Nel nome di Aurora eroina degli armeni. L’altro «Nobel» del capo di Moderna (Corriere della Sera 15.10.22)

Sul mercato degli schiavi dell’Anatolia Aurora Mardiganian fu venduta per una somma pari a 85 centesimi di dollaro. Cosa poteva valere quella ragazzina armena di una quindicina d’anni già spezzata dentro dalla morte dei genitori e di un fratello uccisi dai turchi, da una marcia interminabile fino ad Aleppo, dalla fame, dagli stupri, dalle scene spaventose alle quali aveva dovuto assistere?

Eppure, un secolo dopo, quella ragazzina annientata dal genocidio armeno ha avuto in qualche modo un «risarcimento» con la celebrazione a Venezia dell’«Aurora Prize for Awakening Humanity» (premio Aurora per il Risveglio dell’Umanità) che dona annualmente un milione di dollari, esattamente la cifra assegnata ai premi Nobel, a donne e uomini che si sono distinti per avere salvato vite umane in giro per il mondo.

Quello di quest’anno (dopo le vittorie nel 2016 di una Tutsi che da anni si prende cura di orfani Hutu, nel 2017 di un missionario medico in Sudan che manda avanti l’unico ospedale per 750 mila abitanti, nel 2018 di un attivista birmano schierato con i Rohingya, nel 2019 di una donna che dall’Iraq portava in Germania le vittime yazidi e ha continuato a farlo in carrozzina dopo essere precipitata in elicottero, nel 2020 di un team di madre e figlia somale che cercano instancabili di aiutare donne stuprate e recuperare bambini soldato, nel 2021 di una attivista congolese impegnata lei pure nella difesa di ragazze vittime di violenze) è stato assegnato a Jamila Afghani, fondatrice di una associazione che da venticinque anni cerca di dare alle afghane l’accesso all’istruzione. Tutti i premi che hanno consentito a questi eroi della solidarietà di portare avanti i loro progetti.

Ma vale la pena di partire dall’inizio. E cioè da quando nel 2015 Noubar Afeyan, imprenditore, inventore (oltre cento brevetti) e filantropo armeno naturalizzato statunitense, fondatore di «Moderna», la società di biotecnologia che produce uno dei vaccini più diffusi al mondo, decise con due amici generosi, Vartan Gregorian e Ruben Vardanyan, loro pure d’origine armena, di inventarsi un premio per chi da anni si impegna non genericamente «per la pace» (diciamolo: alcuni Nobel del passato si sono rivelati poi imbarazzanti) ma per salvare la vita e il futuro a chi è in pericolo, come tanti «Giusti» la salvarono ai perseguitati armeni.

A chi dedicarlo, un premio così? Chiesero suggerimenti a storici ed esperti, esaminarono varie ipotesi, decisero: Aurora Mardiganian. «Pesò anche il nome», spiega Afeyan, «L’alba che annuncia il giorno dopo la notte. La rinascita dopo il buio. Quattro anni fa, in Armenia, abbiamo voluto celebrare l’evento proprio alle quattro di mattina. L’alba. Al monastero di Khor Virap, dove san Gregorio restò prigioniero 13 anni prima di convertire re Tiridate III, che avrebbe fatto dell’Armenia il primo Stato cristiano al mondo. Fu un’aurora bellissima, davanti all’Ararat, così vicino da poterlo toccare ma così lontano di là del confine turco. C’era anche una ragazza giovanissima di nome Aurora. Da allora ce n’è sempre una. Anche qui a Venezia».

Ricordata come «la Giovanna d’Arco degli armeni», terza di otto figli di un proprietario terriero e produttore di seta a Chmshkatsag dov’era nata nel 1901, studentessa giudiziosa e aspirante violinista, finì come tante altre nell’inferno raccontato da Antonia Arslan ne La masseria delle allodole. Vide uccidere il padre e un fratello, fu trascinata con la madre e le sorelle nella lunga marcia attraverso il deserto fin sotto le mura di Aleppo, in Siria.

