Mechitar, martedì 8 a Venezia riparte la causa per la beatificazione. Rito con il Patriarca in San Martino di Castello (Genteveneta 02.09.20)

Si riapre martedì 8 settembre, con un rito che si terrà a Venezia, la causa per la beatificazione e la canonizzazione del Servo di Dio Abate Mechitar di Sebaste, fondatore della congregazione armena mechitarista.

Il rito si terrà nella chiesa di San Martino di Castello, alle ore 16, e sarà presieduto dal Patriarca Francesco. Durante la cerimonia si terrà anche il giuramento degli ufficiali di causa, tra cui il Patriarca stesso, don Benedict Ejeh, Preside della Facoltà di Diritto canonico, e don Pierpaolo Dal Corso, notaio di Curia e docente presso la Facoltà di Diritto canonico.

Mechitar nacque con il nome di Petros Manuk a Sivas (l’antica Sebaste), in Anatolia, il 7 febbraio 1676 ed entrò nel monastero di “Surp Nshan” (della Santa Croce), assumendo il nome di Mechitar (ovvero “Consolatore”). Nel 1696, all’età di vent’anni, fu ordinato prete.

Fu ispirato dall’idea di creare un ordine dedicato alla pratica spirituale e alla ricostituzione spirituale del popolo armeno; a questo scopo diede vita a Costantinopoli nel 1701 all’ordine che da allora porta il suo nome.

Due anni dopo, insieme ai suoi confratelli, riuscì a mettersi in salvo dalle persecuzioni delle autorità Ottomane: l’ordine si trasferì verso Modon nel Peloponneso (conosciuta anche come Morea), allora possedimento della Repubblica di Venezia.

Nel 1715 costruì il monastero di San Lazzaro degli Armeni, in un’isola della laguna di Venezia. È ancora oggi considerato il pioniere della rinascita della letteratura armena in lingua classica, in particolare per aver composto un’edizione della Bibbia nel 1735, ed aver compilato un Dizionario di armeno nel 1749.

Si spense il 27 aprile 1749 nel convento dell’isola di San Lazzaro degli Armeni. La sua morte, sopraggiunta dopo una lunga malattia, mise in lutto, oltre che l’isola di San Lazzaro, l’intera Venezia.

«Mechitar – ha sottolineato qualche tempo fa il Patriarca Francesco – inaugura di fatto “una Scuola dei Lumi cristiana”, perché la sua fiducia nella ragione si rivela come reale fiducia in una ragione illuminata dalla fede, in una ragione che non può perciò essere limitata in una chiave e in una visione riduttiva o parziale, legata all’esperienza storica dell’Illuminismo. Da sempre il magistero della Chiesa ci insegna, infatti, ad operare uno sguardo sulla realtà che è, ad un tempo, di fede e di ragione; ci si occupa dell’uomo affermandone e promuovendone le differenti dimensioni. L’uomo è persona, identità propria, irripetibile e insieme è relazione; nell’uomo non è possibile disgiungere la dimensione e il senso verticale (Dio) dalla dimensione e dal senso orizzontale (la relazione con il prossimo)».

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Ode ad Armine, a cui non frega nulla di fare l’icona anti body shaming (Temoi 02.09.20)

Sognavano le palingenesi e hanno pestato una bovazza. Ora lei parla a Repubblica e scopriamo che per Gucci ha sfilato una volta sola, che mica è una modella professionista, che in questi giorni si sta facendo una padella di fatti propri ad Erevan, capitale dell’Armenia, e non ha la più pallida idea del perché in Italia si parli tanto di lei dal nulla e a caso, sottinteso: ce la fate voi italiani?

Lei è Armine Harutyunyan, quella che i bravi solipsisti ci hanno venduto per giorni come la “musa di Gucci”, “bellezza non convenzionale”, “vittima di body shaming”, “volto della diversity”, “simbolo dell’inclusione e della body positivity”, che “sfida gli standard”, “bersaglio degli haters” e della “cultura dello hate sharing”. Già lì doveva venirci il dubbio.

Comunque: grazie al solito perverso effetto social Armine è diventata il caso di fine estate, e dopo aver pagato pegno per il colonialismo dei padri, il razzismo sistemico, la fame del terzo mondo, l’immigrazione, i morti in mare, i femminicidi, la disparità di genere, l’omofobia, il fascismo, la xenofobia, il sessismo, l’islamofobia, la transfobia, il negazionismo climatico e pandemico, ora ci tocca la rieducazione a ciò che muove il mondo e cantori del mondo fin dai tempi di Omero, Elena e Briseide: donne e bellezza.

