Diplomazia pontificia… Il punto di vista dell’ambasciatore armeno presso la Santa Sede. (Acistampa 29.08.20)

CITTÀ DEL VATICANO , 29 agosto, 2020 / 4:00 PM

FOCUS CAUCASO

Conflitto armeno-azero, il punto di vista dell’ambasciatore di Armenia presso la Santa Sede

A seguito dell’escalation che c’è stata ad inizio luglio nella regione del Nagorno Karabach, le ambasciate di Armenia ed Azerbaijan presso la Santa Sede hanno definito la posizione delle loro nazioni in delle dichiarazioni rilasciate ad ACI Stampa. Prima l’ambasciata di Azerbaijan presso la Santa Sede aveva accusato gli armeni di essere responsabili dell’escalation, affermando tra l’altro che in questo modo l’Armenia voleva mettere in gioco l’idea che l’Azerbaijan potesse essere un partner affidabile nella gestione del gas. L’ambasciatore armeno aveva invece rimandato al mittente le accuse, sottolineando invece le responsabilità dell’Azerbaijan e puntando anche il dito contro una longa manus turca dietro le attività azere.In una successiva dicahiarazione, l’ambasciata di Azerbaijan presso la Santa Sede ha parlato di “provocazione armata” da parte dell’Armenia e sottolineato che questa era contro le risoluzioni delle Nazioni Unite.

Garen Nazarian, ambasciatore di Armenia presso la Santa Sede, risponde alle osservazione dell’ambasciatore Mustafayev con una dichiarazione inviata ad ACI Stampa

L’ambasciatore Nazarian sottolinea che “è deludente vedere gli sforzi dell’ambasciatore azerbaigiano presso la Santa Sede nell’interpretare in maniera errata le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 1993”.

Secondo l’ambasciatore Nazarian, “il collega azerbaigiano, nel tentativo di abortire la possibilità di raggiungere una soluzione di compromesso, cerca di giustificare la posizione del suo paese di procrastinare i negoziati e di accusare i mediatori – i copresidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE”.

L’ambasciatore Nazarian nota che “non il processo di pace, ma la cessazione delle ostilità è stato l’obiettivo principale di quelle risoluzioni che, tra l’altro, sono state ripetutamente violate dall’Azerbaijan e alcune di queste violazioni sono riportate nelle risoluzioni stesse”. L’ambasciatore nota poi che “in quei documenti adottati 27 anni fa non ci sono riferimenti al cosiddetto ‘ritiro delle forze armate dell’Armenia’ come riporta l’ambasciatore azerbaigiano”.

Rifacendosi alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza ONU, l’ambasciatore armeno sottolinea che “l’Azerbaijan finge che siamo ancora nel 1993 e che non vi sia stato un accordo trilaterale di cessate il fuoco firmato da Azerbaijan, Nagorno-Karabakh e Armenia nel 1994”. Ma, nota, “ironicamente nel fare ciò, l’ambasciatore dell’Azerbaijan fa riferimento alla decisione del Vertice OSCE di Budapest che ha accolto con favore il cessate il fuoco e ha riconosciuto i firmatari, compreso il Nagorno-Karabakh, come parte nel conflitto”.

Secondo l’ambasciatore di Armenia presso la Santa Sede “il rifiuto dell’Azerbaijan di negoziare con il Nagorno-Karabakh è in netta contraddizione con la sua affermazione ‘che le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e la decisione del Vertice OSCE di Budapest’ sono il quadro giuridico e politico per il processo di pace”.

L’essenza del problema sta, sottolinea l’ambasciatore “nell’attuazione da parte del popolo del Nagorno-Karabakh del suo diritto inalienabile all’autodeterminazione, nel pieno rispetto delle norme del diritto internazionale e del diritto interno dell’Unione Sovietica prima del suo crollo nel 1991”, e che “il conflitto tra Azerbaijan e Nagorno Karabakh è scoppiato in risposta all’autodeterminazione di quest’ultimo, come risultato di politiche di potere portate avanti dalla leadership dell’Azerbaijan e dimostrate dai massacri brutali e dalle pulizie etniche dell’intera popolazione armena di 400.000 persone dell’Azerbaijan, così come dall’inizio di un’aggressione militare su vasta scala contro la Repubblica del Nagorno-Karabakh”.

L’ambasciatore Nazarian sottolinea inoltre che “l’aggressione dell’Azerbaijan è stata condannata dalla comunità internazionale all’epoca. La politica dell’Azerbaijan di rifiuto dei principi del diritto internazionale, in particolare i principi del non uso della forza o della minaccia dell’uso della forza e il diritto dei popoli all’autodeterminazione, sta ancora continuando a minare il processo di pace”.

