Trasporto aereo: Ryanair, annunciate nuove tratte Gyumri-Atene e Salonicco-Erevan (Agenzianova 03.01.20)

Roma, 03 gen 17:24 – (Agenzia Nova) – La compagnia aerea low cost Ryanair ha annunciato oggi due nuovi collegamenti aerei da Atene a Gyumri, in Armenia, e da Erevan a Salonicco a partire da maggio di quest’anno. Lo si apprende da un comunicato della compagnia, in cui si aggiunge che le tratte saranno operate due volte a settimana. “Continuiamo ad impegnarci per rafforzare i collegamenti tra i paesi europei e l’Armenia: i cittadini e i residenti nel paese adesso saranno in grado di prenotare un volo verso la Grecia fino ad ottobre 2020”, ha detto il direttore commerciale di Ryanair, David O’Brien. (Com)

Nagorno Karabakh: 30 anni fa il pogrom di Baku, simbolo di una guerra cristallizzata nel tempo: “Non ci arrenderemo mai” (Ilfattoquotidiano 01.01.2020)

I massimi esperti di strategia militare e di geopolitica lo definirebbero un conflitto ‘a bassa intensità’, ma che si protrae nel tempo con periodiche violazioni del cessate-il-fuoco. L’autoproclamata Repubblica è oggi una lingua di terra in territorio azero, ma abitata da armeni, schiacciata, come Erevan, tra due potenze economiche cresciute enormemente negli ultimi decenni: Turchia e Azerbaigian

di Pierfrancesco Curzi | 1 GENNAIO 2020
Il primo gennaio del 1990 era un lunedì. Per le strade di Baku, allora capoluogo della Repubblica Sovietica dell’Azerbaigian, una folla di alcune decine di migliaia di persone intonava canti anti-armeni: “Gloria agli eroi di Sumqait” e “Lunga vita a Baku senza gli armeni”. Era l’annuncio di ciò che sarebbe accaduto di lì a breve: era iniziato il Pogrom di Baku, la soluzione finale per liberare quel territorio dagli scomodi vicini. Soprattutto, era scattato quello che i testimoni del tempo chiamano “Il gennaio nero”.

Il grosso dei cittadini di origine armena residenti a Baku, circa 250mila, se n’era andato nei due anni precedenti, da quando, cioè, l’ideologia settaria aveva prodotto le violenze nella città di Sumqait, a nord dell’attuale capitale azera. In quel primo gennaio di trent’anni fa nella città appollaiata sulla sponda occidentale del mar Caspio rimanevano poche decine di migliaia di armeni, per la maggior parte persone vulnerabili, vecchi e ammalati. Le modalità repressive sembravano prendere spunto dai blitz nazisti nei ghetti ebraici di mezzo secolo prima: “I vertici azeri avevano formato delle squadre il cui scopo era entrare nelle nostre case senza alcun rispetto, dandoci il tempo di raccattare le poche cose e andarcene, facendo firmare un documento in cui si concedeva la vendita dell’immobile. A questi funzionari la gente doveva consegnare tutti i soldi e i beni preziosi e ad ogni casa svuotata seguiva una sorta di marchio all’esterno con il termine ‘pulita’”.

Saro Saryan ha combattuto ed è rimasto ferito nel conflitto interregionale scoppiato nel 1988 tra Armenia e Azerbaigian per la contesa del Nagorno Karabakh. Prima di imbracciare il fucile, Saro ha vissuto sulla sua pelle il dolore dei pogrom e la fuga verso una nuova esistenza, scegliendo proprio il Nagorno Karabakh. Oggi vive con la sua famiglia a Shusha, secondo centro dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh, e accoglie gruppi di turisti che si spingono nel profondo sud dell’Armenia per conoscere la storia complessa ed affascinante di una terra non riconosciuta ufficialmente a livello internazionale: “Fummo costretti ad andarcene, io e la mia famiglia, ma ad altri andò peggio, sono storie e momenti pesanti da ricordare – racconta Saryan – Quello tra il 1988 e il gennaio del 1990 è chiamato il pogrom di Baku ed è ricordato nella storia, ma di pogrom nei nostri confronti ce ne sono stati tanti, sin dal 1918, divisi tra Azerbaigian e Turchia. Da più di un secolo i due paesi vicini cercano di ‘conquistarci’ imponendoci le loro regole. Noi, in mezzo, resistiamo. Il loro obiettivo è legare la Turchia a tutte le ex repubbliche islamiche, fino a Kazakistan, Turkmenistan e le altre. Noi armeni, in questo senso, li disturbiamo, per questo siamo costretti a subire le loro continue provocazioni, come il mancato riconoscimento del genocidio armeno. Sì, io ho combattuto e sono rimasto ferito due volte e alla causa armena del Karabakh ha contribuito anche mio figlio”.

