Si è aperta una profonda crisi diplomatica tra Baku e Parigi a seguito della risoluzione adottata dal Senato francese che condanna quella che è stata definita la “aggressione dell’Azerbaigian all’Armenia” e che richiede l’imposizione di sanzioni contro il governo azerbaigiano.
Il Senato francese ha votato con 295 voti favorevoli e 1 contrario la risoluzione che richiede al governo di imporre sanzioni all’Azerbaigian per i suoi attacchi contro l’Armenia e per l’aggressione militare contro la repubblica del Nagorno-Karabakh/Artsakh.
La risoluzione condanna anche gli attacchi che le forze militari azerbaigiane avrebbero condotto nel mese di settembre 2022 contro il territorio sovrano armeno richiedendo il completo ritiro delle truppe dell’Azerbaigian dall’Armenia. Nella risoluzione si legge la richiesta di riconoscere formalmente la repubblica del Nagorno-Karabakh/Artsakh e si sottolinea come sia fondamentale garantire lo stato del corridoio di Lachin che connette proprio il Nagorno-Karabakh con l’Armenia stessa.
Il testo della risoluzione sottolinea come il governo francese, insieme con i propri alleati europei, dovrebbe dare la risposta più ferma e adeguata ai nuovi attacchi azerbaigiani contro i territori dell’Armenia e dell’Artsakh imponendo nei confronti di Baku sanzioni, la confisca delle proprietà dei leader azeri e valutando la possibilità di vietare l’importazione del petrolio e del gas naturale dall’Azerbaigian. Il Senato ha inoltre proposto l’eventualità di aprire un ufficio nel Nagorno-Karabakh/Artsakh che si occupi delle questioni umanitarie così come favorire la cooperazione militare tra Parigi e Erevan che possa rafforzare il sistema di difesa armeno.
L’adozione della risoluzione da parte del Senato francese era stata anticipata da una serie di proteste che i rappresentanti della comunità azerbaigiana avevano organizzato al di fuori del palazzo. Di contro un gruppo di armeni del Nagorno-Karabakh/Artsakh hanno organizzato una manifestazione in supporto della risoluzione davanti all’ambasciata francese di Erevan.
La First Lady e vicepresidente dell’Azerbaigian, Mehriban Aliyeva, ha rassegnato le sue dimissioni dal ruolo di ambasciatore dell’Unesco attraverso una lettera inviata al direttore generale dell’organizzazione ed ex ministro della cultura francese Audrey Azoulay. La notizia è stata veicolata tra i media azerbaigiani sottolineando come la lettera inviata dalla Aliyeva contenga informazioni su quella che Baku considera la “politica e gli atti di vandalismo dell’Armenia contro il patrimonio culturale e i monumenti storici dell’Azerbaigian”, non facendo però menzione delle continue accuse che le organizzazioni internazionali hanno rivolto nei confronti del governo di Baku di aver condotto una politica volta a distruggere l’eredità storico-culturale armena in Nagorno-Karabakh/Artsakh.
Infatti, come si legge dalla “Mozione per una risoluzione sulla distruzione dell’eredità culturale del Nagorno-Karabakh” presentata al Parlamento europeo nel marzo 2022, nei 44 giorni di guerra del conflitto del Nagorno-Karabakh del 2020 “le forze armate azerbaigiane hanno condotto una serie di attacchi contro il patrimonio storico e culturale armeno, includendo chiese, monasteri, siti archeologici, i khachkar (tipiche croci armene di pieta) e altri vari monumenti e santuari i quali sono stati distrutti, danneggiati o vandalizzati dopo essere entrati sotto il controllo dell’Azerbaigian (…) durante la guerra e anche successivamente le forze azerbaigiane avrebbero loro stesse registrato video dei loro atti vandalici e li avrebbero diffusi ampiamente sui social media”.
I media armeni, commentando la notizia delle dimissioni di Mehriban Aliyeva, hanno invece sottolineato come la decisione di presentare le dimissioni all’Unesco siano pervenute poche ore prima che il Senato francese votasse la risoluzione e condannasse il governo azerbaigiano mettendo la First Lady nella difficile posizione di ricoprire una carica all’Unesco che potesse sollevare ulteriori polemiche a livello internazionale.
– ROMA, 16 NOV – ANTONIA ARSLAN, IL DESTINO DI AGHAVNÌ (ARES, PP.120, EURO 15) In una piccola città dell’Anatolia, una ragazza di 23 anni che si chiama Aghavnì esce di casa con il marito e i due figli piccoli, ma da quella passeggiata non faranno mai più ritorno.
Sono stati uccisi? O rapiti? Siamo nella primavera del 1915, pochi giorni prima dell’inizio del genocidio degli armeni e nell’imperversare dei terribili eventi, dopo tante ricerche, anche il loro ricordo svanisce.
A raccontarci questa storia è Antonia Arslan nel suo nuovo libro, ‘Il destino di Aghavnì’ , che esce per Ares Edizioni come strenna di Natale.
Scrittrice, traduttrice e saggista di origine armena, Arslan, autrice del bestseller ‘La Masseria delle allodole’ (2004), diventato un film dei fratelli Taviani, è stata ispirata nel raccontare il destino da Aghavnì da una vecchia fotografia di famiglia, ritrovata a casa di un cugino in America. Ha scoperto così la vicenda perduta di questa ragazza scomparsa e da qui è venuto fuori questo racconto avventuroso di dolore e coraggio, di morte e di rinascita, che culmina in uno strano Natale, in un misterioso presepio che diventa un riscatto dei cuori.
“Questa storia non è ‘vera’, ma è molto verosimile. Circa 4 anni fa ho conosciuto un mio cugino che vive a Manchester, New Hampshire. Mi ha mostrato carte e foto di famiglia, fra cui una foto – del 1912 – di 3 sorelle di mio nonno, sorridenti e con vestiti uguali. Due le conoscevo, della terza mi disse: ‘Questa è Aghavnì’, la sorella scomparsa’. Non sapevo che fosse esistita! Quella foto ha lavorato dentro di me per tutto questo tempo, finché lo scorso agosto il personaggio e la sua storia – simile a tante altre storie femminili di quei terribili anni – ha preso forza e consistenza” dice all’ANSA Arslan, vincitrice del Premio Comisso 2022.
Il coraggio e lo spirito indomito delle donne armene sono uno dei cardini su cui ruota questo romanzo breve. “Però Aghavnì non è in opposizione al mondo maschile, piuttosto attraverso di lei volevo illustrare, ancora una volta, la frattura nel mondo femminile armeno causata dall’improvvisa amputazione della sua controparte, quello maschile, tagliato via dal suo posto nel mondo e nella vita dall’irrevocabile amputazione di una morte violenta. Non a caso le donne armene vennero poi chiamate ‘i resti della spada’. E quante di loro, ormai sole, finirono in famiglie turche (o curde, o arabe…) e non si seppe più nulla” racconta Arslan.
“La situazione attuale è per l’Armenia più che difficile, è terribile. La spregiudicata politica della Turchia (non bisogna mai dimenticare la grande abilità della diplomazia turca, da 150 anni ad oggi) è vissuta dall’Unione Europea con un misto di sudditanza e di timore. Non siamo mai propositivi, rispondiamo soltanto, sempre intimiditi, quando non ignoranti dell’estrema complessità dello scacchiere caucasico”. (ANSA).
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-11-16 17:34:072022-11-16 17:34:07Il destino di Aghavnì, esce il nuovo libro di Antonia Arslan (ANSA 16.11.22)
Korazym.org/Blog dell’Editore, 16.11.2022 – Vik van Brantegem] – I funzionari dell’agitprop (termine russo, da “agitazione e propaganda”) del dittatore azero accusano con bugie e diffondono disinformazione sugli Armeni che “dissacrano le moschee nell’Artsakh”. Quando il regime di Ilham Aliyev parla di “moschee distrutte in Artsakh”, cerca di mettere il mondo musulmano in rivolta contro gli Armeni. Ecco cosa c’è da sapere sulla questione.
Rivolgendosi al Primo Forum Urbano Nazionale dell’Azerbajgian il 5 e 6 ottobre 2022 nella città di Aghdam, occupata dalle Forze Armate azere dal 20 novembre 2020 secondo l’accordo trilaterale di cessato il fuoco del 9 novembre, il Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, ha dichiarato: «Per quanto riguarda la popolazione armena che vive ancora nella regione del Karabakh di Azerbajgian, sono nostri cittadini e non discuteremo di come andiamo ora a organizzare la loro vita sul nostro territorio con nessun attore internazionale. Il Karabakh è Azerbajgian. La seconda guerra del Karabakh [la guerra dei 44 giorni dell’Azerbajgian contro l’Artsakh] lo ha dimostrato sul campo».