Un calvario che Armin Wegner, un giovanissimo ufficiale tedesco della Croce Rossa, immortalò con foto agghiaccianti e racconti incancellabili: «Mai come in questi giorni ho sentito vicino a me distinto il frusciare della morte, il suo silenzio, il suo freddo sorriso, e spesso mi chiedo: posso io ancora vivere? Ho ancora il diritto di respirare, di fare progetti per anni futuri così fantasticamente irreali, quando attorno a me c’è un abisso di occhi di morti?».

Violentata, sequestrata, venduta all’asta, comprata per l’harem di un curdo particolarmente violento, fuggì e fu ripresa, fuggì di nuovo e dopo «un viaggio di 18 mesi sui monti, nascosta in grotte e boschi, vivendo di vegetazione e radici, arrivò a piedi nudi, seminuda e affamata a Erzerum» tra Trebisonda e il lago di Van, in un’area della Turchia orientale allora occupata dai russi. Salvata da un gruppo di missionari americani venne infine aiutata a raggiungere New York. Raccontò la storia ad altri profughi armeni. E questi decisero che andava raccontata a tutti. Uscito nel 1918 e passato alla storia come la prima testimonianza oculare sul genocidio, Ravished Armenia (Armenia devastata), fece il botto: novecentomila copie vendute. Tanto da spingere i primi produttori del cinema muto a trarne un film con migliaia di profughi offertisi come comparse e la partecipazione della stessa Aurora. Un successo presto stoppato dopo il debutto per le polemiche sollevate dalle autorità turche che gridarono a una macchinazione. Una vicenda tormentata, di denunce, tagli, sequestri, dibattiti incandescenti nelle sale con lei, Aurora, coinvolta al punto che una sera, a Buffalo, per la tensione svenne e decise di chiamarsi fuori. E poco a poco sparirono più o meno misteriosamente tutte le copie della pellicola. Degli ottantacinque minuti originali, una decina sarebbero stati recuperati solo nel 1994. E il resto? Boh…

Il mito di quel libro, però, restò: «Riuscii a leggerlo solo quando già eravamo emigrati in Canada», sorride Noubar Afeyan. Un colpo al cuore: la storia l’aveva già vissuta nei ricordi della zia Armenouhi. Era stata lei, «la persona più importante della mia vita» che l’aveva cresciuto bambino a Beirut dove il fondatore di Moderna è nato nel 1962, ad aiutarlo a ricostruire la storia della famiglia. Il nonno imprenditore, rappresentante in Anatolia di una grande banca tedesca, importatore di uova, fuggito con tutta la famiglia in Bulgaria grazie a un passaporto iraniano avuto per i suoi business marittimi con imprese di Teheran.

La fuga dalla Bulgaria comunista verso Beirut e ancora, con lo stesso documento iraniano, la partenza verso il Canada. Tutte cose che hanno insegnato ad Afeyan come «gli armeni sono riusciti a sopravvivere affrontando sempre nuove realtà. Anche mia zia, nata a fine ‘800 e vissuta 103 anni, aveva vissuto la tragedia del genocidio armeno. Ricordava tutto. Ho ancora i nastri registrati di ore e ore di racconti. Un giorno o l’altro ci farò un libro».

Quanto a Ravished Armenia, quel libro così importante per gli armeni e per tutte le minoranze, non è mai stato tradotto in Italia. O meglio, è ora finalmente avviato alla pubblicazione (e meno male) ma era stato tradotto quasi trent’anni fa da Pietro Kuciukian (medico, figlio di un sopravvissuto, saggista, autore di numerosi saggi) senza che alcun editore accettasse di pubblicarlo perché pareva non interessasse a nessuno. Un ritardo stupefacente. Che per un secolo ha impedito agli italiani di conoscere una storia che aiutò tanta parte dell’umanità a capire.

