Ararat Mirzoyan partecipera’ al forum di diplomazia ad Antalya (Trt 07.03.22)

Il ministro degli Esteri dell’Armenia Ararat Mirzoyan partecipera’ al forum di diplomazia che si svolgera’ tra il 11 ed il 13 marzo ad Antalya. Lo ha annunciato su Twitter il portavoce del Ministro degli Esteri armeno.

Dopo la seconda guerra del Karabakh (27 settembre-10 novembre 2020), in cui l’Azerbaigian ha liberato le sue terre sotto l’occupazione armena, si sono svolti due round di colloqui volti a normalizzare i legami tra Turchia-Armenia a Mosca, capitale russa, e a Ginevra, in Svizzera, tra i rappresentanti speciali.

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La verità dell’Armenia su Khojalu. Una riflessione dell’Ambasciatore di Erevan presso la Santa Sede (Faro di Roma 06.03.22)

In questi anni l’Azerbaigian ha insistentemente travisato e distorto la realtà dei fatti di Khojalu del 1992 che, secondo testimonianze di diverse organizzazioni internazionali e di stessi alti funzionari azerbaigiani, incluso l’allora presidente Ayaz Mütallibov, furono pianificati dal partito azerbaigiano d’opposizione “Fronte Nazionale“ con l’intento di spodestare la leadership azerbaijana dell’’epoca.

Gli accadimenti che portarono alla morte di civili, furono il risultato della lotta per il potere politico in Azerbaijan, come risulta chiaramente dalle testimonianze di numerosi funzionari azerbaigiani. Non posso non fare riferimento, a tal proposito, all’intervista nell’aprile del 1992 rilasciata dal Presidente Mütallibov alla giornalista ceca Dana Mazalova. Mütallibov dichiarò che le milizie del Fronte Nazionale dell’Azerbaigian avevano ostruito attivamente e impedito di fatto l’evacuazione della popolazione civile locale dalla zona teatro delle operazioni militari attraverso il corridoio nelle montagne che era stato appositamente lasciato aperto dagli armeni del Karabakh. La speranza e le intenzioni degli oppositori azerbaijani era di utilizzare le ingenti perdite di vite umani tra i civili per istigare la popolazione a sollevarsi contro il regime di Baku e prendere in mano il potere.

Sempre nell’aprile del 1992, secondo l’agenzia di stampa Bilik-Dunyasy, fu lo stesso Hydar Aliyev, ex presidente dell’Azerbaijan, a commentare: “Trarremo beneficio dallo spargimento di sangue. Non dobbiamo interferire col corso degli eventi.” Anche qui l’intenzione del partito di opposizione (Fronte Nazionale) era di utilizzare le morti dei civili per istigare un rovesciamento politico a prendere il potere. Il settimanale Megapolis Express (Megapolis Express, No. 17, 1992) scrisse: “È innegabile che se il Fronte Nazionale aveva obiettivi di vasta portata li ha raggiunti. Mütallibov è stato compromesso e rovesciato, l’opinione pubblica mondiale è stata scossa, gli azerbaijani e i loro fratelli turchi hanno creduto al cosiddetto genocidio del popolo azerbaijano a Khojalu.”

Ogni anno il governo azerbaigiano diffonde storie, trasmette programmi, in cui mostra filmati con morti anche a bambini piccoli di appena 10 anni, e con i proventi del petrolio ingaggia società di pubbliche relazioni e media stranieri per organizzare eventi e sensibilizzare l’opinione mondiale, tutto in nome della verità storica. Ciò che non viene mostrato è il trattamento riservato a coloro che mettono in discussione la linea ufficiale azerbaijana, come accaduto, tra gli altri al giornalista azerbaigiano Eynulla Fatullayev.

L’inchiesta di Fatullayev sugli eventi del 1992 metteva in discussione la versione ufficiale di Baku e per questo motivo il giornalista venne privato della sua libertà. Il 22 aprile 2010 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ne ordinò il rilascio immediato specificando che “la ricerca della verità storica è parte integrante della libertà di espressione”, pur ammettendo che “diversi fatti connessi agli avvenimenti di Khojaly erano ancora oggetto di discussione tra gli storici e, in quanto tali, avrebbero dovuto essere materia di interesse generale nella società azerbaigiana moderna. Era fondamentale che il dibattito sulle cause di atti particolarmente gravi, che probabilmente costituivano crimini di guerra o crimini contro l’umanità, potesse essere condotto liberamente in una società democratica.”