Nazarian invita poi a non distorcere l’appello di Papa Francesco del 19 luglio, e afferma che è “fuorviante” il “tentativo di ricercare divergenze tra la comunità internazionale e la co-presidenza del gruppo di Minsk dell’OSCE”, dato che questa “detiene il mandato della comunità internazionale e delle parti in conflitto di guidare il processo di pace del Nagorno-Karabakh”.

Insomma, conclude Nazarian, “se l’Azerbaijan è disposto a riconsiderare il suo accordo al Processo di Minsk dell’OSCE, i suoi rappresentanti diplomatici dovrebbero avere il coraggio e la capacità di formulare le loro richieste in modo ufficiale e chiaro, anziché distorcere le parole di Sua Santità”.

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Roma, Armenia nella black list: Mkhitaryan no nazionale (Ilmessaggero 29.08.20)

Il romanista Henrikh Mkhitaryan non è stato convocato per le partite della nazionale armena in Nations League contro Macedonia ed Estonia, del 5 e 8 settembre. Lo ha annuncoato il ct dell’Armenia Joaquin Caparros, sull’account Twitter della federcalcio locale. «Ho parlato con Henrikh al telefono – ha spiegato Caparros – e mi ha detto che al momento non può unirsi alla Nazionale. Ha promesso che farà di tutto per esserci a ottobre». Il giocatore della Roma resterà quindi a Trigoria per allenarsi con la sua squadra di club. Il motivo della mancata convocazione è che nella ‘black list’ dei paesi ai quali l’Italia ha chiuso i confini, per evitare di importare nuovi contagi da coronavirus, c’è anche l’Armenia, e quindi se Mkhitaryan fose andato in nazionale poi, al rientro in Italia, avrebbe dovuto rimanere per due settimane in autoisolamento. Per questo ha preferito rinunciare.
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Coronavirus, Mkhitaryan non convocato dall’Armenia

ROMA – Il romanista Henrikh Mkhitaryan non è stato convocato per le partite della nazionale armena in Nations League contro Macedonia ed Estonia, del 5 e 8 settembre. Lo ha annuncoato il ct dell’Armenia Joaquin Caparros, sull’account Twitter della federcalcio locale. “Ho parlato con Henrikh al telefono – ha spiegato Caparros – e mi ha detto che al momento non può unirsi alla Nazionale. Ha promesso che farà di tutto per esserci a ottobre“. Il giocatore della Roma resterà quindi a Trigoria per allenarsi con la sua squadra di club. Il motivo della mancata convocazione è che nella ‘black list’ dei paesi ai quali l’Italia ha chiuso i confini, per evitare di importare nuovi contagi da coronavirus, c’è anche l’Armenia, e quindi se Mkhitaryan fose andato in nazionale poi, al rientro in Italia, avrebbe dovuto rimanere per due settimane in autoisolamento. Per questo ha preferito rinunciare.

Morta dopo 237 giorni di sciopero della fame in carcere l’avvocata Ebru Timtik, paladina dei diritti umani in Turchia (Ilmessaggero 28.08.20)

Ha resistito per 238 giorni Ebru Timtik senza toccare cibo. Protestava per chiedere un processo equo. Il suo cuore alla fine non ha retto, un arresto cardiaco ha posto fine alla sua giovane vita. La coraggiosa avvocata per i diritti umani, membro del People Right Bureau (HHB) è morta il 27 agosto, nel tardo pomeriggio, nell’ospedale dove era stata ricoverata, dopo il trasferimento dalla prigione numero 9 a Silivri.

La sua morte ha avuto una eco mondiale e ha riportato i riflettori sul fatto che in Turchia il 21 settembre prossimo si terrà il processo a una ventina di avvocati turchi detenuti da due anni con l’accusa di terrorismo solo per avere preso le difese di persone accusate di terrorismo.

Ebru era stata arrestata insieme a altri 18 colleghi per il suo impegno nella difesa dei diritti civili in Turchia. La Corte costituzionale turca aveva respinto la richiesta di rilascio a scopo precauzionale sia per lei sia per il collega Aytaç Ünsal, entrambi in sciopero della fame, nonostante le loro condizioni di salute fossero già molto critiche. Per la Corte non ci sarebbero state «informazioni o reperti disponibili in merito all’emergere di un pericolo critico per la loro vita o la loro integrità morale e materiale con il rigetto della richiesta per il loro rilascio».

Alcuni membri del Partito popolare repubblicano (Chp) della opposizione avevano criticato la magistratura per non aver rilasciato Timtik. «Fino a quando saremo costretti ad assistere a queste morti?».

