Il Consiglio delle Chiese del Medio Oriente ai giovani cristiani: rimanete fedeli alla vostra terra (Agenzia Fides 01.12.22)

Bkennaya (Agenzia Fides) – Un appello esplicito e risoluto diretto soprattutto ai giovani cristiani del Medio Oriente, affinché restino fedeli alla loro terra” e si guardino dal “cadere nella trappola delle tentazioni dell’emigrazione, che fa loro perdere la loro identità” e sottrae a tutta l’area mediorientale una delle componenti essenziali e originarie del tessuto sociale. E’ questo il richiamo forte arrivato dal Comitato esecutivo del Consiglio delle Chiese del Medio Oriente (MECC – Middle East Council of Churches), riunitosi il 28 e 29 novembre a Bkennaya (Libano), presso il monastero di Notre-Dame du Puits.
Quest’anno i lavori del comitato esecutivo hanno concentrato l’attenzione proprio sull’esodo continuo di giovani cristiani dal Medio Oriente, fenomeno che in diversi Paesi sta incidendo pesantemente sul profilo delle comunità cristiane locali e sull’età media dei battezzati che ne fanno parte. Alle giornate di riflessione comune, oltre ai membri del comitato esecutivo nominati in rappresentanza di 21 Chiese e comunità ecclesiali mediorientali e ai responsabili della segreteria generale e dei diversi dipartimenti, han preso parte anche un gruppo di giovani provenienti da Egitto, Iraq, Giordania, Palestina e Siria, oltre che dal Libano. Ragazzi e ragazze hanno partecipato all’incontro come rappresentanti di varie comunità e movimenti giovanili. Una sessione dei lavori à stata interamente dedicata al confronto su attese e preoccupazioni e proposte manifestate dai giovani a partire dal racconto del loro vissuto quotidiano.
Il comunicato di sintesi dei lavori, diffuso mercoledì 30 novembre e pervenuto all’Agenzia Fides, riporta anche una lista di 7 disposizioni, raccomandazioni e appelli indicati dal MECC come possibili punti di riferimento e ispirazione per il cammino futuro delle comunità cristiane mediorientali nel tempo presente, segnato da incertezze, povertà e dalle sofferenze sparse da guerre e conflitti settari in ogni parte del mondo. In particolare, viene prospettata la possibilità di dedicate nel prossimo futuro una conferenza speciale alla piaga dei rapitmenti e delle sparizioni forzate, in coincidenza con i dieci anni dal sequestro dei due vescovi di Aleppo Boulos Yazigi (greco ortodosso) e Mar Gregorios Yohanna Ibrahim (siro ortodosso).
I partecipanti alla riunione del MECC hanno anche sottolineato la necessità di “andare avanti nel dialogo per cercare di unificare la data per la celebrazione della Pasqua, esigenza pressante delle varie parrocchie e delle Chiese del Medio Oriente”, rimarcando che tale passo non metterebbe in alcun modo in ombra la ricchezza rappresentata dalla diversità dei riti e delle diverse tradizioni ecclesiali.
Il Consiglio delle Chiese del Medio Oriente, fondato nel 1974 a Nicosia e attualmente con sede a Beirut, ha lo scopo di facilitare la convergenza delle comunità cristiane mediorientali su temi di comune interesse e favorire il superamento di contrasti di matrice confessionale. Al MECC aderiscono Chiese e comunità ecclesiali appartenenti a quattro “famiglie” diverse: quella cattolica, quella ortodossa, quella ortodossa orientale e quella evangelica. L’attuale Segretario generale, è l’economista e sociologo Michel Abs, appartenente alla Chiesa greco ortodossa di Antiochia, il cui Patriarca, Yohanna X, risiede a Damasco. (GV) (Agenzia Fides 1/12/2022)

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L’armena Rosa Linn e l’italiano Alfa insieme nella hit internazionale (Corriere della Sera 01.12.22)

Tutto è partito con l’Eurovision: «L’ho vista sul palco e siccome amo molto il folk, ho pensato subito che il suo pezzo fosse incredibile. Le ho scritto su Instagram “love from Italy” e lei mi ha risposto “love from Armenia”». Alfa e Rosa Linn sono nati entrambi nel 2000, lui a Genova, cantautore in erba con due album all’attivo, e lei a Vanadzor, nell’ex Repubblica Sovietica. Insieme hanno realizzato la versione bilingue di «Snap», brano che all’Eurovision si è piazzato ventesimo, ma che è poi diventato una hit: è la canzone più ascoltata dell’edizione di quest’anno (mezzo miliardo di stream), è disco di platino in Italia, spopola in radio e soprattutto su TikTok, dove accompagna oltre un milione di video.

Alfa ci aveva visto giusto, insomma: «Ad un certo punto mi ha scritto che la mia canzone in Italia era una hit e io gli ho risposto “beh certo, lo so”», ride Rosa Linn, all’anagrafe Roza Kostandyan. Fra i due artisti è nata una bella amicizia: «Sono andato in Armenia a trovarla e ci siamo messi in studio a registrare. Ho anche cantato con lei a una festa di paese e ho visto che le persone vanno pazze per gli artisti italiani, ad esempio Toto Cotugno», racconta Alfa, nome d’arte di Andrea De Filippi. «Oltre a lui da piccola sentivo molto Adriano Celentano, di cui ricordo tanti film – conferma lei -. Ma adesso passo dai Coldplay ad Adele a Ozzy Osbourne». Alfa e Rosa Linn, oltre al duetto in «Snap», hanno scritto un’altra canzone insieme, ma non sanno se uscirà: «Era un modo per creare un vero legame, altrimenti il semplice featuring non significherebbe niente».

Fare musica in Armenia, spiega lei, vuol dire contare sulle proprie forze: «Non ci sono tante etichette o produttori, bisogna fare da soli. “Snap” ce l’avevo lì dal 2019, non avrei mai immaginato che venisse scelta». Ora che il pezzo ha avuto fortuna, sono arrivati gli impegni internazionali: «Sto registrando il mio primo disco a Los Angeles e l’estate prossima aprirò i concerti di Ed Sheeran». Alfa, invece, ha appena pubblicato il singolo «5 minuti», presentato in un live sold out al Fabrique di Milano, e ad aprile sarà in tour. Con quel brano era in gara a Sanremo Giovani, ma è stato squalificato perché il giorno delle audizioni era bloccato a letto con la febbre: «È stato come un treno che ti passa davanti e non potevo fare altro che piangere di rabbia – commenta -. Ma di sicuro l’anno prossimo ci riprovo, sono molto legato a Sanremo perché lo guardavo con i miei nonni».

Anche «5 minuti» ha un significato profondo: «Parla di una mia amica morta in un incidente stradale quando eravamo al liceo. L’ho scritta a scaglioni, non di getto, con tanta testa perché era un evento difficile da elaborare. E ci tengo a presentarla bene, è un modo per ricordarla». Sul palco del concerto milanese Alfa ha portato una panchina gialla, simbolo della lotta contro il bullismo e della sua collaborazione con Helpis Onlus: «Ne ho sofferto tanto alle medie e al liceo perché ero molto grasso. Mi davano del fr…o e del ciccione. Io stavo zitto e mi rifugiavo nella musica, ma mi prendevano in giro anche per quello – racconta -. Sono stati anni difficili, ma forse mi hanno permesso di essere introspettivo. Ora gli stessi ragazzi mi fanno i complimenti e quello che più mi prendeva in giro mi ha chiesto gli accrediti per il concerto, una goduria pazzesca».

Alfa ci tiene a lanciare messaggi positivi: «A 14-15 anni i ragazzini non si rendevano conto che io pativo l’essere escluso e per piacere agli altri ho fatto di tutto, dallo YouTuber al mago al rapper. Voglio parlarne perché tanti ragazzi hanno del potenziale, ma magari provano rabbia che rimane repressa. Invece è meglio trovare il modo di incanalarla bene». Sia Alfa sia Rosa Linn concordano sull’importanza di un approccio sano ai social: «Non guardo mai TikTok, no grazie. Posto solo perché devo, ma non mi dà nulla – dice lei -. Trovo sia un po’ falso prepararsi tre ore per venire bene in un video di pochi secondi e cerco di essere me stessa il più possibile, in felpa, con la mia faccia». Servirebbe un’educazione al web, fa eco lui: «I social ci rendono sempre più fragili, nemmeno sai chi ti insulta. E il paradosso è che se non ci fossero non esisteremmo né io né lei come artisti».