Nella sua decisione, la Corte osserva che ci sono opinioni contrastanti sul fatto che sia stato fornito un corridoio sicuro ai civili in fuga di Khojaly, sul ruolo e la responsabilità delle autorità e dei militari dell’Azerbaigian e se gli eventi siano stati il risultato di una lotta politica interna in Azerbaigian.”

Cercare la verità storica è un’impresa nobile. Ancora di più, è un dovere. Eppure negli ultimi due decenni, con la pratica della disinformazione e dei fatti inventati, il governo dell’Azerbaigian si è impegnato nel futile tentativo di modificare la storia e il corso degli eventi nella regione attraverso la cosiddetta campagna “Justice for Khojaly”. Questa deplorevole iniziativa, sponsorizzata dall’Azerbaijan, genera xenofobia e odio e affossa le speranze e le aspirazioni per una pace duratura tra le nazioni basata sulla verità e sulla giustizia.

E mentre la leadership dell’Azerbaigian sembra spesso incerta su cosa voglia esattamente, che sia il suo paese o la sua storia, l’opinione pubblica internazionale rimane indifferente e immobile poiché la propagazione dell’odio e della disinformazione non creano nessuna verità storica.

L’Armenia ha sempre condannato, e continua a farlo, ogni attacco deliberato e l’uccisione di civili attraverso l’uso indiscriminato o sproporzionato della forza, che è una grave violazione del diritto umanitario internazionale in qualsiasi conflitto in ogni parte del mondo.

A ulteriore chiarimento permettetemi di sottolineare che la comunità internazionale è già stata testimone e ha confermato le innumerevoli atrocità del governo azerbaijano nei confronti dell’inerme popolazione armena.

Nel 1988, in risposta alla pacifica richiesta del popolo del Nagorno Karabakh di esercitare il suo diritto all’autodeterminazione, le autorità azerbaijane armarono la folla dando così il via ai pogrom contro gli armeni che vivevano nella città azerbaijana di Sumgait. I massacri furono il primo caso di uccisioni di massa nel territorio dell’Unione Sovietica, come fu provato nel procedimento penale avviato dalle autorità sovietiche. Immediatamente dopo la sua dichiarazione di indipendenza, l’Azerbaijan liberò gli assassini e li celebrò pubblicamente come eroi nazionali sui media.

Il rapporto di Helsinki Watch dell’epoca testimonia che “gli eventi avevano lo scopo di esacerbare la paura e l’orrore nei confronti dell’etnia armena in diverse parti dell’Azerbaijan”. I massacri a Ganja, Baku e altre città tra il 1988 e il 1991 furono più barbarici e massicci e portarono alla deportazione e alla pulizia etnica di circa mezzo milione di armeni. Alle atrocità fecero seguito offensive militari azerbaigiane senza precedenti e operazioni concepite per attuare una soluzione militare di annientamento della popolazione del Nagorno Karabakh.

Deve essere chiaro, finalmente e per sempre, che è stato l’Azerbaigian a iniziare un’aggressione armata contro il Nagorno Karabakh. L’Armenia è convinta che la soluzione di gran lunga migliore potrà essere solo il ripristino dei diritti fondamentali e legittimi degli armeni che vivono in Nagorno Karabakh riconoscendo il loro inalienabile diritto all’autodeterminazione.