Il Consiglio nazionale forense italiano ha espresso il proprio cordoglio alla famiglia della collega turca Ebru Timtik, e la propria vicinanza e solidarieta’ agli avvocati turchi. «Il Cnf – si legge in una nota – continuera’, in sinergia con il Consiglio degli ordini forensi europei (Ccbe) e con l’Osservatorio internazionale avvocati in pericolo (Oiad), la propria azione di denuncia e di sostegno ai colleghi che si battono per il libero esercizio della professione di avvocato, compromesso anche dalla recente riforma degli ordini professionali in Turchia, e chiede alle autorita’ turche il rispetto dei diritti della difesa, inibiti e reiteratamente violati nei processi in cui sono stati coinvolti i colleghi».

Gli avvocati italiani invitano le autorita’ turche a rispettare i principi dell’ONU a sostegno del ruolo degli avvocati adottati a L’Avana nel 1990 e all’immediata scarcerazione di Aytac Unsal, collega coimputato condannato a 10 anni e 6 mesi di reclusione, che versa in gravi condizioni di salute.

Il deputato della Lega, Giulio Centemero – membro dell’assemblea parlamentare del Mediterraneo – ha criticato la Turchia per avere calpestato la dignità umana. Chi si macchia di tali crimini nega l’uomo e non si merita di essere chiamato tale e commette gli stessi errori del passato».

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Mongolia e Armenia, quelle vite di donne narrate al femminile (L’Arena 28.08.20)

«Che importa se le capre muoiono» della franco-marocchina Sofia Alaoui è per ammissione della stessa giovanissima regista un approccio al dogma, «non solo religioso, ma a tutti i dogmi che regolano la vita civile», sostiene nell’intervista che viene mandata sullo schermo a fine proiezione. Il film è bello, con una fotografia invidiabile ma criptico: non si capisce cosa succeda dal momento in cui il giovane Abdellah lascia il padre e il suo allevamento di capre sulla catena dell’Atlante per andare a cercare del grano, che integri nell’alimentazione il magro pascolo ai margini del deserto. Da quel momento è tutto un mistero di persone non trovate, di risposte non date, di eventi celesti non visti, ma che spaventano (un tuono, un uragano, un meteorite?). Finisce senza che se ne sappia di più. Nata a Mosca nel 1978, Nataliya Kharlamova si propone in «Accampamento sulla via del ritorno», suo progetto di diploma per la scuola di cinema, di raccontare la vita di un anziano capo di una accampamento nomade nella steppa ai confini con la Mongolia e con il quale ha avuto l’opportunità di coltivare l’amicizia negli anni. Solo che al momento di girare il film il soggetto principale muore, ma la regista non rinuncia al suo progetto, registrando invece quello che succede nell’accampamento a capo assente, dalla cerimonia funebre al rito sciamanico che gli succederà. Protagonista del film diventa così la figlia Belekmaa, che si assume in maniera inattesa la direzione dell’azienda e pare l’unica con la testa sulle spalle in un posto popolato di maschi inetti e alcolizzati. Brava lei a interpretare se stessa e brava la regista a restare indenne in un ambiente simile. Ci sono altre protagoniste femminili in «Villaggio di donne» della regista e sceneggiatrice armena Tamara Stepanyan, che ha scelto di registrare un intero anno di vita di un paese abitato solo da donne, vecchi e bambini. I mariti e i giovani sono a lavorare in Russia dalla primavera all’autunno, in quello che tutti definiscono “esilio”, mentre madri e mogli assicurano la continuità di vita per i figli, gli animali e la campagna. Fanno tutto quello che farebbero le donne di casa e in più i lavori dei maschi. Una condizione difficilissima ritratta dal vero, in un documentario che mette a nudo ansie, problemi, contraddizioni di chi resta e di chi torna. L’intima complicità della macchina da presa è stata possibile perché la regista ha fatto tutto da sola, entrando da ospite prima e da amica poi nelle case delle donne che hanno accettato di raccontarsi e mostrare come sopportano l’attesa, restando avvinghiate alla loro terra che per il popolo armeno ha un significato forte quanto quello degli affetti familiari. I momenti di contatto sono telefonate spesso interrotte dalla copertura assente o anche da discorsi vacui che non hanno più argomenti, come capita fra una donna sposata 17enne e lasciata dal marito ventenne dopo pochi mesi per il lavoro in Russia, condizione che va avanti da oltre vent’anni. «Per me quando tornava era sempre un estraneo e ho faticato anni ad accettarne la presenza in casa», ammette. Neanche sull’altra sponda è facile: gli uomini vivono insieme in cameroni di una decina di persone per risparmiare sui costi dell’alloggio; lavorano da mattina a sera sfruttati al massimo per i mesi in cui è possibile lavorare in agricoltura o nell’edilizia, poi scaricati alle loro famiglie e al loro Paese: «Mi sento come un mulo che lascia l’erba fresca di casa per andare a mangiare quella secca fuori casa», confessa un marito. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Modella Gucci vittima di body shaming: viene derisa per la sua bellezza anticonvenzionale (105.net 28.08.20)

Armine Harutyunyan è una modella 23enne di origine armene molto affermata nel mondo della moda: oggi sfila per Gucci, che l’ha inclusa tra le 100 modelle più sexy del mondo. La giovane ha già sfilato su passerelle molto importanti ma, nonostante il suo successo, è vittima di body shaming.