Inoltre, Aliyev ha confermato che l’Azerbajgian non risolve i conflitti con il dialogo e gli accordi diplomatici, ma con la forza delle armi: «Ora, quando lo stesso Azerbajgian ha ripristinato il diritto internazionale, applicato le risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU, utilizzato la Carta dell’ONU, in particolare il paragrafo che parla dell’autodifesa, e ripristinato la nostra dignità nazionale, non abbiamo bisogno di nessun’altra mediazione. Abbiamo fatto una proposta subito dopo la fine della seconda guerra del Karabakh. Nonostante tutto quello che si vede ad Aghdam e quello che chiunque può vedere nel territorio di oltre 10.000 kmq totalmente distrutto dagli Armeni, nonostante le sofferenze umane del nostro popolo, abbiamo proposto la pace all’Armenia. Abbiamo annunciato pubblicamente cinque principi fondamentali del diritto internazionale che dovrebbero essere la base per un accordo di pace, in particolare il riconoscimento reciproco dell’integrità territoriale dei Paesi, astenersi da rivendicazioni territoriali in futuro, astenersi dall’uso della forza o dalla minaccia dell’uso della forza, delimitazione dello stato frontiera e apertura delle comunicazioni. Tutti questi sono in realtà i principi base del diritto internazionale, e penso che gli accordi di pace o qualsiasi tipo di accordo tra Paesi che cercano di normalizzare le loro relazioni debbano basarsi su questo».
Di queste farneticazioni abbiamo già trattato assiduamente in passato, ma il tema che ci interessa oggi è connesso con Aghdam e in particolare con la sua moschea. Aghdam è una città del Nagorno-Karabakh a pochi chilometri dal confine con l’Azerbajgian. Fu conquistata dall’Esercito di difesa del Nagorno-Karabakh il 24 luglio 1993. La città, anche per la sua vicinanza con Stepanakert, rappresentava un obiettivo strategico, giacché da lì erano partite tutte le offensive azere ed erano stati sparati centinaia di razzi. Gli Armeni approfittarono della lotta di potere in Azerbajgian (che indusse il Colonnello azero Surat Huseynov a ritirarsi dal Nagorno-Karabakh ed a marciare verso Baku). Gli assalti cominciarono il 12 giugno e videro schierati circa seimila soldati per parte. Aghdam fu sottoposta ad un incessante bombardamento al termine del quale le truppe armene entrarono in una città ormai deserta, completamente abbandonata dalla popolazione residente e dalle truppe di difesa. Nel periodo successivo ai combattimenti, le Forze Armate armene hanno deciso di distruggere gran parte della città per prevenire la sua riconquista da parte dell’Azerbajgian. La città di fatto non esisteva più e rimaneva quasi intatta solo la Moschea del Venerdì e qualche scheletro di edificio diroccato.
La Moschea del Venerdì di Aghdam nel 2018.
L’Organizzazione per la lotta contro le accuse infondate degli Armeni (ASIMDER) di Iğdır in Turchia, in luglio 2010 ha inviato a Papa Benedetto XVI una lettera accusando gli Armeni di aver trasformato la Moschea del Venerdì di Aghdam in una stalla per mucche e un porcile. Ciononostante, gli Armeni hanno restaurato la moschea nel novembre 2010, anche se solo parzialmente. Come parte dell’accordo di cessate il fuoco trilaterale del 9 novembre 2020, che ha posto fine alla guerra dei 44 giorni nell’Artsakh, la città di Aghdam e il distretto circostante (che Azerbajgian considera territorio suo, insieme a tutto il resto del Nagorno-Karabakh e parte dell’Armenia, incluso la capitale armena Erevan) sono tornati sotto occupazione militare azera entro la data concordata del 20 novembre 2020.
Le rovine della moschea Shah Sultan Hussein di Baku.Le rovine della moschea Shah Sultan Hussein di Baku.
Poi, diamo uno sguardo allo stato in cui si trova la moschea Shah Sultan Hussein, costruita nel XVIII secolo (completata nel 1752), nel villaggio di Novkhany del distretto di Absheron in Azerbajgian, a 21 chilometri dalla capitale Baku. Nel quadro delle politiche antireligiose, questa moschea fu chiusa dalle autorità sovietiche negli anni ’30. Di conseguenza, la moschea è diventata una rovina e inutilizzabile. Totale disinteresse del regime azero.
La moschea Shah Sultan Hussein di Baku, il 30 settembre 2017.
Poi, negli ultimi anni la moschea Shah Sultan Hussein è stata trasformata dagli abitanti azeri in una discarica, disseminando rifiuti e continuano a farlo.
La moschea Shah Sultan Hussein di Baku, oggi.
Inoltre, la moschea Yukhari Govhar Agha nella città di Shushi in Artsakh, conquistata dalle Forze Armate azere alla fine della guerra dei 44 giorno, fu danneggiata il 1° novembre 2020 dai pesanti bombardamenti di razzi azeri, effettuati con lanciarazzi multipli Grad e Smerch contro Sushi e altre città dell’Artsakh, come Martuni, Martakert, diversi villaggi e anche Stepanakert, la capitale dell’Artsakh. Il Servizio statale per situazione di emergenza dell’Artsakh ha affermato che la moschea è stata deliberatamente presa di mira, ma il razzo ha colpito il muro laterale della moschea, danneggiando solo una parte del muro. Nello stesso modo fu presa di mira la cattedrale di San Salvatore Ghazanchetsots, uno dei più importanti valori culturali armeni, che con il pretesto del cosiddetto “restauro” gli Azeri stanno distorcendo.
La moschea Yukhari Govhar Agha di Sushi nel 1921.
Il nome della moschea Yukhari Govhar Agha (Alta Govhar Agha) è riferito all’ubicazione nella parte alta della città di Shushi e per distinguerla dalla moschea Ashaghi Govhar Agha (Bassa Govhar Agha), l’omonima moschea situata nella parte bassa della città. Entrambe le moschee sono considerate simboli di Shushi e capolavori dell’architettura orientale.
La moschea Yukhari Govhar Agha si trova sulla piazza principale di Shushi e costituisce una parte importante del complesso architettonico che comprende madrasa, negozi e case costruite dallo stesso architetto. Secondo lo storico e autore Mirza Jamal Karabakhi, la costruzione della moschea fu iniziata su ordine di Ibrahim Khalil Khan nel 1768 ma fu interrotta per molto tempo. La costruzione fu poi riavviata e completata nel 1883-1885 dall’architetto Karbalayi Safikhan Karabakhi su ordine di Govhar Agha, figlia di Ibrahim Khalil Khan.
La moschea Yukhari Govhar Agha prima della battaglia di Sushi nel 1992.
In epoca sovietica la moschea Yukhari Govhar Agha fu chiusa e utilizzata come museo, ma riaperta come moschea nel 1988. Dopo la liberazione di Shushi da parte delle Forze Armate armeni nel 1992, la moschea smise di funzionare. A seguito di un piccolo restauro nel 2008-2009, per la riparazione del tetto, i funzionari del Ministero dell’Economia del Nagorno-Karabakh hanno ordinato un progetto di restauro, assumendo esperti iraniani per eseguire i lavori, che di seguito sono stati completati prima della guerra dei 44 giorni.
La moschea Ashaghi Govhar Agha su un francobollo dell’Azerbajgian del 1997.
I funzionari azeri hanno espresso la loro insoddisfazione per il progetto di restauro. Il Vicepresidente del Comitato statale per il lavoro con le organizzazioni religiose dell’Azerbajgian, Gunduz Ismayilov, affermò che “l’intenzione dell’Armenia di restaurare la storica moschea azera a Shusha è un tentativo di coprire il vandalismo contro i monumenti culturale-religiosi azeri nei territori occupati”. Il leader islamico dell’Azerbajgian e Gran Mutfi del Caucaso, Allahshukur Hummat Pashazade, ha affermato che c’erano intenzioni provocatorie dietro gli sforzi per ripristinare la moschea. Ha inoltre espresso l’intenzione di affrontare la questione con Sua Santità Karekin II, Catholicos di tutti gli armeni durante il 2° Summit dei leader religiosi mondiali a Baku che si è svolto il 14 e 15 novembre 2019 a Baku.
Il Governo della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh si affrettò a sottolineare, che ha continuamente intrapreso sforzi per restaurare e preservare tutti i monumenti storici. “Le persone in Armenia e nel Nagorno-Karabakh (Artsakh) si sentono sempre impegnate a preservare e restaurare i monumenti storici indipendentemente dalla loro origine etnica o religiosa”, ha detto David Babayan, Portavoce del Presidente del Nagorno-Karabakh [attualmente Ministro degli Esteri della Repubblica di Artsakh/ Nagorno-Karabakh], commentando la dichiarazione di Pashazadeh. “Stiamo rinnovando un monumento architettonico, che non ha assolutamente nulla a che vedere con provocazioni o cose del genere. Non siamo come loro [gli Azeri] che vandalizzano i khachkar armeni a Julfa”, ha detto Babayan.
