Le comunità cristiane in Turchia tra storia e attualità (SIR 27.11.25)

La Turchia ospita comunità cristiane piccole ma radicate, dall’ortodossia del Fanar alla tradizione siriaca del Tur Abdin, fino alla Chiesa cattolica latina. Tra migrazioni, restauri, tensioni politiche e testimonianze di fede, queste realtà mantengono viva una presenza antica in un Paese a maggioranza musulmana.

Foto Calvarese/SIR

La Turchia è un Paese a maggioranza musulmana con circa 90 milioni di abitanti. Nel Novecento ha sviluppato uno Stato nazionale e laico sotto la guida di Atatürk; nel XXI secolo. Con Erdoğan, al potere da circa 20 anni, l’Islam ha assunto un ruolo centrale nella società. Tuttavia, essa è anche una regione con una lunga storia cristiana, che risale ai primi secoli e include figure bibliche, Padri della Chiesa, ma anche tradizioni monastiche e una presenza cristiana continuata anche durante l’epoca dell’impero ottomano. La presenza cristiana, oggi, è numericamente ridotta, ma conserva un enorme valore storico e religioso significativo. Il patriarcato ecumenico di Costantinopoli, situato nel quartiere del Fanar a Istanbul, resta un punto di riferimento. Malgrado il numero di fedeli ortodossi sia esiguo, esso continua a mantenere un ruolo importante. E questo grazie soprattutto alla continua presenza dei suoi patriarchi, tra cui Atenagora fino all’attuale Bartolomeo. Dal Concilio vaticano II tutti i papi hanno visitato questa terra. A Istanbul è presente anche la Chiesa armena, la più numerosa comunità cristiana della Turchia, segnata dalle vicende della Prima guerra mondiale. Ai confini con la Siria continua a vivere la tradizione siriaca, concentrata nell’area del Tur Abdin.
La Chiesa siriaca, un tempo più diffusa, oggi opera in un contesto islamico complesso e influenzato dal conflitto tra lo Stato turco e la popolazione curda. A causa dell’emigrazione si è molto ridotta, ma rimane attiva. A Mardin, un parroco siriaco guida una comunità di poco più di cento fedeli, sia ortodossi sia cattolici, celebrando nelle diverse chiese per mantenerle attive. Ad Adiyaman, nel 2011, è stata riaperta l’unica chiesa siriaca con autorizzazione governativa, facendo riemergere la presenza cristiana. Nel Tur Abdin diverse chiese sono state restaurate e aperte ai visitatori, e nei due monasteri rimangono alcuni monaci. Uno di essi, padre Gabriel, racconta di essere rimasto nel monastero mentre la sua famiglia emigrava, spiegando che la scelta è tra la vita religiosa e il benessere materiale.
La Chiesa cattolica in Turchia fa parte della Chiesa cattolica universale ed è in comunione con il papa. I cattolici presenti nel Paese sono circa 60.000, equivalenti allo 0,07% della popolazione, composta prevalentemente da musulmani. La Chiesa cattolica di rito latino è articolata nell’arcidiocesi di Smirne e nei vicariati apostolici dell’Anatolia e di Istanbul. Vi è inoltre collaborazione con le Chiese cattoliche armene, caldee, greche e sire, che seguono riti propri. Accanto a esse sono presenti altre comunità cristiane, tra cui gli ortodossi legati al patriarcato di Costantinopoli, di rilevante importanza storica. La Chiesa cattolica latina mantiene un rapporto particolare sia con i cittadini turchi sia con gli immigrati. Dalle parrocchie di Istanbul fino alle comunità più piccole dell’Anatolia, i missionari continuano a sostenere gruppi ridotti ma considerati significativi. Mantenere aperte le chiese è un gesto di attenzione verso chi vive sul posto e un segno di speranza per il futuro. In questo contesto è ricordata la figura del sacerdote romano Andrea Santoro, ucciso mentre pregava nella sua chiesa di Trebisonda, così come quella del vescovo Padovese, anch’egli ucciso. Santoro vedeva la sua presenza come un modo per ridurre la distanza tra mondi diversi.
Le piccole comunità cristiane in Turchia richiamano l’attenzione sulla fragilità della presenza cristiana nel mondo, anche in Occidente. Tanto in Oriente quanto in Occidente, in Italia come in Turchia, la responsabilità del cammino della Chiesa rimane nelle mani di chi la vive.

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Per gli ostaggi armeni dell’Artsakh neanche un po’ della giustizia di Sharm /Tempi 27.12.25)

A Sharm el-Sheik, in Egitto, davanti a un mare favoloso, i leader massimi di 22 Stati hanno firmato, o meglio controfirmato, l’accordo di pace per Gaza tra Israele e Hamas di fatto imposto da Donald Trump alle parti atrocemente confliggenti dal 7 ottobre 2023. Intanto, quel lunedì 13 ottobre 2025 (data completa come si conviene quando si avverte lo scalpiccio di cavalli della storia che passa) si è realizzata una “tregua”. Fine bombardamenti, ostaggi liberati, inizio della restituzione dei corpi morti alle famiglie.
Che c’entra il Molokano, che se ne sta con i suoi guai e le sue ferite che non cicatrizzano, sul lago di Sevan? L’Armenia mi ha insegnato che esiste la comunione dei morti, le schiere delle vittime, le lacrime passate e presenti dei miti, mescolate ai denti degli assassini, giacciono nel lago della nostra umanità intera. Una “scintilla di speranza” in Terra Santa (definizione di Leone XIV) buca il buio del mondo intero, mobilita ogni popolo a ricordare cos’è la luce, per ce…

Armenia: amb. Ferranti a 2° Convegno farmacologi italiani e armeni (Giornale Diplomatico 27.11.25)

GD – Jerevan, 27 nov. 25 – All’Università Statale di Medicina di Jerevan si è svolto il secondo Convegno congiunto tra farmacologi italiani e armeni. La prima edizione si era tenuta nell’ottobre del 2024.
L’iniziativa è frutto di alcuni anni di dialogo e proficua collaborazione intrapresi con i colleghi dell’Università di Camerino, uno dei poli accademici più antichi e prestigiosi d’Italia, fondato nel 1336, e si pone in una prospettiva di crescente cooperazione fra le due Università nel campo della farmacologia e delle terapie associate ai trattamenti medico-sanitari e nel quadro degli scambi accademici e scientifici.
Al convegno era presente anche l’ambasciatore italiano Alessandro Ferranti, il quale ha rivolto il proprio indirizzo di saluto a tutti i partecipanti all’evento.