In particolare, Armine è stata ricoperta da insulti e critiche dopo la sua partecipazione alla Fashion Week di Parigi lo scorso settembre; in seguito i messaggi denigratori sono proseguiti sui social da parte di misogini, razzisti, haters di tutti i tipi, tra i quali purtroppo anche tante donne e questo è ciò che stupisce di più. Molte donne, infatti, anziché mostrarsi solidali, diventano spesso perfide nei confronti di altre donne.

Armine viene così tanto criticata perché la sua bellezza non rispetta i canoni convenzionali: in tanti l’hanno definita brutta e considerano il suo aspetto non adatto al mondo della moda. Ma lei, con grande coraggio, se ne infischia e continua a fare il lavoro che ama.

A credere in Armine è stato Alessandro Michele, attuale direttore creativo di Gucci che da tempo punta proprio su scelte estetiche anticonvenzionali: secondo alcuni detrattori si tratta solo di scelte di marketing, ma in realtà l’intento è quello di veicolare una nuova idea di apertura verso la diversità e la bellezza al di fuori da ogni schema prestabilito.

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Armenia: c’è chi è rimasto in Thailandia (Osservatorio Balcani e Caucaso 27.08.20)

Varda Avetisyan, nota ristoratrice armena, e il suo compagno, lo scorso 28 gennaio erano in viaggio per l’isola di Koh Samu, per una vacanza in Thailandia. Non avrebbero mai immaginato che la loro vacanza di due mesi si sarebbe trasformata in un progetto imprenditoriale a tempo indeterminato. Le frontiere chiuse a causa del coronavirus hanno portato la vita della 38enne Varda in una nuova direzione.

“Era la fine di gennaio quando io e il mio ragazzo siamo partiti per una vacanza. Era da tanto che non staccavamo e avevamo programmato di rimanere in Thailandia per 2 mesi. Avevamo un biglietto di ritorno per il 2 aprile. Ero incinta di tre mesi in quel momento. Avevamo programmato di fare yoga, per rilassarci completamente. Insomma, sono andata in cerca di relax, ma tutto ha assunto un andamento diverso”, racconta.

Già all’inizio di marzo la coppia si era resa conto che i loro piani sarebbero dovuti cambiare. A marzo i voli internazionali hanno iniziato a subire progressivamente ritardi. “Quindi i visti sono stati automaticamente prorogati di tre mesi, in modo che il servizio immigrazione non fosse affollato. Proprio da quel momento ci siamo resi conto che saremmo rimasti qui per molto tempo e che c’erano delle sfide a cui trovare soluzione”, ricorda Varda.

Varda è nata a Yerevan, la capitale dell’Armenia, ma ha vissuto negli Stati Uniti per una parte della sua vita. Ancora adolescente ha fatto domanda per un programma di studi negli Stati Uniti, venendo accettata. È andata a studiare in America e ha vissuto lì per 13 anni.

Un piatto del Vegan Villa

È qui che è entrata per la prima volta nel mondo della ristorazione: prima lavava i piatti, poi è passata a fare la cameriera, poi è diventata manager. Le piace entrare in un ristorante, scrivere un nuovo menu, selezionare nuovo personale e immergersi nella cucina locale. Anni dopo ha proseguito la stessa attività in Armenia. Ha creato diversi piccoli ristoranti in Armenia con una cucina colorata e deliziosa.

Dice che si sente molto a suo agio in questo lavoro. “Qui in Thailandia data la situazione avevamo bisogno di soldi per continuare a vivere sull’isola. Dovevamo lavorare. Avevamo speso tutto quello che avevamo. E non siamo stati gli unici a trovarci in questa situazione. Proprio in quel momento ho deciso che avrei dovuto guadagnare con l’attività che più mi stava a cuore, la cucina. Ho creato il gruppo ‘Vegan Villa’ su Internet, pubblicato video e foto dei miei piatti, segnato i prezzi e aspettato ulteriori sviluppi. Dopo pochissimo tempo sono arrivati ​​gli ordini, abbiamo avuto il tutto esaurito e il lavoro è iniziato …”.

Anche alcuni loro amici, che li avevano raggiunti in vacanza da Russia e Stati Uniti, li hanno aiutati nel lavoro. Tutti assieme hanno affittato una grande casa, si sono spostati dall’hotel dove alloggiavano ed hanno sviluppato la loro attività.

“Avevano tutti lavori diversi, ma sono entrati presto nel ruolo. Non è stata una cattiva esperienza, era un’attività che rendeva, siamo riusciti a guadagnare abbastanza denaro per poter coprire tutti i costi. Era anche interessante cucinare con i prodotti che ci offriva l’isola, ero affascinata dall’infinito numero di colori che potevo dare ai nostri piatti”.