La storia si ripeteva nel profondo Caucaso, terra di tensioni interetniche e religiose. Stando agli storici, non esiste un numero certo sulle vittime causate dal pogrom di Baku, sebbene alcuni sostengano la tesi di un numero vicino alle 300 unità. Il grosso dei morti e dei feriti si verificò tra il 12 e il 19 gennaio e l’arrivo, tardivo, dell’esercito di Mosca il 20 gennaio contribuì a chiudere una delle pagine più drammatiche della storia sovietica. Al pogrom di Baku si lega, inevitabilmente, la questione del Nagorno Karabakh, questa fetta di territorio grande come la Basilicata contesa tra le due ex repubbliche sovietiche rivali.I massimi esperti di strategia militare e di geopolitica lo definirebbero un conflitto ‘a bassa intensità’, ossia con un uso limitato della forza. Applicato alla guerra del Nagorno Karabakh, in effetti, il concetto può avere un senso. Questa lingua di territorio al confine con l’Iran, da sempre al centro di una contesa territoriale che si perde nella notte dei tempi, dal 1988 ad oggi vede due eserciti affrontarsi in una sorta di guerra di trincea, con operazioni militari limitate a periodi di schermaglie più o meno intensi, dove a farla da padroni sono i cecchini. In trent’anni di conflitto il bilancio non raggiunge le 4mila vittime. Gli anni più sanguinosi sono stati quelli tra il 1990 e il 1994, quando un cessate-il-fuoco coordinato dall’Osce sembrava aver chiuso una crisi esplosa proprio mentre il gigante sovietico si stava dissolvendo.

Geograficamente e politicamente la regione del Nagorno Karabakh è considerata territorio azero, anche se da sempre abitato da armeni. Azerbaigian e Armenia, appunto: due nazioni che di certo non si sono mai amate e la cui convivenza è stata forzatamente anestetizzata dall’influenza dei soviet sin dai tempi di Stalin che, tra il 1920 e il 1923, decise di creare l’oblast autonomo del Nagorno Karabakh, assegnando la regione a Baku.Forte dello scompenso istituzionale che avrebbe portato alla dissoluzione dell’Unione Sovietica e alla nascita di quindici (compresa la Russia) ex repubbliche in stati indipendenti, tra il 1991 e il 1992, la popolazione armena della regione (98% del totale) decise di fondare la Repubblica autonoma dell’Artsakh. A quell’epoca il conflitto armato tra Azerbaigian e Armenia era già iniziato, eppure la vera scintilla che innescò una crisi ormai senza fine e senza soluzione scoccò esattamente trent’anni fa. A Baku, così come a Sumqait, Ganja e altri centri a ridosso del confine conteso della regione autonoma, tra cui la ghost-town di Agdam. Decine di migliaia di persone di etnia armena furono costrette a lasciare le proprie case e riparare proprio in Nagorno Karabakh (altre scelsero mete diverse, tra cui la stessa Erevan, quella che di lì a breve sarebbe diventata la capitale dell’Armenia), in particolare a Stepanakert (Xankendi), attuale capitale dell’Artsakh, Shusha e Goris.

