Genocidio armeno 2021 (Rassegna Stampa 23.04.21)


Pressing delle Chiese su Biden, gli Usa pronti a riconoscere il genocidio armeno (Ilmessaggero)

Dal 1948 «Crimine contro l’umanità» (Corriere del Ticino)

F-35, genocidio armeno e Nato. Tutti i dossier aperti fra Usa e Turchia (Formiche.net)

Genocidio contro il popolo armeno, la commemorazione (Iaregione.ch)

San Vito dei Normanni, giornata della memoria del genocidio degli Armeni (Brindisireport)

“Armeni, Erdogan nega ancora” (Ilrestodelcarlino)

Usa, Biden si prepara a riconoscere formalmente il genocidio degli armeni (Vanityfair)

Genocidio armeno, perché la strage del 1915 si commemora il 24 aprile (Skytg24)

#IoSonoArmeno. Paolo Kessisoglu presenta il cortometraggio per il 24 aprile (Formiche.it)

Armenia, il genocidio negato e la memoria dell’Aksor, il grande male (Il Giornale)

Joe Biden verso il riconoscimento del genocidio armeno. Consiglio mondiale delle Chiese: “Passo essenziale” (Difesapopolo)

Palazzo comunale, esposta la bandiera armena per ricordare il genocidi (Cesenatoday)

Musica colta dai campi di grano, l’Armenia in concerto unisce Comabbio e il Puccini (Malpensa24.it)

Comabbio, proseguono le serate dedicate all’Armenia: stasera nuovo incontro (Varesenoi)

Biden riconoscerà il genocidio armeno, è il primo presidente Usa a farlo (Corrieredellasera.it)

Tra Armenia ed Azerbaigian torna la tensione(Avionews)

Armenia: dipartimento di Stato Usa, domani annuncio riconoscimento genocidio
New York , 23 apr 21:05 – (Agenzia Nova) – Il dipartimento di Stato Usa ha confermato in una nota ufficiale che domani gli Stati Uniti annunceranno il riconoscimento del genocidio degli armeni. La notizia arriva dopo che indiscrezioni di stampa, in modo particolare quelle pubblicate dal “New York Times”, avevano fatto sapere che il presidente Usa, Joe Biden, ha intenzione di annunciare questa mossa in occasione del 106esimo anniversario in cui si commemora l’inizio dello sterminio del popolo armeno, riconosciuto da 29 paesi nel mondo. L’amministrazione presidenziale degli Stati Uniti può aiutare l’Armenia nel processo di riconoscimento del genocidio armeno, si legge in una lettera che la Casa Bianca ha inviato martedì 20 aprile in risposta al messaggio, scritto da un gruppo di storici armeni al governo statunitense otto giorni prima, con la richiesta di riconoscimento del genocidio armeno da parte Usa. Lo ha riferito Ashot Melkonyan, il direttore dell’Istituto di storia dell’Accademia nazionale delle scienze dell’Armenia, che ha reso noto il contenuto della lettera durante una tavola rotonda sul genocidio armeno. Nella lettera, l’amministrazione presidenziale ha ringraziato gli storici armeni per le informazioni fornite e ha manifestato interesse nel comunicare con loro. “Il nostro Paese sta affrontando numerose sfide, e le vostre lettere ci aiutano a capire meglio come l’amministrazione Biden può esservi utile. Studieremo attentamente la lettera e cercheremo di procedere”, si legge nella lettera.
(Nys)

Nelle ombre della Turchia il genocidio degli armeni (Italyitaly 23.04.21)

Il 24 aprile si commemora il primo genocidio del XX secolo, che ha avuto come vittime un milione e mezzo di armeni, ma la Turchia non ha mai ammesso gli orrori delle “marce della morte”. Nel 1915, in piena guerra mondiale, nell’Impero Ottomano si scatenò una spietata violenza contro gli armeni presenti in Anatolia, una comunità cristiana con aspirazioni anche indipendentiste, temuta per il pericolo che si alleasse con i russi in guerra contro i turchi. Si consumò così il primo genocidio del XX secolo con circa un milione e mezzo di vittime e una storia che la Turchia continua a negare, nonostante le dure reazioni internazionali anche negli …

ultimi anni. Il genocidio degli armeni, che nella lingua locale è chiamato “grande crimine”, è conosciuto anche come “olocausto degli armeni” o “massacro degli armeni” e rientra nella campagna contro gli armeni condotta dal sultano ottomano Abdul-Hamid II.

Nella notte fra il 23 e 24 aprile 1915 si scatenò la prima ondata di repressioni. A Costantinopoli furono arrestati gli esponenti più in vista della comunità armena e nel giro di un mese oltre mille intellettuali armeni, giornalisti e scrittori, poeti e anche delegati la Parlamento furono arrestati e poi trucidati lungo la strada verso l’Anatolia. Seguirono poi massacri e “marce della morte” con innumerevoli vittime e l’eccidio si protrasse anche per tutto il 1916.

Il “caso armeno” è tornato in primo piano con le parole pronunciate da Papa Francesco nella commemorazione delle vittime un secolo dopo il grande eccidio. «La nostra umanità – ha detto – ha vissuto nel secolo scorso tre grandi tragedie inaudite: la prima, che generalmente viene considerata come il primo genocidio del XX secolo, ha colpito il popolo armeno, prima nazione cristiana». Già nel 2001 papa Giovanni Paolo II e Karekin II, Catholicos della Chiesa armena, avevano parlato di genocidio a proposito del massacro di circa un milione e mezzo di cristiani armeni, ma per il governo di Ankara le parole del Pontefice «sono inaccettabili, lontane dalla realtà storica». Una realtà storica che non è possibile disconoscere, perché stragi e deportazioni di armeni ci furono davvero nei tragici anni della Prima guerra mondiale. In una ventina di Paesi, fra cui Italia, Germania, Svezia, Olanda, Russia, c’è stato un riconoscimento ufficiale del genocidio degli armeni; in Svizzera, Francia e Slovacchia sono previste anche pene per i negazionisti.