Babayan ha detto che applaudirà il vertice religioso “se contribuirà davvero alla pace. Ma nel caso in cui [il leader religioso azero] dispieghi richieste per la restituzione del 20% dei territori, sarà solo un altro incontro”, ha aggiunto. Ammettendo che il conflitto del Nagorno-Karabakh non ha una base religioso, Babayan ha affermato di ritenere tuttavia che possa influenzare i sentimenti pubblici, dissipando la tensione esistente e l’armenofobia in Azerbajgian. “La nostra società non si sta guidando secondo approcci fascisti e nazisti. L’idea stessa di rinnovare la moschea testimonia che qui c’è un’atmosfera tollerante”, ha concluso.
L’inaugurazione dopo i lavori di restauro della moschea Ashaghi Govhar Agha di Sushi, 14 ottobre 2019.
Sostenendo l’iniziativa del Governo dell’Artsakh, la Fondazione Iniziativa per lo Sviluppo di Armenia (IDeA) ha avviato il restauro nel 2014, con il sostegno di donazioni private, con notevoli contributi della Fondazione Ripristino del Patrimonio Storico Orientale dell’uomo d’affari russo-armeno Ruben Vardanyan e dell’uomo d’affari kazako Kairat Boranbayev. La moschea Yukhari Govhar Agha, la vicina madrasa e il parco sono stati formalmente aperti per essere utilizzati come Centro Culturale Armeno-Iraniano, con una solenne cerimonia il 14 ottobre 2019, alla presenza del Presidente della Repubblica di Artsakh, Bako Sahakyan; del Presidente del Parlamento di Artsakh, Ashot Ghulyan; e di altri funzionari governativi.
Il Ministro della Cultura, degli Affari giovanili e del Turismo dell’Artsakh, Lernik Hovhannisyan, ha detto nel suo discorso che ancora un altro monumento è stato restaurato in Artsakh, il cui scopo è quello di fornire diversità culturale. “I nostri monasteri e chiese sono in fase di restauro nella Repubblica islamica dell’Iran. Anche i monumenti della cultura iraniana che si trovano nel territorio dell’Artsakh, in particolare a Shushi, hanno ricevuto la nostra attenzione perché l’amicizia armeno-iraniana ha radici profonde. La moschea funzionerà come un centro culturale scientifico armeno-iraniano. Questo complesso contribuirà al rafforzamento dei legami armeno-iraniani”, ha affermato Hovhannisyan.
Il Ministro dell’Istruzione, della Scienza, della Cultura e dello Sport dell’Armenia, Arayik Harutyunyan [attualmente Presidente della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh] ha sottolineato l’importanza del centro per lo studio della cultura islamica. Ha detto che il Ministero sta portando avanti un’iniziativa volta a inventariare le presenze esistenti della cultura sciita in Armenia, per essere esposte sul terreno della moschea di Shushi.
Suren Amirbekyan, Capo del programma di sviluppo IDeA Artsakh, ha ringraziato il Governo dell’Artsakh e i filantropi le cui forze congiunte hanno reso il progetto un successo. “Il restauro della moschea è significativo: è un modo per rendere omaggio a un’altra cultura. Spero che questo diventi un sito turistico. Permettetemi di informarvi che abbiamo un gran numero di turisti che aspettano con impazienza di vedere la moschea iraniana in Artsakh”, ha detto.
Il co-fondatore di IDeA, Ruben Vardanyan, ha detto di essere molto felice e grato a tutti coloro che sono stati coinvolti nel progetto. “L’idea di realizzare questo progetto è nata quando abbiamo visitato Shushi con degli amici. Shushi è l’importante centro culturale dell’Artsakh che deve essere preservato e sviluppato. Dobbiamo preservare ciò che abbiamo e rispettare la nostra storia. Se vogliamo che altri Paesi preservino la nostra cultura, dobbiamo preservare anche la loro. La nostra fondazione sta lavorando per preservare i valori e la cultura armena in tutto il mondo”, ha detto.
L’Arcivescovo Pargev Martirosyan, Primate della Diocesi di Artsakh della Chiesa Apostolica Armena, ha detto di apprezzare molto il restauro della moschea iraniana di Shushi. “Il 9 maggio 1992 dissi che nessuno doveva toccare le moschee di Shushi e Akna [Aghdam, di cui abbiamo parlato prima]. Questa è parte integrante della nostra storia e stiamo affrontando la nostra storia con amore, a differenza delle altre due nazioni vicine che stanno cancellando le tracce di altra religione o cultura. Questa moschea è un monumento culturale religioso che il popolo amico iraniano ha costruito. Stanno preservando e restaurando i nostri monasteri, e noi dobbiamo fare lo stesso. Non siamo una nazione che sta abbattendo monumenti”, ha detto.
La moschea Yukhari Govhar Agha di Sushi.
Nel mese di febbraio 2015, mentre i lavori di restaurazione erano in corso, il Capo del Dipartimento per le Minoranze Etniche e gli Affari Religiosi dell’Artsakh, Ashot Sargsyan, ha risposto alle dichiarazioni del Presidente del Comitato di Stato per gli Affari Religiosu dell’Azerbajgian, Mubariz Qurbanli, che gli Armeni hanno distrutto numerosi monumenti musulmani, ebraiche, cristiani e afghani nei “territori occupati”.
“Tutti i monumenti in Artsakh sono stati protetti, indipendentemente dalla loro origine o affiliazione religiosa”, ha detto Sargsyan. “A differenza dell’Azerbajgian, preserviamo e ricostruiamo le antichità, non le distruggiamo. Le moschee di Shushi e Aghdam (Akna) rimangono ancora ottimi esempi. Sono valori culturali e spirituali musulmani e li rispettiamo. Altrimenti, perché queste moschee esistono ancora?”.
Sargsyan ha ricordato che nel luglio 2009, con la mediazione russa, una delegazione azera composta dai membri del parlamento Asim Mollazade e Rovshan Rzayev, con giornalisti, intellettuali e l’Ambasciatore azero in Russia, Polad Bulbul Oglu, ha visitato Shushi e ha visto, in prima persona, la moschea iraniana della città e il cimitero. “Bulbul Oglu ha anche visitato la casa di suo padre a Shushi, ed è rimasto colpito dal modo in cui è stata preservata”, ha osservato Sargsyan, aggiungendo che gli Armeni dell’Artsakh hanno vissuto pacificamente fianco a fianco con Russi, Greci, Ebrei, Azeri, Georgiani, Iraniani e appartenenti ad altre nazioni. Ma oggi solo le comunità russe e greche sono ufficialmente registrate come comunità organizzate nel Paese.
“A proposito, vorrei soffermarmi su un altro fatto importante: nel bel mezzo della guerra dell’Artsakh, nel 1992, il Consiglio Supremo ha adottato una legge secondo la quale le minoranze etniche dell’Artsakh non solo potevano evitare il servizio militare, ma anche se lo volevano, lo Stato gli avrebbe fornito il trasporto per il loro trasferimento sicuro a Yerevan. Nel frattempo, la parte azera stava inviando rappresentanti delle minoranze etniche del suo Paese per prendere parte alle operazioni militari, e ci sono molti fatti comprovati a riguardo”, ha sottolineato.
Sargsyan ha osservato che non era la prima volta che l’Azerbajgian fece una dichiarazione così assurda. “In Artsakh sia i monumenti musulmani che quelli cristiani sono protetti allo stesso modo. Se uno lo desidera, può vedere con i suoi occhi che la parte azera diffonde calunnie”, ha detto Sargsyan. Ha anche chiarito che non ci sono monumenti ebraici in Artsakh perché lì non c’era una comunità ebraica. Per quanto riguarda i monumenti afgani, Sargsyan ha detto che gli Azeri distorcono i fatti e certamente per “afghani” intendono antichi monumenti armeni. “Sin dai tempi sovietici gli Azeri hanno presentato tutti i monumenti storici armeni in Artsakh come afghani”, per contestare il fatto che l’Artsakh faccia parte della patria armena, ha detto Sargsyan. “E questa assurdità è stata eseguita in modo così analfabeta, che ad esempio 200 iscrizioni armene sui muri del monastero di Gandzasar sono state interpretate come afghane”, ha detto Sargsyan, aggiungendo che anche i khachkar ad Akna [Aghdam] con iscrizioni e ornamenti erano tradotto dagli Azeri come “Khashdasher”, considerandoli come monumenti azeri.
Il Presidente dell’Azerbajgian dichiara Shushi capitale storica dell’Azerbajgian. “Premio di guerra e simbolo di vittoria”. Così Ilham Aliyev, il Presidente dell’Azerbajgian ha definito il 15 gennaio 2021, nel corso della sua visita con la sua moglie Mehriban Aliyeva, Primo Vicepresidente dell’Azerbajgian, la Cattedrale armena apostolica del Santo Salvatore Ghazanchetsots a Shushi. Le foto ufficiali diffuse dai media azeri non mostrano gli squarci causati dalle bombe azere dell’8 ottobre 2020. La pace è ancora lontana. E le chiese armene nell’Artsakh/ Nagorno-Karabakh sempre più in pericolo.