La possente Armata Rossa, ormai all’epilogo come l’intero sistema sovietico, caduto definitivamente il giorno di Natale del 1991, cercò invano di ripristinare la normalità, ma ormai il danno era stato fatto. La scintilla decisiva del conflitto tra Baku e Erevan è legata proprio al pogrom del gennaio 1990. Da allora, nonostante il cessate-il-fuoco del 1994, la guerra non conosce fine. Dall’inizio del terzo millennio, l’anno con più morti è stato il 2014 (72, soprattutto militari, pochissimi i civili). La recrudescenza dei fatti di sangue si ripete con puntuale drammaticità. Le analogie con altre crisi internazionali si sprecano. Per molti versi la situazione nel Caucaso somiglia alla guerra dei Balcani dei primi anni ’90, ma anche ai troubles nordirlandesi per numero di vittime e per le contrapposizioni religiose e, infine, alla questione palestinese. In questi giorni nella Repubblica autoproclamata dell’Artsakh sono partite le iniziative per celebrare i drammatici eventi dei primi di gennaio del 1990: commemorazioni e raccolte fondi a favore dei rifugiati armeni scappati dalle violenze. Tra gli organizzatori degli eventi c’è soprattutto Saro Saryan.Dalla fine ufficiale del conflitto in Nagorno Karabakh, nel 1994, ad oggi le cose a livello geopolitico sono cambiate molto. Sia la Turchia che l’Azerbaigian non sono più i paesi che erano allora, soprattutto a livello economico, mentre l’Armenia è sostanzialmente rimasta al palo. La guida della dinastia politico-affaristica azera della famiglia Aliyev, è passata da Heidar ad Ilham, quest’ultimo dal 2003 ad oggi sempre alla guida di uno stato arretrato, addirittura povero, diventato, in pochi anni, una potenza mondiale. Il moderno Azerbaigian si è trasformato in una sorta di emirato, alla stregua di Bahrein e Qatar, e Baku in una città da sogno proibito come Dubai. La scoperta e lo sfruttamento di enormi giacimenti di petrolio e di gas naturale nella sua porzione del mar Caspio hanno reso l’ex repubblica caucasica una meta affaristica, diversamente dai vicini. Questo distacco, al momento incolmabile, tra Azerbaigian e Armenia rischia di aumentare il tenore del conflitto cristallizzato in Nagorno Karabakh. Intanto, la Repubblica dell’Artsakh si prepara a un altro evento molto atteso: “A breve, in aprile, si terranno le elezioni, sia per il presidente che per il parlamento – conclude Saryan – Non dovrebbe cambiare molto, ma intanto la leadership nel nostro territorio riesce a garantire l’unità politica e sociale di un territorio contro l’invasione azera. Non ci arrenderemo mai”.

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Soffia il vento del cambiamento in Nagorno-Karabakh, il territorio storicamente conteso tra Yerevan e Baku. In vista delle prossime elezioni del 2020, la piccola Repubblica si sta aprendo alla competizione politica e al pluralismo delle idee. Le modifiche alla Costituzione del Karabakh, approvate con il referendum del 2017, rappresentano la premessa per il rinnovato clima di dialogo. Con la votazione, il sistema di Governo della Repubblica dell’Artsakh è stato trasformato da semi-presidenziale a presidenziale. La transizione alla nuova Costituzione avverrà nel 2020, quando scadrà il mandato dell’attuale Parlamento. Bako Sahakyan, che nel 2017 avrebbe dovuto terminare il suo regolare mandato come Primo Ministro, è stato nominato dal Parlamento Presidente ad interim fino al 2020, per accompagnare la Repubblica nella transizione dalla vecchia alla nuova Costituzione. Sahakyan, pur avendo dichiarato di non voler competere nelle prossime elezioni del 2020, sta ora godendo di grandi poteri senza essere stato regolarmente votato dagli elettori. L’attuale Presidente ha avuto un ruolo rilevante nel permettere al Governo di Yerevan di controllare da vicino il Karabakh, condannato a una realtà politica stagnante e priva di cambiamento.

Fig. 1 – Incontro fra Bako Sahakyan, Presidente del Nagorno Karabakh, e Nikol Pashinyan, neo Premier armeno, a Stepanakert, marzo 2019