Garen Nazarian
Ambasciatore della Repubblica d’Armenia presso la Santa Sede

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Guerra in Ucraina, la croce del Cristo di Leopoli portato in un bunker (Corriere 06.03.22)

La statua di Gesù Cristo salvatore è stata rimossa dalla cattedrale armena di Leopoli e portata in un rifugio, per proteggerla dai bombardamenti. L’ultima volta successe durante la Seconda Guerra mondiale

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La statua di Gesù Cristo il Salvatore è stata rimossa dalla cattedrale armena di Leopoli e portata in un bunker, per proteggerla dai bombardamenti russi, ha scritto su Twitter Tim Le Berre, che si occupa di conservazione nei musei militari per l’esercito francese. «L’ultima volta fu portata fuori durante la Seconda Guerra mondiale», ha spiegato Le Berre, che è specializzato in protezione dei patrimoni artistici in zone di conflitto armato, e ha postato la foto scattata dal fotografo freelance portoghese André Luís Alves, un’immagine drammatica e molto condivisa sui social network, dove qualcuno l’ha paragonata alla Deposizione di Caravaggio. «Stiamo avvolgendo le sculture con teli ignifughi, lana di vetro, un alluminio speciale, e poi li mettiamo nei sacchi», ha confermato Lilia Onyschenko, direttrice del dipartimento per la protezione del patrimonio storico di Leopoli. «Questo non salva le statue se sono colpite direttamente, ma se ci fosse una potente onda d’urto non si romperanno in mille pezzi. Non sempre però è possibile smantellare questi monumenti, perché alcuni sono molto grandi».

«Abbiamo deciso di mettere il crocifisso in sicurezza perché così è stato deciso di fare in tutta la città, ogni oggetto storico deve essere protetto così come le persone. E ora il Cristo si trova in luogo sicuro», ha spiegato padre Jakub della Cattedrale armena di Leopoli all’inviata del Corriere, Marta Serafini. Intanto una folla di fedeli è accorsa alla chiesa per pregare per le vittime e per i militari al fronte, mentre molti curiosi sono accorsi alla Cattedrale alla notizia che il crocifisso era stato rimosso. «Mio padre è a Kiev, sto dicendo una preghiera per lui. Ma anche per tutti noi», ha detto Marayana, una fedele.

La cattedrale armena di Leopoli è considerata una delle «più antiche e lussuose chiese dell’Europa occidentale», ha spiegato al sito armeno Aravot lo scienziato politico Gagik Hambaryan, che ha a sua volta condiviso l’immagine su Facebook. La statua del Cristo è venerata non solo dai credenti della chiesa armena apostolica, ha aggiunto, ma anche dagli altri cristiani. Il Cristo, spiega EuroMaidan Press, è parte di un’iconostasi medievale, la parete divisoria decorata che separa la navata delle chiese di rito orientale cattoliche e ortodosse dal presbiterio dove viene celebrata l’eucarestia, che è sopravvissuta alla Seconda Guerra mondiale.

Oltre alla rimozione del Cristo, la città di Leopoli sta ricoprendo le vetrate dei templi e degli edifici residenziali con schermi protettivi, spiega la Pravda ucraina. Tutte le sculture sono inoltre state avvolte in materiali ignifughi e protettivi, comprese le fontane di piazza Rynok, davanti al municipio, che sono parte del patrimonio dell’Unesco. Tutti i musei cittadini hanno smantellato le proprie mostre, trasferendo le opere nei rifugi antibomba. Alle operazioni hanno partecipato restauratori ucraini e polacchi, che stanno raccogliendo fondi per acquistare i materiali necessari.

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Ucraina, Leopoli mette in salvo l’arte: al sicuro il Cristo Salvatore. Portata in un bunker l’opera della Cattedrale armena (Il Fatto quotidiano)


Ucraina: rimosso il Cristo della Cattedrale Armena di Leopoli, sarà protetto in un bunker. Non accadeva dalla Seconda Guerra mondiale (Agensir)


Ucraina. Non solo il Crocifisso: a Leopoli la corsa a salvare il patrimonio artistico (Avvenire)


Ucraina: il Cristo della cattedrale armena di Leopoli spostato nel bunker (Romasette)


Arte in guerra: rimosso il Cristo Salvatore nella cattedrale armena di Leopoli per salvarlo dalle bombe (Primapress)


Ucraina, la statua del Cristo portata via dalla cattedrale di Leopoli e trasferita in un bunker: non succedeva dalla Seconda guerra mondiale (Tgcom24)


“Come nella seconda guerra mondiale”. Che fine fa il Crocifisso (IlGiornale)