Per colpa dei @peppe75 della rete abbiamo così subìto articolesse e omelie su etica, estetica, Platone, Almodovar, il fenotipo armeno, la fashion semiology, il bungabunghismo berlusconiano, la scuola di Barthes, l’emancipazione, la Venere di Milo e sorelle, André Gide, la vitiligine, le curvy: ai disprezzatori della rete capaci solo di cinquantacinquemila sfumature volgarissime di un semplice “oddio che brutta questa Armine” è stato infatti risposto con lenzuolate di complessità – tutta logorrea democratica e sbronza giacobina – sulla relatività del bello e l’immancabile calata di ghigliottina sul maschio tossico da rieducare perché non è mica bello ciò che è bello ma è bello ciò che non piace a lui che non sa distinguere una accompagnatrice da un “puntello narrativo”: così Jonathan Bazzi sulla newsletter di Domani e su chi fa “coming out di ignoranza” e “la libido maschile misura di tutte le cose”. “Torna in mente Schopenhauer” scrive Flavia Piccinni sull’Huffington Post, dopo aver denunciato “l’imperante misoginia, e le dinamiche tossiche che continuano a essere alla base dei rapporti maschio/femmina ove tutto è filtrato attraverso l’apparenza” e parlando della “miseria stereotipata che ci meritiamo”.

LO SCIAME DEI PHILOSOPHES, IL MARKETING DI GUCCI

Lo sciame dei philosophes invade la rete per randellare @peppe75 ma anche le (poche) voci, vedi Elena Loewentahl o Marina Terragni, che dicono che Armine non è bella, che Gucci fa marketing. Il che è verissimo: di quel genio di Alessandro Michele, direttore creativo della maison italiana che secondo tutti sta “rivoluzionando l’idea di bellezza” ora sappiamo che sa fare benissimo il suo lavoro, che con una sconosciuta dell’Armenia ha ottenuto più di quanto sia riuscito a fare con la modella con la sindrome di down e insieme la collezione “my body my choice” e il ricamo “22.5.78” creata per rendere omaggio alla 194, più che con le ossute modelle taglia 34 in spregio ai codici antianoressia, più di tutte le donne non belle (no dico, le avete viste le eredi Gucci delle supertop degli anni Novanta scelte da quegli evidentemente libidinosi maschi tossici chiamati Versace, Armani o Valentino?) scelte da Michele perché nell’epoca queer e tuttifluidi sono le portatrici sane di un motivo per essere stigmatizzate a diventare “un caso”.

E così, mentre Gucci vende, con lo stesso meccanismo speculare a quei bifolchi che riducono la bellezza a un mero dato estetico formale, i nobili editorialisti ci hanno spiegato che la bellezza sarebbe in pratica come il dito medio di Cattelan, che è tanto bello ma va spiegato e le masse non lo capiranno mai. Poi, il colpo di scena. Dopo due settimane di nobilitazione del naso adunco e del monosopracciglio armeno, fermi tutti: Armine Harutyunyan, l’intensa, brillante, almodovariana Armine risponde a Repubblica.

«NON SONO SOLO UNA FACCIA», PRENDANO APPUNTI HATERS E SALOTTI

E che dice? Dice boh, che “onestamente” non sa perché si parla di lei, “davvero non me lo spiego, anche perché ho sfilato per Gucci un anno fa, non c’è nulla di nuovo di cui discutere”. Dice che lavora come designer, che dopo la sfilata di Gucci il programma di una tv turca aveva iniziato a fare la sua parodia, e chi ha un minimo di nozioni storiche sa che per una armena non è esattamente come essere bersagliata da @peppe75; che “non vale la pena preoccuparsi” del resto; a domanda della giornalista che le chiede perché “non ha ancora affrontato sui suoi social media tutto quello che è accaduto negli ultimi giorni” risponde semplicemente che “non mi sembra necessario”, che è “meglio essere diversi che omologati” e che quando si guarda allo specchio “vedo una persona che è più di una faccia, che ha tanti interessi, tante cose da dire e da fare. E che non ha tempo per chi la vuole abbattere”.

Prendano appunti gli haters, ma soprattutto l’internazionale conformista che a colpi di Schopenhauer e compagnia filosofante ha dissezionato la sua faccia armena fino all’ultimo pelo di sopracciglio per rivoluzionare l’idea di bellezza, tutto sulla pelle di una ragazza di 23 anni che in Armenia stava occupandosi allegramente di farsi la sua vita e non quella dell’icona anti body shaming, hate sharing, libera dalla libidine del salotto misura di tutte le cose.

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>>Oliviero Toscani contro tutti: «La modella armena? Bellezza rivoluzionaria»

Ambasciatrice armena: “L’amicizia fra i nostri Paesi è fondamentale” (Assadakah 01.09.20)

Letizia Leonardi – Il 6 luglio scorso S.Е. Tsovinar Hambardzumyan, Ambasciatrice della Repubblica d’Armenia in Italia, è stata ricevuta ufficialmente dal Presidente Sergio Mattarella che ha assicurato il proprio sostegno e ha espresso l’auspicio per un ulteriore rafforzamento delle relazioni italo-armene. Durante il colloquio l’Ambasciatrice Hambardzumyan ha illustrato al Capo di Stato italiano anche i più recenti sviluppi della politica interna in Armenia e le misure adottate dal governo armeno per il rafforzamento della democrazia e delle istituzioni democratiche convenendo, entrambi, sulla necessità di dare un nuovo impulso alle relazioni politiche ed economiche tra i due Stati.