2. LE CONSEGUENZE DELLA RIVOLUZIONE DI VELLUTO

La Rivoluzione di Velluto in Armenia (2018) ha rimescolato le carte in tavola anche a Stepanakert. Con la destituzione del Presidente armeno Sargsyan, perfino l’élite politica del Karabakh si è trovata disorientata e priva del suo più prezioso sostenitore. Alle elezioni del 2020 l’influenza esercitata da Yerevan sarà quindi molto inferiore rispetto a quanto accaduto negli anni passati. Sono in competizione formazioni politiche con diverse agende, alcune legate all’establishment e altre portatrici di rinnovamento. Il Movimento 88, guidato dal veterano di guerra Vitali Balasanyan, si presenta come l’unico partito in grado di “difendere la madre patria”. Libera Patria, sotto l’egida di Harutyunyan, sostiene la tradizionale élite di Stepanakert. Rimane incerto il ruolo di formazioni politiche minori, quali il Partito Democratico dell’Artsakh, il Partito Comunista dell’Artsakh e la Federazione Rivoluzionaria Armena, che risentono della scarsità di risorse amministrative. Inoltre, la candidatura di Samvel Babayan, che si era presentato come figura di spicco all’interno della nuova opposizione, è stata considerata costituzionalmente inaccettabile a causa della sua assenza dal Karabakh per più di dieci anni.

Fig. 2 – Le proteste di massa a Yerevan durante la Rivoluzione di Velluto del 2018

3. QUALI SARANNO GLI SCENARI FUTURI?

Il neo-premier armeno Nikol Pashinyan, in occasione del primo incontro ufficiale con il Presidente azero Ilham Aliyev a Vienna (marzo 2019), si era dichiarato disposto ad intraprendere un dialogo costruttivo per la risoluzione del conflitto in Karabakh. Le speranze suscitate in quell’occasione sono però state spente dai toni assunti negli ultimi mesi dal dialogo tra Baku e Yerevan. I due leader, infatti, negli ultimi giorni di novembre hanno intrapreso un botta e risposta a distanza, cercando di scaricare l’uno sull’altro le responsabilità dei principali massacri della storia dei due Paesi, quello di Khojali e quello di Sumgait. Il fatto che, ad oggi, non siano ancora arrivati a una corretta ripartizione delle responsabilità, dimostra che, nonostante le parole di conciliazione pronunciate ad inizio 2019, la riappacificazione è ancora molto lontana e ciascuno dei due Paesi guarda principalmente ai propri interessi, ma non alle proprie colpe, passate e presenti. Rimangono dunque aperti gli scenari per l’anno 2020 a Stepanakert: se da un lato l’Armenia reclama a gran voce il territorio, dall’altro il suo minore controllo sul processo elettorale del Karabakh potrebbe portare alla vittoria di un leader non disposto a seguire incondizionatamente i dettami di Yerevan. Un allentamento della presa da parte armena potrebbe avere ripercussioni sull’influenza esercitata su Stepanakert da Baku, che aspirerebbe a ottenere maggiore libertà di azione. La posta in gioco è quindi molto alta per tutti i protagonisti di questa storica contesa, e gli esiti delle elezioni potranno condizionare in modo duraturo il destino del Karabakh.

Cina-Armenia: accordo esenzione visti entrerà in vigore dal 19 gennaio (Agenzia Nova 31.12.19)

Pechino, 31 dic 2019 10:01 – (Agenzia Nova) – Un accordo sull’esenzione dei visti tra Cina e Armenia entrerà in vigore il 19 gennaio 2020, secondo una nota ufficiale diffusa dal ministero degli Esteri armeno. La nota afferma che a partire dal 19 gennaio, i cittadini armeni e cinesi saranno in grado di viaggiare o transitare nel territorio del paese ospitante senza bisogno di un visto per un massimo di 90 giorni. Per soggiorni superiori a 90 giorni e per motivi di lavoro e di studio rimarrà necessario richiedere un visto in anticipo. Nel maggio di quest’anno, la Cina e l’Armenia hanno firmato un accordo di esenzione dall’obbligo dei visti per i cittadini dei due paesi. Circa 8.500 cittadini cinesi hanno visitato l’Armenia nel 2018, secondo il Comitato statistico nazionale dell’Armenia.