Recentemente [il 15 gennaio 2021], mentre si trovava a Shushi, il Presidente dell’Azerbajgian, il capo falsario del Paese, Ilham Aliyev, per ordine del quale si sono diffuse in passato false voci secondo cui gli Armeni avrebbero distrutto i monumenti culturali dell’Azerbajgian, fermandosi in una delle moschee locali, come una volta accusava pubblicamente gli Armeni di aver distrutto 64 delle 67 moschee nel Nagorno-Karabakh. La notizia, che non ha assolutamente nulla a che vedere con la realtà, è apparsa su pubblicazioni che diffondono la falsa propaganda degli Azeri.
Alla luce di quanto sopra, dobbiamo rispondere al bugiardo che capovolge la realtà, basandosi solo sui fatti reali. Così, nel territorio dello stesso Nagorno-Karabakh o della ex regione autonoma, che comprendeva cinque regioni: Hadrut, Martuni, Askeran, Martakert e Shushi, vi sono moschee e madrase solo nella città di Shushi (14) e nel vicino villaggio di Malibeklu (1). In totale 15 dunque. Questo fatto è stato registrato nel 1988 dal Governo della Repubblica di Azerbaigian, nell’elenco dei monumenti culturali di “storia protetta” approvato con decisione n. 145 del 27 aprile 1988.
Per quanto riguarda le moschee nelle vicinanze del Nagorno-Karabakh, il loro numero raggiunge le 12, che sono così distribuite: regione di Kashatagh (Lachin) (1), regione di Kashunik (Kubatlu) (2), regione di Kovsakan (Zangelan) (1), Regione di Jabrail (1), regione di Fizuli (2), regione di Akna (Aghdam) (6, una delle quali è una moschea convertita).
Prestiamo attenzione, senza perdere un colpo: nei circa 2000 chilometri quadrati di Karvachar (Kyalbajar) consegnati ad Aliyev, non c’è nessuna moschea. E questo mentre ci sono circa 30 monasteri e chiese in quella regione.
Quindi, in totale, ci sono 27 moschee intorno al Nagorno-Karabakh.
Sorge una domanda.
Da dove vengono le suddette 67 moschee? E anche se a queste 27 aggiungiamo il numero di moschee nel territorio della Repubblica autonoma di Nakhichevan, che sono considerate moschee e registrate dalla suddetta decisione del governo dell’Azerbajgian e prese sotto protezione statale, otterremo solo 51 moschee. Forse Aliyev intendeva anche le moschee delle regioni al di fuori del territorio della Repubblica del Nagorno-Karabakh?
In ogni caso, la bugia rimane una bugia. Ingannando o manipolando, infatti, si tenta ad alto livello statale [azero] di fuorviare la comunità internazionale, giustificando il vandalismo dei monumenti storici e culturali armeni, sia in passato che in tempi recenti.
Per quanto riguarda la conservazione delle moschee, va notato che non sono in condizioni molto peggiori delle chiese armene. Per quanto riguarda le moschee semidistrutte o danneggiate, possiamo chiaramente dire che [le loro condizioni] non hanno nulla a che fare con la guerra in corso, sono il risultato della guerra precedente. Durante quel periodo, molti monumenti, chiese, monasteri, ecc. armeni furono distrutti e danneggiati. Indipendentemente dalla nazionalità nella Repubblica di Artsakh, insieme ai monumenti armeni, i monumenti musulmani furono registrati e certificati, comprese moschee, mausolei e cimiteri. Lo Stato ha fatto del suo meglio per pulirli e migliorarli e la moschea Yukhari Govhar Agha nella città di Shushi è stata restaurata.
Sì, Artsakh ha fatto del suo meglio per migliorare la protezione dei monumenti musulmani restaurando la suddetta moschea a Shushi, e lei, Signor Aggressore, ha deliberatamente fatto saltare in aria e demolito le due chiese armene in quella città attraverso i suoi vandali [QUI]. Sì, la politica anti-armena e la discriminazione etnica non sono mai state nuove nella tua repubblica fittizia. Questo è stato il caso in passato, ad esempio, in epoca sovietica, quando nel tentativo di eliminare la traccia armena, le iscrizioni armene sono state cancellate da un certo numero di monumenti culturali armeni, tutto ciò che è armeno è stato deliberatamente escluso dall’elenco dei beni di stato – monumenti protetti.
Ad esempio, nell’elenco dei monumenti culturali di “storia sotto protezione statale” approvato con decisione n. 145 del 27 aprile 1988 della Repubblica di Azerbajgian, solo 282 monumenti armeni sono sotto protezione statale nel Nagorno-Karabakh: 10 nella regione di Askeran ( invece di 1.018), 44 nella regione di Hadrut (invece di 368), 29 nella regione di Martakert (invece di 1.647), 16 nella regione di Martuni (invece di 281), 183 nella regione di Shushi ( invece di 576), di cui solo 10 monumenti sono considerati armeni.
Inoltre, i complessi monastici armeni e le chiese medievali sono presentati come “templi albanesi”.
Per l’informazione dei falsari o di coloro che riempiono il mulino della falsa propaganda azera, riteniamo necessario informare che, infatti, 3.890 monumenti, di cui 241 monasteri e chiese, sono registrati e certificati nelle regioni menzionate. La discriminazione è anche nell’elenco di altre regioni adiacenti all’ex Regione autonoma del Nagorno-Karabakh, dove non ci sono affatto registrati monumenti armeni.
E questo mentre solo nelle regioni di Qarvachar e Lachin-Qashatagh il loro numero raggiunge i 741, di cui 53 tra monasteri e chiese.
Dopo tutto questo, vale la pena ricordare ancora una volta al Signor Aliyev perché la gente dell’Artsakh non vuole vivere in Azerbaigian, non intendendo di cadere una volta nel fango?
– L’Armenia deplora i cosiddetti “lavori di restauro” alla cattedrale Ghazanchetsots di Sushi nell’Artsakh occupato dall’Azerbajgian – 4 maggio 2021
Gli Azeri continuano indisturbati il genocidio culturale nei territori della Repubblica di Artsakh, che hanno occupato con la guerra di aggressione nell’autunno del 2020. Oggi arriva la notizia da Shushi, nella parte della Repubblica di Artsakh occupata dall’esercito dell’Azerbajgian, che gli Azeri hanno cominciato a cambiare l’aspetto della Cattedrale del Santo Salvatore Ghazanchetsots, livellando cupola e rimuovendo croci e angeli, mentre nel frattempo fanno sparire le prove delle destruzioni durante la guerra.
– Azerbajgian ha rasato al suolo storiche chiese armene a Sushi e a Mekhakavan nell’Artsakh occupato con la guerra di aggressione del 2020 – 28 marzo 2021
Le autorità armene hanno più volte avvertito la comunità internazionale di agire e prevenire la politica azera di sradicare l’eredità culturale e spirituale armena nel Nagorno Karabakh. Non si tratta, purtroppo, di casi isolati dopo la guerra di aggressione azero-turca dello scorso anno, che si è concluso con l’accordo di cessato il fuoco del 9 novembre 2020, molto doloroso per l’Armenia, che ha permesso l’esercito dell’Azerbajgian ad occupare buona parte della piccola Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh. Nella Regione di Hadrut, dopo aver distrutto una storica testimonianza armena cristiana nella città occupata di Shushi, la piccola chiesa di Surb Hovhannes Mkrtich (San Giovanni Battista) o Kanach Zham, l’esercito dell’Azerbajgian ha rasato al suolo anche la piccola chiesa di Zoravor Surp Astvatsatsin (Potente Santa Madre di Dio) a Mekhakavan, come ha documentato la BBC.
Foto di copertina: la moschea Yukhari Govhar Agha di Sushi, nella Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh occupata dall’Azerbajgian.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-11-16 17:22:202022-11-16 17:22:20Le bugie e la disinformazione del regime di Aliyev che accusa gli Armeni di distruggere le moschee in Artsakh (Korazym 16.11.22)
In una recente intervista, riportata dalla radio virtuale Movin92.5, la rappresentate armena all’Eurovision Song Contest 2022 Rosa Linn, ha dichiarato di come il successo mondiale di Snap le faccia ovviamente piacere, ma che non riesce a goderselo appieno come avrebbe voluto.
Nel conflitto militare tra Armenia e Azerbaigian infatti, è coinvolto suo fratello, e molti ragazzi di appena 18 anni, che, alla loro prima esperienza militare si vedono già mandati sul fronte a combattere. Tra un concerto e l’altro, il suo pensiero è sempre rivolto lì, e questo non le permette di godersi l’enorme risonanza che Snap ha avuto dopo l’Eurovision.
Non c’è giorno che non capiti di ascoltare Snap in rotazione su tutte le radio italiane. Che sia la versione originale o quella italiana prodotta in collaborazione con Alfa poco conta. Trascinatore del successo del brano anche la risonanza data dal social network TikTok, dove il brano è diventato virale subito dopo l’Eurovision dello scorso maggio. Un’operazione di marketing davvero eccellente da parte di Rosa Linn e dell’etichetta discografica dell’artista armena.