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L’Egitto vieta Venezia all’avvocata che si batte per i diritti (Corriere della Sera 14.10.22)

«Mi è stato detto mentre ero già in aeroporto che non mi è permesso viaggiare per decisione del procuratore generale, anche se avevo fatto richiesta un mese fa e mi era stato detto che non ci sarebbero stati problemi». Mahienour El-Massry, avvocata e attivista egiziana, ha scritto queste parole in un post su Facebook, denunciando che le è stato impedito di raggiungere Venezia. La sua meta era l’isola di San Lazzaro degli Armeni, a pochi metri dal Lido di Venezia, dove il 15 ottobre si svolge per il secondo anno consecutivo la cerimonia di premiazione del premio Aurora, ideato nel 2016 da Aurora Umanitaria, associazione nata a nome dei sopravvissuti al genocidio armeno in segno di gratitudine verso chi li ha salvati. El-Massry è tra i tre finalisti del premio, che viene assegnato ogni anno a chi si distingue nel portare avanti cause umanitarie di fronte alle avversità, mettendo a rischio la propria vita per salvare quelle degli altri. El-Massry, infatti, avvocata 36enne, promuove le libertà politiche e i diritti umani in Egitto da metà degli anni Duemila organizzando proteste pacifiche e difendendo i prigionieri politici in tribunale. È stata più volte arrestata e incarcerata per il suo attivismo, l’ultima volta nel settembre del 2019 nel carcere femminile di Al-Qanater, per essere rilasciata solo nel luglio 2021.

George Clooney in giuria

Pochi giorni fa El-Massry spiegava, sempre su Facebook, che c’erano volute diverse settimane per riuscire a ottenere i documenti necessari e il visto le era stato effettivamente dato con l’imminenza della partenza. «Teoricamente, non mi è impedito viaggiare – scrive El-Massry – nella pratica, lo vedrò al momento della partenza». Che nella notte del 14 ottobre, le è stata negata in aeroporto. Insieme a El-Massry, un’altra candidata al premio Aurora è Jamila Afghani, attivista per la pace e fondatrice della Noor Educational and Capacity Development Organization. Costretta a fuggire quando i talebani hanno preso il controllo dell’Afghanistan, ha dedicato oltre 25 anni della sua vita a dare alle donne afghane accesso all’istruzione. Infine, c’è Hadi Jumaan, candidato per il suo impegno nel liberare prigionieri di guerra in Yemen. È un attivista per la pace, mediatore e si occupa di facilitare lo scambio di prigionieri di guerra. Il vincitore otterrà dalla fondazione armena un premio, nel cui comitato d’assegnazione fa capolino anche l’attore hollywoodiano George Clooney, che ammonta a un milione di dollari. Attivisti per la pace, per i diritti umani, filantropi da tutto il mondo sono invitati all’evento, che si è inaugurato il 14 ottobre e proseguirà fino al 15 sull’isola di San Lazzaro, completamente occupata dal monastero dell’Ordine mechitarista.

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Armenia, Macron accusa Mosca di destrabilizzarla, Putin: “Non capisce conflitto Nagorno-Karabakh” (Giornale d’Italia e altri 14.10.22)

Macron accusa Putin di aver destabilizzato l’Armenia e Putin gli da quasi dell’ignorante: “Non capisce conflitto Nagorno-Karabakh”

Emmanuel Macron ha accusato Putin di aver destabilizzato la regione armena, mentre Putin da dell’ignorante al presidente francese e ammette: “Credo che queste affermazioni mostrino una mancanza di comprensione del corso del conflitto”, le parole del Presidente russo sono state pronunciate durante un incontro dei leader dei paesi della Csi in Kazakistan, aggiungendo che le osservazioni di Macron “suonano errate, direi addirittura perverse, quindi inaccettabili”.