Armenia: X Settimana Cucina Italiana nel Mondo, Toscana protagonista (GiornaleDiplomatico 27.11.25)

GD – Jerevan, 27 nov. 25 – Nell’ambito della X Edizione della Settimana della Cucina Italiana nel Mondo, l’Ambasciata d’Italia a Jerevan, in collaborazione con l’Agenzia ICE, ha promosso e organizzato una serie di eventi di presentazione e degustazione di ricette tipiche della cucina italiana regionale, orientati al tema “La cucina tra salute, cultura e innovazione”, con un taglio dedicato alla valorizzazione delle eccellenze della cucina toscana.
L’importanza della qualità delle materie prime e degli ingredienti, il benessere della buona tavola e la formazione professionale sono i valori al centro del ricco programma di iniziative che ha visto la collaborazione di Scuole ed Accademie di cucina, ristoranti e catene di distribuzione alimentare nonché dei principali importatori armeni di prodotti italiani, con l’obiettivo di celebrare e diffondere la genuinità della tradizione culinaria italiana.
Il tutto nella cornice della candidatura della Cucina italiana a patrimonio immateriale dell’UNESCO, proposta che mira a riconoscerne globalmente il profondo valore culturale.
Nel corso della Settimana, si sono susseguiti momenti di degustazione, show-cooking, cene di gala, scambi accademici di formazione e una intera giornata dedicata alla cucina italiana organizzata dagli studenti e dai docenti del Dipartimento di italianistica dell’Università Statale Brusov di Jerevan.
Quest’anno l’Ambasciata ha ospitato l’Istituto Professionale di Stato per i Servizi per l’Enogastronomia e l’Ospitalità Alberghiera “Aurelio Saffi” di Firenze, rappresentato dai Professori Francesco Coniglio e Marco Berchielli, accompagnati da tre loro studenti.
Per la prima volta l’evento di apertura della rassegna si è tenuto presso gli studi televisivi di ATV, dove gli studenti e gli Chef dell’Istituto Saffi, ospiti del programma mattutino accompagnati dall’Ambasciatore Ferranti, si sono esibiti in una dimostrazione di cucina in diretta presentando autentiche ricette toscane.
La Settimana è poi proseguita all’insegna dello scambio accademico e formativo, presso la nuova Sede a Dilijan – inaugurata lo scorso settembre – della Apicius International School of Hospitality di Firenze, e poi ospiti dell’Accademia di Cucina Yeremyan di Jerevan.
In entrambe le occasioni gli studenti italiani hanno collaborato con i colleghi armeni nella preparazione di degustazioni di pietanze tipiche delle tradizioni culinarie dei due Paesi, coniugando idealmente l’autentica cucina italiana con l’ospitalità armena.
L’ampia e molto qualificata partecipazione di pubblico ai vari eventi costituisce una ulteriore conferma dell’interesse verso il modello italiano di una tensione creativa volta all’innovazione nel solco della tradizione.
La diplomazia dell’enogastronomia si conferma come un ulteriore e significativo strumento di promozione integrata in un paradigma come quello attuale, in cui l’Armenia si sta affermando come centro emergente per la cooperazione internazionale nell’ambito delle professioni legate alla ristorazione e all’Hospitality Management e dove il turismo, come comparto, assume sempre maggiore rilevanza quale volano dello sviluppo economico interno, anche grazie all’incremento dei collegamenti aerei diretti con l’Italia e con l’Europa.

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La Chiesa armena divisa: sacerdoti condannano la posizione del Catholicos (NotiziedaEst 27.12.25)

Media armeni filogovernativi hanno pubblicato, e i rappresentanti del partito al governo hanno condiviso sui loro profili social, una dichiarazione di alto profilo proveniente da un gruppo di prelati anziani. Più di una dozzina di arcivescovi e vescovi hanno sostenuto che il Catholicos Garegin II ha violato il giuramento assunto al momento della sua ordinazione. Si riferivano al voto “essere il vero leader della Chiesa apostolica armena.”

La dichiarazione afferma che “il Catholicos sta tentando a ogni costo di nascondere l’atto sacrilego dell’Arcivescovo Arshak, diventando così un protettore del sacrilegio.”

Il caso riguarda l’Arcivescovo Arshak Khachatryan, che è a capo della cancelleria della Prima Sede. Un video intimo che, secondo quanto si dice, ritrae questo alto prelato, è stato ampiamente discusso in Armenia da tempo. Recentemente una commissione della chiesa che esamina l’incidente ha raccomandato che Garegin II sospenda il servizio spirituale di Arshak.

“Tuttavia, il Patriarca ha ignorato i risultati della valutazione presentata dalla commissione che egli stesso ha creato,” hanno affermato i prelati.

La dichiarazione, firmata dai membri della commissione, è stata pubblicata come fotografie. I prelati che criticano la posizione del Catholicos né hanno commentato né confermato l’autenticità del documento.

Il Primo Ministro Nikol Pashinyan, tuttavia, ha “accettato con forza e fermamente” le loro azioni.

“Innanzitutto, questa dichiarazione dimostra che ci sono prelati nella nostra Chiesa che svolgono diligentemente la loro missione spirituale. Naturalmente, con il consenso dei santi padri, li inviterò oggi a un incontro per chiarire le loro posizioni e gli approcci riflessi nella dichiarazione,” ha detto durante la sua conferenza settimanale.

Quando questo articolo è stato pubblicato, il primo ministro aveva pubblicato un video sui social media che mostrava un incontro con i prelati che hanno firmato la dichiarazione.

Non sono stati diffusi dettagli su ciò di cui si è discusso durante l’incontro. Ma è già chiaro che la dichiarazione non è falsa, e il video mostra tutti gli arcivescovi e vescovi le cui firme compaiono nel documento.

“Questo rapporto include anche tutte le informazioni attualmente disponibili e un commento di un analista politico.”

  • «Nessuna alternativa all’allontanamento del Catholicos di Tutti gli Armeni», dice un politico
  • «Liberazione della Chiesa Armena»: liturgia guidata da un prete defraudato e partecipata dal PM Pashinyan è stata segnata dall’agitazione. Video
  • «Traccia russa» sospetta tra il clero armeno: un altro sacerdote rischia accuse penali

Dichiarazione su «purificazione della Prima Sede dallo sacrilegio»

La dichiarazione, firmata da un gruppo di prelati, affronta il video scioccante che coinvolge la testa della cancelleria della Prima Sede. Sottolinea che la commissione istituita dal Catholicos ha richiesto al Comitato Investigativo di esaminare il video e verificare la sua autenticità.

«Il 25 novembre, la commissione ha fornito i risultati dell’esame, che confermano l’autenticità del video,» si legge nella dichiarazione.

I prelati osservano che lo stesso giorno i risultati sono stati presentati al Patriarca, ma lui non ha intrapreso alcuna azione.

Secondo i membri della commissione, la posizione di Garegin II “provoca sbigottimento e grave preoccupazione.” Sostengono che questa sia una questione estremamente sensibile che mina l’autorità della Chiesa.