 

Antonia Arslan: “L’Europa non si nasconda ma apra il dialogo con Putin”. (La Stampa 06.03.2022)

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«Ci sono rifugiati di serie A e di serie C. Nessuno che voglia essere onesto può negarlo. Non ho sentito nessuna solidarietà quando è scoppiata la guerra nel Nagorno Karabakh, alla quale ho dedicato una ballata. Centocinquantamila persone contro milioni di altre che avevano i più sofisticati strumenti di morte, capaci di individuare gli obiettivi tramite il calore. Quindi, sì, certo ci sono rifugiati, profughi e guerre di serie A e di serie C. Questo non toglie nulla al fatto che sono contenta che oggi, finalmente, si faccia qualcosa».
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MARIA BERLINGUER
Antonia Arslan, docente di letteratura italiana, saggista e autrice de La masseria delle allodole, nel quale racconta la tragedia del popolo armeno, il cui eccidio ha ispirato Hitler nella pianificazione dello sterminio degli ebrei, è scossa dalle notizie che arrivano dall’Ucraina e dalle immagini di donne, vecchi e bambini in fuga.
«È l’immagine della guerra. Con la sua umanità dolente. Non è una sorpresa per me, perché da bambina ho visto la fine della Seconda guerra mondiale e, quindi, mi ricordo benissimo degli sfollati. Con mia madre siamo scappate a un mitragliamento,buttandoci in un fosso con altre donne e bambini. Per me non è una sorpresa, è il ripetersi della guerra come realtà che accompagna l’uomo da sempre. Sono cose terribili, che andrebbero evitate a tutti i costi, però sono un po’ stupita dalla sorpresa che sembra manifestarsi per questa guerra, come se non ce ne fossero state altre anche in Europa. Nell’ex Jugoslavia, che è molto più vicina a noi, sono accadute atrocità incredibili pochi anni fa. Abbiamo come sempre la memoria corta»
Nel 2021 abbiamo lasciato i profughi che Lukashenko ammassava ai confini della Polonia al freddo,scalzi. C’erano bambini e donne, famiglie di afghani e siriani in fuga dalla guerra. Ma non c’è statala solidarietà e la mobilitazione di oggi. Perché?
«Ci sono rifugiati di serie A e di serie C. Nessuno che voglia essere onesto può negarlo. Non ho sentito nessuna solidarietà quando è scoppiata la guerra nel Nagorno Karabakh, alla quale ho dedicato una ballata. Centocinquantamila persone contro milioni di altre che avevano i più sofisticati strumenti di morte,capaci di individuare gli obiettivi tramite il calore. Quindi, sì, certo ci sono rifugiati, profughi e guerre di serie A e di serie C. Questo non toglie nulla al fatto che sono contenta che oggi, finalmente, si faccia qualcosa».
Pensa che l’aver applicato la Convenzione 55 per i rifugiati ucraini aiuterà anche i rifugiati di altre guerre?
«È così che succede nella storia: a un certo punto i fatti impongono una lettura diversa e tante costruzioni egoistiche si frantumano. Forse non sentiremo più frasi come “aiutiamoli a casa loro”. Potrebbe essere uno spartiacque. Almeno lo spero». Il genocidio degli armeni è stato rimosso per decenni. Noi invece abbiamo già dimenticato la tragedia dell’Afghanistan della Siria. Guerre ancora in corso.
