Ristoranti etnici a Torino. 3 nuove aperture su Armenia, Indonesia e Marocco (Gamberorosso.it 10.09.20)

Casa Armenia

Harutyun Vopanyan, conclusi gli studi a Mosca e dopo aver fatto ogni genere di lavoro nella sua precedente vita, arriva a Torino e grazie alle sue doti umane e commerciali s’inserisce velocemente nella comunità sabauda, anche e soprattutto grazie alle feste che organizza con gli amici, che rimangono folgorati lungo la via di… Eravan, dalle specialità armene e georgiane cucinate amorevolmente da sua madre e dalla compagna. Stufo di sentirsi ripetere: “Ma perché non ti apri un locale di cucina caucasica?”, decide di farlo, coinvolgendo alcuni amici italiani e mettendo madre e consorte ai fornelli.

Tolma, verdure ripiene da Casa Armenia

Le saracinesche di Casa Armenia, la sua gastronomia d’assaggio e d’asporto, si alzano e si riabbassano a marzo, nello stesso giorno d’inizio del lockdown. Gli arredi armeni del locale non sono ancora arrivati, ma appena si decreta la riapertura, la vetrina del banco frigo si colora d’insalate vinagret e olivier, di tolma di verdure e tante prelibatezze della cucina di casa. I clienti fioccano e la gastronomia si trasforma in bistrò.

Un piatto tipico da Casa Armenia

Unico esponente di questa cultura gastronomica, ancora tutta da scoprire in Italia, merita una visita per i suoi insaccati artigianali di basturma e sujuk artigianali, per la grigliata mista šašlyk style, per i dumplings geogiani khinkali, per i pregiati vini e liquori armeni e georgiani. Menu intorno ai 15-20 €, bevande escluse.

Casa Armenia – Torino – Via G. F. Napione, 33 –  011 417 5114 – Pagina Fb

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Venezia, riapre l’iter per la beatificazione dell’abate armeno Mechitar (Acistampa e altri 09.09.20)

Fondatore dei padri mechitariti, Mechitar di Sabaste è considerato l’uomo della rinascita della cultura armeno. Arrivato a Venezia 303 anni fa, diede vita alla comunità di San Lazzaro

Era arrivato a Venezia con dei compagni 303 anni fa, in fuga dalle conquiste ottomane sull’Armenia. Ed a Venezia Mechitar di Sabaste fondò una congregazione, quella dei mechitaristi, e ottenne dalla Serenissima in concessione una isola, quella di San Lazzaro, dove tuttora c’è una foltissima comunità armena. L’8 settembre, la sua causa di beatificazione è stata riaperta, alla presenza del Patriarca Francesco Moraglia.

Riaperta, e non perché sia venuta meno la fama di santità dell’abate Mechitar. Ma, certo, quando la causa fu aperta per la prima volta nel 1844, non ci si sarebbero aspettate due guerre mondiali, una epidemia come l’influenza spagnola e varie vicissitudini che hanno di fatto congelato l’iter. Fino a ieri.

Presiedendo la celebrazione, il patriarca Moraglia ha ricordato la storia e la vita dell’abate Mechitar, nato come Manuk il 7 febbraio 1676 a Sebaste, nell’Anatolia Centrale. La celebrazione si è tenuta nella chiesa di San Martino, perché proprio a fianco alla chiesa Mechitar e i suoi confratelli si sistemarono inizialmente quando per la prim volta arrivarono a Venezia nel 1715. E fu nel 1717 che presero poi possesso di San Lazzaro, con la congregazione mechitarita che era già stata fondata nel 1700 a Costantinopoli, compiendo – ha detto il Patriarca Moraglia – “una sintesi originale tra la Regola di San Benedetto, l’antichissima tradizione monastica, liturgica e spirituale della Chiesa armena e alcuni elementi dei moderni istituti di perfezione della Chiesa latina di costituzione post-tridentina”.

Moraglia sottolinea che il ritardo nella causa di beatificazione “non solo non ha offuscato, ma ha quasi reso più brillante e attuale la fama di santità di Mechitar”, considerato come “una sorta di “secondo illuminatore” della nazione alla stregua di Gregorio, che nel IV secolo convertì il re Trdat e tutto il popolo.