Inoltre, il tentativo di celare “l’atto sacrilego dell’arcivescovo” è, secondo i prelati anziani, visto come “proteggere il sacrilegio.” Sulla base di ciò, i membri della commissione concludono:

“La posizione del Catholicos è incompatibile con il diritto canonico e gli insegnamenti della Chiesa armena. Rischia di provocare una scissione all’interno della Chiesa.”

In definitiva, chiedono ai loro colleghi vescovi, nonché ai fedeli e ai devoti seguaci della Chiesa, di “unirsi nella purificazione della Prima Sede di Echmiadzin dalla chierarca blasfema e da coloro che condividono il suo peccato, condannando fermamente l’inazione di Garegin II.”

«Sospendere il servizio»: appello al Catholicos di tutti gli Armeni sull’intimo video presumibilmente coinvolgente un arcivescovo

Membri della commissione spirituale hanno avanzato questa proposta. La loro lettera al Patriarca della Chiesa Apostolica Armena è trapelata sui media. Ecco tutti i dettagli dello scandalo.

 

 

«Tutti possono partecipare tranne il Catholicos» — Pashinyan sul rinnovamento della Chiesa

L premier armeno ha sostenuto per diversi mesi che il Sommo Patriarca ha violato il voto di celibato e ha un figlio. Ritiene quindi che Garegin II debba lasciare la sede.

Durante un briefing, i giornalisti hanno rilevato rapporti di violazioni del celibato da parte di alcuni dei prelati che hanno firmato la dichiarazione. Hanno chiesto a Pashinyan quanto sia accettabile per loro partecipare al processo di restauro dei valori spirituali.

«Ho detto che qualsiasi fedele battezzato della nostra Chiesa può partecipare al lavoro di liberazione del nostro luogo sacro. Ciò vale per tutti i cittadini», ha risposto Pashinyan.

Ha nuovamente sottolineato la necessità di rinnovare e purificare la Chiesa, accogliendo “chiunque sia disposto” a seguire questo percorso.

«Se chiedete se anche Ktrich Nersisyan [il nome laico del Catholicos] possa partecipare a questo processo… Penso che abbia perso ogni possibilità. Deve semplicemente lasciare la Prima Sede di Echmiadzin.»

Tensioni tra autorità armene e Chiesa: piano di Pashinyan per rimuovere il Catholicos

Si riferisce che il premier propone di nominare un prete sposato come acting Catholicos e di tenere elezioni per un nuovo Catholicos. Pien dettagli del piano e commenti di esperti

 

Pashinyan’s plan to remove Catholicos

 

Analista politico Robert Gevondyan ha detto:

“Il conflitto tra le autorità e i prelati anziani finirà con la sconfitta del clero, poiché la legittimità e l’appoggio pubblico al governo sono attualmente superiori. Garegin II è colpevole, avendo causato un enorme danno all’immagine positiva della Chiesa nei suoi ultimi 26 anni con il suo comportamento.

Recentemente circolano persistenti voci secondo cui la Russia stia discutendo di relocare Garegin II dall’Armenia. Una figura di opposizione armena ha recentemente insistito sul fatto che il Catholicos debba resistere alle critiche delle autorità, poiché questa preoccupazione va oltre lui. Solleva la domanda di chi altro riguardi—forse coloro che lo aspettano in Russia.

Il documento firmato da arcivescovi e vescovi non lascia alcun dubbio: le forze sane all’interno della Chiesa Apostolica Armena si sono unite ai fedeli nelle loro richieste. Le fratture interne in qualsiasi istituzione portano inevitabilmente a cambiamenti radicali. Pertanto, non è lontano il giorno in cui verrà nominato il 133° Patriarca di tutti gli Armeni. La Chiesa Apostolica Armena lavorerà quindi mano nella mano con le autorità per sviluppare e rafforzare l’Armenia.”

Elezioni municipali in Armenia: «Il Catholicos non ottiene la fiducia a Echmiadzin»

Nella comunità ampliata di Vagharshapat, che comprende la capitale spirituale dell’Armenia, Echmiadzin, il partito al potere ha vinto le elezioni. Questa vittoria è stata significativa per le autorità nel contesto del loro conflitto con il Catholicos.

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Armenia: troppo piccola per essere temuta, strategicamente troppo importante per essere ignorata (Difesa On Line

Relazioni internazionali sempre più conflittuali stanno accompagnando il vecchio ordine mondiale su un sunset boulevard, dove le nazioni più piccole diventano obiettivo della competizione tra egemoni ed interpreti di più attente strategie di sopravvivenza.

Ultimamente si è assistito ad un percettibile mutamento degli equilibri di forza in ambito mediorientale, con tutti i possibili limiti del disimpegno di Washington, invischiata in tutte le più recenti crisi, con Iran e Russia indeboliti in Siria a vantaggio di Israele e Turchia. L’Armenia non fa eccezione, affrontando contingenze tipiche delle nazioni in balia di altrui politiche di potenza e di uso della forza quali elementi determinanti e dove è ormai necessario decidere se dirigere verso Occidente o mantenere una liaison con Mosca interrogandosi su sovranità, autonomia strategica, stabilità.

Geopoliticamente l’Armenia è un problema piantato all’incrocio tra Europa e Asia, un punto di scontro tra imperi protesi al controllo di rotte commerciali e strategiche, la naturale destinazione dell’ostilità dell’Azerbaigian a suo tempo spalleggiato da Mosca che ha sempre soffiato sul fuoco etnico del Nagorno-Karabach.

Destinata ad essere un vaso di coccio tra il ferro turco e azero, Yerevan ha sperimentato la sua precarietà a fronte del protettorato di Mosca, che ancora la considera elemento strategico portante avvinto dagli scambi commerciali e da passate ma non veritiere, nel momento del bisogno, alleanze militari. Una dipendenza che limita ogni diversificazione in tema di politica estera, poiché qualsiasi tentativo di allontanamento da Mosca causa ritorsioni. Contemporaneamente, USA e UE cercano di estendere la propria influenza nel Caucaso meridionale per controbilanciare la pervasività russa. Gas e petrolio tra Mar Caspio e Asia centrale, che per Mosca rappresenta un passaggio per raggiungere l’Oceano Indiano in alternativa a Dardanelli e Mediterraneo, rendono l’Armenia fondamentale per i transiti, insieme con l’apertura di nuovi corridoi di connettività, grazie alla normalizzazione dei rapporti con Azerbaigian e Turchia, che pure continua a evocare ancestrali e drammatici ricordi; da considerare poi la possibilità armena di diversificare i rapporti che influenzano l’equilibrio tra NATO (Turchia) e Russia, cui si aggiunge la linea confinaria con l’Iran, che in Yerevan trova la sua unica porta d’accesso stabile verso l’Occidente e la seducente chance di evitare un isolamento totale laddove il confine stesso venisse inghiottito dal magnetismo politico del corridoio Azerbaigian-Nakhchivan.