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Armenia, il ministero delle Emergenze: “Si è schiantato un aereo con a bordo due piloti russi” (Agenzia Nova 01.12.22)

Si è schiantato oggi un aereo B55 nella provincia di Kotayk dell’Armenia, sul sito dell’incidente sono stati trovati due corpi bruciati. Come ha riferito un portavoce del ministero delle Situazioni di emergenza armeno, Ike Kostanian, le vittime erano dei piloti russi. L’aereo era diretto verso la città russa di Astrakhan, ha precisato il portavoce.


L’aereo Beechcraft 55 Baron si è schiantato in Armenia.

 

Armenia, rincorse diplomatiche (Osservatorio Balcani e Caucaso 30.11.22)

L’Armenia è impegnata in una frenetica attività per garantire la propria sicurezza e integrità territoriale e lo fa in vario modo, dalle relazioni già consolidate con la Francia a quelle con l’Iran

30/11/2022 –  Marilisa Lorusso

A inizio novembre Marek Szczygieł capo missione dell’EUMM, la European Union Monitoring Mission, ha visitato l’Armenia. La missione è nata dopo la guerra in Georgia, dove è stanziale dal 2008, monitora il cessate il fuoco ed è coinvolta in vari meccanismi di gestione del conflitto con la Russia. L’esperienza dei monitor civili è stata traslata in accordo con l’Armenia al teatro centro caucasico, e una quarantina di monitor hanno ora l’incarico temporaneo di verificare il cessate il fuoco con l’Azerbaijan. La presenza dei monitor dal lato armeno del confine rientra nel quadro dei tentativi dell’Armenia di attivare dei meccanismi di garanzia del cessate il fuoco. Un semplice accordo fra le parti non scongiurerebbe secondo Yerevan possibili nuove escalation, ed è per questo che insiste su una presenza internazionale che garantisca il monitoraggio del rispetto di quanto concordato.

Washington condivide la posizione di Yerevan e non solo ha accolto positivamente il dispiegamento temporaneo dell’EUMM, ma ha sollecitato che si adoperasse in questo senso anche l’OSCE. Ed effettivamente a fine ottobre su invito dell’Armenia l’OSCE ha mandato un team  di valutazione per verificare la situazione lungo il confine con l’Azerbaijan. Il capo missione, il colonnello Robert Arkadiusz Tkaczyk, ha incontrato il governatore  della provincia di Gegharkunik e sono stati verificati gli effetti degli scontri del 13-14 settembre scorsi.

Latita invece l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva, di cui l’Armenia fa parte e che sulla carta dovrebbe intervenire a sua difesa in caso di rischio per l’integrità territoriale del paese. L’Organizzazione ha tenuto un incontro a Yerevan dei suoi massimi vertici militari e politici il 23 novembre ma ne è uscito un nulla di fatto. Non solo è chiaro che non ci sarà nessuna missione che garantisca la sicurezza lungo il confine, ma è anche emerso che l’Organizzazione non attiverà nessun meccanismo alternativo né ha intenzione di assumere una chiara posizione politica a tutela dell’Armenia. Alcuni suoi membri, ad esempio il Kazakhstan, hanno rapporti e un sodalizio forte con Yerevan, ma Mosca – come avviene sin dal 2020, o forse dalla Rivoluzione di Velluto – rimane ambigua verso Yerevan. Solo una cosa non è ambigua: non ci sono garanzie di sicurezza.

Francia

Parigi ha sia visitato la regione che ospitato delegazioni armene. La Francia infatti non rinuncia al ruolo da protagonista nella risoluzione del conflitto che ha dai primissimi anni ’90 come membro del Gruppo di Minsk, nonché paese che ospita una numerosa diaspora armena e che coltiva rapporti storici con Yerevan. In autunno alcune dichiarazioni del presidente Emmanuel Macron, percepite da Baku come nettamente squilibrate a favore dell’Armenia, hanno fatto scandalo in Azerbaijan. Il presidente Ilham Aliyev non perde occasione anche in fora internazionali di muovere critiche  non solo alla posizione francese, ma anche alle responsabilità storiche del paese anche in altri contesti, come il suo passato coloniale.

La tensione è cresciuta dopo l’annuncio dell’11 ottobre scorso da parte del Senato francese di voler mettere in calendario una mozione per imporre sanzioni all’Azerbaijan. Puntualmente la mozione è stata approvata il 15 novembre  , 295 voti a favore e uno solo contrario. La mozione, con carattere non cogente, invita ad applicare sanzioni contro l’Azerbaijan e chiede l’immediato ritiro di Baku dal territorio armeno, di far rispettare l’accordo di cessate il fuoco del 9 novembre 2020 nonché di promuovere ogni iniziativa volta a stabilire una pace duratura tra i due paesi. Riafferma inoltre la necessità di riconoscere la Repubblica del Nagorno Karabakh e di fare di tale riconoscimento uno strumento di negoziato al fine di stabilire una pace duratura.

Le reazioni non si sono fatte attendere: è stato convocato l’ambasciatore francese a Baku, il ministero degli Esteri ha commentato  in termini molto espliciti il proprio disappunto, e il parlamento azero, il Milli Majlis, ha fatto appello al governo affinché impedisca alla Francia di essere coinvolta nel processo di pace, affinché vengano congelati eventuali beni di funzionari francesi in Azerbaijan, affinché le società francesi siano escluse da qualsiasi progetto realizzato in Azerbaijan e sia rivista la cooperazione con le imprese francesi nel settore dell’energia. Si sollecita inoltre a rivedere le relazioni politiche ed economiche esistenti e a sollevare la questione dei crimini coloniali della Francia del quadro del Movimento dei Non Allineati e di inserire la questione della politica islamofoba della Francia nell’agenda dell’Organizzazione per la cooperazione islamica e dell’Organizzazione degli stati turchi.

A causa delle tensioni fra Baku e Parigi è saltato l’incontro del formato di Bruxelles che si sarebbe dovuto tenere il 7 dicembre. Macron avrebbe dovuto partecipare insieme a Charles Michel e ovviamente Nikol Pashinyan, ma Ilham Aliyev ha chiarito  che la presenza del presidente francese è quella che ha fatto saltare il banco.

Iran

Le relazioni armene-azere non stanno agitando le acque solo dei rapporti fra Azerbaijan e Francia. È un periodo anche molto complicato dei rapporti fra Baku e Teheran. L’Iran ha schierato il proprio esercito e condotto importanti esercitazioni sul confine con l’Azerbaijan, due volte in pochi mesi. Nei giorni in cui la Turchia apriva il proprio consolato a Shusha, riconquistata da Baku al Nagorno Karabakh, l’Iran ne apriva uno a Kapan, una delle zone più sotto pressione per le tensioni armeno-azere.

In questa occasione Hossein Amir-Abdollahian, ministro degli Esteri iraniano, presente all’inaugurazione, ha dichiarato  che “l’Iran considera la sicurezza dell’Armenia e della regione come la propria sicurezza. La nostra politica è rispettare l’integrità territoriale, così come i confini riconosciuti a livello internazionale. (…) Consideriamo l’Armenia uno dei paesi più importanti situati sull’autostrada nord-sud.”  E il console iraniano ha rincarato la dose  accennando al consolato come un presidio di sicurezza: “Diciamo molto semplicemente che non riconosceremo ufficialmente alcun cambiamento di confine. Vogliamo un’Armenia pacifica e stabile. […] Lo dico ancora una volta alla gente di Kapan: non preoccupatevi, sono qui a Kapan”.

L’Azerbaijan ha accusato l’Iran di fomentare il secessionismo, i media dei due paesi hanno messo in pista campagne non certo reciprocamente lusinghiere. Entrambi gli ambasciatori sono stati convocati. A metà novembre Baku ha dichiarato  di aver sgominato una rete terroristica iraniana nel paese che avrebbe fatto capo direttamente ai servizi segreti iraniani ed avrebbe avuto lo scopo di attaccare lo stato laico.