«La memoria va alimentata, perché le tragedie non si ripetano. È un aspetto fondamentale ricordare. Ma sono sempre più convinta che non servano a tanto i giorni della memoria. Io tengo moltissimo a che si renda omaggio alla Shoah e, prima, allo sterminio degli armeni, ma questo deve essere spalmato come coscienza personale. Nelle scuole quello che è importantissimo non è portare gli studenti alla celebrazione del Giorno della memoria, che diventa un rituale, ma che i ragazzi siano coinvolti. Devono introiettare una visione della realtà per la quale ciascuno di loro, come ognuno di noi, potrebbe diventare profugo. O seguire il dittatore di turno. In ciascuno di noi c’è il massimo del bene, ma anche il massimo del male. Cito l’esempio di Monaco di Baviera che aveva il campo di concentramento a 20 chilometri. È impossibile che gli abitanti di Monaco non sapessero, ma si fidavano del governo. I governi possono suscitare l’avidità nell’uomo, fargli capire che possono impossessarsi dei beni degli altri. Come è successo con gli armeni. Gli esseri umani si odiano, si ammazzano. Arrivano a farlo». Facciamo bene a spedire armi in Ucraina? Non c’è il rischio di armare milizie che, domani, potremmo ritrovarci di fronte? «Penso che l’Ue dovrebbe applicarsi con tutte le sue forze, e ne ha tante, per cercare una tregua e trovare un accordo. Penso, invece, che distribuire armi che non sai dove finiscono sia sbagliato. È già successo in Afghanistan, dove l’Occidente, l’America soprattutto, ha distribuito armi che sono servite a tutt’altro scopo. Provo vergogna per quei discorsi retorici sulle donne. Abbiamo lasciato l’Afghanistan peggio di come lo abbiamo trovato e c’è la responsabilità del presidente degli Usa. Certamente la bruttissima figura di Biden in Afghanistan avrà inciso nel disegno di Putin e l’ha spinto a tentare il colpo gobbo: la guerra lampo. Però la guerra lampo può funzionare con un piccolo popolo e un territorio che lo è altrettanto. Non può funzionare in un territorio vasto come l’Ucraina».
Come ne usciremo? L’Europa si dovrebbe dotare di un esercito per garantire la pace?
«Certamente. L’Ue è una cosa importante. Noi da ragazze sognavamo l’Unione europea e ci troviamo con un mastodonte che spesso si occupa di frivolezze, della grandezza delle zucchine o dei pesci, e che non si dota di un ministero degli Esteri. Le pare possibile? Non un commissario, ma un ministro degli Esteri, magari eletto, che sia donna o uomo non importa. L’importante è che sia bravo. Invece abbiamo a che fare con personalità come Ursula Von der Leyen. Ma le pare possibile che si sia fatta trattare in quel modo da Erdogan senza avere un moto di ribellione, senza alzarsi e lasciare la sala? Non ha sentito che in quel momento rappresentava 480 milioni di persone? L’Europa è una realtà potente, non può nascondersi dietro un dito e lasciar fare tutto a potenze come gli Usa, la Cina o persino la Turchia».
Cosa pensa del caso di Paolo Nori e della censura, poi rientrata con una toppa peggio del buco, Dostoevskij?
«C’è da vergognarsi. Qualche funzionario si deve vergognare anche solo di aver pensato una censura del genere. Che figura fa l’Italia nel mondo? Durante la guerra non è che gli autori tedeschi venivano censurati. E stiamo parlando di Dostoevskij, uno che oggi sarebbe nelle patrie galere di Putin. Siamo al delirio». È preoccupata che la guerra possa coinvolgere altri Paesi? «Più passa il tempo è più si sentono toni pazzeschi. Voglio essere ottimista. C’è già tanto pessimismo in giro ma, certo, la situazione è drammatica. Speravo che potessero fermarsi come è successo con la crisi di Cuba. Qui si è andati troppo oltre. Ma voglio continuare a sperare e a vedere il bicchiere mezzo pieno. Qualche anno fa ero a Washington per la presentare l’edizione americana de La masseria delle allodole. C’era l’ambasciatore ucraino. Ci siamo messi a parlare, mi ha chiesto se conoscevo la storia delle deportazioni staliniane degli Anni 30 dei contadini. Gli ho risposto che non solo la conoscevo, ma che c’è un libro a me carissimo che la racconta, Tutto scorre di Vasilij Grossman. L’odio per i russi è profondo e nasce da lì».