I fatti sono tragici e raccapriccianti, con numerosi morti per esecuzioni sommarie, fame, assideramento, malattie. In pieno clima bellico la Turchia temeva che gli armeni presenti in Anatolia, alla ricerca da tempo di indipendenza e anche perché cristiani, potessero allearsi con i nemici russi. Le persecuzioni avvennero soprattutto per iniziativa dei Giovani Turchi, che secondo molti storici miravano alla creazione di uno stato turco omogeneo etnicamente, mentre alcuni milioni di cittadini erano armeni e cristiani. Perciò anche in uno studio pubblicato nel 2012 (Völkermord an den Armeniern) lo studioso tedesco Michael Hesemann sostiene che sarebbe più esatto parlare di genocidio cristiano.

La strage del popolo armeno è storia e non può essere negata per motivazioni politico-ideologiche. L’Italia è tra i paesi europei che hanno definito il massacro un “genocidio”. Il Parlamento Europeo in una risoluzione ha riconosciuto il genocidio degli armeni, ha deplorato ogni tentativo di negazionismo, ha reso omaggio alle vittime e proposto l’istituzione di una giornata europea del ricordo. Ha anche invitato il Governo turco a “continuare nei suoi sforzi per il riconoscimento del genocidio armeno e ad aprire gli archivi per accettare il passato”. La Turchia ha però reagito con sdegno, respingendo la mozione e accusando l’Europa di complotto.

La nuova Europa, aperta al futuro e alle cui porte bussa anche la Turchia, non può rinunciare ai propri valori fondamentali, basati sulla tolleranza e sulla legalità, ma anche sul riconoscimento dei propri errori. Lo ha fatto la Germania, dopo i tragici eventi del secolo scorso; lo ha fatto l’Italia, voltando pagina dopo il ventennio fascista; lo ha fatto la Spagna dopo il lungo periodo franchista. Non sembra voglia farlo la Turchia, dopo la dura reazione del suo Governo alle dichiarazioni di Papa Francesco e le ricorrenti polemiche internazionali. La dura reazione del presidente Erdogan e la svolta autoritaria del governo turco gettano ombre anche sull’ingresso di quello stato nella nuova Europa. L’Unione Europea ha valori fondamentali condivisi e riconosce gli errori del passato proprio per costruire un futuro migliore. Anche la Turchia deve fare i conti con la storia e il riconoscimento del genocidio degli armeni è ritenuto fondamentale anche per l’ipotetico e sempre più discusso ingresso di quel Paese nell’Unione Europea. (F.d’A.)

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24 Aprile, le Comunità armene in Italia ricordano il genocidio inziato nel 1915: parla lo storico romano Aliprandi (Vivereroma 23.04.21)

Il 24 aprile, l’ Armenia e le varie Comunità armene nel mondo ricorderanno l’anniversario del “Medz Yegern”, il “grande male” del massacro di almeno un milione e mezzo di armeni perpetrato, nel “1915 e dintorni”, dal Governo ottomano con le deportazioni, soprattutto in Siria, e le uccisioni di massa (spesso motivate, tra l’altro, con l’accusa di spionaggio a favore di Francia e Inghilterra, nemiche della Turchia in quegli anni della Prima guerra mondiale).

Anche le comunità armene in Italia, specie quelle, piu’ numerose, di Venezia, Roma e Napoli, celebreranno l’anniversario con una serie di iniziative.

A Roma, in particolare, sabato 24 alle 11 si terrà una Messa al Pontificio collegio armeno in Salita di S. Nicola da Tolentino 17, officiata da Mons. Raphael Minassian, arcivescovo di Armenia, Russia, Georgia, Ucraina ed Europa Orientale; e Domenica 25 pomeriggio, alle 18,30, una celebrazione ecumenica in memoria dei martiri armeni alla Basilica di S.Bartolomeo all’ Isola, con S.E. il cardinale Kurt Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani.

Tutto questo mentre la Turchia da sempre, invece, non vuol sentir parlare di genocidio, o comunque di massacro pianificato, e contesta fortemente sia le modalità che le cifre del “Medz Yeghern”.

Di queste cose parliamo col Prof. Emanuele Aliprandi, romano, storico che si occupa da anni dell’area del Caucaso e di tematiche legate al genocidio armeno. Come reagì l’Italia, negli anni della Prima guerra mondiale, alle notizie dal Vicino Oriente? Nel 2009, Aliprandi ha pubblicato l’ampio saggio “1915: cronaca di un genocidio” (Mybook ed.), sullo sterminio degli armeni visto dai quotidiani dell’epoca.

Fabrizio Federici: Quali quotidiani italiani, nel 1915 e in seguito, si occuparono, piu’ diffusamente e obbiettivamente, del genocidio armeno?

Prof. Emanuele Aliprandi: Posso dire che la questione fu trattata da quasi tutti i giornali italiani dell’epoca: ma al riguardo, vanno precisate alcune questioni. In primo luogo, i quotidiani (che in tempo di guerra normalmente non superavano le quattro pagine, otto per quelli più importanti) erano l’unico strumento di diffusione delle notizie. Non esistevano la radio, la televisione, men che meno internet. Oggigiorno abbiamo una copertura globale degli eventi in tutto il mondo e in tempo reale, allora le informazioni viaggiavano via telegrafo. In quel periodo poi esisteva la censura militare, che rallentava ancor più il processo comunicativo.

Credo che valga la pena, allora, sottolineare come l’informazione (e la libertà di informazione) rappresentino una pietra fondamentale nei processi sociali, di allora come oggi. Al netto delle informazioni propagandistiche o false (oggi le chiameremmo “Fake news”) sulla stampa si legge la Storia così come si sviluppa. A quell’epoca era cronaca, una drammatica cronaca sotto gli occhi di milioni di lettori; poi quelle notizie sono finite inevitabilmente sui manuali e saggi storici.