Varda ricorda che sull’isola era stato anche introdotto un coprifuoco e che quindi loro lavoravano solo nelle ore consentite, i clienti erano turisti rimasti bloccati come loro.

“Non vi è nulla di impossibile nella vita. Questo è un ulteriore esempio che è possibile avviare un’attività dal nulla e non morire di fame. Sono grata a ciò che la vita mi dà e questa è stata una delle varie opportunità concesse”.

Poi il ristorante on-line di Varda è stato chiuso: i voli sono stati riaperti, i turisti che erano bloccati sull’isola sono tornati a casa.

Lei e il compagno sono rimasti un po’ di più. Prima era stato loro rinviato il volo e poi essendo all’ultimo mese di gravidanza non hanno più potuto prendere un aereo. Il bimbo sarebbe potuto nascere in ogni momento e sarebbe stato troppo rischioso.

Per Varda però era molto importante tornare in Armenia, cosa che è riuscita a fare un mese dopo la nascita del figlio. L’aspettavano molte cose. I suoi ristoranti a Dilijan, una delle più belle città turistiche dell’Armenia, hanno dovuto chiudere causa coronavirus. L’affitto era troppo alto, Varda non aveva risorse per pagarlo. Ne ha però altri due, uno dei quali è stato temporaneamente chiuso ma ora è già riaperto, con clienti soprattutto nei fine settimana.

“I miei ristoranti sono piccoli e colorati. Sono ottimista. Spero tutto vada bene”, conclude Varda.

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Quattro capolavori del Settecento veneziano celebreranno l’Italia in Armenia (finestresullarte.info

Quattro capolavori del Settecento veneziano saranno trasferiti in Armenia, a Erevan, in occasione della mostra Venezia e Piazza San Marco. Il Settecento in quattro capolavori, che si terrà dal 3 settembre al 4 ottobre 2020, presso la Presidenza della Repubblica di Armenia. Si tratta della rassegna che celebrerà l’Italia per l’inizio dell’anno alla guida della Rete degli Istituti di Cultura dell’Unione Europea (Eunic), che ha sede nella capitale armena.

I quattro dipinti, raffiguranti Venezia e piazza San Marco, provengono dalla collezione della Fondazione Paolo e Carolina Zani e furono realizzati da grandi artisti quali CanalettoBernardo BelottoMichele Marieschi e Francesco Guardi.

Capolavori che raccontano la celebre piazza veneziana e i suoi monumenti, il mito storico della Serenissima, la Repubbica il cui buon governo venne esaltato anche da Francesco Petrarca “quale Città unico albergo ai giorni nostri di libertà, di giustizia, di pace, unico rifugio dei buoni…” (Lettera a Pietro da Bologna, 10 agosto 1321).

“Canaletto, Bellotto, Marieschi e Guardi” spiegano i curatori, “erano consci, attraverso le loro vedute di Venezia, di offrirci l’ultimo frammento di una memoria e, al contempo, il principio di una contemporaneità fatta di ’ritratti’ ogni volta differenti: nelle acque delle calli e in marmi e pietre incrostate di salmastro, nelle ombre e riflessi, nell’aria particolarissima di una città che generazioni d’artisti hanno saputo rendere tramite colori leggeri o intensi, trasparenti e mutevoli”.

Il progetto, sotto l’Alto Patronato congiunto del Presidente della Repubblica Italiana e del Presidente della Repubblica di Armenia, si inserisce tra le iniziative promosse dall’ ambasciatore italiano a Erevan Vincenzo Del Monaco, per celebrare l’arte italiana con quattro capolavori di pittura vedutista provenienti dalla collezione della Casa Museo della Fondazione Paolo e Carolina Zani per l’arte e la cultura.

Immagine: Canaletto, La Piazzetta di Venezia (1732-38; olio su tela; Fondazione Paolo e Carolina Zani)

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Armenia-Italia: fino al 31 ottobre a Erevan una mostra fotografica sui legami tra i due paesi

Roma, 26 ago 17:44 – (Agenzia Nova) – Dal 24 agosto e 31 ottobre 2020 si terrà a Erevan la mostra fotografica “Tracce: fotografia in viaggio tra Italia e Armenia”. L’artista Patrizia Posillipo permette con questa mostra un viaggio attraverso le principali regioni dell’Italia e dell’Armenia, alla ricerca delle “tracce” e delle connessioni culturali ancora vive tra i due paesi. I soggetti delle sue fotografie sono spesso le storie che ogni persona racconta attraverso sguardi, gesti, luoghi e oggetti scelti per farsi ritrarre. Tra le foto scattate in Italia i volti dai fieri tratti armeni come quello di Rupen, ritratto a Bari tra i tappeti di cui il suo paese di origine è grande produttore. Non solo volti, ma anche oggetti e simboli possono raccontare storie; come l’alfabeto armeno che dischiude un mondo, come traspare dal particolare di uno degli antichi manoscritti armeni custoditi nella biblioteca del Pontificio collegio armeno a Roma.