“Snap”, un successo che va oltre la popolarità personale
Tuttavia per Rosa Linn questo successo è un’ottima occasione per urlare al mondo di come l’umanità stia attraversando un momento di enorme crisi. Umanità intesa come amore, uguaglianza, serenità e pacifica convivenza. Il conflitto tra Armenia ed Azerbaigian, la crisi ucraina, la rivolta in Iran, sono solo alcuni esempi di questa deriva. E questa non è politica, ma si tratta semplicemente di umanità. Rosa Linn vuole usare la sua popolarità come cassa di risonanza e porre un focus su queste problematiche che stanno attanagliando la nostra società.
Sarebbe bello se un giorno tutto il male del mondo finisse con un semplice schiocco di dita, in uno… SNAP!
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-11-15 17:29:492022-11-16 17:30:48Armenia: “Snap” è un successo che Rosa Linn non riesce a godersi (Eurovision 15.11.22)
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 15.11.2022 – Vik van Brantegem] –Le Forze Armate azere sparano ancora contro il territorio sovrano dell’Armenia – Il 14 novembre, alle ore 20.00, unità delle Forze Armate azere hanno aperto il fuoco con armi da fuoco di diverso calibro in direzione delle posizioni di difesa armene nella parte orientale della zona di confine armeno-azera, il Ministero della Difesa armeno ha comunicato. Nessuna vittima è stata segnalata dalla parte armena. A partire dalle ore 22.00, la situazione nella zona di confine tra Armeno e Azerbajgian era tornata relativamente stabile, ha affermato il Ministero della Difesa armeno.
Il Presidente dell’Azerbajgian terrorizza la popolazione civile armena – Il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, ha accusato il Presidente dell’Azerbaigian di terrorizzare la popolazione civile armena. “Il Presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, vestito in uniforme militare e in un’udienza militare, nel suo discorso minaccioso e aggressivo dell’8 novembre scorso ha annunciato che Sisian, Goris [QUI], Kapan e altre città armene sono nel loro campo visivo e che l’Armenia capisce cosa significa. È un palese atto per terrorizzare la popolazione civile”, ha dichiarato Pashinyan in un post ieri su Twitter.
Il discorso dell’8 novembre 2022 a Shushi del “vittorioso Comandante in capo delle forze armate Ilham Aliyev” (AZARTAC).
Come abbiamo riferito [QUI], nel discorso che ha tenuto l’8 novembre scorso a Shushi, un giorno prima del secondo anniversario della fine della seconda guerra del Nagorno-Karabakh – a cui hanno partecipato “il vittorioso Comandante in capo delle forze armate Ilham Aliyev, la sua moglie Mehriban Aliyeva e il loro figlio Heydar Aliyev”, come ha riferito l’agenzia di stampa statale dell’Azerbajgian AZERTAC – il Presidente dell’Azerbajgian ha ammesso chiaramente che il suo Paese ha iniziato la guerra, nonostante in precedenza avesse insistito sul contrario. Alla cerimonia in occasione del “Giorno della Vittoria” hanno partecipato le élite del regime dell’Azerbajgian, soprattutto delle Forze Armate azere. Aliyev ha dichiarato:
«Il Karabakh è la nostra terra. Le forze di pace russe sono di stanza lì temporaneamente, la dichiarazione del 10 novembre 2020 specifica il loro mandato e, se fanno affidamento su qualcuno, dovranno affrontare un’altra tragedia. Dopo l’operazione del 13-14 settembre, le forze armate dell’Azerbajgian sono di stanza ad alture strategiche chiave in direzione del confine tra Azerbajgian e Armenia. L’Armenia dovrebbe capire cosa significa. Ora possiamo vedere le città di Garakilsa [Sisian in armeno], Gafan [Kapan in armeno], Gorus [Goris in armeno] e Istisu [Jermuk in armeno] da quelle alture strategiche. Siamo sulle rive del lago Piccolo Goycha. Anche il lago Grande Goycha [Goycha è il nome turco per il lago Sevan] è alla nostra vista. Tutte queste sono realtà. Abbiamo creato queste realtà dopo la Guerra Patriottica» [9 novembre 2020-2022. Due anni fa terminava la guerra scatenata dall’Azerbajgian contro l’Artsakh, dopo 44 giorni di bombardamenti, combattimenti e distruzioni – 10 novembre 2022].
Il Ministro degli esteri armeno ha informato gli inviati dell’Unione Europea sulle conseguenze dell’aggressione dell’Azerbajgian – Il Ministro degli Esteri armeno, Ararat Mirzoyan, ha ricevuto la delegazione degli inviati speciali dell’Unione Europea e degli Stati membri dell’Unione Europea per le questioni del partenariato orientale. Mirzoyan ha presentato le riforme attuate dal governo armeno in vari campi, i passi compiuti verso la promozione della democrazia e dei diritti umani e il rafforzamento dello stato di diritto. Sono state discusse questioni relative all’agenda bilaterale Armenia-Unione Europea e al processo di attuazione dell’accordo di partenariato globale e rafforzato Armenia-Unione Europea. Lodando il dialogo politico ad alto livello con l’Unione Europea, basato su valori comuni, Mirzoyan ha sottolineato lo sviluppo della cooperazione multisettoriale con l’Unione Europea con passi continui e attivi, anche nel quadro del partenariato orientale. Le parti hanno proceduto a uno scambio di opinioni sull’attività e sul significato della missione di monitoraggio dell’Unione Europea in Armenia. Mirzoyan ha presentato agli interlocutori le conseguenze dell’aggressione azera del 13-14 settembre scorso, riferito alla posizione della parte armena in merito alla sistemazione dei rapporti tra Armenia e Azerbajgian e per la risoluzione della questione del Nagorno-Karabakh. Mirzoyan ha sottolineato che l’instaurazione della stabilità e della pace nella regione continua ad essere ostacolata dagli approcci estremisti dell’Azerbajgian. Sono stati inoltre discussi gli sviluppi della demarcazione delle frontiere e dei processi di sicurezza delle frontiere, lo sblocco dei collegamenti economici regionali e le infrastrutture di trasporto.
La famiglia Shahnazaryan a Karmir Shuka in Artsakh ha ottenuto una casa nuova – Il veterano della guerra dei 44 giorni del 2020, Artak Shahnazaryan, e la sua famiglia il 14 novembre hanno ricevuto le chiavi della loro casa ricostruita a Karmir Shuka. “La Fondazione Tufenkian è felice di fare la sua piccola parte per la gente dell’Artsakh e vedere i sorrisi sui volti delle persone, giovani e meno giovani, ne vale la pena”, ha detto il Direttore delle pubbliche relazioni della Fondazione, Rupen Janbazian. Artak era stato ferito mentre combatteva nella guerra di aggressione dell’Azerbajgian del 2020. È stato colpito in un attacco di droni da schegge alle gambe e ha subito lesioni alla parte superiore del corpo. Anche la casa dei Shahnazaryan ha subito danni da schegge durante la guerra. Artak e sua moglie Narine hanno cinque figli: Valerik, 16 anni; Arturo, 15; Anna, 7 anni; Avet, 5; e Astghik, un anno e otto mesi. Anche la madre di Narine vive nella casa di famiglia. Nei lavori di ristrutturazione sono stati aggiunti un bagno due camere da letto. Anche la cucina della casa e le stanze esistenti sono state rinnovate e le finestre di tutta la proprietà sono state sostituite.
Alla cerimonia del 14 novembre hanno partecipato la famiglia Shahnazaryan; il Sindaco di Karmir Shuka, Narek Atayan; il Consigliere del Ministro di Stato dell’Artsakh e Coordinatore della pianificazione strategica per l’assistenza umanitaria, Hagop Ipdjian; i rappresentanti degli uffici di Stepanakert e Yerevan della Fondazione Tufenkian e altri dignitari. Nel suo discorso, Janbazian ha ringraziato il team di costruzione, il sindaco e l’amministrazione di Karmir Shuka, nonché tutti i donatori e i sostenitori che hanno reso possibile la ricostruzione della casa dei Shahnazaryan.
La Fondazione Tufenkian ha sostenuto fattivamente i soldati feriti e le loro famiglie nella guerra dell’aprile 2016. Concentrandosi su alloggi accessibili, Tufenkian ha aiutato i veterani disabili durante la prima guerra dell’Artsakh nei primi anni ’90, la guerra del 2016, i feriti durante altri attacchi lungo la linea di contatto nel corso degli anni e, più recentemente, durante la guerra del 2020.
“Oggi è un giorno speciale per la famiglia Shahnazaryan, un giorno di felicità”, ha detto Artak Shahnazaryan nel suo brindisi, circondato dalla sua famiglia. “Ringraziamo la Fondazione Tufenkian, i donatori e tutti coloro che hanno reso tutto questo una realtà per la mia famiglia. Questi possono essere tempi difficili per la nostra gente, ma ci sentiamo forti essendo qui sulla nostra terra e nella nostra casa.