Con riferimento al genocidio del popolo armeno (iniziato “ufficialmente” il 24 aprile 1915, con la retata dei vertici politici e culturali della comunità a Costantinopoli), tutto quel che in effetti abbiamo letto sui libri fu riportato dai quotidiani, anche italiani, con dovizia di particolari.

Da quel che lei ha potuto verificare, l’informazione italiana su questo tema fu migliore di quella francese, inglese, e americana?

L’informazione, all’epoca, era veicolata soprattutto dalle agenzie di stampa, cui si riagganciavano le principali testate. Spesso, poi, i quotidiani rilanciavano la notizia riprendendola da altri giornali (anche stranieri). In Italia, l’agenzia Stefani (che poi dopo il 1945 si trasformerà in Ansa) era fonte importante di notizie, in collegamento anche con altre agenzie internazionali.

Ma non era facile descrivere sul campo cosa stesse accadendo nell’Impero ottomano a danno degli armeni, in un territorio lontano, non facilmente raggiungibile e interessato dal conflitto. Le notizie spesso arrivavano da viaggiatori occasionali o diplomatici, ma sin da maggio 1915 si cominciò a delineare la tragedia che si stava consumando: le informazioni di stragi e deportazioni giungono sempre più spesso a Costantinopoli, e da lì inoltrate nel resto del mondo dai corrispondenti internazionali.

Riguardo ai giornali italiani, accanto ai lanci di agenzia o alla ripresa di notizie fornite da altre testate, val la pena sottolineare alcuni pregevoli e commoventi articoli di approfondimento sul dramma armeno: che, nonostante la guerra che infuria in Europa (in tutto il 1915 solo un giorno le testate nazionali non aprirono con le cronache belliche, in occasione del devastante terremoto di Avezzano a gennaio), riescono a trovare spazio nelle poche pagine a disposizione. Pezzi di alto giornalismo, anzi di letteratura, sia pur redatti a volte con un tono aulico in voga nel tempo: che riescono a trasmettere al lettore il dramma della tragedia armena.

L’Italia, nel 1915- ’18, fu in guerra con Austria e Germania, ma non con l’Impero ottomano. Risulta allora che, come Paese non belligerante con la Turchia, prese qualche iniziativa, sul piano diplomatico internazionale, per fermare il genocidio armeno?

L’Impero ottomano faceva comunque parte dell’altro schieramento, quello contro il quale combattevamo. I turchi erano alleati della Germania e circa diecimila soldati e ufficiali del Reich erano sul territorio, impegnati soprattutto sul fronte della linea ferroviaria per Baghdad. Possiamo dire che hanno anche curato la parte logistica delle deportazioni, tragica anteprima di cosa avverrà trenta anni dopo con la Shoah.

Leggendo i pezzi della stampa italiana sui massacri che i Giovani turchi stavano portando avanti ai danni degli armeni, qualcuno potrebbe obiettare che l’informazione era distorta proprio dal fatto della differente scelta di campo bellico. Obiezione da rispedire al mittente: sul nostro “nemico principale” di allora, l’Austria, non si leggevano quelle terrificanti notizie che provenivano invece dall’Asia minore. Non vi fu nessuna alterazione dell’informazione, anzi a ben vedere l’unico aspetto negativo fu che non ci fu, per le ragioni già indicate, una copertura più capillare di quanto stava accadendo.

In ultimo, secondo Lei, Professore, il “Medz Yeghern” ha influito poi su Shoah e gli altri massacri perpetrati dai nazisti (il nesso, del resto, fu ammesso in parte dallo stesso Hitler, in un celebre discorso al Reichstag)?

“Chi si ricorda ora del massacro degli armeni?”. Questa celebre frase è attribuita a Hitler, al quale taluni suoi ufficiali avevano espresso dubbi sulla prevedibile ricaduta mediatica della deportazione ebraica. In poche parole, se dopo trent’ anni nessuno si ricorda più degli armeni, non si corre alcun pericolo a pianificare un’altra strage.

Il termine “Genocidio” fu coniato nel 1944 dal giurista polacco ebreo Raphael Lemkin, che aveva studiato da vicino la storia degli armeni e vedeva nella Shoah il ripetersi di quanto era già accaduto. Anche un altro Giusto per gli Armeni, l’ufficiale tedesco Armin Wegner, testimone oculare delle deportazioni e uccisioni nel 1915 (a lui si devono le poche foto d’epoca disponibili), provò con una lettera aperta a convincere Hitler dal desistere nelle persecuzioni contro gli ebrei: ma, ovviamente, senza alcun risultato se non quello di essere arrestato a sua volta.

La storia ci insegna che l’oblio è il miglior viatico per nuove azioni criminali; una strage, una pulizia etnica, un massacro dimenticato o non condannato, o addirittura negato (come avviene in Turchia oggi), rappresentano l’anticamera per nuovi crimini contro l’umanità. La lezione del genocidio del popolo armeno è proprio questa.

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SONO I GIUSTI LA CHIAVE PER LA PREVENZIONE DEI GENOCIDI (Gariwo 23.04.21)

Il testo riprende l’intervento di Simone Zoppellaro tenuto il 22 aprile all’evento “Prevention of Genocide. Combating Religious Persecution. Protecting Religious Rights”, organizzato dalle Ambasciate della Repubblica di Armenia presso la Santa Sede e in Italia e dalla piattaforma Stand Together. 

Per parlare di un argomento importante come la prevenzione dei genocidi, vorrei partire dal mio lavoro di giornalista, ma anche dall’esperienza ventennale di Gariwo, con cui collaboro. Ho passato gli ultimi anni lavorando soprattutto sulla questione armena e sul genocidio yazida, trascorrendo oltre sei anni fra Medio Oriente e Caucaso, prima di trasferirmi in Germania.

In Karabakh si è da poco conclusa (con un nuovo cessate il fuoco, ricordiamolo, e non con un accordo di pace) una guerra terribile, costata la vita a migliaia di persone, spesso giovanissime. Decine di migliaia di armeni hanno perso tutto nel giro di pochi giorni, a volte di ore: le loro case, il lavoro, ma spesso anche le tombe dei loro padri e delle loro madri, finite dall’altra parte della nuova frontiera. Come denunciato da diverse organizzazioni internazionali, da Genocide Watch all’International Association of Genocide Scholars, c’è stato un rischio concreto di genocidio in Karabakh, per fortuna in parte scongiurato, almeno per il momento.