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Teheran e Baku in rotta di collisione (Asianews 28.11.22)

Armenia e Artsakh sono in pericolo. No a “pace e prosperità nel Caucaso meridionale” attraverso il genocidio degli Armeni (Korazym 26.11.22)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 26.11.2022 – Vik van Brantegem] – «Azerbajgian non vuole incontrare [Armenia] a Brussel e la scusa è la presenza di Emmanuel Macron, mentre ieri sera hanno aperto il fuoco con armi da fuoco di vario calibro verso le postazioni armene, come vero segno di “pace” offerto all’Armenia», ha scritto Edmon Marukyan, Ambasciatore con incarichi speciali armeno, questa mattina in un Tweet. Il Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, ha accusato la Francia di pregiudizi filo-armeni e ha detto che rifiuterà di incontrare il Primo Ministro armeno a Brussel previsto per il 7 dicembre prossimo, nel caso in cui l’Armenia insistesse sulla presenza del Presidente francese. Il Ministero degli Esteri armeno ha replicato che la parte armena era pronta per un incontro nel formato concordato a Praga all’inizio di ottobre. Il Primo Ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan e il Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Alyev, si sono incontrati a Praga il 6 ottobre scorso con la mediazione del Presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e del Presidente francese, Emmanuel Macron.

Il Ministero della Difesa dell’Azerbajgian continua a diffondere disinformazione. La guerra delle parole, insieme alle notizie quotidiane di violazioni del cessate il fuoco, da parte dell’Azerbajgian, hanno sollevato timori di una nuova escalation o addirittura una guerra su vasta scala dell’Azerbajgian contro l’Armenia e l’Artsakh possa essere imminente. Al riguardo vale la pena rileggere quanto scritto recentemente da Renato Farina in un articolo che abbiamo pubblicato il 18 novembre scorso: Il Molokano su Tempi – Il formichiere turco nel formicaio. Voi Europei non avete occhi per vedere il piano diabolico in atto contro gli Armeni.

Le Forze Armate azere hanno aperto il fuoco con armi leggere di vario calibro contro le posizioni di difesa armene schierate nella parte orientale del confine armeno-azerbajgiano dalle ore 21.30 alle 22.30 del 24 novembre, ha dichiarato il Ministero della Difesa armeno in una nota. La parte armena non ha subito perdite e alle ore 08.30 del 25 novembre la situazione in prima linea era tornata relativamente stabile.

Degli agricoltori in Artsakh sono finiti nuovamente sotto il fuoco azero mentre lavoravano nei campi agricoli in due diversi villaggi. Intorno alle ore 11.30 del 25 novembre, un contadino che lavorava con il suo trattore nei campi agricoli del villaggio di Taghavard è stato costretto ad abbandonare le sue attività quando le truppe azere hanno aperto sporadici colpi con armi leggere. Un incidente simile è avvenuto nel villaggio Tchankatagh di Martakert, dove le truppe azere hanno aperto il fuoco in direzione dei contadini. La polizia dell’Artsakh ha affermato di aver fornito i fatti al contingente russo di mantenimento della pace.

Il Ministero della Difesa armeno ha riferito nella prima mattinata di oggi, 26 novembre, che unità delle Forze Armate azere hanno violato l’accordo di cessate il fuoco durante la notte, aprendo il fuoco con armi leggere di vario calibro in direzione delle posizioni di difesa armene situate nella parte orientale della linea di contatto armeno-azerbaigiana. Nessuna vittima è stata segnalata dalla parte armena. Alle ore 08.30 la situazione nella zona di confine tra Armenia e Azerbajgian era tornata relativamente stabile.

Il Ministero della Difesa armeno ha smentito ancora una volta le notizie da parte azera secondo cui unità delle Forze Armate armene alla mezzanotte di oggi hanno aperto il fuoco in direzione delle postazioni azere situate nella parte orientale della linea di contatto armeno-azera.

Il Ministero degli Esteri dell’Artsakh ha smentito le accuse da parte azera, che le forze di difesa dell’Artsakh tra le ore 09.25 e le 10.10 di oggi avrebbero hanno aperto il fuoco in direzione delle posizioni azere situate nei territori delle regioni di Askeran e Martuni della Repubblica dell’Artsakh, occupati dalle forze armate azere.

Il sito azero News.az ha scritto: «Il 25 novembre, dalle ore 09.55 alle 12.10, membri di un distaccamento armato armeno illegale [sono intese le Forze Armate di difesa dell’Artsakh] nel territorio dell’Azerbajgian [sono intesi i territori della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh occupati dalle Forze Armate azere con la guerra dei 44 giorni di fine 2020], dove sono temporaneamente dispiegati i caschi blu russi, hanno sparato contro le postazioni delle Forze Armate azere dislocate in direzione delle regioni di Aghdam e Khojavand, ha dichiarato il Ministero della Difesa dell’Azerbajgian, aggiungendo che le Unità delle Forze Armate azere hanno preso “adeguate misure di ritorsione”.

«Illegale postazione militare azero davanti alla scuola del villaggio di Shurnukh a Syunik, Armenia. C’è scritto “ÖNCE VATAN” (prima la patria), uno slogan nazionalista (e aggressivo) turco fondamentale, creato durante il governo di Ataturk negli anni ’30. La scuola è sotto tiro degli azeri con armi e videosorveglianza per intimidire i bambini» (Arman Tatoyan).

L’Azerbajgian continua a diffondere fake news riguardo presunte violazioni armene in Artsakh e in Armenia che, stante la situazione sul campo, sono del tutto improbabili. Aliyev si prepara il terreno per un’altra operazione militare mentre i suoi soldati continuano a sparare sui civili in Artsakh.

In particolare, Azerbajgian si sta preparando a una nuova azione militare contro quello che rimane dei territori non ancora occupati della Repubblica di Artsakh/Nagorno Karabakh, con obiettivo principale il corridoio di Lachin. A sentire le parole del Ministro degli Esteri azero, Jeyhun Bayramov, il controllo della strada da parte dell’Armenia sarebbe una violazione dell’accordo di cessate il fuoco del 9 novembre 2020.

Bayramov ha messo in guardia l’Armenia sul corridoio di Lachin. “I passi distruttivi dell’Armenia sono inaccettabili; sono un duro colpo per la normalizzazione delle relazioni nel periodo post-conflitto del Karabakh (secondo l’Azerbajgian il conflitto è risolto perché il Nagorno-Karabakh è azero e il futuro degli Armeni nella regione verrà risolto in Azerbajgian)”, ha detto Bayramov ai giornalisti a margine della conferenza internazionale di Aghdam all’Università ADA il 24 novembre scorso. “I principi fondamentali della dichiarazione trilaterale [firmata tra i leader azeri, armeni e russi il 9 novembre 2020 dopo la guerra dei 44 giorni] vengono violati [dall’Armenia]. L’obbligo assunto [fantomatico] in conformità con questi principi di ritirare tutte le truppe armene dal territorio dell’Azerbajgian [è inteso quello che rimane della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh non ancora occupato dalle Forze Armate dell’Azerbajgian] non è stato ancora adempiuto”, ha affermato. Secondo Bayramov, dall’agosto 2022 sono state scoperte in Azerbajgian circa 2.700 mine di fabbricazione armena, fabbricate nel 2021. Sono stati consegnati lì attraverso il corridoio Lachin, altrimenti non è possibile”, ha affermato Bayramov. Ha osservato che ciò è in contraddizione con lo scopo dell’utilizzo del corridoio nella dichiarazione trilaterale e questo dovrebbe essere posto fine. Bayramov ha affermato che l’Azerbajgian prenderà “misure necessarie” per impedire il presunto trasferimento di armi al Nagorno-Karabakh attraverso il corridoio di Lachin.

Il 25 ottobre 2022, il Ministero degli Esteri azero ha rilasciato una nuova dichiarazione in cui ha invitato la comunità mondiale a fare pressione sull’Armenia affinché adempia ai suoi obblighi internazionali. “In violazione della dichiarazione tripartita del 9 novembre 2020, l’Armenia continua attività militari illegali sul territorio dell’Azerbajgian [è inteso la parte della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh non occupata dalle Forze Armate azere]”, afferma il documento. Il ministero degli Esteri azero afferma che l’Armenia “non solo non ritira le sue forze militari dal territorio dell’Azerbajgian [idem], ma continua anche a installare un gran numero di mine sul suo territorio [idem]. Ciò porta ad un aumento del numero di persone che vengono fatte saltare in aria dalle mine, e non solo lungo la precedente linea di contatto”.