Il Patriarca Moraglia ricorda che il carisma di Mechitar include l’insegnamento del Vangelo e dell’amore per Gesù Cristo e la Vergine Maria, l’attività pastorale, con un occhio particolare al popolo armeno, la promozione umana attraverso l’educazione, nonché l’ecumenismo e il dialogo tra le Chiese, perché – spiega il Patriarca – “l’Abate ebbe sempre a cuore l’unità della Chiesa in termini che possiamo veramente ritenere precorritori dello spirito ecumenico” che si è sviluppato dopo il Concilio Vaticano II.

Di Mechitar, il Patriarca Moraglia vuole sottolineare la devozione particolare per la Vergine Maria, che vide in estasi nel 1692, mentre pregava nell’eremo dell’isola di Sevan, e a cui si affiderà totalmente.

Dice il Patriarca Moraglia: “Veramente a Mechitar sembrano particolarmente adattarsi le parole meliora sequenturBasti pensare a quando il Servo di Dio dovette abbandonare Modone dove si era rifugiato e dove, dopo anni di sacrifici, ottenuta nel 1711 dal Papa l’approvazione delle Costituzioni della giovane Congregazione, nel 1714 aveva appena finito di edificare il suo monastero. La conquista ottomana di quei possedimenti, fino ad allora dominio della Serenissima, lo mise in breve nella necessità di portarsi a Venezia in un nuovo esilio che, vissuto in totale spirito di remissione alla volontà di Dio, gli aprì orizzonti e prospettive che nella città lagunare non ebbero confronti con quelle che avrebbe trovato nell’angusto e defilato piccolo porto della Morea al quale era, in un primo tempo, approdato”.

Mechitar assunse da religioso questo nome, che significa consolatore. Ordinato sacerdote nel 1696, all’età di venti anni, fu ispirato dall’idea di creare un ordine dedicato alla pratica spirituale e alla ricostituzione spirituale del popolo armeno, e per questo diede vita alla Congregazione Mechitarista.

Nel 1715 costruì il monastero di San Lazzaro degli Armeni, in un’isola della laguna di Venezia. È ancora oggi considerato il pioniere della rinascita della letteratura armena in lingua classica, in particolare per aver composto un’edizione della Bibbia nel 1735, ed aver compilato un Dizionario di armeno nel 1749. Si spense il 27 aprile 1749 nel convento dell’isola di San Lazzaro degli Armeni.

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L’Iran smentisce le accuse sul trasferimento di armi russe in Armenia (l’Antidiplomatico 08.09.20)

La Repubblica Islamica dell’Iran smentisce di aver partecipato al passaggio di armi dalla Russia all’Armenia e bolla le indiscrezioni di stampa come tentativi di incrinare i rapporti che intercorrono tra Teheran e Baku.

L’ambasciata iraniana nella Repubblica dell’Azerbaigian ha respinto le notizie apparse su alcuni media riguardo il trasferimento di equipaggiamento militare russo in Armenia attraverso la Repubblica Islamica per mezzo del valico di confine iraniano di Norduz.

In una dichiarazione diffusa dalla rappresentanza diplomatica iraniana a Baku si afferma che circolazione di tali notizie è un atto di sabotaggio da parte di coloro che si oppongono a strette relazioni tra Iran e Azerbaigian allo scopo di minare la cooperazione e l’amicizia in via di sviluppo tra i due paesi.

L’Azerbaigian e l’Armenia sono stati per decenni bloccati in un conflitto ribollente sul Karabakh, un territorio azero conquistato dai separatisti armeni in una sanguinosa guerra negli anni ’90, scrive PressTV.

Circa 30.000 persone sono rimaste uccise nel conflitto, che si è concluso con una fragile tregua nel 1994. Le due parti sono ancora tecnicamente in guerra e devono ancora raggiungere un accordo di pace definitivo sulla questione.

Recentemente tra i due paesi è tornata ad alzarsi la tensione. Alcuni scontri a fuoco si sono verificati nelle zone di confine del Tovuz. Reciproci sono stati gli scambi di accuse tra i paesi su chi avesse riacceso un conflitto mai risolto.

L’Iran, paese vicino alle due ex repubbliche sovietiche, ha ribadito in numerose occasioni la sua posizione sull’importanza di trovare una soluzione pacifica alla controversia nella regione del Karabakh.

Nel marzo 2019, l’allora portavoce del ministero degli Esteri iraniano ha affermato chiaramente che la Repubblica Islamica dell’Iran “ritiene che la questione… debba essere risolta in conformità con i principi internazionali e attraverso il dialogo”.