Nel 2014, contro gli yazidi – come riconosciuto ufficialmente da diversi paesi, e anche da un dettagliato report delle Nazioni Unite – si è avuto il primo genocidio del nuovo millennio, che ha rischiato di cancellare per sempre l’esistenza stessa e la cultura di questa minoranza. Una questione, anche questa, ben lungi dall’essere risolta, dato che le discriminazioni e le violenze contro gli yazidi continuano. Questo nel contesto di un Iraq e di un Medio Oriente, come ho avuto modo di vedere di persona, dove le minoranze ebraiche e cristiane, antichissime, rischiano di scomparire.

In tutto questo, una delle cose più commoventi, durante la guerra in Karabakh, è stata la solidarietà nei confronti degli armeni da parte delle comunità ebraiche e yazida. Figure come Nadia Murad Mirza Dinnayi, che ringrazio di persona per il suo impegno, sono state da subito attive a denunciare quanto avveniva. Dall’Italia alla Russia fino agli Stati Uniti, molte comunità ebraiche hanno espresso una solidarietà non scontata, scrivendo appelli e sostenendo gli armeni in crisi. Anche in Israele, nonostante le forniture di armamenti all’Azerbaigian, molti intellettuali (e non solo) si sono mobilitati. Questo significa una sola cosa: l’intuizione di Raphael Lemkin era giusta. Ebrei e yazidi hanno visto, nelle immagini terribili della guerra e nella fuga disperata di migliaia di civili, qualcosa che parlava al loro cuore: il rischio di un nuovo genocidio, una pulizia etnica che si compiva sotto i nostri occhi, a oltre cent’anni dal Metz Yeghern.

A questi eventi terribili, siamo arrivati impreparati. L’indifferenza, qui in Europa, è stato un fattore determinante. Niente di nuovo sotto il sole, certo: ne parlava Hannah Arendt per la Shoah, ma da ricordare sono anche le parole che, nel 1916 – ovvero in pieno genocidio in corso – Antonio Gramsci dedicava alle sofferenze degli armeni: riportare “entro il cerchio della nostra umanità”, scriveva, fatti solo in apparenza lontani da noi, è una sfida importante. Nel caso degli yazidi come in quello degli armeni del Karabakh, c’era una mancanza di conoscenza e informazione, da parte dei media e della politica, che ha impedito di comprendere e intervenire in tempo per quanto avveniva. Eppure, i crimini di guerra in Karabakh non sono stati solo un attacco contro gli armeni, un genocidio non è stato compiuto unicamente contro gli yazidi, ma contro l’umanità intera.

Il genocidio, come spiega lo storico Norman Naimark, è una costante della storia umana, che ci ha accompagnato dall’epoca antica fino al nostro presente. Rischi concreti di genocidio sono stati denunciati, negli ultimissimi anni, per gli uiguri in Cina, contro i Rohingya, così come per diverse minoranze in Medio Oriente e in Africa. Come possiamo agire in modo da identificare e scongiurare questo pericolo, che è assai probabile continui a ripresentarsi nel presente e nel prossimo futuro?

Una prima risposta risiede proprio nell’intuizione e nel lavoro di Lemkin, una figura di Giusto che dovrebbe essere raccontata in ogni scuola del mondo. Genocidio, questa parola che, prima di lui, non esisteva in nessuna lingua al mondo, non è solo una chiave giuridica e politica rivolta al passato. Nelle intenzioni di Lemkin, essa sarebbe servita a prevenire che, quanto avvenuto agli ebrei con la Shoah e ancora prima agli armeni, si ripresentasse in futuro. La reazione scomposta di Erdogan all’annunciato riconoscimento, da parte del presidente Biden, del genocidio armeno, ci fa comprendere quanto, ancora oggi, le sue idee siano in grado di incidere e cambiare la storia.

Un’altra chiave importante, culturale e educativa, per la prevenzione dei genocidi è la promozione delle figure dei Giusti contro tutti i genocidi portata avanti da Gariwo. Abbiamo avuto non solo Giusti per la Shoah, ma anche per il genocidio armeno. Figure come Hamu Shiru, leader degli yazidi del Sinjar onorato nel Giardino dei Giusti di Milano, che salvò la vita di moltissimi armeni durante il genocidio. Vi è poi lo scrittore Armin Wegner, cui Gabriele Nissim ha dedicato un libro importante, capace di opporsi prima al genocidio armeno, e quindi alla Shoah. Non dimentichiamo inoltre come Nadia Murad, premio Nobel per la pace, sia stata salvata da un giovane sunnita, Omar Abdel Jabar, e dalla sua famiglia: hanno messo a repentaglio la loro vita pur di salvare una sconosciuta appartenente ad un’altra fede, che una sera, in fuga dai suoi carnefici, aveva bussato alla loro porta.

Figure come queste, se promosse nei loro paesi d’origine tramite la scuola e l’educazione, o dedicando loro monumenti, piazze e strade, avrebbero un potenziale dirompente nel creare una cultura della pace e della riconciliazione che, in Medio Oriente e in Turchia (come in tanti altri luoghi del mondo), tuttora è assenta, contribuendo a limitare il rischio di nuovi genocidi. Oltre a queste chiavi, è fondamentale mettere in atto altri meccanismi concreti e fattivi che possano scongiurare il pericolo di nuove atrocità e orrori.

È importante che i media e la cultura contribuiscano alla diffusione di tematiche sensibili come le persecuzioni nei confronti delle minoranze. Ma è anche fondamentale che la politica abbia strumenti conoscitivi e meccanismi politici adeguati, per essere informata e agire, quando si ripresenti un’emergenza. L’ultima guerra in Karabakh è durata 44 giorni; il massacro del Sinjar, costato la vita a migliaia di yazidi, 12 giorni: troppo pochi, anche mettendosi di impegno, per comprendere quanto avveniva, partendo da zero.