Russia, Putin contro Macron: “Manipola l’Armenia”

Il presidente russo Vladimir Putin ha respinto i commenti del suo omologo francese Emmanuel Macron, secondo cui Mosca sta “destabilizzando” il processo di pace tra Armenia e Azerbaigian, impegnate in una sanguinosa disputa territoriale per il controllo della regione del Nagorno-Karbakh.

In effetti le radici di questo conflitto affondano agli inizi del ‘900. I violenti scontri scoppiati il 27 settembre nell’Alto Karabakh sono l’esito ultimo di un conflitto che ha origini lontane. Senza prendere in considerazione le sue fasi più antiche, legate a dinamiche pre-moderne, si deve partire almeno dalla cosiddetta guerra armeno-tatara del 1905-1907. In quegli anni gli armeni  e i  tatari, come erano allora chiamati gli odierni azerbaigiani, si combatterono in molte zone del Caucaso meridionale, che faceva parte dell’impero russo.

Benché gli armeni fossero cristiani e i tatari/azerbaigiani musulmani (di lingua turca), le ragioni di quel conflitto erano socio-economiche ancor più che religiose. Se ne accorse anche il giornalista e storico italo-inglese Luigi Villari, autore di un importantissimo libro Fire and Sword in the Caucasus (1906) che rimane utilissimo per comprendere le radici storiche del conflitto odierno. Anche gli anni seguiti al crollo dell’impero russo e alla nascita delle effimere repubbliche indipendenti di Armenia e Azerbaigian (1918-1920) videro violenti scontri tra questi Paesi per il controllo di tre regioni etnicamente miste: Zangezur, Nakhichevan e Alto Karabakh.

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Armenia – Azebaigian, Putin: “Pronti a mediare” (Agenziastampaitalia)


Armenia e Azerbaigian, Borrell a colloquio con i ministri degli esteri (Sardegnagol)


La Russia critica le dichiarazioni “inaccettabili” di Macron, che accusa Putin di “destabilizzare” il Caucaso (La Redazione)

Missione dell’Ue sbarca in Armenia, poi gli osservatori (Ansa 14.10.22)

BRUXELLES – “Su richiesta dell’Armenia la missione di valutazione tecnica dell’Ue è giunta oggi a Yerevan. Il compito della missione è quello di preparare il dispiegamento di osservatori dell’Ue sul lato armeno del confine tra Armenia e Azerbaigian nel corso del mese, in linea con l’accordo raggiunto il 6 ottobre durante l’incontro quadrilaterale tra il presidente Aliyev, il primo ministro Pashinyan, il presidente Macron e il presidente Michel”. Lo fa sapere il servizio di azione esterna dell’Ue.

“Gli Stati membri dell’Ue discuteranno ulteriormente al Consiglio Affari Esteri di lunedì 17 ottobre la proposta dell’Alto rappresentante Josep Borrell di dispiegare una missione di monitoraggio, che avrà come obiettivi primari contribuire alla stabilità e costruire la fiducia, nonché sostenere il lavoro delle commissioni di frontiera per migliorare la sicurezza lungo il confine bilaterale”, prosegue la nota. La missione di monitoraggio, a quanto si apprende, sarà composta da “40 esperti provenienti dalla Georgia”, dove l’Unione è già presente con una sua missione, in accordo con il governo del Paese.

La decisione si deve a questioni “di urgenza”, poiché organizzare una missione ad hoc avrebbe richiesto troppo tempo. “L’influenza di Putin nel Caucaso del sud sta diminuendo, un processo simile a quanto sta accadendo in Asia Centrale”, dichiara un alto funzionario europeo. “L’Ue ha rapporti buoni con le parti (Georgia, Azerbaijan e Armenia) e può offrire una prospettiva che la Russia non può: ecco perché quei Paesi ora guardano a noi per possibili soluzioni e mediazioni”, continua la fonte.