San Mercuriale era armeno. Arrivati proprio sul finire dell’anno i risultati delle reliquie (4Live.it 31.12.2019)

San Mercuriale, primo vescovo di Forlì è armeno. Sono infatti arrivati gli ultimi risultati sullo studio delle reliquie. Il progetto, che ha preso avvio con la ricognizione scientifica del 19 settembre 2018, nasce grazie ad una proficua collaborazione tra ricercatori ed istituzioni. Protagonisti dell’iniziativa sono Mirko Traversari, antropologo fisico e responsabile del progetto, il gruppo Ausl Romagna Cultura e la Diocesi di Forlì-Bertinoro, con il contributo del Lions Club Forlì-Cesena Terre di Romagna, particolarmente attivo su attività di valorizzazione e tutela della città di Forlì, che si è dimostrato immediatamente sensibile all’importante iniziativa.

Pochi mesi fa gli studi avevano accertato che San Mercuriale è vissuto tra il II e il III secolo d.C, e’ morto in un’età compresa tra i 40 e i 50 anni, era alto 1 metro e 60 e soffriva di osteoporosi. “Lo studio sulle reliquie di San Mercuriale – spiega Mirko Traversari – è proseguito, dopo le prime fasi, necessariamente dedicate all’acquisizione di informazioni strumentali e fisiche, ricavate dalle numerose indagini laboratoristiche messe in campo, è ora giunto il momento di interrogare questi dati, interpretandoli sulla scorta di ciò che le fonti storiche ci hanno consegnato relativamente alla figura del Santo. È il caso ad esempio della sua provenienza, è noto che la cronachisticha cittadina del XV secolo, affermi che Mercuriale provenisse dalla nativa Armenia, il Cobelli infatti nelle sue Cronache ci dice che “[…] il beato Mercuriale se partì dalle parti d’Armenia […]”, e solo in seguito ad un pellegrinaggio a Gerusalemme e Roma, giunse a Forlì. Di qualche secolo posteriore al Cobelli, Giuseppe Mazzatinti attraverso i suoi Annales Forolivienses afferma che il “[…] gloriosus Mercurialis sanctus et episcopus civitatis Forlivij, natione Albanie, ad ipsam civitatem applicult […]”. Non è noto da quali fonti questi nostri illustri concittadini abbiano tratto queste informazioni, e ben conosciamo la necessaria prudenza che è necessario tenere nel voler trarre verità dalle loro opere, che non sempre brillano per rigore storiografico; vero è che comunque la notizia della provenienza orientale del Santo, incuriosisce e pone dei quesiti“.

Dallo studio isotopico a cui sono state sottoposte le reliquie – chiarisce finalmente Traversari – si deduce che San Mercuriale non sia cresciuto e vissuto nello stesso luogo in età infantile ed in età adulta. Probabilmente proveniva da una località posta in una zona mediamente più calda rispetto alla città in cui egli ha trascorso gli ultimi anni dalla sua vita, Forlì. I valori tendono infatti a diminuire con l’aumentare dell’età: questo indica uno spostamento del Santo in età giovanile verso un luogo con valori isotopici meno radiogenici rispetto al luogo in cui è nato; grazie ad un ulteriore approfondimento è stato inoltre possibile escludere alcune regioni europee, poste a latitudini incompatibili con i risultati ottenuti (la Spagna ad esempio, che mostrava una certa compatibilità con alcuni indici isotopici). Un’ulteriore inferenza è stata possibile grazie all’incrocio di questi risultati con il cosiddetto indice cefalico, che grazie ad un calcolo matematico serve ad esprimere in termini statistici, la conformazione del cranio. La stessa conformazione del volto, metricamente studiato grazie a standard antropologici internazionali, ha fornito ulteriori indizi. Incrociando quindi i risultati dedotti dall’analisi degli isotopi stabili, con i caratteri e gli indici antropometrici che caratterizzano il cranio e il volto del Santo, è stato possibile orientare lo sguardo, con una ragionevole certezza, verso una direzione piuttosto chiara. Va comunque detto che attualmente nessuna indagine laboratoristica può fornire una certezza assoluta circa la provenienza da un dato territorio e che gli indici più sopra ricordati non possono certo essere assunti a marcatori etnici, quanto piuttosto indicatori di un areale geografico ampio che può abbracciare popolazioni e paesi diversi“.

L’incrocio di queste numerose analisi – conclude – allo stato attuale sembrano essere concordi nel farci guardare ad est, verso il continente asiatico, proprio verso l’Armenia“.