Tsovinar Hambardzumyan, nata a Yerevan, ha un curriculum di tutto rispetto. Ha studiato presso il Dipartimento di Lingue e letterature orientali della Facoltà di Studi orientali dell’Università Statale di Yerevan e presso la School of Political Studies del Consiglio d’Europa. Nel 2008, ha studiato Sicurezza al Rome Defense College della NATO. Oltre ad aver insegnato lingue e letterature orientali, al Nersisyan College di Etchmiadzin, in Armenia, ha ricoperto il ruolo di esperta nel dipartimento di analisi dell’Ufficio del Presidente della Repubblica di Armenia. Nel 1998 è stata uno dei principali specialisti del servizio di analisi dell’Ufficio di Presidenza e poi, Capo Specialista dell’Ufficio del Portavoce del Presidente della Repubblica d’Armenia. Dal 2002 al 2018 è stata il Consigliere e Capo del Dipartimento per le relazioni estere dell’Ufficio del Presidente della Repubblica d’Armenia e, dal 2008, ha preso parte, come osservatrice internazionale, alle missioni OSCE/ODIHR, studiando e valutando i processi elettorali in diversi Paesi. Nel 2018 è stata nominata dall’attuale Primo Ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, Capo dell’Ufficio Relazioni con l’Estero con il grado di Consigliere di Stato di 2ª classe. Infine, il 1 giugno di quest’anno, con decreto del Presidente della Repubblica d’Armenia Armen Sarkissian, Tsovinar Hambardzumyan è stata nominata Ambasciatrice Straordinaria e Plenipotenziaria della Repubblica d’Armenia presso la Repubblica italiana. Abbiamo approfittato della sua disponibilità per rivolgerle alcune domande.

Si è trovata a svolgere il suo ruolo di Ambasciatrice in un momento di grande difficoltà per la nazione armena, tra l’emergenza Covid-19 e le minacce da parte degli azeri. Cosa può dirci dell’attività che sta portando avanti?

Sono passati meno di due mesi da quando ho assunto questo importante incarico di rappresentante dell’Armenia in Italia come Ambasciatrice. Ho iniziato il mio mandato in un periodo molto particolare, in piena pandemia da Covid-19, sia in Armenia che in Italia. Vorrei cogliere questa occasione per ringraziare, ancora una volta, le autorità italiane per l’invio in Armenia del team degli operatori sanitari della Protezione civile italiana che ringrazio perché, nonstante la stanchezza fisica e mentale dovuta alla situazione di duro lavoro vissuta nei mesi passati, si sono recati in Armenia per supportare i colleghi armeni nella lotta all’emergenza Coronavirus. E purtroppo, alla sfida contro il del virus si è aggiunta anche l’escalation al confine provocata dall’Azerbaijan, in piena violazione dell’appello del Segretario Generale dell’ONU per un cessate il fuoco globale durante la pandemia da coronavirus”.

Quale potrebbe essere il ruolo delle diplomazie e il suo in particolare?

Come ho detto prima, ho assunto il mio mandato in un periodo molto difficile. Ma operare in condizioni straordinarie fa parte del nostro lavoro, del lavoro di ogni diplomatico. È mia intenzione adoperarmi quotidianamente a favore dell’ulteriore sviluppo dei rapporti armeno-italiani che si fondano sulle strette relazioni tra i nostri Paesi e impegnarmi pienamente per rafforzare, ancora di più il rapporto d’amicizia tra i nostri due popoli le cui fondamenta furono gettate secoli fa. Il ruolo della diplomazia nella risoluzione del conflitto del Nagorno Karabakh è imprescindibile, poiché non esiste una soluzione militare al conflitto”.

E lei che può dire dell’atteggiamento dell’Italia? Cosa potrebbe fare l’Italia per stare a fianco all’Armenia?

Apprezzo molto l’approccio prudente ed equilibrato dell’Italia nei giorni dell’escalation sul confine armeno-azerbaijano nella regione di Tavush. Per quanto riguarda il conflitto del Nagorno Karabakh in generale, la nostra aspettativa è che l’Italia continui a mostrare un approccio equilibrato e imparziale e a sostenere il processo negoziale nell’ambito della Co-presidenza del Gruppo di Minsk dell’OSCE, unica via negoziale avente il mandato della comunità internazionale”.

Cosa sta facendo e a chi si sta rivolgendo per contrastare le menzogne azere e far conoscere la verità sui recenti attacchi?

Non credo sia possibile manipolare la società italiana con menzogne e falsificazioni: non dimentichiamoci che abbiamo a che fare con un popolo che rappresenta una delle più antiche civiltà del mondo, a cui è impossibile propinare la storia rappresentata attraverso l’immaginazione di qualcuno. È pertanto molto importante che gli italiani abbiano la possibilità di accedere, tramite la stampa italiana e le analisi giornalistiche, a informazioni imparziali e argomentate su ciò che sta accadendo nella nostra regione”.