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Armine, la modella di Gucci ha un messaggio per Oggi è un altro giorno (Ultimenotizieflash 07.09.20)

Armine Harutyunyan è l’ormai famosissima modella di Gucci che divide gli esperti o meno di moda e bellezza e che a Oggi è un altro giorno è stata la prima ospite della prima puntata. Le sue foto le abbiamo viste ovunque, Armine non si trova nello studio di Rai1, è in collegamento dall’Armenia. Serena Bortone mostra la distanza che c’è tra noi e l’Armenia, una ripassatina alla geografia non fa male a nessuno, poi passa ai complimenti alla modella. Si sente qualcuno che dice c’è di peggio, ci sembra di avere sentito queste parole, poi Rosolino che sottolinea che “bellella”, un termine napoletano che è a metà tra la dolcezza e la bellezza, infine parla lei, che non risponde ai moderni canoni di bellezza, ne è evidentemente consapevole perché il suo messaggio è più semplice di tutte le chiacchiere che si fanno sul suo conto.

ARMINE DALLA PASSERELLA DI GUCCI A OGGI E’ UN ALTRO GIORNO

Chi parla di una bellezza diversa, chi dice che è bruttissima, chi che è deliziosa, chi che è bella e basta. Sabina Ciuffini parla invece di luce, dallo studio commenta che in quel momento Armine ha una luce che la rende bella, perché spesso è un problema di luci. Insomma, ognuno dice la sua e anche la modella che racconta che i primi giorni della polemica non aveva ben capito, confessa che poi è stato pesante leggere i commenti sul suo aspetto. Quindi, non è vero che lei non è stata sfiorata da certi paragoni e aggettivi. Armine ha poi capito che tantissime persone apprezzavano la sua individualità e ciò che aveva da dire.

Il suo messaggio è semplice ma ricordiamo che ha solo 23 anni e mentre la Ciuffini le ripete che è davvero bella lei spiega che non si deve credere a tutto quello che si legge. “Vorrei dire a chi è a casa che si devono fidare di loro stessi perché è importante ammirare se stessi e proseguire nei propri obiettivi per portare avanti i propri sogni. E’ importante apprezzare il proprio volto, ogni aspetto fisico riflette comunque quello che c’è dentro tutti noi. Quindi, bisogna proseguire con i propri sogni, questo è importante“.

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Cultura italiana nel mondo – Armenia – I Maestri del vedutismo veneziano a Erevan (Italiannetwork 07.09.20)

Quattro maestri veneziani ambasciatori d’Italia in Armenia. Quattro vedute veneziane del Canaletto, di Bernardo Bellotto, di Michele Marieschi e di Francesco Guardi  in mostra a Erevan, dal 3 settembre al 4 ottobre, per festeggiare l’Italia all’inizio dell’anno di guida della Rete degli Istituti di Cultura dell’Unione Europea (Eunic), che ha sede nella capitale armena.

I dipinti, di proprietà della collezione della Casa Museo della Fondazione Paolo e Carolina Zani per l’arte e la cultura, sono esposti in una sala centrale del Palazzo presidenziale

Quattro capolavori settecenteschi del vedutismo. Opere di Giovanni Antonio Canal ”il Canaletto”, Bernardo Belotto, Michele Marieschi e Francesco Guardi. I dipinti, sono parte del  patrimonio della collezione della Casa Museo della Fondazione Paolo e Carolina Zani per l’ arte e la cultura, sono  esposti in una sala centrale del Palazzo presidenziale.

Il progetto – sotto l’ Alto Patronato congiunto dei Presidenti della Repubblica dei due Paesi – si inserisce tra le iniziative promosse dall’ ambasciatore italiano a Erevan Vincenzo Del Monaco in occasione dell’ insediamento dell’ Italia alla presidenza dell’Eunic.

”Canaletto, Bellotto, Marieschi e Guardi – spiegano i curatori – erano consci, attraverso le loro vedute di Venezia, di offrire l’ultimo frammento di una memoria e, al contempo, il principio di una contemporaneità fatta di ‘ritratti’ ogni volta differenti: nelle acque delle calli e in marmi e pietre incrostate di salmastro, nelle ombre e riflessi, nell’aria particolarissima di una città che generazioni d’artisti hanno saputo rendere tramite colori leggeri o intensi, trasparenti e mutevoli”. La città, dunque, come opera d’arte ”che salda in piazza San Marco ogni memoria. Una piazza che incarna Venezia stessa, rappresentandone il fulcro degli interessi politici e cerimoniali, sociali, religiosi, sede del potere dogale e simbolo della ricchezza della Repubblica”.