Le vulnerabilità armene sono aggravate da criticità strutturali connesse ad un’economia di dimensioni esigue, alla mancanza di porti, alla sensibilità verso shock esterni forieri della necessità di aiuti esogeni data anche la limitata base industriale posta in relazione ad una carente autonomia. L’Armenia si trova nell’impossibilità di pianificazioni strategiche di più ampio respiro, vincolata com’è al contingente, con la guerra russo-ucraina che ha determinato l’aumento del commercio bilaterale con Mosca. In questo contesto, in cui le possibilità di manovra armene sono più limitate, spicca come Yerevan rimanga un obiettivo allettante, un cliente ideale da lasciar macerare in attesa nel vestibolo del patriziato moscovita.

L’Armenia ha un’anima vulnerabile divisa in due, straziata tra un’aspirazione occidentale e un’incombente reminiscenza orientale. Il ruolo russo tuttavia è controverso, specialmente alla luce della sua inanità durante le offensive azere in Nagorno-Karabach, cosa che ha alimentato un comprensibile scetticismo da parte di un paese che la Storia ha educato ad essere diffidente, dati i competitor ai suoi confini; possibili errori strategici, come un’eccessiva dipendenza da Mosca o una troppo aperta esposizione securitaria verso l’Azerbaigian, potrebbero aggravare una situazione di suo naturalmente tesa.

Stringere alleanze esclusive amplificherebbe le debolezze armene, visto che l’allineamento ad un egemone provoca il rischio di alienarsene altri, una scelta binaria che potrebbe portare ad alimentare una polarizzazione interna, accentuata dalla decisione di dare il via libera al processo, per alcuni populista, di adesione all’UE; un rischio che predisporrebbe l’Armenia a squilibri strategici capaci di far sollevare, a prescindere, le difese verso le sollecitazioni esterne.

L’equilibrio rappresenta di fatto l‘unico iter percorribile, dati i pericoli connessi alle aspirazioni, specie quando nessuno in Occidente è disposto a morire per la propria terra, figurarsi per Yerevan, anche se è pur vero che le lezioni di Georgia e Ucraina dovrebbero far riflettere. Intanto, le alleanze tradizionali risentono delle instabilità, sicché già dal 2024 il primo ministro Pashinyan, in occasione degli scontri con l’Azerbaigian, ha accusato la CSTO a guida russa di non aver onorato i propri obblighi, motivo per il quale ha congelato la sua adesione e intrapreso le misure necessarie per il ritiro formale previa sospensione delle contribuzioni. Tuttavia, malgrado una faglia apparentemente sempre più profonda, sembra difficile che la dipendenza economica possa permettere una celere uscita dall’orbita russa.

Ecco dunque entrare in scena il deus ex machina del più concreto realismo, grazie a cui Armenia e Azerbaigian, con la mediazione congiunta di diversi attori internazionali, hanno annunciato di aver stipulato un trattato di pace, dopo oltre tre decenni di conflitto e malgrado il nodo del Nagorno-Karabakh sia ancora da sciogliere completamente, specie dopo la fine dell’autoproclamata Repubblica di Artsakh, che ha costretto oltre 100.000 armeni a lasciare la regione.

Evidente come la pace rimanga fragile con l’Azerbaigian che, forte del vuoto russo, chiede modifiche costituzionali a Yerevan, prevedendo la rimozione di qualsiasi riferimento storico al Karabakh.

Altro contenzioso investe il corridoio di Zangezur, progetto problematico perché percepito dagli armeni come una perdita di sovranità pronta a condurre alla trasformazione in un’enclave eterodiretta e trasformato dall’azione diplomatica americana in oggetto di un’intesa in 17 articoli che prevede un trattato di locazione di 99 anni agli USA e che sviluppa un’inedita Trump Route for International Peace and Prosperity che, attraverso parte del territorio armeno, dovrebbe collegare l’Azerbaigian all’enclave di Nakhchivan. L’appalto ad una gestione terza americana risolve la questione securitaria per entrambi i governi1; al centro del confronto, la provincia armena di Syunik, incastonata a est tra l’Azerbaijan ed il Nakhchivan ad ovest, repubblica autonoma stretta tra l’Armenia e l’Iran ma sotto il governo di Baku, cosciente della sua rilevanza strategica utile a rafforzare i rapporti con la Turchia proiettandosi sul Caucaso meridionale.

Il disimpegno russo ha condotto Yerevan ad assumere il controllo di diversi valichi confinari, tra i quali quello di Agarak-Nurduz, lungo il confine iraniano, punto fondamentale per trasporti alternativi a quelli azero-turchi. Rimangono tuttavia scoperti diversi punti sensibili del confine azero, una vulnerabilità che ha permesso a Baku, forte di capacità asimmetriche, posizioni sempre più assertive. Del resto, l’attuale situazione lascia poche chance all’Armenia, tagliata fuori dai principali progetti infrastrutturali dati la conformazione geografica ed i rapporti non amichevoli con i paesi contigui, a differenza dell’Azerbaigian ricco di risorse e proteso sul Caspio, ponte tra Europa e Asia centrale passando per la Turchia, senza contare il potenziamento bellico consentito dalle liaison con Ankara e Tel Aviv ed il rapporto fin troppo altalenante con Mosca. Insomma, Baku si trova in piena ascesa regionale, in un contesto in cui gli USA scorgono opportunità di inserimento e capacità di pressione su Russia, Iran e la Cina della Belt and Road Initiative. Ammesso che duri, visto che la normalizzazione rimane fragile e vincolata ad interessi troppo ampi per i paesi interessati, volti più verso la cooperazione economica che verso la più tradizionale diplomazia.

La parola d’ordine è: diversificare, in un contesto in cui la costruzione della memoria collettiva complica qualsiasi riconciliazione; storia e fiducia reciproche, in concorso, divengono strumenti di legittimazione politica e danno razionalità a reciproci compromessi. Se Mosca recede su ambedue le sponde, si crea uno spazio negoziale scorrevole che agevola l’entrée di attori terzi d’oltre oceano.

Ecco che le elezioni armene del 2026 rappresentano la cartina di tornasole sulla proiezione geopolitica di Yerevan, perché determineranno o meno il suo indirizzamento filo occidentale con la normalizzazione delle relazioni con i vicini, rientrante nel progetto Armenia reale di Pashinyan, contrario all’Armenia storica dell’opposizione. Inevitabile che le tensioni aumentino, specialmente per le accuse rivolte ad un sistema che si vede improntato ad uno sviluppo democratico imperfetto. Già in marzo le elezioni locali sono state segnate da indagini e accuse di corruzione che, pure, si sono accompagnate a sondaggi che mostrano un calante entusiasmo per le svolte filo occidentali.