Perché alcuni giornalisti italiani prendono le parti della dittatura azera e attaccano l’Armenia? (Interris 25.08.20)

Spett. redazione, il giornalista e analista geopolitico Domenico Letizia ha ritenuto opportuno inviarvi un articolo, pubblicato lo scorso 6 agosto, per puntualizzare alcuni aspetti relativi al contenzioso tra armeni e azeri riguardo il Nagorno Karabakh. Ovviamente non possiamo condividere alcun passaggio del suo intervento per i fatti che vengono riferiti e la storia che viene narrata.

Continuiamo a domandarci per quale motivo un giornalista italiano debba sposare le tesi del regime dell’Azerbaigian che figura al 167° posto su 180 nazioni nell’ultimo Freedom press index, qualche gradino sotto la Corea del nord e altre note dittature; continuiamo a meravigliarci che appoggi la propaganda di Baku che lamenta la perdita di un 13% di territorio e non spenda piuttosto una parola per il restante 87% soggetto a una dittatura trentennale che vede in carcere oppositori politici, attivisti ONG e giornalisti.
Avrà evidentemente, Letizia, le sue buone ragioni…

Quanto ai recenti scontri sul confine tra Armenia e Azerbaigian, iniziatisi il 12 luglio e proseguiti per alcuni giorni, le risultanze documentali e le relazioni indipendenti attestano con certezza che furono i militari azeri a tentare di penetrare nel territorio dell’Armenia come comprovano i corpi dei loro soldati caduti rimasti nella zona cuscinetto dove mai e poi mai avrebbero dovuto trovarsi. Stesso ragionamento per un mezzo militare rimasto nella medesima buffer zone.

A differenza delle convinzioni espresse da Letizia, l’Armenia non ha alcun interesse a una soluzione militare della contesa dal momento che il riarmo negli ultimi anni per miliardi di dollari da parte dell’Azerbaigian la pone presumibilmente in una posizione di inferiorità. Vero invece che il premier armeno Pashinyan ha anche recentemente ribadito la volontà di trovare una soluzione che salvaguardasse i diritti dei popoli dell’Armenia, dell’Artsakh (Nagorno Karabakh) e dell’Azerbaigian; ma tale offerta negoziale è stata per l’ennesima volta respinta da Aliyev che usa il “nemico” armeno per tenere a bada una popolazione sempre più insofferente alla repressione interna.

Non è certo questa la sede per affrontare la vicenda storica e politica della regione del Nagorno Karabakh che il 2 settembre 1991, sfruttando la legislazione sovietica dell’epoca, da oblast’ autonoma proclamò la propria indipendenza rispetto alla neonata repubblica di Azerbaigian che tre giorni prima aveva annunciato la sua fuoriuscita dall’Unione sovietica.
La stessa Corte costituzionale di Mosca nel novembre successivo avallò il pronunciamento della piccola repubblica armena, vennero tenuti un referendum ed elezioni politiche che portarono alla nascita ufficiale il 6 gennaio 1992 del nuovo Stato. La risposta azera fu una guerra – costata 30.000 morti, decine di migliaia di feriti ed enormi distruzioni – al termine della quale gli azeri, nonostante un migliore armamento, vennero sconfitti dai partigiani armeni che misero in sicurezza il territorio conquistando anche distretti contigui.

Le risoluzioni ONU citate da Letizia riguardano proprio gli ultimi mesi della guerra quando l’esercito di difesa del Nagorno Karabakh stava sbaragliando il nemico allo sbando; chiedevano il ritiro dai territori occupati ma contestualmente la cessazione delle ostilità di tutte le parti. Per Letizia gli armeni (che furono fermati dalla minaccia di intervento turco altrimenti sarebbero arrivati fino al mar Caspio…) avrebbero dovuto ritirarsi lasciando ai soli azeri, ancora combattenti, il privilegio di riconquistare le posizioni perdute. Tali contingenti risoluzioni non furono rispettate per prime proprio dalle forze armate dell’Azerbaigian che invece di cessare il fuoco continuarono a combattere fino all’accordo di cessate-il-fuoco del maggio 1994.