Obiettivo dell’EUNIC – sede a Bruxelles da 2007 – è creare una rete di collegamento e di partenariato tra le istituzioni culturali degli stati dell’ Unione Europea per promuovere lo scambio e la comprensione, il dialogo internazionale e la collaborazione con i paesi al di fuori dell’ Europa.(07/09/2020-ITL/ITNET)

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Nota dal Consiglio per la Comunità Armena di Roma in merito al ‘Nagorno-Karabakh’ (Ivl24.it 07.09.20)

RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO la lettera inviataci dal Consiglio per la Comunità Armena di Roma in merito al nostro articolo pubblicato lo scorso 2 settembre a firma del nostro Professore carmine Cassino e dal titolo “Un plebiscito di tutti i giorni”: breve viaggio nell’Europa delle insolite identità nazionali

ROMA – Spett. Redazione,

ci sia consentita una precisazione in merito all’articolo a firma di Carmine Cassino pubblicato lo scorso 2 settembre e dedicato a un saggio di Graziano Graziani sulle micronazioni.

Fra queste viene anche citata la repubblica del Nagorno Karabakh (Artsakh)  che nel testo viene definita “una regione geopoliticamente da sempre appartenuta all’Azerbaijan”.

Nulla di più sbagliato.

Negli anni Venti, dopo la progressiva sovietizzazione di tutta l’area caucasica, più volte i Congressi del popolo regionali chiesero l’unificazione con il soviet dell’Armenia giacchè il 95% della popolazione era di tale etnia. Invano. Stalin, per una sua strategia politica, decise di concederla al pari del Nakhchivan all’Azerbaigian di cui mai aveva fatto parte.

I monasteri, i katchkar, le chiese armene disseminate tra le valli del piccolo Nagorno Karabakh attestano una storia incontrovertibile; tra le mura del monastero di Amaras nacque l’alfabeto armeno nel quinto secolo d.C. e nonostante occupazioni da parte di popolazioni limitrofe la lingua armena e la fede cristiana sono rimaste elemento peculiare della popolazione.

Oggi la propaganda azera tenta di riscrivere la storia puntando su un’appartenenza durata solo nei settanta anni di Unione sovietica e cerca di trasformare il regalo di Stalin in un diritto acquisito nei secoli.

Grazie per l’attenzione che vorrete dedicare a questa precisazione

Cordiali saluti e buon lavoro.

CONSIGLIO PER LA COMUNITA’ ARMENA DI ROMA

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Hotel Gagarin: Amendola e Argentero insieme in Armenia. Ecco le location del film (Donnaglamour.ir 06.09.20)

Nel 2018 il regista Simone Spada ha portato nelle sale cinematografiche Hotel Gagarin: il film è stato girato in Armenia, ecco le location.

Hotel Gagarin è una delle opere più celebri del regista Simone Spada: uscito nelle sale cinematografiche nel 2018, il film ha incassato in Italia 390 mila euro, meno di quanto avrebbe probabilmente meritato. La trama della commedia è basata sulla storia di un’improvvisata compagnia cinematografica italiana che si ritrova costretta a restare in Armenia all’interno dell’hotel Gagarin che dà il titolo alla pellicola: vediamo ora quali sono le affascinanti location di questa pellicola.

Hotel Gagarin: le location del film

Quello che nel film viene presentato come l’Hotel Gagarin, che dà il titolo alla pellicola, è in realtà l’Akhtamar Hotel, che si trova nella città di Sevan a pochi passi dal lago di Sevan.

Le riprese della commedia si sono svolte tra il mese di gennaio e quello di febbraio del 2018: oltre che nelle già citata di Sevan, il regista, gli attori, le attrici e tutti gli addetti ai lavori hanno lavorato anche nella capitale Erevan, dove si trova anche l’aeroporto nel quale arrivano dopo il viaggio dall’Italia.

Hotel Gagarin: il cast del film

I principali protagonisti di Hotel Gagarin sono Elio, l’elettricista ingaggiato come tecnico delle luci, che è interpretato da Claudio Amendola, Sergio, il fotografo assunto come operatore, che è impersonato da Luca Argentero, Nicola, l’autore del racconto Il viaggio di Marta da cui dovrebbe essere ispirato il film che l’improvvisata troupe deve girare in Armenia. A vestire i panni di quest’ultimo personaggio è Giuseppe Battiston.