Mosca però ha già rinfacciato all’Ue di “intromissioni” in un’area del mondo che considera di sua pertinenza. L’Armenia, d’altra parte, è dentro l’Unione Economica Euroasiatica e il Trattato di Sicurezza Collettiva. “Putin ragiona per sfere d’influenza e noi rigettiamo questa visione”, aggiunge la fonte. “La Russia, nel conflitto fra Azerbaijan e Armenia, non è mai stata parte della soluzione ma parte del problema. E se ora non gradisce il nostro ruolo, pazienza”.

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L’Ue sfila alla Russia il ruolo di mediatore tra Armenia e Azerbaigian. Ma non è così facile (Il Foglio)


UE E CONSIGLIO D’EUROPA INVITANO ARMENIA E AZERBAIGIAN AD ADERIRE A PROTOCOLLO PER L’ABOLIZIONE DELLA PENA DI MORTE (Nessunotocchicaino)

Nel Caucaso si profila una nuova geografia della guerra (Asianews 13.10.22)

Nelle trattative tra Erevan e Baku entrano in scena Unione europea e Turchia. In calo la fiducia verso la mediazione della Russia, indebolita dal conflitto ucraino. Il problema del Karabakh e dei “corridoi” azerbaigiani verso Turchia e Iran.

Mosca (AsiaNews) – Una delle conseguenze più importanti del summit di Praga della Comunità politica d’Europa dello scorso 6 ottobre è stata la ripresa delle trattative tra Armenia e Azerbaigian, con l’intervento della Turchia per trovare una soluzione al conflitto. I risultati sono ancora tutti da verificare, ma diversi osservatori hanno rimarcato il salto di qualità del rapporto tra l’Europa e la regione caucasica.

Nella capitale ceca si è svolto anche un incontro a quattro tra i leader di Azerbaigian, Armenia, Francia e Consiglio Ue. Le parti hanno raggiunto il riconoscimento reciproco dell’integrità territoriale sui confini del 1991, a lungo invocato dagli armeni, e l’accordo sullo stanziamento nella zona di frontiera dalla parte armena di una missione civile di osservatori dell’Unione europea.

Shayn Gadzjev, redattore dell’agenzia azerbaigiana Turan, ritiene che sia stato compiuto un grande passo in avanti, ma che ancora non siano state eliminate le cause principali del conflitto: “Tutte gli attori cercano di risolvere alcuni problemi a proprio vantaggio, sia i due Paesi in conflitto sia la Turchia e l’Occidente collettivo”. Il giornalista sottolinea che “un intrigo particolare è rappresentato dal viaggio successivo di Pašinyan in Francia, a cui sono seguite altre visite di rappresentanti armeni e dello stesso premier di Erevan negli Stati Uniti”.

L’impressione generale è che l’Armenia stia cercando di ridurre il ruolo della Russia nel controllo dei territori. Mosca avrebbe molto deluso le attese anche a causa della guerra ucraina, che sta esaurendo le sue capacità d’intervento. Il nuovo orientamento filo-occidentale di Erevan intende superare la fase degli accordi “di carta”, come quello di agosto, a cui sono seguite due settimane di violenti scontri.

Anche il richiamo allo status quo del 1991 non ha un valore definitivo, perché non esaurisce la pretesa del Karabakh di essere considerata una regione armena con il nome di Artsakh: un problema che sussiste fin dalla fine della stagione sovietica. Il compromesso per ora lascia tra parentesi questa definizione, che Pašinyan vorrebbe chiudere una volta per tutte, ma non può andare contro i desideri del suo popolo, non solo delle opposizioni politiche, e soprattutto degli abitanti delle zone interessate dal conflitto.