Dopo guerra dei 44 giorni del Nagorno-Karabakh, il corridoio di Lachin divenne l’unico collegamento aperto tra l’Artsakh/Nagorno-Karabakh e l’Armenia, così come con il resto del mondo. Il corridoio è sotto il controllo del contingente russo di mantenimento della pace nel Nagorno-Karabakh, che fa affidamento anche sul percorso per mantenere la propria presenza.

Foto dall’account Twitter dell’Ambasciatore Edmon Marukyan.

L’Ambasciatore dell’Armenia con incarichi speciali, Edmon Marukyan, ha scritto in su Twitter: «L’Azerbajgian afferma che l’Armenia ha utilizzato il corridoio di Lachin per trasferire delle mine antiuomo nel proprio territorio. Questa è una bugia totale. L’Azerbajgian ha preso delle mine antiuomo dai territori armeni occupati, le ha trasferite nel territorio controllato dall’Azerbajgian in Nagorno-Karabakh per mostrarle ai partner internazionali e creare false basi per contestare il corridoio di Lachin. L’Azerbajgian ha occupato Saribaba [Regione di Sushi] ad agosto, ma solo a novembre ha rivendicato l’esistenza di nuove mine lì. Come mai? Perché a settembre hanno invaso l’area di Jermuk, territorio sovrano dell’Armenia, hanno avuto accesso alle mine, trasferite a Saribaba per accusare falsamente l’Armenia di aver utilizzato il corridoio di Lachin per trasferire munizioni».

I commenti del Ministro degli Esteri azero, Jeyhun Bayramov, hanno fatto eco a quelli del Vice Capo del Servizio di sicurezza statale dell’Azerbajgian, Jeyhun Shadlinski, che ha anche affermato che armi e munizioni venivano trasportate illegalmente nel Nagorno-Karabakh.

Peraltro, i recenti commenti non sono stati i primi da parte di funzionari azerbajgiani riguardanti il corridoio di Lachin. Lo stesso Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, in precedenza aveva messo a confronto l’accordo con i collegamenti di trasporto proposti tra l’Azerbajgian occidentale e il Nakhchivan, a cui si riferisce come il “corridoio di Zangezur”. “Il corridoio di Zangezur è un obbligo dell’Armenia, a cui si è impegnata. Da due anni non tocchiamo le macchine che vanno dall’Armenia al Karabakh e viceversa attraverso la strada di Lachin”, ha detto Aliyev in un discorso a Shushi nel secondo anniversario della guerra dei 44 giorni, che aveva scatenato contro l’Artsakh alla fine del 2020. “’Ci siamo impegnati, e lo stiamo realizzando, per la libera circolazione. Anche l’Armenia si è impegnata in questo tra le regioni occidentali dell’Azerbajgian e la Repubblica autonoma di Nakhchivan. Che ci sia un collegamento stradale tra di loro. Due anni dopo, nessuno studio di fattibilità, nessun movimento, nessuna ferrovia, nessuna strada. Quanto tempo dobbiamo aspettare?”, ha detto Aliyev.

Il Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan ha precedentemente accusato l’Azerbajgian di “aver inventato motivi” per chiudere il corridoio di Lachin e isolare il Nagorno-Karabakh; e di preparare un “genocidio degli Armeni del Nagorno-Karabakh”.

Parigi non può partecipare al processo di pace tra Baku e Yerevan, l’incontro del 7 dicembre non avrà luogo, ha dichiarato il Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, il 25 novembre alla Conferenza internazionale “Lungo il corridoio centrale: geopolitica, sicurezza ed economia” all’università ADA University di Baku. “L’incontro a Brussel avrebbe dovuto svolgersi il 7 dicembre. Ma ieri Hikmet Hajiyev [Assistente del Presidente della Repubblica dell’Azerbaigian, Capo del dipartimento per gli affari esteri dell’Amministrazione presidenziale] mi ha informato di essere stato contattato dall’ufficio di Charles Michel [Presidente del Consiglio Europeo] e gli è stato detto che il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, ha acconsentito all’incontro solo in caso di partecipazione del Presidente francese, Emmanuel Macron. Ciò significa che questo incontro non avrà luogo”, ha detto Aliyev.

“Meno di una settimana dopo l’incontro di Praga, il Presidente francese Macron nella sua intervista ha criticato l’Azerbajgian e ci ha accusato di ciò che non abbiamo fatto. È stata seguita da una nota risoluzione del Senato francese [Il Senato francese a quasi unanimità ha espresso sostegno per l’Armenia e la necessità di riconoscere la Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh], che è assolutamente inaccettabile e offensiva”, ha detto Aliyev. Questa, ha ricordato Aliyev, è stata seguita da “un’altra risoluzione anti-azera” dell’Assemblea nazionale francese e da un “tentativo di attacco” attraverso il vertice della francofonia, che è “inaccettabile” ha detto Aliyev. Ha anche affermato che la parte azera ha il testo originale redatto dalla Francia in tandem con l’Armenia, che, secondo lui, è “pieno di accuse e insinuazioni”. “Dato tutto ciò, è chiaro che la Francia non può prendere parte al processo di pace. E non è colpa nostra, ma loro, dal momento che né gli Stati Uniti né la Russia si sono mai schierati ufficialmente. Ciò significa che la riunione del 7 dicembre non avrà luogo. E prenderemo in considerazione altre alternative. Vediamo chi fungerà da intermediario e su quale piattaforma”, ha detto Aliyev.

Armenia è pronta per un incontro con Azerbajgian il 7 dicembre, sulla base degli accordi e del formato raggiunti a Praga, ha detto il Portavoce del Ministero degli Esteri armeno, Vahan Hunanyan. Ha ricordato che il precedente incontro di Praga si è svolto in formante quadrilatera e ha aggiunto che “logicamente, il formato dell’incontro e la composizione dei partecipanti dovrebbero essere gli stessi”. I commenti arrivano dopo che il Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, ha dichiarato che l’incontro a Brussel non avrà luogo poiché l’Armenia insiste sulla partecipazione della Francia come mediatore, accusando la Francia di schierarsi con l’Armenia.

“Tutte le dichiarazioni della parte azera secondo cui la parte armena sta cercando di interrompere l’incontro e il processo di pace non hanno nulla a che fare con la realtà. La Repubblica di Armenia è pronta per l’incontro del 7 dicembre, secondo l’accordo e il formato raggiunto a Praga”, ha affermato Hunanyan. Ha aggiunto che l’Azerbajgian deve ancora rispondere alle proposte dell’Armenia su un trattato di pace, presentate il 7 novembre a Washington, durante una riunione dei Ministri degli Esteri dei due Paesi.

Il sito azero in inglese News.Az il 28 ottobre 2022 ha pubblicato una “analisi” dal titolo La “libertà dei media” in stile occidentale: chi c’è dietro la campagna anti-azerbajgiana?, a firma del caporedattore, Sig.ra Ulviyya Zulfikar. La riportiamo in una nostra traduzione dall’inglese, ad esempio come funzione l’agitprop dell’Azerbajgian, dove la libertà di espressione continua ad essere minacciata:

«I media di diversi Paesi occidentali, in particolare la Francia, hanno recentemente intensificato la pubblicazione di articoli faziosi contro l’Azerbajgian. La cosa più interessante è che il numero di tali articoli è aumentato dopo le osservazioni espresse dal Presidente francese Emmanuel Macron contro l’integrità territoriale dell’Azerbaigian [in riferimento all’Artsakh/Nagorno-Karabakh].
Basta dare uno sguardo ad alcuni articoli per vedere l’uso di tesi generali contro l’Azerbajgian e la ripetizione a pappagallo delle stesse accuse calunniose. Tali articoli indicano che molti elementi dei media occidentali, che si definiscono “liberi”, sono controllati da un unico centro.
Non c’è dubbio che questo centro abbia stretti legami con la lobby armena e che il centro parli dalla posizione armena contro l’AzerbaJgian ed esprima opinioni che sono state memorizzate per anni e che sono state ripetutamente ripetute di recente. Allo stesso tempo, le osservazioni filo-armene espresse da Macron, che sono inaccettabili per il Paese co-Presidente [del Gruppo di Minsk dell’OSCE], e la posizione filo-armena del Presidente francese sono deplorevoli.
Non tutti i Paesi europei appoggiano la posizione del Presidente francese, e sono interessati a stabilire una partnership strategica con l’Azerbajgian e ad approfondire ulteriormente i legami bilaterali, che è uno dei fattori che irritano gli ambienti filo-armeni. E chi prenderà sul serio le loro sporche accuse? Quale sarà la risposta quando la diaspora armena chiederà ai suoi burattini i soldi spesi? Per questo motivo, questi circoli, comprese le stesse organizzazioni della diaspora, hanno iniziato ad agire in preda al panico. Il fatto che la Francia sia la patria della più grande lobby armena non è un segreto nemmeno per i Francesi.
Dopo la sua partecipazione al vertice quadrilatero tenutosi a Praga il 6 ottobre con la partecipazione del Presidente azero, Ilham Aliyev, e del Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, il Presidente francese, Emmanuel Macron, ha iniziato ad agire pienamente contro i processi di pace in corso. Macron ha tratto una conclusione sedicente da questo incontro e ha espresso commenti negativi. Macron ha incaricato gli elementi mediatici che lavorano per lui e ha stretti legami con la lobby armena, di cui lo stesso Presidente francese è al servizio, di pubblicare articoli a sostegno di queste tesi.
Attualmente stiamo vivendo nel periodo in cui la guerra di 44 giorni è avvenuta nel 2020. Nemmeno una volta questi elementi mediatici hanno messo in evidenza gli attacchi di missili balistici dell’Armenia contro le città dell’Azerbajgian, Ganja, Barda e Tartara al di fuori della zona delle ostilità e l’uccisione di civili, tra cui donne e bambini, a seguito di questi attacchi. Dopotutto, i media dovrebbero essere neutrali, non prevenuti. O questi valori non appartengono a questi elementi stessi?
Oggi l’Azerbajgian continua ad essere un partner energetico dell’Europa e questo processo si sta approfondendo. Quale Paese occidentale che si rispetti vorrà cooperare con una comunità che si perde nelle sue calunnie e spende soldi sporchi nelle sue campagne diffamatorie quando c’è l’opportunità di cooperare con un Paese che tende allo sviluppo sostenibile, promette sviluppi positivi e ha un futuro radioso? Certo, escludendo chi non ha reputazione nei propri Paesi e ha bisogno del sostegno della lobby armena per le elezioni».

Nonostante le posizioni opposte delle parti nel conflitto del Nagorno-Karabakh, l’Artsakh è propenso a continuare il processo negoziale sotto gli auspici del Gruppo di Minsk dell’OSCE, ha affermato il Presidente del parlamento dell’Artsakh, Artur Tovmasyan, durante una conferenza dedicata alla questione dell’Artsakh. “Oggi, quando lo Stato dell’Artsakh è in pericolo, anche la prospettiva dell’esercizio del diritto all’autodeterminazione del popolo dell’Artsakh è affiancata alla risoluzione finale del conflitto. La nostra posizione dovrebbe essere percepibile anche per i Paesi che perseguono i propri interessi regionali nel Caucaso meridionale. La comunità internazionale deve rispettare la richiesta degli Armeni dell’Artsakh in quanto è conforme ai principi e alle norme fondamentali del diritto internazionale”, ha affermato Tovmasyan. La risoluzione del conflitto, la pace duratura e stabile nella regione, ha affermato Tovmasyan, sono impossibili senza la conservazione del patrimonio culturale e religioso armeno nei territori che sono passati sotto l’occupazione azerbajgiana, nonché senza l’organizzazione del monitoraggio con tutte le possibili mezzi per prevenire gli atti commessi finalizzati alla pulizia etnica degli Armeni. “Fino ad oggi, l’Azerbajgian, in violazione delle disposizioni della dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020, sta conducendo regolarmente atti aggressivi contro l’Artsakh, che sono definiti come manifestazione di armenofobia, e anche come manifestazione insidiosa di violazione della pace e della stabilità nella regione e in particolare la neutralizzazione della missione di mantenimento della pace. Continueremo i nostri sforzi per la protezione dei risultati della guerra di liberazione dell’Artsakh condotta per l’autodeterminazione e la sicurezza del popolo dell’Artsakh, per raggiungere una soluzione pacifica ed equa della questione”, ha affermato Tovmasyan. Ha detto che in questo momento il compito chiave è garantire la sicurezza affidabile del Paese. “Sottolineo in particolare l’atteggiamento e le misure concrete intraprese dalla Russia su questa questione”, ha affermato Tovmasyan.

L’Istituto Lemkin sostiene il diritto all’autodeterminazione del popolo dell’Artsakh

L’Istituto Lemkin ha espresso la sua solidarietà e il suo sostegno al popolo della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, che si è presentato a Stepanakert il 30 ottobre in numeri storici per manifestare per l’autodeterminazione [QUI].

L’Istituto Lemkin per la prevenzione del genocidio è cresciuto dal Progetto Iraq per la prevenzione e la responsabilità del genocidio, lanciato nel 2017 per affrontare la necessità di sviluppare capacità a lungo termine nella prevenzione del genocidio in Iraq. Sulla scia dei genocidi dell’ISIS, l’Istituto ha visto un enorme interesse di base nel porre fine al ciclo di violenza e promuovere una pace duratura. Ora sta portando quel lavoro su base globale.

L’Istituto Lemkin ha condannato il Presidente azero, Ilham Aliyev, e il suo governo per l’uso di “retorica intrinsecamente genocida” durante i discorsi del Giorno della Vittoria. “Condanniamo il Presisente Ilham Aliyev e l’uso da parte del governo azero della retorica intrinsecamente genocida durante i discorsi del Giorno della Vittoria”, si legge in una dichiarazione dell’11 novembre 2022. “Gli eufemismi tentano di mascherare la retorica e l’intento genocida. Chiediamo alla comunità internazionale di condannare questa retorica e proteggere gli armeni”, ha affermato l’Istituto Lemkin.

In un comunicato del 25 novembre 2022, l’Istituto Lemkin ricorda che l’Artsakh è abitato da una popolazione a maggioranza armena da migliaia di anni. Le menzioni di Armeni nella regione risalgono almeno al VI secolo a.C. L’Istituto Lemkin ha presentato brevemente la storia della regione e delle guerre in Artsakh.

“Al centro di questo conflitto ci sono due fattori che sono comuni negli scenari di genocidio: l’indebolimento di uno o più gruppi attraverso il genocidio e la continua impunità (e l’ideologia del genocidio) dei gruppi di autori. In questo caso, abbiamo, da un lato, le conseguenze del genocidio armeno nella regione, che ha completamente sradicato la presenza armena nell’Armenia occidentale (l’odierna Turchia orientale) e ridotto sostanzialmente la capacità di combattimento e l’influenza politica degli Armeni nel Caucaso dalla fine degli anni ’10 e l’inizio degli anni ’20. D’altra parte, abbiamo lo sviluppo del nazionalismo azero come fenomeno anti-armeno e l’ostilità genocida continua e incontrollata dei nazionalisti azeri nei confronti degli Armeni. Nessuno di questi problemi dovrebbe essere ignorato dalla comunità internazionale nella costruzione della politica nei confronti della regione”, si legge nella dichiarazione.

L’Istituto Lemkin afferma che “sembra esserci l’errata percezione tra molti membri della comunità internazionale che l’Artsakh dovrebbe semplicemente essere ‘rinunciato’, consegnato all’Azerbajgian a causa delle perdite territoriali subite dagli Armeni nel 2020”.

