta il profondo legame storico-culturale tra l’Italia e l’Armenia. Proprio per tale motivo anche il Sindaco di Palermo, Prof. Roberto Lagalla, ha fatto pervenire per l’occasione il suo indirizzo di saluto a S.E. l’Ambasciatrice manifestando “il suo apprezzamento e la sua riconoscenza per il conferimento della importante onorificenza al cittadino palermitano e manifestando anche la sua personale vicinanza e quella dell’intera città di Palermo al popolo armeno”.

Durante l’incontro con il dottor Guarneri l’Ambasciatrice Tsovinar Hambardzumyan, congratulandosi con lui per il prestigioso traguardo e manifestando ulteriormente la gratitudine del popolo armeno per il suo impegno, ha sottolineato la profonda relazione tra Italia e Armenia, legame che non viene scalfito dalle attuali difficoltà geo-politiche. Ha poi confermato la sua volontà di organizzare a Palermo un festival musicale di musica tradizionale armena ed una mostra di libri sulla storia armena e sul genocidio subìto nei primi anni del ‘900. Il clima di collaborazione è dunque destinato a proseguire.

Piano Mattei, c’è scritto Azerbaijan ma si legge Norvegia (Lospacialegiornale.it 27.02.23)

Diversificare i partner per evitare di ritrovarsi in futuro in “relazioni tossiche” monogame come quella con la Russia. È questa la strategia del Piano Mattei, con il quale Giorgia Meloni sta ricostruendo la politica energetica dell’Italia. Dopo gli accordi raggiunti dall’Eni con Algeria e Libia è ora il turno dell’Azerbaijan, la cui produzione di gas dovrebbe aumentare grazie al rafforzamento del gasdotto Tap.

A regime il Tap – che sta per Trans Adriatic Pipeline – sarà in grado di trasportare 20 miliardi di metri cubi di gas a fronte dei 10 attuali, segnando un altro punto importante nella politica di emancipazione da Mosca, che nel 2022 ci ha fornito 13 miliardi di metri cubi di gas, meno della metà di quanti ne erano stati pompati nel 2021. La domanda è; ma siamo sicuri che rifornirsi dall’Azerbaijan significa davvero allontanarsi da Putin? La realtà, come spesso accade quando si parla di equilibri geopolitici, è più sfumata.

Dall’agosto scorso infatti la guerra a bassa intensità con l’Armenia per il controllo del Nagorno-Karabakh è di nuovo esplosa, dando vita a scontri che finora sono passati quasi del tutto inosservati perché le preoccupazioni della stampa erano tutte rivolte all’Ucraina. Un grave errore, perché proprio sull’Armenia la Russia continua a esercitare una forte influenza, mentre Baku si fa appoggiare dalla Turchia. Uno degli elementi più critici è lo status del Naxçıvan, una regione autonoma politicamente parte dell’Azerbaijan che però si trova nel territorio dell’Armenia, del tutto separata dal paese di appartenenza. Una situazione insomma persino più complicata di quella del Donbass. Il conflitto territoriale è poi complicato da questioni religiose, perché l’Armenia è un paese a maggioranza cristiana, mentre l’Azerbaijan è per il 96% musulmano. Ci sono insomma tutti gli ingredienti perché in questa area del Caucaso scoppi l’ennesimo conflitto in un territorio ex sovietico. E ora anche gli americani hanno cercato un coinvolgimento: il 18 febbraio, alla conferenza di pace di Monaco, il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha favorito un incontro tra i leader di Armenia, Azerbaijan  e Georgia, il primo dal crollo dell’Urss.

Ecco perché il piano della Meloni, basato sull’affidabilità di paesi martoriati dalla guerra civile (la Libia), alle prese con conflitti territoriali (l’Azerbaijan) o in pessimi rapporti coi vicini (l’Algeria con il Marocco), rischia di dimostrarsi molto meno solido di quanto sembri.

È forse per questo che, senza i grandi strombazzamenti mediatici che hanno accompagnato gli annunci di accordi con questi governi, l’Italia si sta in realtà avvicinando a un altro partner, che certo non entusiasmerà i sovranisti nostrani ma promette di essere parecchio più affidabile. Parliamo della Norvegia, le cui forniture di gas sono aumentate in un anno del 353%, passando da 1,6 miliardi metri cubi a 7,4. La premier non ha motivo di parlarne perché Oslo, anche se non fa parte della Ue, è associata dal suo elettorato a quell’Europa nordica e “frugale” cui il nostro esecutivo si contrappone, e anche perché rifornirsi di gas che arriva dal Nord è in contrasto con l’immagine dell’Italia potenza mediterranea che si sta cercando di affermare. Ma c’è da star certi che le forniture dalla Norvegia non sono messe a rischio da lotte intestine, rischio di tensioni al confine con la Svezia o disordini interni. Quanto basta per inserirla, anche se senza metterla in copertina, nel piano Mattei.

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Santo del giorno oggi 27 febbraio: San Gregorio e il best seller Libro della Lamentazione (Il Messaggero 27.02.23)

Santo del giorno oggi 27 febbraioSan Gregorio era un monaco armeno nato 951 e morto nel 1003 che ha vissuto sempre in conventi nella zona di Narek, in Armenia, in vista del monte Ararat. Teologo, poeta, filosofo, mistico è autore di testi divenuti determinanti nella storia della Chiesa.

Al dottore della Chiesa è attribuito il Libro della Lamentazione che influenzò non solo la dottrina cristiana in Armenia: un’opera prima trascritta dagli amanuensi e poi stampata in un numero eccezionale di copie, un best seller paragonato alle Confessioni di Sant’Agostino. In breve, Gregorio, nel libro scritto durante una lunga malattia, spinge a mettersi totalmente nelle mani di Dio evitando le grettezze della  vita terrena.

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