Al Classico in cogestione si parla del genocidio armeno (Ilrestodelcarlino.it 06.03.22)

iornata memorabile al liceo Annibal Caro, nell’ambito delle giornate di cogestione. Nella prima parte della mattinata, gli studenti hanno assistito alla proiezione de ‘La masseria delle allodole’, un film del 2007 diretto dai fratelli Taviani, tratto dall’omonimo romanzo di Antonia Arslan, uscito nelle sale italiane il 4 maggio 2007, che narra le vicende di una famiglia armena dell’Anatolia all’epoca del genocidio armeno. La scelta non è senza motivo, ricorrendo il centesimo anniversario dell’incendio di Smirne che conclude la tragica vicenda: un capitolo della storia del Novecento ancora poco conosciuto e che pure ha avuto anche un seguito funesto. Raccontano i ragazzi: “Alla vigilia della soluzione finale, lo stesso Hitler chiedeva retoricamente: ‘chi si ricorda più del genocidio degli Armeni?’, a voler significare che il silenzio e la dimenticanza possono coprire le più orrende tragedie e favorire il loro ripetersi”. A dirigere le riflessioni e rispondere alle molteplici domande, si è collegata la stessa autrice del romanzo, Antonia Arslan, la cui famiglia è stata direttamente toccata dalla tragedia

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La Fondazione Aria, crocevia d’artisti e culture incontra l’Armenia (Teatrionline 04.03.22)

Martedì 15 marzo alle ore 18, nella Sala Consiliare del Comune di Pescara (Piazza Italia 1,) Fondazione Aria, in collaborazione con il Comune di Pescara, l’Ambasciata d’Armenia in Italia e il Comune di Atri, presenterà il programma culturale 2022.

Ospite l’Ambasciatrice dell’Armenia in Italia S.E. Tsovinar Hambardzumyan, in occasione del trentennale dei rapporti diplomatici con l’Italia, e la scrittrice Antonia Arslan, autrice del libro Premio Stresa e Campiello 2004”La Masseria delle allodole”.

Nel corso della serata sarà presentato e distribuito il libro Canti popolari armeni (Ed. Carabba) con prefazione di Antonia Arslan e letture a cura della soprano Giuseppina Piunti.

CANTI POPOLARI ARMENI di Arshag Chobanian, con la traduzione di Domenico Ciampoli, fu pubblicato nel 1921 dall’Editore Carabba. A 100 anni di distanza, il libro è stato ripubblicato per conto della Fondazione ARIA, rispettando fedelmente la forma originale, con la preziosa aggiunta di una prefazione di Antonia Arslan, scrittrice, traduttrice e accademica italiana di origini armene.

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Armenia: eletto Vahagn Khachaturyan nuovo presidente del Paese (Askanews 03.03.22)

Roma, 3 mar. (askanews) – Il parlamento armeno ha eletto Vahagn Khachaturyan, finora ministro dell’Industria high-tech, alla carica di presidente del Paese, il cui ruolo è essenzialmente cerimoniale, dopo le dimissioni a sorpresa del suo predecessore Armen Sarkisiana il 23 gennaio scorso. La candidatura di Khachaturyan per un mandato di sette anni è stata approvata da 71 deputati del partito Civil Contract al governo con un voto boicottato dall’opposizione. “La nostra regione deve diventare una piattaforma per la cooperazione. Dobbiamo stabilire relazioni amichevoli con i nostri vicini, vivere in pace e sviluppare il nostro Paese in questa logica”, ha detto Vahagn Khachaturyan, 62 anni, ai parlamentari prima del voto.
Economista di formazione, Vahagn Khachaturyan, che non è affiliato a nessun partito, è stato sindaco della capitale Erevan dal 1996 al 1998, prima di entrare a far parte del consiglio di amministrazione della banca armena Armeconombank, per poi essere nominato nel 2021 Ministro dell’Industria High Tech .