Meccanismi politici concreti, dicevo. A tal proposito, ritengo fondamentali le tre proposte avanzate da Gabriele Nissim alla Camera dei Deputati in occasione della Giornata della Memoria. La prima: nominare nel nostro Parlamento un advisor dei genocidi che lavori in collaborazione con il Consulente speciale sulla prevenzione dei genocidi delle Nazioni Unite e le istituzioni europee; impegnare inoltre la Commissione Esteri del Parlamento a redigere ogni anno un rapporto dove si presentano all’opinione pubblica i pericoli di nuovi genocidi nel mondo e le misure da prendere per prevenirli; infine, creare anche in Italia una agenzia autonoma e indipendente sui diritti umani, come proposto dall’Unione europea, che in collaborazione con la Corte Penale Internazionale indaghi in modo permanente sullo stato dei diritti nel mondo e sui crimini contro l’umanità.

Quella della prevenzione dei genocidi è, a mio avviso, una delle sfide più importanti per la nostra generazione. La via indicata dai Giusti e da Raphael Lemkin rappresenta un punto di partenza fondamentale per uscire da questa preistoria di barbarie in cui alcuni uomini, dall’alba dei tempi ad oggi, si prefiggono non solo di uccidere, ma anche di cancellare interi popoli e culture. Si tratta di una sfida universale, che deve coinvolgerci tutti a prescindere dall’appartenenza nazionale o politica, perché un genocidio – questo deve diventare un imperativo morale – non riguarda solo il popolo che lo subisce, ma l’umanità intera.

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DICHIARAZIONE E APPELLO SUL VALORE DEI GIUSTI DELL’UMANITÀ ONORATI DA GARIWO (Gariwo 23.04.21)

Gli anniversari richiamano la responsabilità della memoria nel nostro tempo.

Quest’anno l’anniversario del genocidio armeno cade in un momento in cui il mio Paese vive le conseguenze tragiche di una guerra di aggressione, con migliaia di perdite umane, feriti, dispersi, profughi.

Come console onorario della Repubblica di Armenia voglio esprimere la gratitudine mia e del mio popolo a Gariwo, la foresta dei giusti di tutto il mondo e ai suoi sostenitori per essere stati vicini agli armeni nei giorni della guerra di aggressione scatenata dallo Stato azero affiancato dalla Turchia, ma soprattutto perché la realtà di Gariwo da più di vent’anni custodisce e rilancia attraverso la ricerca dei Giusti e dei testimoni di verità la storia tragica del mio popolo, vittima nel 1915 di un genocidio sino ad oggi negato dalla Turchia. Più di un milione di vittime e tra queste migliaia di bambini. Ogni genocidio rivela un così grande disprezzo per la vita umana fino a giungere ad estinguerla nel suo nascere, ed è proprio questo disprezzo che spinge i Giusti ad agire, a salvare e a difendere vite uniche e irripetibili che sarebbero perdute per sempre.

L’estensione e l’universalizzazione del concetto di Giusto è la grande conquista di Gariwo. Fa cadere le barriere tra i popoli, li accomuna nel riconoscimento reciproco, dà forza alla prevenzione del male. Le azioni dei Giusti sono un appello rivolto all’umanità, perché il genocidio è un crimine contro l’umanità intera.

Lottare per la vita, per la verità e per la pace tentando di migliorare il mondo, si può fare anche con il gesto di piantare un albero per un giornalista turco di origine armena, Hrant Dink, ucciso a Istanbul nel 2007 perché cercava di costruire il dialogo tra armeni e turchi, per un capo tribù curdo yazida, Hammo Sero che nel 1915 ha salvato migliaia di armeni sulle montagne del Sinjar, per uno scrittore azero, Akram Aylisli, che ha avuto il coraggio di denunciare ciò che avvenne più di 100 anni fa. Gariwo ricercando le figure dei Giusti ha dato un grande impulso alla conoscenza del genocidio armeno nelle scuole, nelle università, nelle istituzioni, indicando la strada per vincere il negazionismo.

Dove la speranza di un futuro diverso dal passato? Nella diffusione del racconto dei salvatori, dei testimoni di verità e di chi resiste al male. In Armenia, a Yerevan, sulla “Collina delle rondini” che custodisce il Memoriale e il Museo del genocidio, il Muro della memoria dei Giusti e gli alberi di una parte del Giardino stanno ad indicare alle nuove generazioni gli esempi di coraggio civile e di resistenza di fronte al male. Anche nella seconda città dell’Armenia, Gyumri, è stato posto il primo cippo dedicato a Hrant Dink nel Giardino dei Giusti dell’umanità. Il valore della memoria sta nella narrazione dell’universale dolore che nasce dal male inflitto, male che le azioni dei giusti del mondo hanno tentato e tentano di contrastare e di prevenire, in ogni genocidio, e in ogni realtà di persecuzione, ieri come oggi.

In occasione di questo 24 aprile in cui non posso distogliere lo sguardo dalla sofferenza del mio popolo, sento di poter trarre nuove energie dalla Giornata dei Giusti celebrata ogni anno al Giardino del Monte Stella e in tanti altri luoghi in Italia e nel mondo. Altre figure di Giusti per gli armeni e per altri popoli saranno onorate dandoci motivo di speranza.