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Testo di risposta alla lettera dell’Ambasciatore dell’Azerbaigian pubblicata il 31 agosto 2020 da codesta spettabile testata. (Politicamentecorretto.com 01.09.20)

Egr. direttore,

i Suoi lettori hanno avuto modo di leggere nei giorni scorsi il confronto a distanza sulla irrisolta questione del conflitto del Nagorno Karabakh e La ringraziamo per lo spazio che ha voluto dedicare a tale tema.

L’ambasciatore Ahmadzada – che ringraziamo per aver accettato il confronto con la nostra piccola realtà – ha dunque ritenuto opportuno controreplicare tempestivamente alla nostra precedente risposta. Dobbiamo rilevare però che lo stesso elude ancora una volta le nostre domande sugli scontri dello scorso luglio e sulla responsabilità degli stessi preferendo accusare la parte armena di non avere argomenti.

Ribadiamo le domande: “Cosa ci faceva il 12 luglio scorso un veicolo militare azero nella zona cuscinetto sul confine azero armeno? Cosa ci facevano i soldati azeri nella stessa buffer zone?”.

Sua Eccellenza Ahmadzada definisce “campagna diffamatoria contro l’Azerbaigian” l’evidenza delle organizzazioni internazionali che collocano il suo Paese tra gli ultimi al mondo per libertà di informazione (Freedom press index) e tra i più corrotti (Corruption perception index) utilizzando un linguaggio tipico dei regimi totalitari.

A titolo esemplificativo facciamo presente che la classifica mondiale sulla libertà di informazione (Freedom press index) colloca l’Armenia al 61° posto (venti gradini sotto l’Italia, 41a) mentre l’Azerbaigian è al 167° posto e la Turchia al 154°. Con tutti i limiti e le difficoltà di sviluppo della società civile e politica armena, il paragone evidenzia posizioni ben differenti. Non lo diciamo noi, ma le organizzazioni internazionali che chiedono la liberazione di giornalisti e attivisti azeri imprigionati a centinaia nelle carceri di Aliyev la cui famiglia – altro dato significativo – da oltre trenta anni governa il Paese.

Il diplomatico di Aliyev piuttosto che analizzare (come potremmo d’altronde dargli torto…) i problemi di casa propria preferisce divagare sulla storia politica dell’Armenia che al pari dell’Azerbaigian nel 1991 concluse la propria esperienza nell’Unione sovietica e che in questi trenta anni di storia, senza dubbio politicamente ed economicamente travagliata, ha saputo però progressivamente disegnarsi un ruolo di Paese sempre più democratico e partner fidato dell’Unione europea.

Conveniamo tuttavia con il nostro interlocutore allorché individua nell’obiettivo della Diaspora lo sviluppo e la prosperità della propria patria; se non che, ritiene che questo risultato sia perseguibile solo attraverso linee da lui dettate L’Ambasciatore  chiede la normalizzazione delle relazioni dell’Armenia con i suoi vicini che sono, oltre a Georgia e Iran, la Turchia che continua a negare il genocidio armeno e il cui presidente anche recentemente ha minacciato di “proseguire l’opera dei padri” (ovvero lo sterminio degli armeni) e l’Azerbaigian che da decenni ha fatto dell’armenofobia il cardine della propria politica estera.

Insomma, secondo Ahmadzada l’Armenia potrebbe stare tranquilla solo rinunciando alla propria dolorosa memoria e al proprio futuro, ovvero alla libera, indipendente e pacifica esistenza del popolo del Nagorno Karabakh-Artsakh.

L’Armenia sarà anche un paese in via di sviluppo e ancora povero. Ma meglio poveri e dignitosi che ricchi e guerrafondai.

Distinti saluti.

CONSIGLIO PER LA COMUNITA’ ARMENA DI ROMA

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Armine Harutyunyan, risponde alle critiche: ‘Non ho tempo per chi mi vuole abbattere’ (31.08.20)

Armine Harutyunyan è la modella Gucci vittima di body shaming e di razzismo sul web: perchè? Il caso ha attirato l’attenzione di tutti.

Armine, la modella Gucci, ha un’altra passione oltre alla moda: ecco tutte le curiosità sulla giovane armena 23enne

E’ una delle donne più chiacchierate degli ultimi giorni. Sulla passerella della collezione Primavera/Estate 2020 di Gucci abbiamo visto sfilare Armine Harutyunyan, la modella armena che ha catturato l’attenzione di tutti. Armine si è trovata completamente al centro del ciclone mediatico: ma perchè? Gli utenti in rete hanno criticato la giovane 23enne in quanto non è così bella per essere una modella. Sarebbe apparsa in una lista che parlava delle donne più belle e sexy del pianeta e questo ha scatenato il web: la modella si è ritrovata vittima di insinuazioni offensive, commenti cattivi ed attacchi di body shaming. Il grave fenomeno che si è verificato fa notare quanto non sia mai realmente esistito un modello di bellezza puro: ultimamente troviamo sempre più spesso protagonisti di passerelle ‘lontani da modelli di perfezione’ a cui siamo stati abituati ma a qualcuno quanto accade non va proprio giù. Armine Harutynyan con i suoi lineamenti tipici armeni, particolarmente affilati, il naso adunco e le sopracciglia folte, è un esempio di ‘bellezza anticonvenzionale’. La sua più grande forza risiede nel fatto che, nonostante sia stata presa di mira dagli hater, continua per la sua strada. Volete scoprire qualcosa in più sulla giovane armena? Vi sveliamo tutto.