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Gli indiani d’Armenia (Osservatorio Balcani e Caucaso 30.12.19)

l numero di stranieri che immigrano in Armenia per lavoro è in costante crescita. Tra questi anche cittadini indiani. Migliaia sono arrivati nel paese nei primi nove mesi del 2019

30/12/2019 –  Armine Avetysian

Dipika Guhil ha 43 anni. La sua famiglia è immigrata in Armenia un anno fa dallo stato indiano del Gujarat. Suo marito è dipendente di un’azienda privata ed ha un buon stipendio. Lei si dispiace solo di non riuscire ancora a parlare armeno. “In patria lavoravo come insegnante di inglese. Non sono ancora in grado di fare l’insegnante interagendo in armeno: per comunicare con gli studenti è fondamentale sapere l’armeno, una volta che imparerò bene la lingua, mi saprò adattare bene. L’Armenia è un paese sicuro. Ed è questo che mi attrae”.

La famiglia di Guhil è arrivata in Armenia grazie ad alcuni provvedimenti del governo armeno  del novembre 2017 che hanno facilitato l’ottenimento di visti di ingresso e di conseguenza favorito il flusso migratorio dall’India verso l’Armenia.

Grazie a questo regime di visti semplificato sono in molti ora che decidono di trasferirsi in Armenia per mantenere la propria famiglia. Per ora questi immigrati si muovono non singolarmente ma in gruppi, spesso appoggiandosi a compatrioti già residenti nel paese.

Spesso si occupano di professioni che non richiedono la conoscenza dell’armeno.

Chaman Kumar, 33 anni, è arrivato in Armenia un anno fa. Lavora nel ristornate di un compatriota. È un cuoco. Come il resto dello staff che lavora in cucina conosce solo l’hindi. Con l’aiuto di un traduttore, ci parla delle condizioni di lavoro: 10 ore al giorno, riposo per 2-3 giorni al mese, circa 550 dollari di salario, metà dei quali li spende per cibo e alloggio ed il resto lo spedisce alla propria famiglia.

Rahul, 25 anni, ha invece difficoltà a trovare un posto fisso. Non è contento della scelta fatta e si lamenta di chi lo ha convinto a trasferirsi in Armenia. “Nella mia città natale (Rahul non vuole fornire informazioni personali) guadagnavo al massimo due dollari al giorno. Un mio amico mi ha convinto del fatto che se mi fossi trasferito in Armenia avrei guadagnato almeno 15 dollari al giorno, e che 5 ne avrei spesi per vitto e alloggio ed i restanti 10 li avrei risparmiati. Ho calcolato che così potevo inviare ogni mese a mia moglie ed al mio bambino di due anni in India almeno 250 dollari. Così avrebbero potuto vivere bene e mi sarei potuto poi col tempo sistemare in Armenia facendo arrivare anche loro qui. Ma qui mi sono reso conto che la promessa di un lavoro stabile non era vera”.

Rahul attualmente lavora in un autolavaggio a Yerevan, per 8 dollari al giorno. Il suo amico continua a promettergli che presto troverà un lavoro stabile. “Non so nemmeno perché mi ha detto queste bugie e mi ha spinto a partire. Il problema è che non posso aspettare per sempre. Presto il mio permesso di soggiorno temporaneo scadrà”.

Il permesso di soggiorno temporaneo in Armenia è garantito per un anno, mentre quello permanente per cinque. In testa tra i paesi di provenienza di chi è in possesso di un permesso di soggiorno c’è l’India. Dal 2017 al 2018 sono raddoppiati i cittadini indiani residenti in Armenia e sono stati 1907. Il 98% di questi hanno permessi di soggiorno temporanei  .

“Sono in possesso solo di un permesso di soggiorno temporaneo. Scadrà tra due mesi e devo fare in modo assolutamente che venga rinnovato perché non ho né i soldi per tornare indietro e neppure, in India, un posto dove stare”, dichiara Priyansh (nome di invenzione), arrivato in Armenia con l’inganno. Salendo sull’aereo Priyansh era convinto infatti di recarsi in Albania, ma è atterrato in Armenia. “Ho venduto la mia casa in India ed ho consegnato la maggior parte dei soldi ad un intermediario che mi avrebbe portato in Europa, mi avrebbe aiutato a suo dire ad imparare la lingua ed a trovare lavoro… quando sono arrivato non sapevo nemmeno l’Armenia esistesse”.