Il Ministro di Stato dell’Artsakh ha ricevuto il Capo Missione del CICR – Il Ministro di Stato dell’Artsakh, Ruben Vardanyan, ha ricevuto la delegazione della Missione del Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) nel Nagorno-Karabakh guidata dal Capo Missione, Nicolas Fleury. Vardanyan ha evidenziato l’importante attività della Missione del CICR in Artsakh, soprattutto nel dopoguerra, sia in termini di attività umanitarie che di vari programmi di assistenza alla popolazione. Nicolas Fleury ha presentato informazioni sulle attività passate e in corso, nonché sui programmi di assistenza socio-economica per i gruppi vulnerabili della società. Sono state discusse le questioni relative alla garanzia della continuazione della cooperazione e dei programmi futuri. Vardanyan ha attirato l’attenzione degli ospiti sull’ultimo incidente registrato nel villaggio di Khramort nella regione di Askeran, quando sono stati sparati colpi di arma da fuoco dalle postazioni di combattimento azere contro un civile che stava conducendo lavori agricoli [QUI]. Le parti hanno sottolineato la necessità di garantire la sicurezza di tutti i gruppi della popolazione. “Circa 30.000 bambini vivono in Artsakh, siamo obbligati a garantire la loro sicurezza e un’infanzia serena”, ha affermato il Ministro di Stato.
La politica degli Stati Uniti dovrebbe allinearsi con la sopravvivenza dell’Artsakh e la sicurezza dell’Armenia – Il 16 novembre prossimo si svolgerà alle ore 10.00 al Senato degli USA l’audizione della commissione per le relazioni estere in riferimento alla regione del Caucaso, che sarà trasmessa in diretta streaming. Secondo la testimonianza presentata dall’Armenian National Committee of America (ANCA) per l’audizione, la politica degli Stati Uniti nei confronti del Caucaso dovrebbe rafforzare la sicurezza dell’Armenia e dell’Artsakh contro le minacce provenienti dall’Azerbaigian e dalla Turchia. La testimonianza dell’ANCA, presentata dal Direttore degli Affari Governativi, Tereza Yerimyan, sottolineato che “la politica statunitense nei confronti dell’Armenia deve allinearsi con la sicurezza e la sopravvivenza dell’Armenia e dell’Artsakh di fronte alle minacce esistenziali regionali, mentre la politica degli Stati Uniti in riferimento all’Azerbaigian dovrebbe dare la priorità alla responsabilità per i suoi crimini passati e in corso. La nostra attuale politica statunitense profondamente imperfetta nel Caucaso offre lezioni sulla democrazia all’Armenia democratica, invia aiuti militari finanziati dai contribuenti statunitensi all’Azerbajgian dittatoriale e non fornisce alcuna assistenza all’Artsakh a rischio. Questo deve cambiare.
Nella testimonianza dell’ANCA [QUI] vengono affronta le seguenti priorità politiche del Comitato:
Piena applicazione delle restrizioni della Sezione 907 sugli aiuti statunitensi all’Azerbajgian.
Non meno di 50 milioni di dollari in aiuti umanitari diretti degli Stati Uniti all’Artsakh.
Inchieste ufficiali sulle violazioni delle esportazioni di armi relative ai droni turchi.
Controllo rigoroso delle nomine degli Ambasciatori in Armenia e in Azerbajgian.
Pressione degli Stati Uniti sulla Turchia affinché smetta di ostacolare la giustizia per il genocidio armeno.
Indagini sui crimini di guerra dell’Azerbajgian, compreso l’uso di munizioni proibite, il reclutamento di mercenari stranieri, la profanazione culturale e religiosa e la detenzione illegale, l’abuso e l’assassinio di prigionieri di guerra armeni.
“Il regime di Aliyev, ricco di petrolio, deve essere ritenuto responsabile, attraverso l’immediata cessazione degli aiuti militari statunitensi e le indagini sulle sue invasioni, atrocità e crimini di guerra”, ha affermato Yerimyan. “Queste azioni devono essere accompagnate da un sostanzioso pacchetto di aiuti per soddisfare le urgenti esigenze umanitarie e di sviluppo nell’Artsakh. In termini di legami bilaterali USA-Armenia, cerchiamo un cambio di paradigma nelle relazioni che dia priorità alla sicurezza e alla sopravvivenza dell’Armenia e dell’Artsakh di fronte alle minacce esistenziali regionali”.
I testimoni che hanno offerto la testimonianza all’audizione della commissione per le relazioni estere del Senato includono Karen Donfried, Assistente del Segretario di Stato per gli affari europei ed eurasiatici, e Philip Reeker, Consigliere senior del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti per i negoziati sul Caucaso. L’ANCA ha condiviso con i membri della commissione per le relazioni estere del Senato una serie di approfondite domande, chiedendo chiarimenti sulle politiche del Governo Biden su una serie di preoccupazioni armeno-americane.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-11-15 17:28:292022-11-16 17:29:26Le Forze Armate dell’Azerbajgian continuano a terrorizzare la popolazione civile in Armenia e Artsakh (Korazym 15.11.22)
«In Aghavnì ho rappresentato le moltissime ragazze, giovani donne, donne sposate con figli, che sono state rapite e inserite in famiglie turche, curde, e anche arabe». Donne che hanno accettato il loro destino di essere state strappate alla famiglia nel corso di un genocidio come quello subito dagli armeni nel 1915. Quale sia stato Il destino di Aghavnì (Ares, pagine 114, euro 15,00, in uscita oggi), titolo dell’ultima fatica letteraria di Antonia Arslan, non è noto al lettore e non lo sa neppure l’autrice che, venuta a conoscenza cinque anni fa dell’esistenza di un altro membro della famiglia Arslanian, ha voluto aggiungere con questa storia un rivolo al grande fiume del pluripremiato La masseria delle allodole e del seguito La strada per Smirne. Luoghi e nomi sullo sfondo della narrazione sono gli stessi della Masseria. Ma stavolta Arslan ha dovuto lavorare su poco e niente. Si è imbattuta, infatti, in Aghavnì per la prima volta nel 2017, quando un cugino del New Hampshire, che l’ha rintracciata dopo il successo internazionale della Masseria, le mostrò una foto con tre ragazze vestite uguali, stessa stoffa, stessa foggia dell’abito, ma con minime differenze: un collettino, una cintura. Erano le sorelle del nonno della scrittrice. Due le erano già note e le aveva ritratte nel fortunato romanzo portato sul grande schermo dai fratelli Taviani. Della terza apprese solo in quel momento il nome e che si trattava di «quella che scomparve e non fu mai più vista», come le spiegò il cugino.
Una ragazza armena in abiti arabi, 1900 circa – Library of Congress
Da quel momento questa figura non l’ha più abbandonata, apparendole persino in sogno in un momento di malattia. Presa da altri impegni, l’italianista, già docente di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di Padova, ha iniziato solo nel settembre di quest’anno la stesura del romanzo breve e l’ha terminata in un mese. « L’ho scritto d’un fiato – dice ad Avvenire la scrittrice di origini armene, il cui nonno si è salvato dal genocidio perché fermato in Italia dallo scoppio della Prima guerra mondiale –. Era pronto nella mia testa. Io di solito faccio così: rimugino a lungo, ma poi non faccio tante versioni. Questa figura della fotografia che era sì reale, ma un po’ evanescente, ha preso sempre più corpo, è divenuta autentica». Aghavnì, 23enne, con il giovane marito e i due figlioletti, viene con tutta probabilità rapita dal capo di un villaggio di pastori curdi che vive sulle montagne e alla lontana sembra un don Rodrigo anatolico. La colpa? Essere degli armeni, che particolarmente nelle campagne erano vessati dai curdi, e aver levato la voce dopo che il curdo aveva investito e ucciso un mendicante cieco. I fatti avvengono a quindici giorni dall’inizio del genocidio armeno, nel maggio 1915. E subito prendono una piega tragica: il marito Alfred Fabrikatorian – intellettuale sensibile e dallo scarso senso pratico, ma imbevuto di virile epica guerriera tenta la fuga e viene ucciso. I bimbi vengono affidati alle parenti del rapitore e Aghavnì, il cui nome significa “Colomba”, diventa donna di servizio. Il romanzo si conclude con un segno di speranza nello spirito del Natale.
Perché, come emerge dal suo romanzo, gli armeni perseguitati non sembrano perdere fiducia in Dio?