Armine Harutyunyan, chi è la modella Gucci vittima del web: età e com’è iniziata la sua carriera

Armine Harutyunyan si è trovata nel mondo della moda per un incontro fortuito, come scrive un portale Theartgorgeous.com: è stata notata mentre era a Berlino, ha raccontato la modella. Passeggiava per la città quando uno scout della moda si è avvicinato a lei: le chiese di scattare una foto e di scambiare i contatti. Dopo un mese la contattarono per partecipare ai casting della sfilata di Gucci. Si è trovata improvvisamente in un nuovo mondo, quello della moda, e ne era entusiasta: grave che la sua storia però sia finita al centro del ciclone mediatico.

Armine ha 23 anni ed è originaria di Erevan, in Armenia: è un’illustratrice e graphic designer. La giovane modella ha l’arte nell’anima: la sua è una famiglia di artisti. Suo nonno è un pittore molto apprezzato in Armenia, ed anche la nonna è una famosa artista. Armine ha studiato al Erevan State Institute of Fine Arts and Theatre ed ha iniziato a lavorare come graphic designer per Bet Construct. Sul suo canale Instagram la giovane 23enne pubblicò diversi anni fa un meraviglioso lavoro del nonno, a dimostrazione della sua passione per l’arte:

Armine ha lunghi capelli neri, un viso affilato e sopracciglia foltissime: secondo la rete non rappresenta l’ideale di bellezza a cui siamo sempre stati abituati. La giovane da quando ha sfilato per Gucci a Milano nel 2019 si ritrovata ad essere vittima di body shaming, di commenti sessisti, offensivi, riguardo il suo aspetto fisico. Ha partecipato alla Fashion Week di Parisi lo scorso settembre e sono stati davvero troppi i messaggi razzisti che ha ricevuto. La giovane Armine, definita ‘brutta dall’aspetto non adatto al mondo della moda’ dagli hater, continua per la sua strada ma soprattutto a fare ciò che ama, senza badare al pensiero di altri.


Toscani: ‘Ignorare gli heaters, Armine bellezza rivoluzionaria’

Chi è Armine Harutyunyan, modella Gucci vittima di body shaming e foto taroccate (Corriere 31.08.20)

Armina l’armena e la dimostrazione che la moda arriva sempre dieci anni prima

Armine, la modella derisa per la sua bellezza “non convenzionale” (ilgiornaledivenezia 31.08.20)

Armine Harutyunyan, chi è la modella Gucci vittima del web: età e com’è iniziata la sua carriera (sologossip)

Armine Harutyunyan, risponde alle critiche: ‘Non ho tempo per chi mi vuole abbattere’

“È una delle 100 donne più belle del mondo”. E sui social è caos: pioggia di insulti per la modella

UFFICIALE Mkhitaryan dice addio all’Arsenal: ora il passaggio alla Roma (Calcionews

Henrikh Mkhitaryan ha risolto il contratto con l’Arsenal per trasferirsi alla Roma: il comunicato ufficiale del club inglese

Henrikh Mkhitaryan ha risolto ufficialmente il suo contratto con l’Arsenal per trasferirsi alla Roma a titolo definitivo.

«Micki ci lascia dopo il prestito stagionale in Italia. Abbiamo deciso di risolvere il suo contratto con noi di comune accordo per consentirgli di unirsi alla Roma a titolo definitivo. Il nazionale armeno si è unito a noi dal Manchester United nel gennaio 2018 e ha segnato in modo memorabile il suo primo inizio in Premier League per noi con una tripletta di assist nella vittoria per 5-1 sull’Everton. Durante il suo tempo con noi, Micki ci ha aiutato a raggiungere la finale di Europa League 2019 e ha ottenuto un totale di 13 assist e ha segnato nove gol in tutte le competizioni. Ha fatto la storia per il suo Paese, Micki è il miglior marcatore dell’Armenia di tutti i tempi ed è stato nominato calciatore armeno dell’anno nove volte. Tutti all’Arsenal ringraziano Micki per il suo contributo alla società e gli fanno i migliori auguri per il suo futuro con la Roma».

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Il film della regista armena nel villaggio abitato, gestito e curato solo da donne dalla primavera all’inverno (Ilmessaggero 31.08.20)

Si intitola Villaggio di donne, il film in concorso in vari festival minori, in Italia e all’estero, della registra e sceneggiatrice armena Tamara Stepanyan. La giovane cineasta formatasi in Libano ha scelto di registrare per un intero anno la vita di un paese abitato solo da donne che accudiscono vecchi e bambini. Un villaggio armeno che si è lentamente svuotato dai mariti e dai figli più grandi per  trovare lavoro all’estero, soprattutto in Russia, dove c’è la possibilità di un impiego stagionale, dalla primavera all’inverno.