Ancora ci domandiamo per quale motivo alcuni giornalisti italiani debbano prendere posizione a favore della dittatura azera e attaccare l’Armenia…

Gli abitanti della piccola repubblica de facto dell’Artsakh (Nagorno Karabakh), 150.000 persone in 11.000 chilometri quadrati, chiedono solo di poter godere del proprio diritto all’autodeterminazione, di vivere in pace e guardare con serenità al futuro.
La loro voce è la voce degli ultimi. Sta a noi decidere da che parte stare.
Grazie per l’attenzione. Cordiali saluti

Questo articolo ci è stato inviato dal Consiglio per la Comunità Armena di Roma www.comunitàarmena.it

Ufficiale, il Siena agli armeni (Antennaradioesse 25.08.20)

Il nuovo Siena parlerà armeno. La notizia è stata ufficializzata poco fa da un comunicato del Comune di Siena, che “dopo ponderate valutazioni ed esaminata la documentazione fatta pervenire in Comune, oltre ad aver effettuato i colloqui con quattro rappresentanti di altrettanti gruppi industriali, ha ritenuto di concedere il titolo sportivo alla società Siena Noah Ssd Srl”. La squadra che parteciperà al campionato di serie D si chiamerà Acn Siena 1904. “Il progetto – continua la nota – è risultato il più confacente alle esigenze sportive della città e dei suoi tifosi che da sempre aspirano e sono abituati a confrontarsi con sfide di alto livello. Auspicando che questa opportunità venga colta nel rispetto della civiltà senese, dei tifosi e amanti del calcio, auguriamo un futuro all’altezza della nostra tradizione per la squadra di calcio bianconera”.

Adesso tutta l’attenzione va all’iscrizione in Serie D, la scadenza è domani alle ore 15, poi sara il tempo di scegliere il quadro societario e quello tecnico, dal direttore sportivo all’allenatore, costruire la rosa, allestire il settore giovanile e il settore femminile. Saranno giorni intensi, in attesa del campionato che inizierà tra un mese. Il futuro del Siena è ora, e parla armeno (foto: Fol).


De Mossi: “Il gruppo armeno ha presentato il piano industriale più solido e serio” (Radiosienatv)

Il commento del sindaco alle numerose proposte pervenute, 11 in totale: “Tanti pretendenti? Siena attira, basta guardarsi intorno”

Il gruppo armeno vince la corsa e si aggiudica la guida del futuro della Robur: nasce l’ACN Siena 1904. A margine degli annunci ufficiali, ecco le parole del sindaco Luigi De Mossi, che ha preso la  complessa decisione di assegnare il titolo sportivo dopo lunghe riflessioni. Le proposte totali sono state 11.

“Ieri nel corso degli incontri con gli aspiranti investitori – ha detto ai cronisti – avevamo chiesto una serie di garanzie: i soldi per l’iscrizione, un piano industriale quadriennale, garanzie per i dipendenti del Siena, il settore giovanile, il rispetto della tradizione e dei tifosi, e chiesto tutta una serie di garanzie anche sullo stadio. Il piano industriale di Siena Noah – nome e colori saranno rispettati – è strutturato e serio con prospettive di sviluppo per la città e i tifosi, così abbiamo deciso di dare la chanche a questo gruppo armeno. I rappresentanti mi paiono persone assolutamente serie. Tutti i pretendenti hanno dimostrato capacità economica, il piano industriale del gruppo armeno ha fatto la differenza, le sfide come ho già detto si vincono nei consigli di amministrazione. Io spero vada tutto bene e che i tifosi abbiano soddisfazione, la città deve stare a un certo livello”.

Tanti i candidati, segno che il brand Siena piace sempre: “All’inizio erano in 7, poi 4, i progetti finali rimasti in corsa 2, quello di Fedeli e degli armeni. La piazza di Siena attira? Basta guardarsi intorno, noi spesso non siamo nemmeno consapevoli” sottolinea con orgoglio il primo cittadino.

La fine della Robur Siena guidata da Anna Durio: “C’è stato un corto circuito – commenta De Mossi – è anche vero che ci hanno messo tanti soldi, va detto, chi è andato via lo ha fatto spendendo. Il tema è come sono stati spesi. C’è stata grande preoccupazione per quello che è successo, il calcio è un settore complesso”.

La chiosa sulla gestione del campo di allenamento dell’Acquacalda: “Dovremo trattare col Siena Nord”.


La Robur riparte dagli armeni: nasce l’ACN Siena 1904

Il progetto della società Siena Noah Ssd Srl, fa sapere il Comune, “è risultato il più confacente alle esigenze sportive della città e dei suoi tifosi che da sempre aspirano e sono abituati a confrontarsi con sfide di alto livello

Robur, L’amministrazione comunale, dopo ponderate valutazioni ed esaminata la documentazione fatta pervenire in Comune, oltre ad aver effettuato i colloqui con quattro rappresentanti di altrettanti gruppi industriali, ha ritenuto di concedere il titolo sportivo alla società Siena Noah Ssd Srl. La squadra che parteciperà al campionato di serie D si chiamerà Acn Siena 1904.