L’opinione pubblica di fatto si sta vincolando ad un pragmatismo che, se si votasse ora, potrebbe riservare sorprese all’attuale esecutivo, anche in forza del fatto che da più parti si afferma l’impegno ibrido russo, stante la saturazione di narrazioni concorrenti. La base elettorale del 2026 si è costituita a Gyumri, dove il partito di governo2, pur vincendo, non ha ottenuto la maggioranza. Malgrado la frammentazione dell’opposizione, la polarizzazione si è accentuata determinando un’apatia con Gyumri facile bersaglio del soft power russo ma anche indice di un persistente sostegno a Pashinyan, che deve confrontarsi con promesse elettorali ancora da realizzarsi e con le forti contestazioni del 2024.

In vista del 2026, l’Armenia dovrà prepararsi ad affrontare la disseminazione di asperità verso democrazia ed integrazione europea, includenti inanità, polarizzazione, scarsa fiducia in istituzioni che necessiterebbero di maggiori sollecitazioni occidentali. Sollecitazioni che, invece, da est, sono arrivate in abbondanza, tanto che NewsGuard ha evidenziato che, da aprile, la propaganda russa ha divulgato 18 affermazioni false3 contro il governo, poi ricomparse in 13.883 post e articoli sui social network, per raggiungere i 45 milioni di visualizzazioni, affermazioni comparse perfino nelle risposte fornite da chatbot di IA. Quello che colpisce è che l’apparato russo si è mosso con almeno 14 mesi di anticipo rispetto alle consultazioni del giugno 2026, in controtendenza con quanto fatto in Germania e Moldavia, cosa che dovrebbe far riflettere circa l’importanza attribuita all’Armenia, per cui Tucker Carlson ha lanciato Nareg Karapetyan, nipote dell’oligarca armeno-russo Samvel, prodigo di critiche verso Pashynian e capace di amplificare il messaggio per cui la decadenza occidentale attenta ai tradizionali valori religiosi; non è un caso che Samvel si sia schierato apertamente per il Catholicos armeno, Karekin II, in attrito con Pashinyan, alla luce del contrasto tra esecutivo e leadership religiosa, di fatto un ostacolo alla normalizzazione con Azerbaigian e Turchia.

Comunque la si osservi, l’Armenia è vittima e protagonista della sua storia; punto di incontro di civiltà, punto di violenze inenarrabili, punto di genesi di genocidi tutt’ora sussurrati. Eppure il pragmatismo impone che Yerevan, per poter prendere tra le proprie mani il suo stesso destino, pur non dimenticando nulla, guardi al futuro stringendo rapporti con i nemici ancestrali. È un prezzo politico che va pagato, è un calice che, per quanto amaro, va bevuto. Ed è un futuro cosi difficile da imporre scelte complesse, come porsi in antitesi con un credo religioso i cui vescovi guardano a est, assecondando un relativismo spiazzante come spiazzante è la difficoltà che la leadership incontra in un dialogo democratico oggettivamente spesso respinto dalla logica utilitaristica dello stavamo meglio quando stavamo peggio.

L’Armenia, purtroppo o per fortuna, è geograficamente troppo piccola per essere temuta, ma è strategicamente troppo importante per essere elusa. Forse è arrivato il momento che, nelle sue scelte, l’Armenia, realisticamente, lo comprenda.

1 Gli accordi prevedono il subaffitto ad un consorzio per sviluppare linee ferroviarie, petrolifere, energetiche.

2 Contratto Civile

3 Gli artefici delle affermazioni individuate sembrano essere i siti d’influenza russa Storm-1516 e Foundation to Battle Injustice, ONG fittizia fondata da Yevgeny Prigozhin. Le operazioni hanno utilizzato lo stesso copione per colpire USA, Germania, Francia e Moldavia. Le affermazioni sono progettate per toccare i temi più sensibili dell’opinione pubblica; in ottobre una delle affermazioni individuate sul portale turco OdaTV.com, sosteneva che Pashinyan avesse annunciato negoziati per cedere 1.200 chilometri quadrati di territorio nella provincia di Syunik all’Azerbaigian. Cinque delle affermazioni identificate accusavano Pashinyan e i membri del governo di crimini sessuali, riprendendo accuse già utilizzate contro la presidente moldava Sandu, il cancelliere tedesco Merz, Brigitte Macron e il candidato alla vicepresidenza degli Stati Uniti Tim Walz. Altra affermazione falsa riguarda la società nucleare francese Orano che avrebbe stretto un accordo con Yerevan per stoccare scorie radioattive nel Parco Nazionale di Dilijan in cambio di una tangente da 1,6 milioni di euro.

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Musica e film in piazza Salotto sul genocidio degli armeni (Il Centro 27.11.25)

PESCARA. Oggi alle ore 18, nella tensostruttura del Future Fest in piazza Salotto a Pescara, l’Arci organizza un concerto ricordo del genocidio degli armeni, in occasione dei 100 anni dalla data del suo inizio. Autore ed interprete del concerto-performance sarà Roberto Paci Dalò che eseguirà la sua opera, “1915 The Armenian Files”. L’appuntamento consisterà in un concerto di Paci Dalò, al clarinetto ed effetti elettronici, con la contemporanea proiezione del film che è pare integrante di “1915 The Armenian Files”, al quale seguirà una conversazione fra il musicista e filmmaker e Sargis Ghazaryan, ambasciatore della Repubblica d’Armenia in Italia.

Il disco “1915 The Armenian Files” è uscito l’11 dicembre scorso. Il progetto di Roberto Paci Dalò è un film, una mostra, un’opera radiofonica, un concerto multimediale e, per l’appunto, dall’11 dicembre anche un disco, con Roberto Paci Dalò (composizione, clarinetti, effetti electronici), Boghos Levon Zekiyan (voce recitante), Stefano Spada-Light Parade( beat design), Julia Kent (violoncello) e Fabrizio Modonese Palumbo (chitarra elettrica).

Pubblicato da Marsèll in coproduzione con Giardini Pensili, Arthub (Shanghai / Hong Kong) e l’ambasciata della Repubblica d’Armenia in Italia, il disco (cd, lp, dd) è uscito in contemporanea con la performance “Fronti” che Roberto Paci Dalò ha presentato in prima assoluta all’Auditorium Rai di Napoli in occasione del conferimento del Premio Napoli 2015, uno dei riconoscimenti più prestigiosi per la promozione della cultura italiana contemporanea e che Paci Dalò ha ricevuto insieme a Paolo Poli, Bianca Pitzorno e Serena Vitale.

Da tempo, Paci Dalò si interessa degli esclusi e dei perseguitati. Come nel progetto precedente “Ye Shanghai”, anche in questo “1915 The Armenian Files” trae ispirazione da un triste capitolo della storia: quello del genocidio armeno.

Nel 1915 oltre 1.500.000 armeni vennero trucidati dal governo ottomano in quello. Quello degli armeno ora è ricordato come il primo genocidio della storia, quello che Adolf Hitler imitò per sviluppare il suo piano di sterminio degli ebrei.