“In effetti, molti governi occidentali sembrano promuovere politiche che porteranno al controllo dell’Azerbajgian sull’Artsakh in nome della ‘pace’ e della ‘prosperità’, due termini ripetutamente usati dai funzionari statunitensi in un’audizione del 16 novembre alla Commissione per le relazioni estere del Senato su ’Valutare la politica degli Stati Uniti nel Caucaso’. All’origine di questa visione occidentale c’è, ancora una volta, il desiderio di compiacere la Turchia e di ottenere l’accesso al petrolio del Caucaso oltre che a posizioni strategiche in Asia centrale. Una tale visione nega il legittimo diritto all’autodeterminazione del popolo dell’Artsakh e rischia la collusione con uno stato genocida”.

Il comunicato sottolinea che “ciò che il mondo occidentale, e in particolare la NATO, non riesce a capire è che ‘rinunciare’ all’Artsakh significherebbe condonare al genocidio gli Armeni: lo sfollamento forzato e la persecuzione degli Armeni, diffusi crimini di atrocità, distruzione del patrimonio culturale e una delle più grandi crisi umanitarie nella regione del Caucaso negli ultimi decenni, ha comportato un enorme afflusso di rifugiati verso l’Armenia vera e propria”.

“È importante sottolineare che, date le attuali bandiere rosse per il genocidio in Turchia e in Azerbajgian, nonché ciò che sappiamo del processo di genocidio in generale, è inverosimile che la ‘rinuncia’ all’Artsakh metta fine al conflitto nella regione, tanto meno al raggiungimento della ‘pace’ e della ‘prosperità’. I progetti di genocidio dell’Azerbajgian e del suo alleato forte, la Turchia, assicurano quasi che l’aggressione contro il territorio armeno continui. L’odio anti-armeno promosso da entrambi i Paesi, e in particolare dal regime di Aliyev, non si placherà con lo spopolamento dell’Artsakh”, si legge nella dichiarazione.

L’Istituto Lemkin rileva che lo spopolamento dell’Artsakh dovrebbe essere visto come l’inizio di una spinta molto più ampia per cancellare una volta per tutte la presenza armena dalla regione.

“Il popolo dell’Artsakh merita che le sue richieste di autodeterminazione siano ascoltate e prese sul serio dalla comunità internazionale”, afferma l’Istituto Lemkin, ricordando che il diritto all’autodeterminazione è uno dei fondamenti più importanti del sistema legale internazionale, insieme a alla sovranità e integrità territoriale degli Stati.

“Il diritto fondamentale all’autodeterminazione non dovrebbe diventare un’altra finzione legale; invece, dovrebbe essere inteso come un elemento essenziale della pace e della sicurezza internazionali durature. Inoltre, la responsabilità della comunità internazionale di proteggere i gruppi identitari è una norma essenziale che deve essere esercitata in questo caso, in cui il mondo ha la rara possibilità di prevenire il genocidio prima che inizi l’uccisione di massa”, osserva l’Istituto Lemkin.

“Solo quando questi diritti saranno pienamente protetti e rispettati, il mondo sarà in grado di mantenere le promesse tanto attese della Carta delle Nazioni Unite”, afferma l’Istituto Lemkin.
L’Istituto Lemkin chiede la creazione di una commissione internazionale indipendente per studiare le questioni coinvolte nell’Artsakh, con l’obiettivo di stabilire un esito giusto e una pace stabile.

“Non deve essere consentito all’Azerbajgian di usare la forza per rivendicare il territorio armeno e la comunità internazionale deve chiarire che difenderà vigorosamente la vita armena contro una ripresa del genocidio del 1915”, conclude la dichiarazione.

La Svizzera ha approvato aiuti per quasi 1 milione di euro per la resilienza e la ripresa economica delle comunità di confine in Armenia colpite dall’escalation militare azero nel settembre 2022

L’Agenzia svizzera per lo sviluppo e la cooperazione ha approvato un aiuto di 960.000 franchi svizzeri (975.000 euro) all’Armenia per migliorare la resilienza delle comunità di confine in situazioni di crisi. In collaborazione con il Programma Alimentare Mondiale per l’attuazione, la Svizzera fornisce un sostegno umanitario immediato ed economico a lungo termine a Gegharkunik, Vayots Dzor e Syunik con il progetto “Resilienza e ripresa economica delle comunità di confine in Armenia – REBCA”.

I recenti progressi dell’Armenia con il suo programma di riforme socio-economiche sono stati messi in discussione da fattori esterni come il COVID-19, l’aggressione militare dell’Azerbajgian del 2020 in Nagorno-Karabakh e gli shock economici esterni internazionali, in particolare dalla guerra in Ucraina.

Inoltre, a causa dell’escalation militare nel settembre 2022, sei comunità armene nelle aree confinanti con l’Azerbajgian nelle regioni di Gegharkunik, Syunik e Vayots Dzor (per un totale di 133 insediamenti e 133.165 persone) sono direttamente colpite, anche in termini di mezzi di sussistenza economica e sicurezza alimentare.

Il progetto umanitario REBCA della durata di 12 mesi proteggerà e ripristinerà i mezzi di sussistenza delle persone che vivono nelle zone di confine in Armenia e fornirà mezzi economici per migliorare la resilienza alle situazioni di crisi. Il progetto si rivolge a 15 insediamenti di confine colpiti dal conflitto delle comunità allargate di Vardenis (Gegharkunik), Sisian (Syunik) e Jermuk (Vayots Dzor) rispondendo direttamente ai bisogni di oltre 1.000 famiglie.

Il progetto REBCA, finanziato dalla Svizzera, è ideato e realizzato congiuntamente dal Programma Alimentare Mondiale con il coinvolgimento di World Vision Armenia, Child Development Foundation e Strategic Development Agency, ciascuno responsabile di specifici interventi nei campi di competenza necessari. Il progetto sarà sostenuto anche dal Ministero del Lavoro e degli Affari Sociali della Repubblica d’Armenia, dal Ministero dell’Amministrazione Territoriale e delle Infrastrutture della Repubblica di Armenia e dalle autorità locali delle regioni interessate.

Una caratteristica importante del progetto è la combinazione di una risposta umanitaria immediata con gli sforzi per la ripresa economica e la crescita a lungo termine. In collaborazione con i suoi subappaltatori, il Programma Alimentare Mondiale fornirà assistenza in denaro, sostegno al lavoro sociale, sviluppo delle risorse e delle capacità delle comunità locali, sostegno alle attività agricole e promozione del lavoro.

Il progetto REBCA traduce in azione i principi e gli obiettivi della politica estera e della cooperazione allo sviluppo della Svizzera. Con il suo programma di cooperazione svizzera per il Caucaso meridionale 2022 – 2025, la Svizzera sostiene la transizione dell’Armenia verso un’economia di mercato e uno sviluppo economico inclusivo. REBCA è un’altra espressione di una lunga tradizione di aiuto umanitario svizzero all’Armenia nel momento del bisogno, iniziata con il terremoto di Spitak del 1988.

Inoltre, l’intervento REBCA si inserisce nell’iniziativa Team Europe “Together for Syunik” lanciata all’inizio di novembre 2022 dalla delegazione dell’Unione Europea e da cinque Stati membri dell’Unione Europea, dalla Banca europea per gli investimenti e dalla Svizzera in qualità di partner esterno.

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Letture, il destino degli armeni perseguitati in Turchia (AciStampa 25.11.22)

E’ una bella giornata di primavera del 1915, nella “piccola città armena” dell’Anatolia. Dalla veranda inondata di sole di una grande casa esce con passo leggero una bella e giovane ragazza, Aghavnì, esce di casa con il marito e i due figli piccoli, Vogliono fare una passeggiata, andare a trovare una delle tante zie che fanno parte delle loro grandi famiglie.

Pochi passi, nel sole, mentre i bimbi saltellano felici. I due giovani genitori respirano la stessa aria leggera, ma un’inquietudine profonda li segue come una nube nera. Si parla, sottovoce, del ritorno di tempi cupi per gli armeni, che però in generale non possono credere che si prepari una minaccia contro di loro, che ormai fanno parte del grande apparato dell’Impero ottomano, fanno parte dell’intellighenzia, sono professori, scrittori, giornalisti, artisti apprezzati. Sono commercianti e artigiani benestanti, ricchi e rispettati. Dunque perché mai dovrebbero essere perseguitati? Impossibile…Aghavnì e Alfred, e i loro bei figli, Zabel e Garò, da quella passeggiata non faranno mai più ritorno.