Bisogna pensare che il popolo armeno è stato il primo che si è convertito al cristianesimo. Poi c’è stato un evento che si è impresso nella memoria collettiva in modo straordinario: la battaglia del 451 d.C., in cui gli armeni furono sconfitti dai persiani. Ma il re persiano fu tanto colpito dal loro valore da lasciargli libertà di culto, caso rarissimo all’epoca. In qualche modo, anche successivamente e fuori da questa visione un po’ mitica, gli ameni hanno sentito di essere un popolo martire. Nell’Impero ottomano erano liberi nel culto, rispettati – anche se non allo stesso livello dei turchi – ed erano riconosciuti come nazione. Il governo della comunità era affidato al capo spirituale, il katholicos. E questo rappresentava una protezione. Durante il genocidio, comunque, non serviva nemmeno convertirsi all’islam, si veniva deportati in quanto etnicamente armeni.
Nel romanzo appare spesso un angelo muto. Cosa simboleggia?
Non lo so, ha voluto venir fuori. Però so che è una presenza benefica, che non può interferire più di tanto, ma può assistere. Implicitamente dare un filo di sicurezza, del calore. Tra l’altro è presente anche in un’altra mia opera, Il libro di Mush, il cui titolo in inglese è proprio Silent angel.
Quale destino ha immaginato per questafigura di donna?
Il discorso va inserito in quello del Natale. Lei è una donna forte, che accetta. La chiave del discorso è l’accettazione. In Aghavnì ho rappresentato le moltissime ragazze, giovani donne, donne sposate con figli, che sono state rapite e inserite in famiglie turche, curde, e anche arabe. Addirittura per evitare questo le madri ferivano loro le guance e mettevano sostanze per provocare la suppurazione della pelle in modo che sembrassero brutte e non le prendessero. Donne che, però, in qualche modo hanno accettato la loro sorte. E hanno educato i loro figli, ai quali non hanno fatto pesare la tragedia che avevano vissuto. Sono andate avanti. Non sappiamo come. Ma quello che sappiamo è che oggi, si calcola, almeno un quarto dei turchi ha sangue armeno nelle vene. Un’avvocata turca ha scritto un libro, Heraanush mia nonna, dopo aver scoperto che questa era armena ed essere andata alla ricerca delle proprie origini. Sono i cosiddetti figli della spada, cioè concepiti dopo che la spada aveva compiuto il suo lavoro.
Eppure, nonostante queste affinità, in Turchia faticano a riconoscere il genocidio.
Non vogliono. Dopo cento anni di negazionismo, portato avanti con tutte le forze di una grande nazione, è difficile che dicano: scusate abbiamo sbagliato. Quello dei Taviani, grazie alla loro bravura e ostinazione, è l’unico bel film che sia uscito sul genocidio. Mentre sulla Shoah ne sono usciti tanti.
La letteratura sul genocidio si è sviluppata più nella diaspora che in Armenia.Perché?
Sì, è così. E il motivo è semplice. Gli armeni della diaspora sono tra i sei e gli otto milioni e vivono prevalentemente in Francia, Stati Uniti e Russia. In Italia siamo pochi, 5mila contro i 600mila della Francia. E sono i discendenti di quel quarto della minoranza armena nell’impero ottomano che è sopravvissuta al genocidio. Sono armeni occidentali, che parlano la variante occidentale della lingua. Mentre quelli orientali si sono rifugiati sulle montagne del Caucaso, nella zona che era sotto l’Impero dello zar e che è l’attuale Armenia. Sono quelli che non hanno subito il genocidio. Almeno in parte, perché Stalin fece una campagna di rimpatrio degli armeni della diaspora soprattutto da Paesi come la Romania e la Bulgaria. Anche lì, comunque, quei fatti sono molto sentiti. A Erevan c’è un monumento molto bello e commovente, la Collina delle rondini.
Cosa è stato il genocidio?
Nella culla degli armeni, l’attuale Anatolia, nella Turchia orientale, vivevano in circa due milioni. Gli storici concordano sul fatto che un milione e mezzo sono stati uccisi. Le modalità di quello sterminio sono davvero agghiaccianti. Quando si parla della Shoah, bisogna ricordare che l’eliminazione di masse così elevate con tale razionalità perversa è nata in Anatolia. Dove c’era la presenza dei militari tedeschi, che – alleati dei turchi – hanno visto tutto e sono stati anche complici, attivi o passivi. Era la prova generale di quello che sarebbe accaduto dopo, Hitler lo ha detto esplicitamente.
Il finale, ispirato a fratellanza, riconoscimento reciproco, rispetto, può essere un messaggio di speranza anche per l’oggi?
Lo è. E parte da un dato di realtà. Cioè che i curdi hanno chiesto scusa agli armeni. Se si prende atto della realtà con occhio rasserenato, come hanno fatto i tedeschi e come è accaduto in Ruanda, alla fine ci si ritrova e ci si capisce. Tant’è vero che molti turchi anni fa hanno chiesto scusa e fatto cose bellissime. Adesso sotto Erdogan non lo possono più fare. Ma l’importante è sempre partire dalla persona umana, non dalle astrazioni. O dalle eccessive semplificazioni, come è avvenuto purtroppo spesso nel terribile conflitto attuale tra Russia e Ucraina.
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http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-11-15 17:22:422022-11-16 17:23:52Il romanzo. Arslan: le mie donne nel turbine del genocidio armeno (Avvenire 15.11.22)
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-11-14 19:58:242022-11-14 20:02:58L'Armenia e la pace mai avuta (Il Fatto Quotidiano 14.11.22)
Una strage di passanti con una bomba nel centro di Istanbul ci porta subito verso due grandi sospettati: il primo è il Pkk, il partito curdo dei lavoratori, che della Turchia è nemico acerrimo; il secondo è lo Stato islamico, il gruppo di fanatici che in Medio oriente non è più potente come un tempo e che considera il governo turco una potenza infedele da colpire – e non un alleato come talora si dice in modo davvero troppo sbrigativo.
La pista islamista è quella più debole. Di solito lo Stato islamico è veloce nelle rivendicazioni, che arrivano il giorno stesso degli attentati sui canali Telegram del gruppo perché sono preparate con grande anticipo, ma questa volta non è successo. Inoltre il gruppo estremista usa nel novantanove per cento dei casi attentatori maschi. Invece ieri le autorità turche hanno pubblicato le immagini di una donna accusata di avere piazzato la bomba, dentro a una borsa, ai piedi di una panchina. Tutto, dalla sua maglietta ai pantaloni mimetici attillati, fa pensare che la sospettata non sia una seguace dello Stato islamico, che segue regole molto rigide in fatto di vestiario.
Esplosione a Istanbul, morti e feriti a terra
La bomba è stata fatta detonare con un comando a distanza e anche questo non coincide con il modus operandi degli islamisti, che quando possono usano un attentatore suicida per massimizzare l’effetto dell’attacco. Quest’ultimo – volontario suicida oppure no – non è un elemento dirimente, ma è necessario tenerlo presente assieme a tutto quello che sappiamo. Un giro sui canali Telegram del gruppo, che solitamente sono molto sensibili alle notizie di attentati, non tradiva picchi di attenzione da parte dei simpatizzanti.
Il Pkk è l’altro grande indiziato. Da nove mesi siamo assorbiti dall’invasione russa in Ucraina, ma naturalmente questo non vuol dire che le altre aree di crisi nel mondo abbiano cessato di produrre violenza estrema. A ottobre i curdi hanno accusato l’esercito turco di avere usato armi chimiche contro un campo del gruppo nel nord dell’Iraq, durante uno dei raid che la Turchia lancia con frequenza contro i militanti del Pkk nei paesi vicini.
Istanbul, l’esplosione ripresa dalla telecamera di sorveglianza
La notizia non è stata ancora verificata, ma rende l’idea dell’intensità della lotta in quella regione. Negli ultimi dieci giorni ci sono stati anche molti bombardamenti turchi nel nord della Siria, sempre nelle zone controllate dai curdi. Già a giugno, durante una visita di Repubblica in una zona contesa del confine siriano, le unità militari curde avevano spiegato che i droni di Ankara “ci colpiscono almeno un paio di volte a settimana”. Il sospetto contro il Pkk ha scatenato la solita ridda di polemiche contro i politici curdi, che in Turchia sono considerati contigui ai terroristi.
Ieri i media armeni hanno parlato anche di una rivendicazione dell’attentato da parte del gruppo Asala, sigla dell’Esercito segreto armeno per la liberazione dell’Armenia. Si tratta di una fazione che è in ibernazione dal 1991. Quando era attiva, firmò una lunga sequenza di attentati contro la Turchia come rappresaglia per il genocidio degli armeni e per il negazionismo turco. Il fatto che arrivi dopo trent’anni di silenzio rende la rivendicazione poco credibile – per adesso.
Esplosione a Istanbul, le immagini dal bar davanti al luogo della deflagrazione
Ecco, il problema della Turchia è che è al centro di troppe piste e di troppi scenari per attribuire con certezza la responsabilità di un attacco, in mancanza di rivendicazioni chiare. La bomba fatta esplodere a quell’ora di pomeriggio di sabato aveva l’obiettivo di attirare il massimo dell’attenzione su Ankara, che in questo momento è protagonista sulla scena internazionale.