Le donne, improvvisamente diventano capo famiglia e tutto ruota attorno a loro. Il nome del villaggio non viene definito volutamente, proprio perché il destino di queste donne è una condizione femminile molto comune nelle regioni più disagiate dell’Armenia, paese caucasico dalle radici antichissime, divenuto indipendente dall’Urss dopo il crollo del Muro di Berlino. Per nove mesi i mariti di quasi tutte le donne partono per quello che viene definito un autentico esilio.

E’ in quel momento che il testimone di capo famiglia passa dall’uomo alle mani della moglie e, di conseguenza, anche il potere simbolico di presiedere ad ogni aspetto della vita comunitaria, organizzativa, gestionale assicurando la continuità di vita per i figli, le piccole aziende agricole, la campagna. E’ sulle spalle di queste donne che si accumulano i lavori degli uomini, ai quali si aggiungono anche quelli che solitamente svolgono le donne in casa in qualità di care-giver.

Il film percorre una condizione difficilissima mettendo a nudo ansie, problemi,contraddizioni di chi resta e di chi torna, ma anche la capacità di fare rete tipicamente femminile. La regista ha fatto tutto da sola, entrando con una telecamera da ospite nelle case, riprendendo scene di vita comune, ascoltando le storie, raccogliendo le lacrime, studiando gli orizzonti comuni. Le donne armene legate alla terra sopportano l’attesa, dimostrando di riuscire a fare tanto quanto i loro mariti se non di più.

Una giovane lasciata in paese dal marito ventenne dopo pochi mesi di matrimonio per il lavoro in Russia, racconta: «Quando tornava era sempre un estraneo e ho faticato anni ad accettarne la presenza in casa». Gli uomini armeni che emigrano stagionalmente hanno una vita ugualmente durissima. Generalmente vivono in cameroni tutti assieme per risparmiare sui costi del’alloggio, lavorano senza avere orari, sfruttati al massimo nel’agricoltura o nell’edilizia. Poi quando arriva la neve gli uomini fanno ritorno e tutto riprende come prima, compresa la vita patriarcale tipica delle famiglie rurali armene. I bambini però si abituano crescendo a questo cambiamento di ruolo, accettando con maggiore semplicità l’idea di una uguaglianza tra uomo e donna.

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Consiglio per la Comunità Armena di Roma. La nostra risposta all’Ambasciatore azero in Italia: “Bugie e negazionismo”. (Sardegnagol 31.08.20)

Recentemente, l’Ambasciatore della Repubblica dell’Azerbaigian in Italia, Mammad Ahmadzada, è intervenuto sulla recente recrudescenza dell’ostilità tra l’Armenia e lo Stato azero.

Sul conflitto tra i due Paesi, vista la complessità dello scenario geopolitico, riteniamo doveroso dedicare spazio a tutte le diverse voci in campo, senza alcuna intermediazione.

Oggi, dopo aver intervistato il Presidente dell’Unione degli Armeni d’Italia, Baykar Sivazliyan, pubblichiamo la lettera inviata alla nostra redazione dalla Comunità Armena di Roma, in risposta alle dichiarazioni dell’Ambasciatore della Repubblica dell’Azerbaigian in Italia, Mammad Ahmadzada.

“Se la ride S.E. Mammad Ahmadzada, ambasciatore dell’Azerbaigian in Italia, citando la presunta abilità armena di contraffare la verità che a suo dire genera ‘ilarità’. Fossimo in lui, rappresentante diplomatico di una delle peggiori dittature al mondo (Freedom press index colloca l’Azerbaigian al 167° posto su 180 nazioni, poco sotto la Corea del nord…) ci preoccuperemmo delle sorti del suo Paese dove l’opposizione è inesistente, i giornalisti e i membri delle ong non allineati vengono sbattuti in galera”.

“Nonostante i tanti soldi che regala in giro per l’Europa (Italia compresa) Aliyev rimane un dittatore al pari di Lukashenko o Kim Jong-un e la sua famiglia governa da più di trenta anni una nazione fatta crescere nell’odio contro gli armeni. Accusa gli armeni, prima nazione al mondo ad aver abbracciato ufficialmente la fede cristiana nel 301, di essersi ‘appropriati della Chiesa dell’Albania caucasica’ ma non spiega perché allora l’Azerbaigian ha distrutto tutti i monumenti e le chiese armene in Nakhichevan, comprese diecimila croci di pietra (katchkar) di epoca medioevale a Julfa. Come i barbari talebani in Afghanistan con i buddha di Bamiyan… e non sono gli armeni a proclamarsi primo popolo cristiano ma lo dice la storia della Chiesa”.

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“Bugie continua a ripetere la feluca azera sulla storia armena e su quella del Nagorno Karabakh-Artsakh (che non è mai stato storicamente un territorio azero e che giusto un secolo or sono vantava il 95% della popolazione di etnia armena) mescolando a caso informazioni e propaganda, tanto su un tema così complicato e delicato il lettore medio difficilmente riesce a raccapezzarsi”.