Sono stati uccisi? O sono stati rapiti? I parenti si tormentano, fanno ricerche, non si rassegnano. Però pochi giorni dopo sarà messo in atto il terribile piano del genocidio degli armeni e nell’imperversare dei terribili eventi, dopo tante ricerche, anche il loro ricordo svanisce. Non per Antonia Arslan che nel suo nuovo libro, ‘Il destino di Aghavnì’ , che esce per le edizioni Ares, ricompone, come i frammenti di una fotografia antica, il volto e la storia di questa giovane donna e della sua famiglia. Una storia che comincia nel sole e nell’azzurro della primavera e si conclude nel freddo e nel gelo di un Natale strano, davanti un presepio messo insieme in modo quasi furtivo, che invece riesce a sciogliere il dolore e la violenza, la morte e la rinascita.
La Arslan, scrittrice, traduttrice, saggista, autrice del bestseller ‘La Masseria delle allodole’ (2004), diventato un film dei fratelli Taviani, è stata ispirata nel raccontare il destino da Aghavnì proprio grazie da una vecchia fotografia di famiglia, ritrovata a casa di un cugino in America. Ha scoperto così la vicenda perduta di questa ragazza scomparsa e da qui è venuto fuori questo racconto poetico e doloroso.
“Questa storia non è ‘vera’, ma è molto verosimile”, ha spiegato l’autrice. Qualche anno ha anni fa era in visita ad cugino che  vive a Manchester, New Hampshire. Il quale ha mostrato carte e foto di famiglia, fra cui una foto – del 1912 – di tre sorelle di suo nonno, sorridenti e con vestiti uguali. Due l’Arslan le conosceva, della terza il cugino dice: “Questa è Aghavnì’, la sorella scomparsa”.

La scrittrice non aveva mai saputo della sua esistenza. Ma quella foto non ha mai smesso di ritornare nei suoi pensieri e a suscitare domande, ipotesi, suggestioni, finchè, qualche mese fa, non ha deciso di rendere concrete queste idee, le figure hanno preso forme precise e ne è nato questo racconto lungo, o romanzo breve. Una storia terribile e insieme capace di infondere coraggio, così bene incarnato nello   spirito indomito delle donne armene, simboli vivente di questa capacità di resistere, nonostante la solitudine, il dolore che spacca il cuore e il corpo, finite in famiglie turche, curde, arabe, e a questi tutte viene imposto di non ricordare più nulla del loro passato, della proprie radici, della loro identità. Cancellare la memoria, era l’intento. Ma hanno saputo resistere e quella memoria non solo l’hanno conservata ma sono riuscite a tramandarla. La tragedia del genocidio del popolo armeno si intreccia con quella di tante vite spezzate come quella della perduta zia di Antonia Arslan.

Per Aghavni’  il destino si compie davanti a una piccola capanna fatta di brandelli di stoffa colorata e di statuine di metallo, per rievocare  la nascita del Bambino e la storia della salvezza per l’umanità intera. Davanti a quel presepio cresciuto di giorno in giorno, di nascosto, perché la giovane madre si trova ormai da mesi in prigionia, con tutta la famiglia, presso un villaggio nelle montagne, ridotta a fare la serva, lei che viveva come una piccola principessa, in una specie di nuvola dorata. Ora, vestita di abiti informi e vecchi, con le mani rese rosse e screpolate dai duri lavori domestici, con un fazzoletto che nasconde i capelli una volta lucidi e folti, la donna riversa nel presepio tutta la tenerezza, la gioia di vivere, le speranze che un tempo il suo cuore generava liberamente e che ora ha imparato a trattenere, a nascondere. Ma la fede, l’amore, la speranza, la volontà di rinascere sono più forti dell’odio, del rancore, del desiderio di vendetta. La vita non è un sentiero diritto e privo di ostacoli. Ad una svolta tutto può cambiare. Ma affidandosi ad un Amore più grande si può camminare anche nella valle più oscura. E cercare la luce.

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“Mosca non ci ha difesi dall’Azerbaigian”. L’Armenia denuncia e non firma (Euronews e altri 24,25 e 26.11.02)

“La Russia non ci ha difeso dalle aggressioni dell’Azerbaigian”. Contrapposta a Baku nella contesa del Nagorno-Karabak, l’Armenia ha ufficialmente protestato per il mancato sostegno russo nell’indurre una presa di posizione da parte dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva: alleanza militare, nota anche con l’acronimo di OTSC, di cui fanno parte sia Erevan che Mosca.

Schiaffo a Mosca: l’Armenia non firma la dichiarazione finale

Una posizione che ha indotto il primo ministro armeno Nikol Pashinian di firmare la dichiarazione finale del vertice dell’Organizzazione, che si è svolto nella capitale georgiana, Tbilisi. “Negli ultimi due anni – ha detto -, per almeno due volte l’Armenia, per quanto paese membro dell’OCST, è stata bersaglio di aggressioni da parte dell’Azerbaigian. È deprimente constatare che l’appartenenza a un tale organismo non abbia dissuaso l’Azerbaigian dall’intraprendere azioni aggressive contro di noi. Ed è deprimente che non abbia ancora trovato una risposta a tali aggressioni”.

Deprimente che l’OCST non abbia dissuaso l’Azerbaigian dall’intraprendere azioni aggressive contro di noi. Il suo silenzio è un avallo delle politiche di Baku

Nikol Pashinian
Primo ministro armeno

Il primo ministro armeno: “Autogol per l’OCST: screditata la sua immagine”

Timore armeno è che una mancata presa di posizione da parte dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva possa essere interpretato dall’Azerbaigian come “un avallo delle sue politiche”. Le ricadute ha poi aggiunto, sarebbero negative per la stessa immagine dell’OCST, non soltanto in Armenia, ma anche sulla scena internazionale. All’origine delle rimostranze armene, l’accusa di Erevan a Baku di aver occupato a settembre una porzione del suo territorio, in seguito a scontri che avrebbero provocato quasi trecento morti. L’Armenia aveva allora subito denunciato l’accaduto, sollecitando un sostegno militare a Mosca.

Timida la reazione di Putin. Vertice spaccato sulla guerra in Ucraina

In proposito, a Tbilisi, il presidente russo Putin si è limitato ad esprimere l’augurio che Armenia e Azerbaigian rispettino gli accordi che novembre 2020 hanno posto fine all’ultima fase del conflitto per il Nagorno-Karabakh. Al vertice i paesi membri dell’OCST – che oltre a Russia ad Armenia comprendono anche Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan – si sono mostrati divisi anche in merito alla guerra in Ucraina. Il presidente kazako Kasim-Yomart Tokayev ha sollecitato la ricerca di una soluzione pacifica e sottolineato come “ogni guerra debba concludersi con un trattato di pace”. Tra i più fedeli alleati di Mosca, quello bielorusso Alexander Lukashenko ha invece subordinato la sopravvivenza stessa dell’OCST alla vittoria russa in Ucraina.

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Putin umiliato dal premier armeno: non firma nota congiunta e non si fa fotografare vicino a lui (Fanpage)


Putin isolato dagli alleati, il presidente armeno apre la crisi: «Non ha firmato l’accordo Otsc». E in pubblico lo scansa (Leggo.it)


Vertice di Yerevan, smacco dell’Armenia a Putin: non firma la dichiarazione congiunta. Lukashenko: «Se l’Ucraina non si arrende, sarà distruzione totale» (Open)


“Putin assassino”: l’Armenia accoglie così la visita dello zar. E non firma il documento sulla sicurezza (Secolo d’Italia)


Ucraina-Russia, Putin in Armenia: manifestazioni contro guerra (Adnkronos)


Putin in Armenia e la gente scende in piazza contro la guerra in Ucraina: “Assassino” (Globalist)


Putin isolato dagli alleati, il presidente armeno apre la crisi: «Non ha firmato l’accordo Otsc». E in pubblico lo scansa (Informazione)


Il summit armeno della Csto è una doccia fredda per Vladimir Putin (Formiche.net)


Putin a Yerevan isolato anche tra i suoi alleati ex sovietici (col veto dell’Armenia) (Corriere della Sera)


Putin abbandonato da un altro alleato: il premier armeno rifiuta di farsi fotografare al suo fianco (Il Fatto Quotidiano)


Armenia-Azerbaigian: Cremlino, Russia continua a lavorare su normalizzazione relazioni (Agenzia Nova)


La Russia umiliata dall’Armenia (La Ragione.eu)


Caucaso: in Armenia Putin non è più il benvenuto (ISPI)

Rosa Linn, X Factor 2022/ La producer armena prepara uno spettacolo imperdibile (Il Sussidiario 24.11.22)

Rosa Linn special guest di X Factor 2022: spettacolo unico in vista del live show

Rosa Linn, l’artista e producer armena più famosa del momento, è pronta a sbarcare ad X Factor 2022 con uno spettacolo unico ed imperdibile. La ventiduenne, che vive in Armenia assieme alla mamma, racconta che nel suo paese natale tutto il processo organizzativo artistico è in mano all’artista stesso. Un aspetto positivo solo apparentemente “perché devi far tutto da solo, dall’organizzare concerti a trovare il pubblico… tutto senza agevolazioni e sponsor, perché non ci sono né infrastrutture né un’industria musicale. Avevo paura di non riuscirci, ma non ho voluto rinunciare al mio sogno”.