Eppure, a un secolo di distanza, il genocidio non è ancora stato riconosciuto dal governo turco.

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Fra dialogo e polemiche, il sultano Erdogan accoglie il quinto Papa in terra turca (Asianews 26.11.25)

opo Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco, ora è Leone XIV a visitare il Paese nel primo viaggio apostolico all’estero. Dalla controversia post-Ratisbona agli attacchi sul genocidio armeno, fra il leader turco e i predecessori un rapporto (a volte) travagliato. P. Monge: l’unità proposta da papa Prevost “espressione di diversità riconciliata dallo Spirito Santo”.

Istanbul (AsiaNews) – Leone XIV è il terzo pontefice che il presidente Recep Tayyip Erdogan si prepara ad incontrare dopo Francesco e Benedetto XVI, in un rapporto con i romani pontefici caratterizzato da luci e ombre. La condanna del genocidio armeno di papa Bergoglio e la controversia innescata dall’intervento all’università di Regensburg (Ratisbona) di Joseph Ratzinger, con le feroci polemiche di parte del mondo islamico, sono state oggetto di forti critiche e attacchi del leader di Ankara. Per il papa argentino è rimasto un desiderio incompiuto questo secondo viaggio in terra turca per il 1700.mo anniversario del primo Concilio di Nicea, mentre si è era già recato nel Paese un anno dopo l’ascesa al soglio di Pietro, nel 2014. Del resto la nazione a cavallo fra Europa e Asia è un crocevia di incontro e dialogo imprescindibile, in una fase tanto cruciale quanto complicata nella storia della regione mediorientale.

A fronte di alcuni momenti di difficoltà, le centenarie relazioni fra Turchia e Santa Sede (i rapporti diplomartici risalgono al 1868 con l’ex impero Ottomano) sono improntate alla cordialità e già quattro pontefici prima di Leone XIV hanno visitato il Paese: Paolo VI nel 1967, in occasione del quale si ricorda lo storico incontro con il patriarca greco-ortodosso Atenagora I, oltre ai membri delle comunità armena, musulmana ed ebraica. Giovanni Paolo II si è recato in Turchia nel novembre 1979, mentre risale al 2006 il viaggio apostolico del successore Benedetto XVI con la storica visita alla celebre Moschea Blu, secondo pontefice a entrare nel luogo di culto islamico.

Tornando al rapporto fra il presidente turco e i pontefici, si ricorda lo scontro durissimo con Francesco per l’uso da parte del papa del termine “genocidio” nel ricordare il massacro degli armeni (e caldei) nel 1915 da parte dell’ex impero Ottomano. Il pontefice argentino è stato il primo ad usare apertamente la parola “genocidio”, innescando la dura reazione delle massime cariche politiche e religiose turche, da sempre sensibili in materia. Al riguardo, il leader turco aveva presentato le “condoglianze” del proprio Paese per le violenze contro gli armeni, ma ha sempre respinto la definizione di genocidio per qualificare gli eventi che si sono consumati negli anni della Prima Guerra Mondiale.

Prima ancora, nel 2006, la presenza di Benedetto XVI è ricordata per la storica visita alla Moschea Blu, il secondo papa in carica ad entrare in un luogo di culto musulmano e parte degli sforzi per rafforzare le relazioni islamo-cristiane. Tuttavia l’eco dell’intervento – distorto in maniera più o meno consapevole – di Benedetto XVI all’ateneo tedesco di tre mesi prima, con le feroci polemiche che ne sono seguite, ha gettato più di un’ombra sul viaggio fin dal suo arrivo, con oltre 25mila nazionalisti a manifestare nella capitale. Uno sconto che l’allora primo ministro Erdogan aveva cavalcato per un certo periodo per rafforzare il consenso interno nel fronte islamico e conservatore e che si sommava ad un altro elemento di controversia fra “pontefice e sultano”: la querelle sulla presunta contrarietà di Benedetto XVI all’ingresso della Turchia nell’Unione europea.

Del viaggio apostolico di Leone XIV in Turchia (e Libano) ha parlato anche il domenicano p. Claudio Monge, da 24 anni nel Paese e direttore del Centro Studi Dostil di Istanbul, acrostico di Dostil (Dominikan Stadi Institut, amico in turco). Intervenendo a Taccuino Celeste, il podcast di Mondo e Missione, il sacerdote sottolinea come nella sua prima visita all’estero il pontefice non si limita a “realizzare un desiderio del suo proprio predecessore” Francesco. Al contrario, prosegue, papa Prevost ha dato una “chiara impronta personale” unendo “al ricordo dell’antica fede di Nicea un obiettivo molto concreto”, quello di “rafforzare il dialogo sinodale tra le Chiese”. “L’unità che cerca – afferma il religioso – non è una uniformità imposta” sullo stile della Pax Constantiniana, ma una “espressione di diversità riconciliata dallo Spirito Santo”.

Secondo p. Monge “per superare le chiusure identitarie, insomma, bisogna tornare al cuore del mistero cristiano e smetterla di attardarsi su un ricordo un po’ nostalgico del passato”. A Istanbul, ricorda, papa Leone “incontrerà non solo il Patriarca Bartolomeo, ma anche i leader delle altre Chiese orientali per momenti di preghiera comune. E con la scelta di unire Turchia e Libano in un unico viaggio” restituisce al mare Mediterraneo “un ruolo centrale, quello di cuore spirituale e umano di una Europa in difficoltà che fatica a ritrovare la sua antica vocazione”. “Infine, di fronte alla guerra in Medio oriente, alle migrazioni e alla crisi climatica, il Santo Padre – conclude il religioso – rinnova l’appello del giorno della sua elezione, che oggi diventa un grido ancora più accorato. È ora di disarmare i cuoeri.

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Papa in Turchia e Libano: il programma dettagliato (L’Ancora 26.11.25)

Otto discorsi (cinque discorsi e tre saluti) in Turchia, tutti in inglese, e otto discorsi (sei discorsi e due saluti) in Libano, in inglese quelli civili e in francese quelli legati alle celebrazioni liturgiche. Sono i “numeri” del primo viaggio apostolico di Papa Leone XIV, che si recherà in Turchia e in Libano dal 27 novembre al 2 dicembre. Oltre all’abituale seguito papale – ha reso noto il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni, presentando oggi il programma dettagliato in sala stampa vaticana – accompagneranno il Papa nel suo viaggio i cardinali Koch, Gugerotti e Koovakad rispettivamente per l’ecumenismo, le Chiese orientali e il dialogo interreligioso.