“Sorvola sui massacri e le pulizie etniche che gli armeni residenti in Azerbaigian dovettero subire nei decenni scorsi da Sumgayt in poi e mente sugli antefatti storici della guerra che l’Azerbaigian scatenò contro la piccola repubblica del Nagorno Karabakh, territorio di circa 4000 Km2 gentilmente donato da Stalin agli azeri negli anni Venti del secolo scorso”.

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“Un tavolo negoziale per la soluzione pacifica del contenzioso è stato istituito con il Gruppo Minsk dell’OSCE ma dalle affermazioni dell’Ambasciatore si evince che il suo Paese è contrario al dialogo e non accetta il principio che la questione del Nagorno Karabakh possa arrivare a conclusione senza l’uso della forza”.

“L’Armenia è un aggressore e l’Azerbaigian è una vittima” scrive l’esimio Ambasciatore al quale rinnoviamo due domande molto semplici: “Cosa ci faceva il 12 luglio scorso un veicolo militare azero nella zona cuscinetto sul confine azero armeno? Una gita fuori porta?” E la seconda: “Cosa ci facevano i soldati azeri nella stessa buffer zone? Un pic-nic?”.

“L’Azerbaigian deve capire che deve arrendersi all’evidenza che la Storia non può essere raccontata a suon di petrodollari…”.

“Ma invero, se una ricostruzione di parte può anche essere scontata (visto il recente richiamo del dittatore Aliyev ai propri ambasciatori perché si diano da fare a livello di comunicazione…) appare tuttavia moralmente inaccettabile il richiamo negazionista – d’altronde buon sangue turco non mente – quando parla degli ‘eventi della prima guerra mondiale’ riferendosi evidentemente al genocidio armeno perpetrato dall’impero ottomano contro la minoranza armena”.

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“Ecco, vedere riportato su una testata italiana l’intervento di un rappresentante di uno Stato dittatura che mistifica la realtà e pronuncia frasi negazioniste sul genocidio di un milione e mezzo di armeni senza che la redazione senta il dovere di prendere un minimo di distanza da certe affermazioni fa male. Quale reazione vi sarebbe, chiediamo, se l’ambasciatore di un Paese non democratico inviasse una nota nella quale tra l’altro nega l’Olocausto?
Viviamo in una nazione, l’Italia, nella quale per fortuna tutti hanno diritto di parola e la libertà di informazione è garantita. Ciò però non significa avallare pedissequamente un crimine contro l’umanità”.

foto © www.comunitaarmena.it

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LETTERA/ Gli “errori” dell’Azerbaigian sulle terre che sono armene (Il Sussidirario 31.08.20)

Egregio direttore,
scriviamo in risposta alla lettera, ricca di retorica ma ahinoi povera di fatti, dell’ambasciatore Mammad Ahmadzada da lei pubblicata il 12 agosto. Ci limiteremo a esporre alcuni dei fatti più salienti, e lasceremo al pubblico italiano trarne le conseguenze.

Quando l’Ambasciatore insiste che l’Azerbaigian è “garante della sicurezza e della pace nel Caucaso meridionale” e “promotore del dialogo tra le civiltà”, ricorderemo solamente la vicenda dell’ufficiale Ramil Safarov, che nel cuore della notte del 19 febbraio 2004 a Budapest, durante un’esercitazione Nato, uccise l’ufficiale armeno Gurgen Margaryan con 16 colpi d’ascia. Dopo la sua condanna all’ergastolo dalla corte ungherese il 13 aprile 2006, condanna confermata dalla corte d’appello il 22 febbraio 2007, Safarov venne consegnato alle autorità azere il 31 agosto 2012, rimpatriato, e osannato dal suo governo. Fu promosso a capitano. Gli furono dati otto anni di paga arretrata e un appartamento.

E vorremmo ricordare anche che, nel rally tenutosi a Baku il 14 luglio scorso, la folla urlava “morte agli armeni”.

Per quanto l’Ambasciatore insista che il Nagorno Karabakh – o l’Artsakh, come viene chiamato dagli armeni – sia una “regione azerbaigiana” e “terra storica” di “1 milione di azerbaigiani”, la regione non ha mai veramente fatto parte dell’Azerbaigian. Non si trovava tra i confini dell’Azerbaigian quando è stato creato nel 1918. Né ne faceva parte integrale nel 1991, quando l’Azerbaigian ha dichiarato la propria indipendenza. Il Nagorno Karabakh è stato incluso tra i confini dell’Azerbaigian da Stalin solamente nel 1921, come oblast, ossia regione autonoma, e contrariamente alla volontà delle persone che vi abitavano.

Come chiunque può evincere dalle rovine di Tigranakert (Tigranocerta) – una delle sette città fondate dal re armeno Tigrane il Grande nel I secolo a.C. – e dalle innumerevoli chiese armene sparse in tutto il territorio, per non ricordare la città di Shushi –, il Nagorno Karabakh è terra dove il popolo armeno vive da millenni.