Il presidente azerbaigiano Ilham Aliyev sembra a sua volta abbastanza ben disposto, ma in tutte le sue dichiarazioni i toni s’induriscono quando si tocca il tema dei canali di comunicazione, i “corridoi” verso Iran e Turchia che sono il vero obiettivo della guerra di Baku, più che l’identità in sé del Nagorno Karabakh. La vera questione riguarda il regime del corridoio di Lačinsk, in parallelo con la strada che porta dall’Azerbaigian a Nakhičevan, se permetteranno a Baku di disporre i propri posti di controllo doganali.

Tutto si concentra sul regime di controllo delle strade, e negli ultimi incontri si è apertamente parlato di “libertà dei trasporti, dei carichi commerciali e delle persone”. Gli armeni  si riferiscono però a una tratta più ridotta di quella che pretendono gli azerbaigiani. Gli armeni vogliono il controllo e il libero accesso dei propri cittadini, costringendo Baku a passare attraverso i controlli, ciò che non accetterà mai. Secondo le trattative, questi controlli potrebbero essere gestiti dai russi, o forse dagli europei.

Gli equilibri oscillano verso parti opposte: l’Azerbaigian sembra fidarsi più di Mosca, mentre gli armeni guardano a Occidente. Le strade dell’Eurasia sono una via per il futuro di tutti gli equilibri internazionale, e nel Caucaso si gioca una partita ben più grande degli interessi particolari di due nazioni apparentemente periferiche nel panorama internazionale.

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La scrittrice Laura Ephrikian incontra un amico del padre nella casa di riposo (Liberta 12.10.22)

La nota attrice, annunciatrice tv, scrittrice Laura Ephrikian, nota come Laura Efrikian ha incontrato un anziano che vive all’ex Andreoli di Borgonovo.

Ospite in Val Tidone per presentare il suo libro, “Una famiglia armena”, Efrikian, nota tra l’altro per essere stata la moglie di Gianni Morandi, ha fatto visita nel reparto Melograno a Ohannes Kalaydjian, settantasettene egiziano con nelle vene anche sangue armeno. Quest’ultimo in passato aveva collaborato, come tecnico del suono, con il padre di Laura, Angelo Ephrikian, noto violinista e compositore di origine armena.

“Mi sentivo emozionata come se avessi dovuto incontrare un nuovo fidanzato – ha detto Ephriakian –. Ohannes ha lavorato con mio padre, ricorda dettagli di vita che riguardano anche la mia famiglia”.

La nota attrice si è intrattenuta per diverso tempo con l’anziano ospite della casa protetta di Borgonovo. Insieme hanno rievocato aneddoti di vita privata e ricordi di famiglia.

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Comunità armena: “Stop alla Formula 1 in Azerbaigian” (Sardegnagol 12.10.22)

In Europa c’è un’altra guerra che si sta pericolosamente sviluppando: c’è un altro popolo aggredito e un altro Stato aggressore che però si fa forte delle relazioni economiche e del suo gas per agire impunito e indisturbato. E che continua ad armarsi pericolosamente”. Queste le premesse della lettera tranchant inviata dalla Comunità Armena in Italia per chiedere la sospensione del Gran premio di F1 di Baku, dopo la recente soppressione, da parte della FIA, della tappa del mondiale di Sochi (Russia).

“Nelle scorse settimane – scrivono dalla comunità armena – l’Azerbaigian ha nuovamente attaccato il territorio sovrano della repubblica di Armenia. Conquistato quasi tutto il Nagorno Karabakh (Artsakh) con la guerra scatenata nel 2020, il regime di Aliyev ha rivolto ora le proprie minacciose attenzioni verso un Paese membro delle Nazioni Unite e del Consiglio d’Europa. La nuova campagna militare azera di settembre è costata agli armeni oltre duecento morti, oltre trecento civili abitazioni distrutte, almeno diciassette prigionieri sulla cui sorte nulla si sa. I video di soldatesse armene amputate e profanate o di prigionieri armeni disarmati falciati a colpi di mitra hanno fatto il giro del mondo e le agghiaccianti immagini hanno testimoniato la crudeltà dei militari dell’Azerbaigian”.