L’aereo con a bordo il Papa partirà giovedì prossimo, 27 novembre, alle 7.40 da Fiumicino alla volta di Ankara, dove atterrerà alle 12.30 per la cerimonia di accoglienza ufficiale e l’incontro con il primo ministro in una saletta dell’aeroporto. Alle 13.30 il Pontefice visiterà il Mausoleo di Ataturk, padre fondatore della Turchia, dove deporrà una ghirlanda e sosterà un minuto in silenzio, per poi recarsi alla Torre Misak-ı Millî per la firma del Lilbro d’Onore e una breve visita al museo dedicato ad Ataturk e alla storia turca. Alle 14 si recherà al palazzo presidenziale, per la cerimonia di benvenuto insieme al presidente della Repubblica, Recep  Tayyip Erdogan, cui farà visita alle 14.40 nel palazzo presidenziale, per l’incontro privato con la presentazione della famiglia. Poi il Papa si reca alla Nation’s Library per l’incontro con le autorità, la società civile e il Corpo diplomatico, alle 15.30, che prevede il discorso del presidente e del Santo Padre. Alle 16 il trasferimento alla Presidenza degli Affari religiosi, per il colloquio privato, alle 16.10, con il presidente dell’ente statale che li gestisce. Alle 16.40 il rientro alla nunziatura apostolico e meno di un’ora dopo, alle 17.30, il trasferimento all’aeroporto di Ankara, dove si svolgerà la cerimonia di congedo dalla capitale, prima dalla partenza per Instanbul, dove l’aereo papale atterrerà alle 19.30, accolto dalle autorità locali. Infine il trasferimento alla delegazione apostolica.

Venerdì 28 novembre, alle 9.20, il Papa si recherà alla cattedrale cattolica dello Spirito Santo, per l’incontro con i vescovi, i sacerdoti, i consacrati e le consacrate e gli operatori pastorali, durante il quale è previsto un discorso del Pontefice. Alle 10.30 la visita alla Casa di accoglienza per anziani delle Piccole Sorelle dei Poveri, nella cappella dove saranno presente 100 persone, cui il Papa rivolgerà un saluto. Alle 11.30 l’incontro con il rabbino capo della Turchia, seguito alle 12 dal pranzo in privato. Alle 14.15 il traferimento all’aeroporto di Instanbul, mezz’ora dopo (14.45) la partenza in elicottero per Iznik, nome moderno di Nicea, con arrivo alle 15.15, per l’incontro ecumenico di preghiera nei pressi degli scavi archeologici dell’antica Basilica di San Neofito. Il Papa sarà accolto dal patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo, nella zona degli scavi archeologici dove si trovano i resti della basilica del quarto secolo sommersi dopo un terremoto: è il luogo dove nel 325 si svolse il Primo Concilio di Nicea, convocato dall’imperatore Costantino. I leader religiosi raggiungono la piattaforma e si dispongono in semicerchio davanti alle icone di Cristo e del Concilio di Nicea, dove accendono una candela. Il Papa e il patriarca saranno gli ultimi a raggiungere la piattaforma, e i primi a lasciarla, dopo il discorso del Pontefice e la recita corale del Credo niceno-costantinopolitano. Alle 16 il Papa raggiungerà l’eliporto di Iznik da cui ripartirà per Istanbul, con arrivo alle 17. Poi il trasferimento alla delegazione apostolica e l’incontro privato con i vescovi della Turchia.

Sabato 29 novembre, alle 8.45, Papa Leone visiterà la Moschea Blu di Istanbul. Sarà accolto e accompagnato dal presidente per gli Affari Religiosi della Turchia. Dopo il suo benvenuto, il Papa si intratterrà in un breve momento di preghiera silenziosa prima di recarsi, alle 9.30, in auto alla Chiesa ortodossa siriaca di Mor Ephrem, dedicata a Sant’ Efrem il Siro, per l’incontro privato con i capi delle chiese e delle comunità cristiane. Alle 11.45 il ritorno alla delegazione apostolica. Nel pomeriggio il Papa raggiungerà alle 15.30 la chiesa patriarcale S Giorgio al Fanar, dove è prevista la Doxologia, cioè il canto di lode. Accolto dal patriarca Bartolomeo,  procederanno insieme verso l’ingresso della cattedrale e prima di entrare accenderanno una candela. Poi il saluto del Santo Padre. Al termine della Doxologia, il Papa e il Patriarca escono dalla cattedrale e si dirigono nella sede del Patriarcato Ecumenico per l’incontro con le delegazioni, un breve incontro privato e la firma, alle 15.50, di una dichiarazione congiunta. Alle 16.20 il trasferimento in auto alla Wolkswagen Arena, dove alle 17 è prevista una messa per 4mila fedeli, con l’0melia papale e il ringraziamento finale del vicario apostolico di Istanbul. Alle 19 il trasferimento in auto alla delegazione apostolica.

Domenica 30 novembre, alle 9.15, il Papa si traferirà in auto alla cattedrale armena apostolica, dove alle 9.30 sarà accolto dal patriarca della chiesa armena apostolica per un momento di preghiera durante il quale pronuncerà un saluto. Alla fine il Papa e il patriarca inaugureranno una targa commemorativa all’ingresso della cattedrale. Alle 10.15 il trasferimento in auto al Phanar, per la Divina Liturgia in programma alle 10.30 nella chiesa patriarcale di San Giorgio: presieduta dal patriarca, verrà conclusa dal discorso del Santo Padre e da una benedizione ecumenica del Papa con il patriarca. Alle 13 il pranzo con il patriarca Bartolomeo al patriarcato ecumenico. Alle 13 la partenza per l’aeroporto di Istanbul, dove alle 14.15 è prevista la cerimonia di congedo prima della partenza per Beirut, mezz’ora dopo, con arrivo alle 15.45 per la cerimonia di benvenuto. Il Papa sarà accolto dal presidente del Libano, Joseph Aoun, dal presidente dell’assemblea nazionale, dal primo ministro e dal patriarca maronita, per poi recarsi in auto chiusa e aperta al palazzo presidenziale, dove alle 15.45 si svolgerà la visita di cortesia al presidente, dopo la quale il presidente libanese e la famiglia lasciano il Salone degli Ambasciatori per l’incontro privato tra il Santo Padre e il presidente dell’Assemblea Nazionale, alle 17.15, cui seguirà quello con il primo ministro. Alle 17.45 è in programma la piantumazione simbolica di un “cedro dell’amicizia”, nel giardino del palazzo presidenziale, cui prenderanno parte anche il cardinale Segretario di Stato vaticano e il Patriarca di Antiochia dei Maroniti. Al termine della piantumazione, prima di raggiungere il “Salone 25 Maggio”, il Papa firma il Libro d’Onore nella hall principale del palazzo. Alle 18 l’incontro con le autorità, la società civile e il Corpo diplomatico, durante il quale il Pontefice pronuncerà un discorso. Alle 18.30 il trasferimento in nunziatura, con arrivo alle 19.45.