Tra le protagoniste femminili troviamo invece Silvia D’Amico e Barbora Boulova. Nel cast del film ci sono anche Philippe Leroy, Caterina Shulha, Tommaso Ragno e Paolo De Vita, quest’ultimo interpreta Conversano, un presagio creato per rendere omaggio al film Mediterraneo di Gabriele Salvatores.

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Giacomo Ciamician: un armeno “triestino” profeta dell’energia solare (triesteallnews 05.09.20)

05.09.2020 – 09.45 – Nello scenario della convention di ESOF2020, accanto all'(obbligato) argomento del Covid-19, largo spazio è stato dedicato al cambiamento climatico e alla necessità di un Green New Deal ormai accettato negli Stati Uniti, ma raramente dibattuto in Europa.
In quest’ambito la tecnologia solare svolge un ruolo rilevante, continuando a essere attrattore di investimenti e progetti. Trieste giocò in quest’ambito un ruolo preciso, perchè fu proprio un triestino uno tra i primi scienziati a profetizzare l’uso dell’energia solare contrapponendosi all’abuso dei combustibili fossili.
Giacomo Luigi Ciamician (1857-1922) era infatti un triestino dalle origini armene, passato alla storia per essere stato il primo chimico italiano ad essere stato candidato al Premio Nobel. I suoi studi nel campo della chimica organica lo condussero a ideare la nuova disciplina della fotochimica, della quale è considerato il “padre”. Quando sintetizzò per la prima volta questa nuova disciplina, nel 1912, in un discorso a New York, profetizzò l’avvento dell’energia solare. Un insight notevole, specie considerando come Ciamician fosse cresciuto nell’era del vapore e del carbone; a quell’epoca l’industria del petrolio muoveva ancora i suoi primi passi (o meglio, le sue prime ruote gommate).
“E anche se in un futuro distante – disse Ciamician – le scorte di carbone verranno completamente esaurite, la civiltà non sarà messa in scacco, perché vita e civilizzazione continueranno finché il sole continuerà a splendere!”.

Ma chi era Giacomo Ciamician? E come giunse a queste conclusioni?
I conseguimenti degli armeni nel campo linguistico, scientifico e generalmente culturale si riverberano nella vita di Ciamician, il quale nacque ai tempi della Trieste asburgica il 27 agosto 1857. La famiglia era nota nell’ambiente armeno triestino a causa dello zio paterno che era stato un padre Mechitarista; e Giacomo stesso vantava quale antenato Padre Michele Ciamician, un esule di Costantinopoli trapiantato a Venezia, famosissimo nella “nazione” per aver scritto il monumentale “Storia degli armeni“. Oltre tremila pagine dove si narrava l’epopea e le sventure del popolo armeno conferendogli una chiara identità nazionale finora limitata all’eredità religiosa.

Dopo essere rimasto orfano del padre in tenera età, Giacomo frequentò l’Accademia di Commercio e Nautica di Trieste, vero “crocevia” di passaggio di tanti scienziati triestini a cavallo tra ottocento e novecento.
Giacomo nell’occasione rimase a tal punto impressionato dagli studi di chimica applicata di Augusto Vierthaler da sceglierla come materia di studio all’Università di Vienna, dove si trasferì nel 1874. Ciamician alternò nei suoi primi anni universitari l’impegno presso la sezione di chimica del Politecnico e gli studi presso la Stazione Zoologica di Trieste. Quello stesso istituto che vedeva partecipe, peraltro nello stesso decennio, un giovanissimo Sigmund Freud intento a studiare la vita sessuale delle anguille. Dopo aver conseguito il titolo al Politecnico di Vienna per l’insegnamento della chimica nelle Scuole Reali, passò a laurearsi in filosofia all’Università di Giessen (aprile 1880). Nello stesso anno Ciamician abbandonò gli ambienti austro-tedeschi a favore di Roma, dove continuò a studiare il “pirrolo“, proseguendo con l’Istituto di Chimica romano gli studi intrapresi già a Vienna nel 1879. Il pirrolo è una materia che si trova nel catrame e nei residui animali; lo studio di Ciamician, tra i primi su questa sostanza, rappresentò un passo fondamentale per la chimica organica, permettendo di scoprire che il gruppo del pirrolo componeva il nucleo centrale del verde delle foglie e “colorava” di rosso il sangue. Le ricerche di Ciamician in quest’ambito proseguirono per 25 anni, concretizzandosi in due gigantesche monografie, che gli fruttarono il Premio Reale dell’Accademia dei Lincei (1887).
Il riconoscimento gli permise di vincere il concorso per la cattedra di Chimica Generale all’Università di Padova a cui seguì, dopo solo due anni, quella di Bologna (1889), dove sarebbe rimasto a insegnare e a far ricerca fino alla morte (1922).