LEGGI ANCHE:  Comunità Armena di Roma: “L’Armenia sarà anche un Paese in via di sviluppo e ancora povero. Ma meglio poveri e dignitosi che ricchi e guerrafondai”.

Video sui quali la Procura Militare della Repubblica dell’Azerbaigian ha annunciato, lo scorso 17 settembre, l’inizio di un’indagine per determinarne l’attendibilità, nonché l’identità del personale militare che compare nelle immagini.

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Mosca, otto arresti per l’esplosione del ponte di Crimea. Kiev: accuse ai nostri 007 ridicole (Rainews e altri 12.10.22)

Il servizio di sicurezza federale russo ha identificato 12 persone che hanno avuto un ruolo nell’attacco al Ponte di Crimea. Di queste, 8 sono state arrestate. Lo riporta la Tass.

Si tratta di “cinque cittadini russi e tre ucraini e armeni”, viene spiegato. Secondo quanto riportato “finora cinque cittadini russi e tre fra ucraini e armeni che hanno partecipato ai preparativi dell’attentato sono stati arrestati nell’ambito di un procedimento penale”.

Per la FSB, l’intelligence russa, i tre ucraini, con l’aiuto di due georgiani e di un cittadino armeno avrebbero organizzato la consegna di esplosivi dalla Bulgaria prima alla Georgia e poi all’Armenia.

I servizi russi dichiarano che un altro cittadino ucraino e cinque russi identificati avevano preparato falsi documenti per una società inesistente in Crimea per ricevere gli esplosivi.

Sempre secondo la Fsb l’attacco terroristico al ponte di Crimea è stato pianificato dal capo dell’intelligence militare ucraina, Kirill Budanov. “E’ stato stabilito che l’organizzatore dell’attacco terroristico al ponte di Crimea è la direzione principale dell’intelligence del ministero della Difesa ucraino, il suo capo Kirill Budanov, i dipendenti e gli agenti”.

Ma Kiev respinge le accuse, definendole “ridicole”. Lo ha detto a ‘Suspline’ Andriy Yusov, rappresentante del servizio stampa del ministero degli Affari interni: “Sono accuse false al servizio del regime di Putin”, ha aggiunto.

La bomba che è esplosa sul ponte che collega la penisola di Crimea alla Russia sarebbe stata camuffata da rotoli di pellicola per lavori edilizi e montata su 22 pallet. per un totale di 22.770 kg di esplosivo. 

La spedizione del materiale era stata organizzata in base a un contratto del 2 agosto scorso tra la Translogistics UA (Kiev) e la Baltex Capital (Ruse).

Il carico sarebbe stato inviato all’inizio di agosto dal porto di Odessa alla Bulgaria, con la complicità di cittadini ucraini, georgiani e armeni. Dalla Bulgaria, passando per il porto georgiano di Poti è arrivato in Armenia dove è poi stato sdoganato il 3 ottobre. Su un camion registrato in Georgia, il carico ha attraversato il confine russo-georgiano il 4 ottobre, il 6 ottobre è stato poi scaricato a Krasnodar in Russia.

Il 7 ottobre, dopo una modifica dei documenti, i rotoli di pellicola sono stati inviati a una società inesistente in Crimea, sul camion del cittadino russo Makhir Yusubov, che già il giorno dell’attentato era stato individuato come il conducente del mezzo esploso. L’8 ottobre, alle 6:30 del mattino (ora locale), il camion è saltato in aria mentre attraversava il ponte di Kerch.