Pietro Kuciukian, Console onorario della Repubblica di Armenia in Italia 

Sostengono l’appello per i Giusti del Console Pietro Kuciukian anche:

S.E. Tsovinar Hambardzumyan, Ambasciatore della Repubblica di Armenia in Italia

Sarkis Ghazaryan, già Ambasciatore della Repubblica di Armenia in Italia

Gaghik Bagdassarian, già Ambasciatore della Repubblica di Armenia in Italia e co-fondatore del Muro della memoria dei Giusti di Dzidzernagapert a Yerevan

Antonio Montalto, Console onorario della Repubblica d’Italia in Armenia, fondatore del Giardino dei Giusti di Gyumri

Alice Arshalooys Kelikian

Chair, Film, Television and Interactive Media History Department Brandeis University

Raymond Kevorkian, storico, direttore emerito di ricerca, Università Parigi 8-Saint-Denis, presidente della Fondazione Museo-Istituto del Genocidio degli Armeni

Anna Sirinian Professoressa associata di Armenistica Dipartimento di Storia Culture Civiltà Università di Bologna

Agop Manoukian, Presidente Centro Studi e Documentazione della Cultura Armena a Venezia

Baykar Sivazliyan, Professore di lingua armena Università di Milano

Bruno Scapini, già Ambasciatore d’Italia in Armenia

Ardavast Serapian Presidente Fondazione Stefano Serapian e Fondatore della Sezione di Gariwo-Armenia a Yerevan

Gueguel Khatchadourian, già Presidente dell’Associazione di Benevolenza Armena (UGAB) sezione di Milano

Ara Khatchadourian Sportivo, messaggero di pace e dialogo tra i popoli

Marina Mavian, Presidente della Casa Armena di Milano

Gaianè Casnati, Architetto, Council Member di Europa Nostra

Paolo Kessisoglu, Co-founder Sapao srl

Mikayel Ohanjanyan, artista e scultore

Minas Lourian, Direttore Centro Studi e Documentazione della Cultura Armena

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Pressing delle Chiese su Biden, gli Usa pronti a riconoscere il genocidio armeno (Il Messaggero 23.04.21)

Città del Vaticano – L’annuncio ufficiale degli Stati Uniti – importantissimo – sarà dato domani, sabato 24 aprile, giorno in cui si commemora il 106esimo anniversario dell’inizio del genocidio del popolo armeno costato la vita a un milione e mezzo di cristiani sterminati con un piano studiato a tavolino sotto il governo ottomano dal 1915 al 1917. Gli Stati Uniti – per decisione del presidente Joe Biden – dopo la decisione del Congresso degli anni scorsi, si uniscono così ai 29 Paesi che nel mondo già riconoscono il genocidio armeno. In Italia, nel 2019, la Camera dei deputati ha approvato una mozione di riconoscimento e nel 2015, Papa Francesco, riferendosi agli avvenimenti di quel periodo, ne ha parlato in modo esplicito, inequivocabile.

Papa Francesco ha potuto farlo anche grazie all’immenso archivio contenuto in Vaticano con decine e decine di migliaia di documenti: nella Santa Sede sono conservati i resoconti di testimoni dell’epoca. Le lettere dei vescovi (alcuni come Maloyan che furono trucidati), le centinaia missive di missionari disseminati nel territorio ottomano, i rapporti del nunzio a Costantinopoli, monsignor Dolci, la corrispondenza diplomatica con gli ambasciatori accreditati, le lettere di appello inviate al Sultano da Papa Benedetto XV, le richieste che arrivavano in modo rocambolesco a Roma dai sopravvissuti, negli anni successivi alla fine della prima guerra mondiale. Papa Francesco nel 2015 non solo ha condannato il genocidio armeno ma successivamente ha intrapreso un viaggio storico in Armenia, sulle orme del suo predecessore San Giovanni Paolo II.

La decisione degli Stati Uniti ha ovviamente una valenza storica di portata mondiale anche perchè la diaspora armena conta negli States una comunità influente, numerosa e ricca. In questi giorni le indiscrezioni del presidente Biden sono circolate sia sul New York Times che sul Washington Post a riprova che stavolta, finalmente, sono giunti a maturazione i processi per il riconoscimento di un capitolo storico ancora avvolto dal negazionismo.

Il governo di Ankara, per primo, continua a negare il piano di sterminio sostenendo che in quel periodo morirono solo circa 500 mila armeni ma a causa delle condizioni della guerra e non per un piano studiato a tavolino dal governo ottomano di allora formato dai tre ministri potentissimi Enver, Pasha e Talat. A contribuire alla svolta probabilmente è stata anche la pubblicazione fondamentale da parte di un prestigioso e autorevole accademico turco (che ora insegna negli Usa), Taner Akcam dei telegrammi inviati da Talat Pasha nel 1915 alle autorità locali per far partire le deportazioni di massa, gli stupri, le uccisioni (persino dei bambini).

Sulla questione del genocidio armeno era intervenuto nei giorni scorsi anche il Consiglio mondiale delle Chiese (Wcc) che ha inviato una Lettera al presidente Biden per chiedere un atto formale di riconoscimento. «E’ una questione di principio fondamentale, un passo essenziale verso la guarigione e la riconciliazione e, cosa più importante, una misura vitale per la prevenzione del genocidio oggi e in futuro», hanno scritto le Chiese. «Signor Presidente, come certamente saprà, il genocidio armeno non è un’accusa, un’interpretazione, un’opinione personale o un punto di vista, quanto piuttosto un fatto documentato, supportato da un insieme schiacciante di prove storiche».

Mancano però all’appello ancora tanti Paesi perchè – nonostante le evidenze storiche – quello del genocidio armeno non è ancora un fatto universalmente riconosciuto. Il caso più dibattuto riguarda lo stato di Israele nonostante il tema sia stato discusso diverse volte dalla Knesset e nonostante ci siano stati importanti attestazioni alla causa da parte di intellettuali e da parte anche della comunità ebraica. Durante la guerra in Nagorno-Karabakh, tra Israele e Armenia c’è poi stata una grave crisi diplomatica: l’Armenia ha ritirato il suo ambasciatore perché Israele aveva fornito armamenti all’Azerbaigian. A questa crisi si aggiunge anche un discorso di memoria storica fortemente dibattuto in seno ad Israele sulla questione di genocidio e sulla unicità della Shoah.

A Roma, domenica 25 aprile alle ore 18.30, i martiri armeni verranno ricordati in una preghiera ecumenica dall’arcivescovo Khajag Barsamian, Rappresentante della Chiesa Apostolica Armena presso la Santa Sede, e dal Cardinale Kurt Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, nella Basilica di San Bartolomeo all’Isola Tiberina. Una messa, invece, verrà celebrata domani, alle ore 11, nella chiesa di san Nicola da Tolentino dal cardinale Sandri.