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Roma, Mkhitaryan lascia la nazionale armena: «Mi concentrerò sul club». Mourinho chiede il rinnovo (Il Messaggero e varie 03.02.22)

Henrikh Mkhitaryan lascia la nazionale armena e lo annuncia attraverso una nota pubblicata sul suo profilo Instagram: «È stato un onore giocare per la mia nazione negli ultimi 15 anni e ancora di più esserne stato il capitano negli ultimi 6». L’attaccante lascia l’Armenia dopo 95 partite disputate e 32 gol segnati: «Ricordo che quando ho indossato per la prima volta la maglia della mia nazionale era in un’amichevole contro Panama e il mio primo gol è stato in una partita di qualificazione ai Mondiali contro l’Estonia. Volevo vincere in ogni momento della mia carriera, non importa quanto sarebbe stato difficile. Dopo 95 presenze in nazionale, un duro lavoro, passione e alti e bassi senza precedenti e lunghi viaggi per rappresentare il mio Paese sul campo, ho preso la decisione di ritirarmi». Una decisione presa già da tempo, ma adesso Micky ha deciso di ufficializzare: «Ho preso questa decisione dopo la mia ultima partita contro la Germania a novembre. Penso che sia il momento giusto. Ho dato tutto quello che potevo dare. Per i prossimi anni sarò completamente concentrato sulla mia carriera nel club. Sarò per sempre grato a ogni singola persona che mi ha supportato, che mi ha allenato, con cui ho giocato e che ha contribuito alla mia crescita come calciatore e come persona».

Piena concentrazione sul club, stop a viaggi lunghi e partite rischiose in cui l’infortunio è dietro l’angolo. Mkhitaryan ha scelto la Roma, almeno fino al 30 giugno 2022 giorno in cui scadrà il suo contratto (è l’unico della rosa in scadenza quest’anno). I rapporti con José Mourinho sono ottimi, lo Special One difficilmente si è privato durante la stagione di un giocatore come lui, capace di dare equilibrio alla squadra, di ricoprire il ruolo di regista e creare pericolosi capovolgimenti di fronte. Sia con il 4-2-3-1 che con il 3-5-2, Mkhitaryan è sempre nel cuore del gioco, una risorsa che i giallorossi non vorrebbero farsi scappare. Ecco perché negli ultimi giorni, Mourinho ha maturato l’idea di chiedere alla proprietà la sua conferma. Le ipotesi di un trasferimento in Russia sono sfumate per via della recente guerra, la scorsa estate avevano bussato alla sua porta Krasnodar e Spartak Mosca con proposte molte interessanti, ma Micky ha scelto di restare in Italia in un campionato competitivo con uno dei migliori allenatori al mondo. Chissà che il prossimo anno possa continuare a vestire giallorosso, sicuramente con un contratto inferiore a quello attuale ma un ruolo centrale nella rinascita giallorossa. Per il momento tutti i rinnovi sono stati bloccati dalla proprietà, ma quando nei prossimi mesi ci sarà il via libera a trattare, allora Mkhitaryan sarà certamente tra i primi della lista.

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Mkhitaryan ora è tutto della Roma (Siamo La Roma) 

Messaggio di congratulazioni di Xi Jinping al presidente eletto dell’Armenia, Vahagn Khachaturyan (CRI 03.09.22)

L’8 marzo il capo di Stato cinese, Xi Jinping, ha inviato un messaggio a Vahagn Khachaturyan, congratulandosi con lui per la sua elezione a presidente della Repubblica di Armenia.

Nel suo messaggio, Xi Jinping ha sottolineato che tradizionalmente Cina e Armenia sono partner amichevoli. Dall’allacciamento delle relazioni diplomatiche, le relazioni bilaterali hanno mantenuto un buon slancio di sviluppo e notevoli risultati sono stati raggiunti nella cooperazione in vari settori. Egli attribuisce grande importanza allo sviluppo delle relazioni tra Cina e Armenia, ed è disposto a lavorare con la parte armena per promuovere lo sviluppo sostenibile, sano e stabile delle relazioni bilaterali a beneficio dei due paesi e dei rispettivi popoli.

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ARTE ReportageNagorno karabakh: rialzarsi dopo la guerra (Arte 01.03.22)

Dal novembre 2020, 44 giorni di combattimenti vi hanno causato 7mila vittime e decine di migliaia di feriti e profughi, prima che la potenza tutelare della regione – la Russia di Putin – non imponesse il cessate il fuoco. Sebbene i giornalisti siano malvisti da queste parti, Gaëll Lorenz e Olivier Michaël sono riusciti a realizzare questo reportage nel Nagorno Karabakh, enclave in Azerbaigian tra i monti del Caucaso meridionale.

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