Da Cellatica alla capitale dell’Armenia (Bresciaoggi 04.09.20)

Quattro tele della Fondazione Zani di Cellatica sono volate a Erevan per la mostra «Venezia e Piazza San Marco. Il Settecento in quattro capolavori», allestita alla sede della Presidenza della Repubblica di Armenia. Dipinte nel ‘700 da Canaletto, Bellotto, Marieschi e Guardi, le opere saranno esposte nella capitale armena fino al 4 ottobre, celebrando da un lato il mito storico della Serenissima e il suo più noto simbolo artistico immortalato dai quattro vedutisti, dall’altro il nostro Paese, da qualche giorno tra l’altro alla guida di Eunic, la Rete degli Istituti Europei di Cultura. È questa solo l’ultima delle iniziative che vede come protagonista la prestigiosa collezione d’arte della Casa Museo di via Fantasina, intitolata a Paolo e Carolina Zani. IMPRENDITORE di successo nei settori combustibili e immobiliare (era a capo di Liquigas, di ReteItalia e del Gruppo Brixia), straordinario sostenitore del ciclismo professionistico, Paolo Zani (Brescia 1945-2018) fu anche un geniale e raffinato collezionista d’arte. In oltre 30 anni di intensa e appassionata attività, ha raccolto oltre un migliaio di opere nella casa di famiglia di Cellatica, dove con la moglie Patrizia e la figlia Carolina per molti anni ha letteralmente «abitato l’arte». Artefice del rilancio di questa singolare presenza culturale è il direttore Massimiliano Capella, professore di Storia del Costume e della Moda all’Università degli Studi di Bergamo. «I visitatori possono qui ammirare oltre 850 opere, soprattutto di arte barocca veneziana, romana e francese – sottolinea – Oltre a questi capolavori di Canaletto, Guardi, Bellotto e Marieschi, ci sono dipinti di Tiepolo, Longhi, Boucher e sculture del genovese Filippo Parodi e romane dei Della Porta, preziosi arredi barocchi e rococò, principalmente francesi e veneziani, e straordinari oggetti d’arte applicata del XVII e XVIII secolo. La Casa Museo – racconta – conserva il gusto e le scelte estetiche di Zani, le sue predilezioni stilistiche, cromatiche e le sue esigenze abitative quotidiane». Nelle sue forme principali la villa conserva il disegno originario dell’architetto Bruno Fedrigolli (1921-1995), noto per aver progettato il Crystal Palace, la Camera di Commercio e il celebre Cordusio. Fino al 25 ottobre inoltre la Casa Museo ospita «La Cleopatra Barberini», capolavoro del Seicento di Giovanni Lanfranco. Nello stesso periodo altre due opere saranno ospiti della Casa Museo della Fondazione: «Capriccio con rovine di tempio e chiesa» e «Capriccio con veduta della laguna di Venezia» di Francesco Guardi. Il 19 alle 18 verrà eseguita in prima assoluta in tempi moderni la cantata composta nel XVII secolo da Marco Marazzoli e ispirata al dipinto, con il controtenore Raffaele Pe. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Comunità Armena di Roma: “L’Armenia sarà anche un Paese in via di sviluppo e ancora povero. Ma meglio poveri e dignitosi che ricchi e guerrafondai”. (Sardegnagol 03.09.20)

Continua in modo incessante lo scambio di vedute a mezzo stampa sulla nostra testata giornalistica tra l’Ambasciatore della Repubblica dell’Azerbaigian in Italia, Mammad Ahmadzada, e la Comunità Armena di Roma.