Da mesi il presidente Erdogan è il mediatore più efficiente fra Ucraina e Russia, l’unico a portare a casa qualche risultato – dalla sospensione del blocco navale che impediva l’esportazione del grano ucraino fino alle complesse trattative per gli scambi di prigionieri. Ora che Kherson è stata liberata e anche l’Amministrazione Biden fa pressione sugli ucraini affinché accettino di negoziare con i russi, il ruolo da mediatore di Erdogan è sempre più forte – e a lui non dispiace, soprattutto in vista delle elezioni del giugno 2023. Il leader turco oggi parte per il G20 di Bali.
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http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-11-14 19:53:172022-11-14 19:53:17Curdi, Stato Islamico e armeni: i nemici trasversali di Erdogan (La Repubblica 14.11.22)
Venezuelano di San Cristobal, classe 1877, di antica e (forse non del tutto) orgogliosa ascendenza paterna basca, di madre spagnola meticcia amerinda, Rafael Inchauspe, poi Rafael de Nogales, si sentiva un “caballero andante”, un cavaliere di ventura. Reduce dalla guerra ispano-americana per Cuba e da qualche irrisolto e incompiuto slancio rivoluzionario, in patria, si ritrovò, grossomodo trentacinquenne, a combattere in Europa. Si ritrovò a combattere in quell’Europa in cui in parte era cresciuto, bambino in Germania, poi giovanotto a Bruxelles, in Belgio, dove si era diplomato, passando più di qualche anno, in un ambiente cosmopolita; ci si ritrovò, qui in Europa, per uno slancio sentimentale, perché voleva inizialmente offrire il suo contributo “al piccolo ed eroico Belgio”, per riconoscenza. E invece, complice la prassi belga (e francese) di rifiutare volontari o mercenari stranieri, finì schierato sul fronte sbagliato, proprio durante la Grande Guerra: finì arruolato “generosamente e spontaneamente” dall’Impero Ottomano, come ufficiale. E così, per dirla con le parole di Antonia Arslan, il “caballero” de Nogales “era un cristiano che combatteva alle dipendenze di un governo islamico, era inserito in un esercito malridotto, attraversato da continue rivalità e intrighi di palazzo, alieno ai valori e alle tradizioni occidentali”; in più, si ritrovava a fronteggiare periodici problemi di convivenza con l’alleato germanico, alleato che non faticava a mostrare tutto il suo disprezzo nei riguardi dell’esercito del Sultano, “inutilmente violento e troppo incline al saccheggio brutale”. Durante quei quasi quattro anni di esperienza al fronte, in Anatolia e più a Est, tra Sinai e Mesopotamia, il “caballero” Rafael de Nogales incresciosamente fraternizzò con uno dei triumviri che architettarono il genocidio degli armeni, Enver Pascià: prevedibilmente, subì spesso la sua influenza, mostrando in più di un frangente e in più di un’azione cinismo e a volte manifesta ostilità nei riguardi di quella povera gente. Forse è paradossale, ma per questa sua inspiegabile amicizia coi turchi il suo memoir Cuatro aňos bajo la Media Luna (1924), poi rivisto e aggiornato come Four Years Beneath the Crescent [1926] assume particolare valore; diamo ancora retta alla Arslan: “Una testimonianza, questa, resa quasi contraggenio ma con asciutta drammaticità: sugli eventi dell’assedio di Van, su Bitlis, su Tell Armen, altrove; crudeltà inenarrabili, sevizie di ogni tipo, montagne di cadaveri […]. Sono puntuali descrizioni ricche di dettagli colti da un occhio allenato a registrare e valutare quotidiani eventi bellici, avanzate e ritirate di ogni giorno, cedimenti del fronte e necessità di immediati interventi […] con rara freschezza di immagini, unita a un’ottima resa dei caratteri dei personaggi e a una straordinaria, quasi fotografica memoria dei luoghi”. In altre parole, Rafael de Nogales diventa, forse in più punti non del tutto volontariamente o consapevolmente, un cronista delle stragi di civili, delle menzogne della propaganda ottomana, dello sterminio di un popolo autoctono (uno dei varii popoli autoctoni sterminati dai turchi). A sentire il curatore e traduttore di questa edizione, Fabrizio Pesoli, “in Anatolia Nogales non ha una propria missione da compiere, se non quella di salvare sè stesso”. Per salvare sè stesso e attenuare le sue responsabilità e le sue colpe, a qualche anno di distanza dai fatti, de Nogales descrive in più punti “gli abissi della peggiore barbarie” dei Giovani Turchi, “strana setta nata come rispettabile partito politico progressista”…e finisce per fare una cronaca, parziale ma inequivocabile, del catastrofico “Medz Yeghern”, il famoso e impunito genocidio degli armeni…
Apparso nella collana “Frammenti di un discorso mediorentale”, diretta dall’artista italoarmena Antonia Arslan, collana già apprezzata per la recente pubblicazione almeno di Killing Orders. I telegrammi di Talat Pasha e il Genocidio Armeno, questo Quattro anni sotto la Mezzaluna vede la luce con cura e traduzione (effettuata dall’edizione inglese del 1926, non da quella spagnola del 1924) di Fabrizio Pesoli; l’edizione include una prefazione dell’augusta Arslan. De Nogales, che pure ha tradito la cristianità servendo, per un quadriennio, lo spietato e genocida esercito del Sultano, e che addirittura ammetteva di “detestare cordialmente” diverse caratteristiche degli armeni, ha diversi meriti: proviamo a riconoscerne qualcuno. Già nelle prime battute del libro, riconosce lucidamente che l’Impero Ottomano si fonda(va) su un “mosaico di gruppi etnici e frammenti di nazioni, diversi per origini e rivali nella fede”; e se un giorno il potere centrale di Istanbul (lui la chiama giustamente “Costantinopoli”; oggi, passati altri cento anni, chiamarla così ha senso solo per filelleni, filarmeni, nostalgici della perduta Roma): dicevamo, e se un giorno il potere centrale turco dovesse tradire quell’equilibrio, allora “in poco tempo l’Asia Minore si trasformerebbe in una seconda Macedonia o nei nuovi Balcani”, cosa che danneggerebbe ovviamente tanto l’Europa quanto il Mediterraneo, in genere. È una visione esatta: tuttavia, il genocidio degli armeni, dei greci e degli assiri è un fatto compiuto, da un secolo esatto, e così l’esodo e la diaspora di milioni di autoctoni superstiti, o peggio la brutale turchizzazione di tanta gente e di varie etnie diverse, superstiti. Servirebbe domandarsi che senso ha avuto, per noi europei, e quanto pericoloso in genere è stato minimizzare, silenziare o peggio “indirettamente avallare” certe operazioni e certi eventi. Altro merito di De Nogales sta nel ricostruire, con più esattezza di quanto fosse possibile sperare, le proporzioni tra gli abitanti armeni e gli abitanti turchi di diverse città e villaggi; elemento questo che contribuisce a sfaldare o proprio a demolire l’odierna propaganda turca, negazionista o minimizzatrice. Sintetiche ma dettagliate le notizie sulle varie tribù curde, “mano armata” del Sultano nei massacri degli armeni. Altro ovvio talento di questo libro è la chiarezza perentoria con cui vengono ricordati assurdi ed esecrabili comandi dei turchi (“sterminare tutti gli armeni maschi di età pari o superiore ai dodici anni”, ad Adilcevaz; solo un esempio) e prassi delle esecuzioni sommarie delle autorità civili del Sultano (di notte, preferendo laghi profondi o cave di montagna per liberarsi dei cadaveri, etc), senza dimenticare episodi di ferocia abbacinante (cataste di cadaveri seminudi e sanguinanti, migliaia; deportazioni di massa sotto un sole spietato). Ovviamente quel che ho appena osservato basta a giustificare l’acquisto e a pretendere lo studio di questa “cronaca differita”. Stilisticamente non mi sembra di aver apprezzato niente di memorabile, nel memoir di de Nogales; niente di indegno, nemmeno. Corredano l’edizione un’appendice iconografica in b/n, l’indice dei nomi di persona e l’indice degli argomenti e dei toponimi.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-11-14 17:20:272022-11-16 17:20:34QUATTRO ANNI SOTTO LA MEZZALUNA (Mangialibri 14.11.22)
L’Armenia ha accusato l’esercito dell’Azerbaigian di avere attaccato alcune postazioni armene al confine con Baku.
L’attacco, è stato spiegato, non ha causato vittime. “Alle 20:00, unità delle forze armate azere hanno aperto il fuoco con armi leggere di vari calibri in direzione delle posizioni armene situate nella parte orientale del confine armeno-azero. Non ci sono state perdite da parte armena”, si legge in una nota del ministero della Difesa di Erevan, secondo cui al momento la situazione è tornata “relativamente stabile”.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2022-11-14 17:09:222022-11-16 17:18:49Armenia accusa Azerbaigian di nuovo attacco militare al confine (TGCom24 14.11.22)
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