Il progetto della società Siena Noah Ssd Srl è risultato il più confacente alle esigenze sportive della città e dei suoi tifosi che da sempre aspirano e sono abituati a confrontarsi con sfide di alto livello. Auspicando che questa opportunità venga colta nel rispetto della civiltà senese, dei tifosi e amanti del calcio, auguriamo un futuro all’altezza della nostra tradizione per la squadra di calcio bianconera.

La mobilitazione in Bielorussia e il precedente armeno (Osservatorio Balcani e Caucaso 25.08.20)

Saranno i carri armati inviati da Mosca nelle piazze di Minsk come invocato da Lukashenko a risolvere la crisi bielorussa? Possibile ma improbabile. Per Putin sarebbe uno smacco in termini di reputazione internazionale oltre che di immagine sul piano della propaganda. L’autocrate russo dispone oggi di altri strumenti meno dirompenti e più sofisticati per fare valere le sue ragioni come le campagne mirate di fake news, i battaglioni di troll sguinzagliati sulle reti sociali e i finanziamenti più o meno occulti alle truppe dei partiti sovranisti del vecchio continente.

La situazione in Bielorussia sembra ormai fuori controllo. Aleksandr Lukashenko è riuscito ancora una volta a vincere le elezioni truccando il risultato delle urne ma ha perso nelle piazze e nelle fabbriche e anche le strutture dello stato cominciano a mostrare le prime crepe del dissenso.

Per capire quello che potrebbe succedere bisogna fare un passo a ritroso di due anni spostandoci in Armenia, un’altra delle sei ex repubbliche dell’Unione Sovietica che fanno da cuscinetto fra Federazione Russa e Unione Europea. Tre di queste, Georgia, Moldavia e Ucraina, hanno intrapreso un percorso di integrazione sociale, economica e politica con Bruxelles pagando, però, con conflitti intestini telecomandati da Mosca la scelta di liberarsi del giogo dell’ingombrante vicino.

L’Armenia cinque anni orsono aveva deciso di fare altrettanto negoziando con l’Ue un accordo di associazione che l’avrebbe incamminata sulla stessa strada. Fu Putin allora ad obbligare il presidente Serzh Sargsyan, l’uomo forte al potere a Yerevan, a fare retromarcia pena pesanti ritorsioni. La sicurezza dell’Armenia, che occupa militarmente il venti per cento del territorio del vicino Azerbaijan, è nelle mani della Russia.

Fra le innumerevoli missioni di osservazione elettorale di cui ho fatto parte ricordo, in particolare, quella in Armenia del dicembre 2017. Sono stato testimone di voti comprati davanti ai seggi, autobus di elettori trasportati in gita premio, condizionamenti pesanti all’atto del voto. Il Partito Repubblicano, quello di Sargsyan, vinse a mani basse. Sargsyan, però, non riuscì a sopravvivere politicamente alla rivoluzione di velluto della primavera successiva. La gente scesa in piazza lo obbligò a cedere il potere.

Anche allora Putin fu di fronte a una scelta: intervenire e ristabilire con la forza il regime dell’alleato fedele o assecondare la piazza assicurandosi che il cambiamento non mettesse a rischio la lealtà geopolitica di Yerevan a Mosca. Sono state elezioni libere ed eque quelle ripetute che hanno portato Nikol Pashinyan ai vertici dello stato armeno nel dicembre del 2018. Il regime di Sargsyan è caduto ma la collocazione internazionale dell’Armenia non è mutata.

Il paese rimane nell’Unione Economica Euroasiatica a guida russa e fa sempre parte dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva, l’alleanza militare controllata da Mosca. Sul piano politico l’Armenia ha adottato sostanziali riforme in linea con gli standard europei ma sul piano economico e della difesa ha mantenuto gli stessi impegni che la allineano alla Federazione Russa.

La mobilitazione cui assistiamo oggi a Minsk non ha precedenti. La società civile di quel paese si è improvvisamente svegliata da uno stato letargico che durava da trent’anni. La Bielorussia si sta liberando dagli arresti domiciliari. Anche se ci riuscisse, però, resterebbe in libertà vigilata. Impossibile sfuggire alla presa del Cremlino senza bagni di sangue. Troppa è l’importanza che riveste dal punto di vista strategico per Mosca.

La Bielorrussia è condannata ad un esercizio limitato della propria sovranità. I dittatori non si amano ma si cercano, si annusano e si trovano al momento del bisogno. Se Lukashenko uscirà di scena per evitare colpi di coda violenti avrà bisogno di garanzie di immunità e impunità che solo Putin può offrire oltre ad una sorta di Sant’Elena dove trascorrere il resto dei suoi giorni. A meno che anche il presidente russo, che con un referendum costituzionale si è appena garantito, di fatto, il potere fino al 2036, sia vittima a sua volta di una rivoluzione di piazza. Ma questa è fantapolitica.

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