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«Io sono armeno», l’anima di un popolo in un cortometraggio (Corrieretv 23.04.21)

I volti e le voci di 40 armeni d’Italia. Il 24 aprile 1915 è l’inizio del genocidio armeno, un giorno di lutto per gli 11 milioni di armeni in Armenia e sparsi in tutto il mondo. Ecco i volti e le voci di 40 armeni italiani raccolti dall’attore e conduttore Paolo Kessisoglu insieme all’ ex-ambasciatore armeno in Italia Sargis Ghazaryan | CorriereTv

Perché il 24 aprile? Il 24 aprile è un giorno importante per il popolo armeno, è un giorno di lutto per gli 11 milioni di armeni in Armenia e nella Diaspora sparsa in tutto il mondo. E’ la data che coincide con l’inizio del Genocidio Armeno perpetrato dal governo dei «Giovani Turchi» nell’Impero Ottomano, che massacrarono 1.500.000 di persone ovvero il 70% della popolazione armena di allora. Riconosciuto e commemorato dall’Onu, dal Parlamento Europeo da più di 30 Paesi nel mondo e dal 2015 dal Vaticano, nella persona di Papa Bergoglio.

Tuttavia, a 106 anni dal 24 Aprile 1915 la Turchia di Erdogan continua a negare il genocidio, si rifiuta di fare i conti con la Storia ed è ostile contro l’Armenia. Ma chi sono davvero gli Armeni? E gli Armeni d’Italia? Gli armeni sono un popolo antico, generoso e dai più disparati talenti, protagonisti del tempo passato e lungimiranti figli della nostra contemporaneità.

Sono soprattutto una comunità attiva che conta 11 milioni di persone in Armenia e sparse in tutto il mondo. Protagonisti del video, oltre a Kessisoglu, sportivi come il calciatore della Roma Henrikh Mkhitaryan, la scrittrice Premio Campiello Antonia Arslan, l’Ambasciatore Laura Mirachian, l’attrice Laura Efrikian, l’Accademico dei Lincei Ermanno Arslan, i campioni del mondo di Kickboxing Giorgio e Armen Petrossian, l’attrice Marine Galstyan, uno dei vincitori della Biennale di Venezia 2015 Mikayel Ohanjanyan, il Presidente della Confindustria di Como Aram Manoukian, architetti, compositori, scrittori, avvocati, imprenditori, magistrati, medici in prima linea, ristoratori, studenti, ricercatori e tanti altri.

L’anima di un popolo racchiusa in un corto di pochi minuti, i loro sguardi esprimono verità e fierezza ed arrivano dritti al cuore di chi guarda il breve film. Questa volta il 24 aprile è sì per ricordare e ricordando prevenire, ma anche per conoscere e riconoscersi.

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#IoSonoArmeno. Paolo Kessisoglu presenta il cortometraggio per il 24 aprile (Formiche.net 23.04.21)

L’Assemblea dei Rabbini d’Italia interviene sul Genocidio Armeno (Mosaico-cem 23.04.21)

di Rav Alfonso Arbib

Il 24 aprile occorre l’anniversario del Metz Yeghern, il Genocidio Armeno, perpetrato dall’Impero Ottomano contro un milione di armeni -come pure di centinaia di migliaia di cristiani greci del Ponto e di cristiani assiri.
La Germania fu il principale complice del genocidio, ma vi furono le connivenze, più o meno estese, anche di altri Stati occidentali.
Alcuni ebrei scelsero di testimoniare per l’affermazione e la difesa della verità: sapevano che senza verità non può esservi giustizia.

Le false narrazioni rendono impossibile la giustizia. Questo processo scellerato si chiama negazionismo: esso mira all’occultamento e alla soppressione della verità al fine di rendere impossibile il ristabilimento della giustizia, negando la dignità delle vittime e delle loro comunità di appartenenza, nonché impedendo il risanamento delle società.
Tra questi ebrei ricordiamo il giurista Raphael Lemkin, che, riflettendo sulla Shoà e sullo sterminio di massa patito dagli armeni, coniò il neologismo “genocidio”.
La Memoria armena non può lasciarci indifferenti.
Ogni Memoria è sempre specifica e inerente a fatti, processi e contesti precisi che vanno ben conosciuti, assunti e compresi, e, proprio perché si possano trarre lezioni morali e politiche più universali, è necessario adoperarsi per fugare il rischio di generalizzazioni indebite.
Il Genocidio Armeno, la cui memoria è fondamentale e preziosa, esige l’impegno di noi tutti, con fermezza e chiarezza.
Questo 24 aprile, come il 27 gennaio per la Memoria della Shoà, noi ricordiamo e chiediamo a tutti di unirsi a noi, nell’assumere la responsabilità di combattere vecchi e nuovi negazionismi, rendendo testimonianza di questo atroce crimine.

Rav Alfonso P. Arbib
Presidente ARI

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Assadakah non dimentica il genocidio armeno contro il tradimento della politica italiana (Assadakah 23.04.21)

Talal Khrais/Letizia Leonardi (Roma) – Proclamare una campagna europea di solidarietà per la causa del popolo armeno è l’iniziativa dell’Associazione Italo Araba Assadakah, nata nel 1994. Una decisione saggia e coraggiosa, non solo per non dimenticare il genocidio ma soprattutto per agire affinché l’Europa sia solidale con un popolo che ha subito una terribile ingiustizia. La nostra Associazione si è sempre schierata a difesa dei diritti dell’uomo ed è convinta che esista una complicità e un vergognoso silenzio internazionale sulla questione armena anche se ci sono stati progressi e molti Stati, nel corso degli anni, hanno ricostruito questo massacro.