Infine, ci siamo divertiti con la citazione dell’Ambasciatore, che scrive: “c’è un detto in Azerbaigian: ‘L’ultimo arrivato caccia chi già c’era!’”. È certamente vero per quanto riguarda il Nakhichevan, antico territorio armeno attribuito da Stalin all’Azerbaigian nel 1921, dove sono stati distrutti perfino gli antichi cimiteri degli armeni; non lo è certo per il Nagorno Karabakh.

Nagorno Karabakh. Il Consiglio per la Comunità armena di Roma: ‘bugie e negazionismo: . La nostra risposta all’ambasciatore azero in italia (Politicamentecorretto, notiziegeopolitiche 30.08.20)

Se la ride S.E. Mammad Ahmadzada, ambasciatore dell’Azerbaigian in Italia, citando la presunta abilità armena di contraffare la verità che a suo dire genera “ilarità”.

Fossimo in lui, rappresentante diplomatico di una delle peggiori dittature al mondo (Freedom press index colloca l’Azerbaigian al 167° posto su 180 nazioni, poco sotto la Corea del nord…), ci preoccuperemmo delle sorti del suo Paese dove l’opposizione è inesistente, i giornalisti e i membri delle ong non allineati vengono sbattuti in galera.

Nonostante i tanti soldi che regala in giro per l’Europa (Italia compresa), Aliyev rimane un dittatore al pari di Lukashenko o Kim Jong-un e la sua famiglia governa da più di trenta anni una nazione fatta crescere nell’odio contro gli armeni.

Accusa gli armeni, prima nazione al mondo ad aver abbracciato ufficialmente la fede cristiana nel 301, di essersi “appropriati della Chiesa dell’Albania caucasica” ma non spiega perché allora l’Azerbaigian ha distrutto tutti i monumenti e le chiese armene in Nakhichevan, comprese diecimila croci di pietra (katchkar) di epoca medioevale a Julfa. Come i barbari talebani in Afghanistan con i buddha di Bamiyan…

E non sono gli armeni a proclamarsi primo popolo cristiano ma lo dice la storia della Chiesa.

Bugie continua a ripetere la feluca azera sulla storia armena e su quella del Nagorno Karabakh-Artsakh (che non è mai stato storicamente un territorio azero e che giusto un secolo or sono vantava il 95% della popolazione di etnia armena) mescolando a caso informazioni e propaganda, tanto su un tema così complicato e delicato il lettore medio difficilmente riesce a raccapezzarsi.

Sorvola sui massacri e le pulizie etniche che gli armeni residenti in Azerbaigian dovettero subire nei decenni scorsi da Sumgayt in poi e mente sugli antefatti storici della guerra che l’Azerbaigian scatenò contro la piccola repubblica del Nagorno Karabakh, territorio di circa

4000 km2 gentilmente donato da Stalin agli azeri negli anni Venti del secolo scorso.

Un tavolo negoziale per la soluzione pacifica del contenzioso è stato istituito con il Gruppo Minsk dell’OSCE ma dalle affermazioni dell’Ambasciatore si evince che il suo Paese è contrario al dialogo e non accetta il principio che la questione del Nagorno Karabakh possa arrivare a conclusione senza l’uso della forza.

“L’Armenia è un aggressore e l’Azerbaigian è una vittima” scrive l’esimio Ambasciatore al quale rinnoviamo due domande molto semplici:

“Cosa ci faceva il 12 luglio scorso un veicolo militare azero nella zona cuscinetto sul confine azero armeno? Una gita fuori porta?”  E la

seconda: “Cosa ci facevano i soldati azeri nella stessa buffer zone? Un pic-nic?”.

L’Azerbaigian deve capire che deve arrendersi all’evidenza che la Storia non può essere raccontata a suon di petrodollari…

Ma invero, se una ricostruzione di parte può anche essere scontata (visto il recente richiamo del dittatore Aliyev ai propri ambasciatori perché si diano da fare a livello di comunicazione…), appare tuttavia moralmente inaccettabile il richiamo negazionista – d’altronde buon sangue turco non mente – quando parla degli “eventi della prima guerra mondiale” riferendosi evidentemente al genocidio armeno perpetrato dall’impero ottomano contro la minoranza armena.

Ecco, vedere riportato su una testata italiana l’intervento di un rappresentante di uno Stato dittatura che mistifica la realtà e pronuncia frasi negazioniste sul genocidio di un milione e mezzo di armeni senza che la redazione senta il dovere di prendere un minimo di distanza da certe affermazioni fa male.

Quale reazione vi sarebbe, chiediamo, se l’ambasciatore di un Paese non democratico inviasse una nota nella quale tra l’altro nega l’Olocausto?

Viviamo in una nazione, l’Italia, nella quale per fortuna tutti hanno diritto di parola e la libertà di informazione è garantita. Ciò però non significa avallare pedissequamente un crimine contro l’umanità.

Distinti saluti

CONSIGLIO PER LA COMUNITA’ ARMENA DI ROMA

 

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