Nel corso del 2021 Rosa Linn ha pubblicato il suo primo singolo ‘King’ in collaborazione con la cantautrice multiplatino Kiiara. Il successo non è tardato ad arrivare ed infatti in breve tempo l’artista e producer armena è stata selezionata per partecipare ad Eurovision Song Contest 2022, dove si è esibita con il suo nuovo singolo “SNAP”, il pezzo che ha ottenuto il maggior numero di stream dell’intera manifestazione.

Rosa Linn sulla cresta dell’onda con numeri pazzeschi: SNAP è certificato Disco di Platino in Italia

I numeri pazzeschi di Rosa Linn sono eloquenti e spiegano sulla piega eccellente che ha preso la sua carriera nel mondo della musica. “SNAP” è certificato Disco di Platino in Italia, con mezzo miliardo di stream, ben venticinque milioni di visualizzazioni su YouTube, oltre un milione su TikTok e come se non bastasse adesso sta scalando tutte le classifiche mondiali. Non a caso il suo pezzo è il più trasmesso e condiviso in radio in Europa; Rosa Linn si è piazzata al settimo posto nella classifica FIMI/GFK dei singoli più venduti in Italia e delle canzoni più trasmessi in radio.

E ha inoltre agguantato la Top 3 della classifica italiana di Shazam, la top 5 della classifica Viral italiana ed è entrata nella graduatoria globale di Spotify, piazzandosi all’ottavo posto. E ancora, il suo nome spicca nella top 40 della classifica italiana di Spotify. Grandi aspettative, quindi, per la puntata di questa sera. Siamo certi che Rosa Linn non deluderà le attese.

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ASIA/SIRIA – Patriarcato armeno cattolico: preghiamo per invocare la fine delle operazioni militari turche nel nord-est siriano (Agenzia Fides 24.11.22)

Aleppo (Agenzia Fides) – Un invito a pregare durante il tempo di Avvento, chiedendo a Gesù Salvatore che viene di portare anche la pace e la fine di sofferenze e pericoli per le popolazioni del nord-est siriano, area da tempo sottoposta a bombardamenti e incursioni militari messe in atto in quelle regioni dalle forze armate turche contro obiettivi curdi. E’ questa la richiesta di natura spirituale rivolta in primis alle proprie comunità sparse in Medio Oriente e nel resto del mondo dal Patriarcato armeno cattolico, mentre proseguono bombardamenti aerei, attacchi con droni e colpi d’artiglieria messe in atto su input del governo turco contro le città di Hassaké e Qamishli e contro villaggi nelle province siriane di Aleppo, Raqqa, Deir ez Zor e Hassakè. Gli attacchi militari – si legge tra l’altro nell’appello alla preghiera diffuso dall’ufficio di comunicazione del Patriarcato armeno cattolico – colpiscono le infrastrutture, e in questo modo provocano il blocco della fornitura di acqua e di elettricità, ai danni delle popolazioni locali. Uno scenario di dolore e sofferenze in cui – si legge nell’appello – occorre implorare nella preghiera che il Signore aiuti il ritorno della pace per quelle terre e quelle popolazioni martoriate da interminabili situazioni di conflitto.
Le incursioni militari turche vengono giustificate con l’obiettivo di colpire combattenti curdi nel nord-est siriano, area sottratta di fatto al controllo del governo di Damasco e sottoposta alla cosiddetta Amministrazione autonoma della Siria nord-orientale, guidata di fatto dalle Forze Siriane Democratiche, (Syrian Democratic Forces-SDF), alleanza di forze e milizie a guida curda formatasi durante gli anni del conflitto siriano. A fare le spese dell’escalation militare sono stati anche soldati dell’esercito siriano e la popolazione civile dell’area. Da ultimo, a Hassaké l’attacco a una centrale di gas ha provocato un colossale incendio, con morti e feriti tra i lavoratori, mentre ii bombardamenti turchi nell’area di Deir ez Zor hanno messo in allarme anche le postazioni militari statunitensi dislocate in quella zona. Dopo un bombardamento con droni sul campo di El-Hol, decine di detenuti jihadisti legati allo Stato Islamico (Daesh) sono riusciti a fuggire.
Secondo diversi analisti, l’offensiva militare turca in tutte le aree siriani poste lungo il confine potrebbe preparare il terreno a un’invasione di terra. (GV) (Agenzia Fides 24/11/2022)

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Armenia-Italia, cooperazioni bancarie a confronto (Il Riformista 24.11.22)

Si è tenuto ieri a Roma un incontro tra una delegazione della Farm Credit Armenia (FCA), l’unica Cooperativa di Credito operante in Armenia, e l’Associazione Nazionale fra le Banche Popolari. La Farm Credit è la sola istituzione finanziaria in Armenia che basa la propria attività su principi di cooperazione internazionale che sostanzialmente differenziano l’organizzazione da altre operanti sul mercato armeno. Come ha ricordato nel corso dell’incontro il capo della delegazione Armen Gabrielyan, CEO della FCA, essa è fondata sullo slogan “La Cooperazione a beneficio di tutti”.

La mission della Farm Credit Armenia è, infatti, quella di migliorare la qualità della vita in quel paese fornendo servizi finanziari accessibili all’agricoltura, all’industria agroalimentare e alle PMI. Nel corso dell’incontro, che si è tenuto presso la sede di Assopopolari, è stato delineato il prosieguo dello sviluppo della partnership tra Banche Popolari italiane e Credito Cooperativo armeno con l’impegno reciproco di ulteriori approfondimenti e successivi incontri su aspetti tecnici da promuovere nel corso del prossimo anno. L’Associazione Nazionale fra le Banche Popolari continua con questo incontro la sua azione di promozione dei rapporti con realtà analoghe della cooperazione bancaria internazionale. Il fine è quello di sviluppare relazioni e rapporti sempre più stretti confrontando le diverse esperienze che ognuna di queste banche o associazioni ha sviluppato nei diversi ambiti geografici ed economici in cui opera. L’esigenza di mettere a fattore comune queste conoscenze che, in un mondo sempre più globale e che sta subendo profonde trasformazioni geopolitiche ad una velocità sempre più rapida, risulta essere sempre più pressante e necessaria.

Come ha ricordato il Segretario Generale di Assopopolari Giuseppe De Lucia Lumeno a commento dell’incontro: «Il legame tra le Banche Popolari e il popolo armeno è un legame antico e di lunga durata. Già negli anni Venti del secolo scorso Luigi Luzzatti, fondatore delle Banche Popolari italiane, promuoveva nel nostro paese la causa di liberazione del popolo armeno dall’oppressione sensibilizzando l’opinione pubblica e la classe politica dell’epoca. Proprio da questo attivismo nasce l’ospitalità nei confronti degli armeni nell’Italia meridionale curata dallo stesso Luzzatti. Un legame – prosegue De Lucia Lumeno – quello tra Italia ed Armenia che ancora oggi continua a essere saldo e che deve essere ulteriormente rafforzato. Questi incontri rappresentano un ulteriore tassello che può avvicinarci sempre di più a questo traguardo».

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