Talal Khrais al Mausoleo del Genocidio a Yerevan

Il popolo armeno reclama il diritto alla memoria, alla verità storica e non si può non essere a fianco di questa rivendicazione. L’Armenia e le sue numerose comunità sparse nel mondo, conducono con orgoglio una battaglia culturale, religiosa, etnica e di civiltà contro la prepotenza e il negazionismo. La questione armena fa parte del patrimonio culturale della nostra Associazione. È dunque nostra responsabilità portare avanti questa battaglia fino a quando non verrà fatta giustizia e non ci sarà, oltre al riconoscimento internazionale su questo olocausto che ancori oggi pochi conoscono, anche il riconoscimento da parte della Turchia, Paese che ha commesso questo crimine. Una pagina nera del secolo scorso che va ricordata per costruire una coscienza collettiva a difesa dei diritti di tutte le minoranze.

Quel genocidio, il primo del XX secolo, a nostro avviso è il simbolo di tutte le persecuzioni che ci sono state negli anni a seguire. Non si può accettare che la Turchia e l’Azerbaijan neghino lo sterminio del popolo armeno a colpi di minacce e ricatti economici. Ricorderemo sempre che tra il dicembre del 1914 e il febbraio del 1915, il Comitato Centrale del partito “Unione e Progresso”, diretto dai medici Nazim e Behaeddine Chakir, decise la soppressione totale degli armeni dell’Impero Ottomano.

Il Mausoleo del Genocidio a Yerevan

Continueremo questa nostra battaglia, insieme al popolo armeno, per non dimenticare, contro la negazione della memoria e in nome delle vittime. E se ci sono sempre più Consigli Comunali e Regionali che riconoscono all’unanimità il genocidio armeno si assiste, a livello governativo, a sempre più stretti rapporti con la Turchia e soprattutto con l’Azerbaijan. Ci sono state delegazioni di parlamentari, rappresentanti di tutte le forze politiche, che si sono recate a Baku a congratularsi con il presidente Aliyev dopo la recente guerra della fine del 2020. L’attacco azero del 27 settembre dello scorso anno, nei confronti degli armeni del Nagorno Karabakh, con l’appoggio ufficiale del sultano di Ankara, rischiava di diventare un altro genocidio, di nuovo nella totale indifferenza del mondo. Sia Erdogan che Aliyev hanno dichiarato chiaramente e ufficialmente la loro ostilità nei confronti degli armeni e l’Azerbaijan ha minacciato nuovi attacchi, non solo in quei pochi territori del Nagorno Karabakh rimasti agli armeni, ma anche parte dell’Armenia stessa. Erdogan ha addirittura affermato che vuole completare lo sterminio degli armeni iniziato dai suoi avi. Non è quindi accettabile che un Paese come l’Italia, che ha sempre avuto legami molto stretti con gli armeni, possa dimenticarsi del primo popolo cristiano del mondo, da sempre martoriato, per stringere rapporti commerciali con i loro carnefici.

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Biden sfiderà Erdogan riconoscendo (davvero) il genocidio armeno? (policymakermag.it 23.04.21)

Domani è il Giorno della Memoria del genocidio armeno e Biden potrebbe essere il primo presidente degli Stati Uniti a riconoscerlo. La Turchia ha avvertito: “danneggerebbe le nostre relazioni”

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha deciso di riconoscere come genocidio l’uccisione di 1,5 milioni di armeni durante il periodo della Prima guerra mondiale da parte dell’impero ottomano. L’annuncio è atteso per domani, nel corso del 106esimo anniversario dell’eccidio di massa.

Sarà il primo Presidente americano a farlo, allungando la lista di circa 30 Paesi che nel mondo hanno riconosciuto il genocidio – tra cui l’Italia nel 2019. Più di 100 legislatori statunitensi hanno spinto Biden per questa mossa di public diplomacy.

LE RELAZIONI USA-TURCHIA E LA NATO

Il riconoscimento, promesso da Biden durante la campagna presidenziale per le elezioni di novembre, sarebbe in gran parte simbolico – scrive Reuters – ma è probabile che faccia arrabbiare la Turchia e aumentare le tensioni già alte tra i due alleati della Nato.

Ci si aspetta che Biden usi la parola “genocidio” durante un discorso per le commemorazioni annuali nel Giorno della Memoria del genocidio armeno che si terranno in tutto il mondo domani, sabato 24 aprile. Anche se non è escluso che ci rinunci all’ultimo minuto dato che il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu ha avvertito la Casa Bianca che il riconoscimento “danneggerebbe” i legami tra Stati Uniti e Turchia.

“Il vergognoso silenzio del governo degli Stati Uniti sul fatto storico del genocidio armeno è durato troppo a lungo e deve finire”, hanno scritto i legislatori per convincere Biden. “La esortiamo a rispettare i suoi impegni e a dire la verità”.

Biden come candidato ha promesso nell’aprile dello scorso anno che, se eletto, avrebbe riconosciuto il genocidio armeno, dicendo che “il silenzio è complicità”, ma non ha dato una scadenza per mantenere la promessa.

IL GENOCIDIO

Durante e subito dopo la Prima guerra mondiale, i turchi ottomani hanno ucciso o deportato ben 1,5 milioni di armeni, una minoranza cristiana nell’impero prevalentemente musulmano. Molti storici e alcuni altri Paesi considerano quelle uccisioni un genocidio.

La Turchia, invece, si oppone all’uso della parola “genocidio”. Ankara sostiene che le morti furono il risultato di un conflitto civile piuttosto che uno sforzo pianificato dal governo ottomano per annientare gli armeni. La Turchia sostiene anche che morirono meno armeni di quanto sia stato riportato.

I tentativi di riconoscere il genocidio armeno si sono arenati nel Congresso degli Stati Uniti per decenni e i Presidenti americani si sono astenuti dall’utilizzare formalmente il termine tra le preoccupazioni per le relazioni con la Turchia e le intense pressioni di Ankara.

Dopo aver chiamato Putin “killer” e dopo aver sentito Draghi chiamare Erdogan “dittatore”, Biden potrebbe proseguire nella sua azione di rispolverare la questione dei diritti umani per compattare il fronte delle democrazie liberali.

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