Lunedì 1° dicembre il Papa si traferirà in auto e in papamobile al Monastero di San Maroun ad Annaya, dove arriverà alle 9.45 per la visita e la preghiera silenziosa sulla tomba di San Charbel Maklūf, canonizzato da Paolo VI nel 1977. Prima di entrare nella cappella che custodisce la tomba di San Charbel, il Santo Padre viene accolto dal Presidente della Repubblica e dalla consorte nel cortile. Dopo la preghiera silenziosa davanti alla tomba del santo e al suo saluto, il Pontefice visita il museo del Monastero, che custodisce reperti storici e reliquie, accompagnato dal superiore del Convento dei Maroniti, per poi trasferirsi in auto alle 10.30 al Santuario di Nostra Signora del Libano ad Harissa. Accolto dal Vicario Apostolico dei Latini di Beirut e dal Patriarca della Chiesa Armena Cattolica, dopo alcune testimonianze il Papa pronuncerà l’omelia e consegnerà la Rosa D’Oro, omaggio tipico nei santuari mariani, e prima di congedarsi in auto benedice una prima pietra della “Città della Pace” di Tele Lumiére e Noursat. Alle 12.30 il trasferimento in auto alla nunziatura, per l’incontro privato con i patriarchi alle 12.30. Alle 15.30 il Papa si recherà in Piazza dei Martiri uccidi nel 1916 alla fine della dominazione ottomana. Accolto all’ingresso della tenda dal patriarca siro-cattolico, dal patriarca maronita, dal Grande Imam sunnita e dal rappresentante sciita, il Santo Padre raggiunge il palco, dove sono disposti gli altri leader religiosi, e dopo gli interventi di questi ultimi tiene il suo discorso. Alla fine la piantumazione di un ulivo e il canto finale della pace. Alle 17 il trasferimento ih auto al Patriarcato di Antiochia dei Maroniti a Bkerké, dove si svolge l’incontro con i giovani, tra testimonianze e discorso di risposto del Papa. Alle 19 il rientro in nunziatura per l’incontro privato con le comunità religiose musulmane e druse, in programma un quarto d’ora dopo.

Martedì 2 dicembre, alle 8.10, il Papa si traferirà in auto alla Congregazione delle Suore Francescane della Croce a Jal ed Dib, per la visita all’Ospedale de la Croix, uno dei più grandi ospedali per disabili mentali del Medio Oriente: comprende cinque grandi padiglioni per degenti (Saint-Jacques, Saint-Élie, Saint-Michel, Notre-Dame, Saint-Dominique), oltre alla farmacia centrale, al dispensario, agli ambulatori, alla sala cinematografica e teatrale, alle cucine e alla lavanderia. Dopo il saluto della superiora e della direttrice e le testimonianze dei malati, il Papa pronuncia a sua volta un saluto e visita uno dei cinque padiglioni, il  Saint-Dominique. Alle 9.15 il trasferimento in auto al luogo dell’esplosione del Porto di Beirut, nel luogo dove la duplice l’esplosione del 4 agosto 2020 ha ucciso oltre 200 persone, ferito altre 7mila e lasciato senza casa 300mila individui. Alle 9.30 il Santo Padre incontra alcuni partenti delle vittime e sopravvissuti alle esplosioni. Alle 9.50 il trasferimento al Beirut Waterfront, per la messa in programma alle 10.30 con l’omelia papale. Alle 10.30 il trasferimento all’aeroporto di Beirut, dove si svolgerà la cerimonia di congedo don un discorso del Papa. Alle 13.15 la partenza per Roma, con arrivo alle 16.10 (ora locale).

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Parole e musica al Borromeo con Capobianco e Tchakerian (Laprovinciapavese 25.11.25)

a musica incontra la poesia nell’appuntamento, organizzato dall’Almo Collegio Borromeo per martedì sera alle 21. “Immobile mutare” è il tema scelto per il concerto che vede protagonisti la celebre violinista Sonig Tchakerian e Filippo Capobianco, pavese, ex alunno del Borromeo, poeta performativo che, nel 2023, a Parigi si è aggiudicato la vittoria della XVII edizione della Coppa del Mondo di Poetry Slam, consentendo così all’Italia di salire sul podio la terza volta consecutiva nella storia della competizione internazionale. Suoi i testi e la voce recitante della serata di cui è direttore artistico Alessandro Marangoni.

«Ho mantenuto nel tempo i rapporti con il Collegio e sono quindi stato molto felice quando il rettore Alberto Lolli e il direttore Marangoni mi hanno proposto di prendere parte ad un’iniziativa inedita sia per me che per Sonig Tchakerian – racconta Capobianco –. L’obiettivo era quello di incrociare la poesia performativa, che è frutto dell’incontro tra poesia e teatro, con il violino. Tchakerian ha scelto le sonate di Bach e canti tradizionali armeni».

«Nei mesi scorsi, abbiamo lavorato per far incontrare parole e musica, due mondi diversi ma molto vicini tra loro – aggiunge Filippo Capobinco –. Mi piacerebbe quindi sottolineare il concetto di unità e di come “poesia” e “musica” possano essere due facce dello stesso bisogno e di uno stesso linguaggio».

«Il Collegio da sempre è interessato al dialogo tra le arti – conferma il direttore artistico Alessandro Marangoni –. Pertanto ho pensato di chiedere a due amici grandi artisti come Sonig Tchaketian e Filippo Capobianco di unire musica, teatro e poetry slam. Sarà una produzione originale e abbastanza unica che mette insieme due personalità poliedriche come quelle di Sonig e Filippo. Non vediamo l’ora di sentire e vedere cosa succederà»

la specialista di Paganini

Sonig Tchakerian, di origine armena, fin da piccola studia violino con il padre. Si diploma a 16 anni con il massimo dei voti e la lode con Giovanni Guglielmo e si perfeziona con Salvatore Accardo, Franco Gulli e Nathan Milstein. Premiata al Concorso Paganini nel 1980 e all’ARD di Monaco di Baviera nel 1988, tiene recital per violino solo o con pianoforte collaborando tra gli altri con Martha Argerich, Bruno Canino, Andrea Lucchesini, Roberto Prosseda e Stefania Redaelli. Come solista ha suonato con importanti orchestre Royal Philharmonic, Bayerischer Rundfunk, Pomeriggi Musicali, Verdi, San Carlo, Arena, OPV collaborando con direttori quali Piero Bellugi, Riccardo Chailly, Daniele Gatti, Antonio Janigro, Daniel Oren. E’ tra i pochi violinisti ad eseguire dal vivo l’integrale dei Capricci di Paganini. E’ docente all’Accademia di Santa Cecilia di Roma.

Il programma di domani sera prevede un canto tradizionale armeno, Antuni, di Padre Komitas, e sonate di Johann Sebastian Bach: Fuga dalla Sonata in sol minore BWV 1001; Largo dalla Sonata in do maggiore BWV 1005; Ciaccona dalla Partita in re minore BWV 1004. —

Stefania Prato

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