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Mosca. Arrestate 8 persone (5 russi, tre ucraini e armeni) per l’esplosione del ponte della Crimea (Agenpress)

Ponte Crimea, Russia indica i responsabili dell’attacco: c’è anche il capo dell’intelligence militare ucraina (Il Mattino)

Attacco ponte Crimea, 12 arresti in Russia: coinvolta l’intelligence di Kiev (Skytg24)

Mosca, arrestati 8 sospetti per esplosione ponte Crimea (Ansa)

“Il carico è stato registrato nella capitale armena di Yerevan”. Le indagini sull’attentato al Ponte della Crimea incriminano i servizi di Kiev (A. Puccio) (FarodiRoma)

Ponte Crimea, Russia indica i responsabili dell’attacco: c’è anche il capo dell’intelligence militare ucraina (Il Gazzettino)

 

 

 

Al Laterano l’apertura della causa di beatificazione del cardinale Agagianian (Osservatore Romano 11.10.22)

Verso gli onori degli altari il cardinale Gregorio Pietro xv Agagianian (1895-1971), che fu catholicos e patriarca di Cilicia degli armeni. La sessione di apertura dell’inchiesta diocesana sulla vita, le virtù e la fama di santità si terrà infatti il prossimo 28 ottobre, giorno in cui le Chiese armene celebrano l’apostolo san Giuda Taddeo anche come loro “Primo catholicos”. La cerimonia che segna l’inizio della causa di beatificazione e canonizzazione, avverrà a mezzogiorno in San Giovanni in Laterano, alla presenza dell’attuale patriarca armeno Raphaël Bedros xxi Minassian e del cardinale vicario di Roma, Angelo De Donatis, in rappresentanza della diocesi in cui il servo di Dio è morto ed è sepolto, presso la chiesa di San Nicola da Tolentino. Nato nell’attuale Georgia, Agagianian dopo essere stato eletto catholicos Patriarca della Grande Casa di Cilicia degli armeni cattolici nel 1937, fu creato cardinale nel 1946; infine dal 1958 al 1960 fu pro prefetto e dal 1960 al 1970 prefetto di Propaganda Fide (oggi Dicastero per l’evangelizzazione).

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La scrittrice Antonia Arslan alla rassegna Stills of Peace il 14 ottobre (Abruzzonews 10.10.22)

PESCARA – A conclusione degli eventi previsti dalla nona edizione della ricca rassegna Stills of Peace, Fondazione Aria incontra la scrittrice Antonia Arslan, una delle più rilevanti voci della cultura armena in Italia.

Venerdì 14 ottobre alle 18.30, presso il Museo d’Arte Moderna Vittoria Colonna, si parlerà dell’Armenia attraverso la ristampa della raccolta dei Canti Popolari (Ed. Carabba) voluta dalla Fondazione, a cento anni dalla sua prima uscita, di cui l’Arslan ha realizzato la prefazione.

‘L’Armenia è sotto i riflettori per la guerra in corso con l’Azerbaigian, ma è importante che se ne parli anche per la sua millenaria cultura e che si faccia luce sul suo tormentato passato’ dichiara il Presidente della Fondazione Dante Marianacci, che condurrà il dialogo con l’autrice del romanzo ‘La masseria delle allodole’, che tratta appunto il tema del genocidio del 1915.

Nel corso della serata verrà proiettato, per la prima volta a Pescara, il cortometraggio ‘Antarram’ introdotto dalla direttrice della rassegna Stills of Peace, Giovanna Dello Iacono, girato tra Venezia, Napoli e Bari dal regista Dino Viani.

Nella sede del Museo d’Arte Moderna Vittoria Colonna fino al 23 ottobre è possibile visitare le mostre ‘Qui è come Altrove’ a cura di Paolo Dell’Elce, dedicata alla fotografia armena, e ‘Murap – un racconto per immagini’, del fotografo Iacopo Pasqui, due dei principali progetti che Fondazione Aria ha messo in campo quest’anno tra Pescara e Atri.

Ingresso libero ad entrambe le mostre dal martedì alla domenica negli orari 10/12 e 17/21 fino a domenica 23 ottobre.

Per maggiori informazioni: murap.it / fondazionearia.it / stillsofpeace.com

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