Recentemente l’ambasciatore azero in Italia era intervenuto sulla recente recrudescenza dell’ostilità tra l’Armenia e lo Stato azero, ribadendo che “La soluzione del conflitto passa dal ripristino dell’integrità territoriale dell’Azerbaigian”. Posizione criticata dalla Comunità Armena di Roma che ha tacciato di negazionismo l’intervento del rappresentante della Repubblica dell’Azerbaigian in Italia.

Ambasciatore Mammad Ahmadzada
Ambasciatore Mammad Ahmadzada

L’Ambasciatore Ahmadzada, pochi giorni fa, è tornato sulla questione attribuendo al Consiglio della Comunità Armena di Roma, l’assenza di argomenti per nascondere la natura aggressiva dell’Armenia contro l’Azerbaigian.

Oggi, invece, la Comunità Armena di Roma ha fatto recapitare una nuova controreplica, alle dichiarazioni dell’Ambasciatore azero, alla nostra testata.

Egr. direttore,
i Suoi lettori hanno avuto modo di leggere nei giorni scorsi il confronto a distanza sulla irrisolta questione del conflitto del Nagorno Karabakh e La ringraziamo per lo spazio che ha voluto dedicare a tale tema.

L’ambasciatore Ahmadzada – che ringraziamo per aver accettato il confronto con la nostra piccola realtà – ha dunque ritenuto opportuno controreplicare tempestivamente alla nostra precedente risposta. Dobbiamo rilevare però che lo stesso elude ancora una volta le nostre domande sugli scontri dello scorso luglio e sulla responsabilità degli stessi preferendo accusare la parte armena di non avere argomenti.

Ribadiamo le domande: “Cosa ci faceva il 12 luglio scorso un veicolo militare azero nella zona cuscinetto sul confine azero armeno? Cosa ci facevano i soldati azeri nella stessa buffer zone?”.

Baykar Sivazliyan
Baykar Sivazliyan

Sua Eccellenza Ahmadzada definisce “campagna diffamatoria contro l’Azerbaigian” l’evidenza delle organizzazioni internazionali che collocano il suo Paese tra gli ultimi al mondo per libertà di informazione (Freedom press index) e tra i più corrotti (Corruption perception index) utilizzando un linguaggio tipico dei regimi totalitari. A titolo esemplificativo facciamo presente che la classifica mondiale sulla libertà di informazione (Freedom press index) colloca l’Armenia al 61° posto (venti gradini sotto l’Italia, 41a) mentre l’Azerbaigian è al 167° posto e la Turchia al 154°. Con tutti i limiti e le difficoltà di sviluppo della società civile e politica armena, il paragone evidenzia posizioni ben differenti. Non lo diciamo noi, ma le organizzazioni internazionali che chiedono la liberazione di giornalisti e attivisti azeri imprigionati a centinaia nelle carceri di Aliyev la cui famiglia – altro dato significativo – da oltre trenta anni governa il Paese.

Il diplomatico di Aliyev piuttosto che analizzare (come potremmo d’altronde dargli torto…) i problemi di casa propria preferisce divagare sulla storia politica dell’Armenia che al pari dell’Azerbaigian nel 1991 concluse la propria esperienza nell’Unione sovietica e che in questi trenta anni di storia, senza dubbio politicamente ed economicamente travagliata, ha saputo però progressivamente disegnarsi un ruolo di Paese sempre più democratico e partner fidato dell’Unione europea.

Yerevan, Foto di Makalu da Pixabay
Yerevan, Foto di Makalu da Pixabay

Conveniamo tuttavia con il nostro interlocutore allorché individua nell’obiettivo della Diaspora lo sviluppo e la prosperità della propria patria; se non che, ritiene che questo risultato sia perseguibile solo attraverso linee da lui dettate L’Ambasciatore chiede la normalizzazione delle relazioni dell’Armenia con i suoi vicini che sono, oltre a Georgia e Iran, la Turchia che continua a negare il genocidio armeno e il cui presidente anche recentemente ha minacciato di “proseguire l’opera dei padri” (ovvero lo sterminio degli armeni) e l’Azerbaigian che da decenni ha fatto dell’armenofobia il cardine della propria politica estera.

Insomma, secondo Ahmadzada l’Armenia potrebbe stare tranquilla solo rinunciando alla propria dolorosa memoria e al proprio futuro, ovvero alla libera, indipendente e pacifica esistenza del popolo del Nagorno Karabakh-Artsakh.

L’Armenia sarà anche un paese in via di sviluppo e ancora povero. Ma meglio poveri e dignitosi che ricchi e guerrafondai.

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