Priyansh attualmente lavora nel settore agricolo. Dice che nonostante sia stato vittima di un inganno non si lamenta per come le cose stanno andando: ha un lavoro stabile, anche se non un salario molto alto, ma non è di certo affamato e non deve dormire all’aperto. Purtroppo non è ancora nelle condizioni di risparmiare parte del salario.

Priyansh non è l’unica vittima di frodi.

Nei primi mesi del 2019 il quotidiano indiano “Hindustan times” ha pubblicato un articolo  dal titolo “Non hanno mangiato nulla per 5 giorni”. Vi si raccontava la storia di alcuni cittadini indiani in Armenia che, in grande difficoltà, avevano postato un video in internet dove denunciavano di non aver mangiato nulla da 5 giorni e che il loro proprietario di casa minacciava di spedirli per strada. Nel video i cittadini indiani si appellavano ai parlamentari indiani affinché prendessero provvedimenti nei confronti delle agenzie di viaggio truffaldine.

Altri media indiani hanno sottolineato che nonostante i cittadini indiani siano arrivati in Armenia grazie ad un visto temporaneo per lavoro, una volta giunti nel paese, si trovavano disoccupati.

Nei giorni successivi l’Ambasciata indiana in Armenia ha reso noto via Twitter che i 4 cittadini indiani che erano in indigenza dopo essere stati frodati da un’agenzia di viaggio indiana erano stati rimpatriati. La questione è stata affrontata anche dal governatore del Punjub Amarinder Singh che ha dato mandato alla polizia locale di indagare la questione e si è arrivati all’incriminazione di 5 persone, di cui 2 sono state poi arrestate.

Per contribuire ad evitare frodi gli indiani residenti in Armenia stanno creando vari gruppi sui social media, grazie ai quali condividono il loro vissuto e tentano di aiutare i compatrioti.

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Il caso dei 30 neonati armeni «Ipotesi trafficanti di organi» (Ilgazzettino 29.12.19)

ROMA Non solo adozioni illegali. Potrebbe esserci la vendita di organi dietro al traffico di neonati tra l’Armenia e l’Italia su cui sta indagando il Servizio Nazionale di Sicurezza del Paese caucasico. Stando alle autorità di Yerevan dall’inizio del 2019 almeno 30 bambini sono stati sottratti alle famiglie e poi venduti in diversi Paesi, tra cui l’Italia. Lo schema ipotizzato è semplice quanto drammatico: medici e infermieri di alcuni ospedali avrebbero fatto credere ai neo genitori, in genere molto poveri e socialmente deboli, che il loro piccolo era affetto da una grave malformazione per spingerli a darlo in adozione. A quel punto, attraverso degli escamotage burocratici, un’organizzazione con regia armena sarebbe riuscita prima a far sparire i neonati e poi ad affidarli a degli orfanotrofi per favorire l’adozione legale da parte di genitori stranieri. Tuttavia è stata la polizia di Yerevan, in una nota diffusa pochi giorni fa, a lasciare aperti inquietanti interrogativi sulle ragioni di questo orrendo commercio. «Per la mia esperienza il fatto che ci siano dietro delle strutture ospedaliere non mi fa ben sperare. I 30 bambini potrebbero davvero essere finiti nelle mani di trafficanti di organi». A parlare è Antonio Mazzarotto, fino all’inizio di novembre all’interno della Commissione Adozioni Internazionali (Cai) – organo presieduto dal ministro della Famiglia Elena Bonetti – e dirigente dell’area famiglie, minori e persone fragili della Regione Lazio. «In genere – spiega – queste situazioni drammatiche seguono due direttrici diverse». La prima, che però non corrisponde alla vicenda armena, è «quella dei bambini nati in casa». Piccoli provenienti da famiglie povere che alla nascita «non sono registrati e in certi Paesi sono soggetti a un vero e proprio mercato».
I NUMERI
La seconda, più assimilabile a quella descritta dalle autorità di Yerevan, è che degli orfanotrofi in contatto con enti esteri li acquistino da trafficanti che hanno trovato il modo di sottrarli a genitori disperati. Quella del passaggio per orfanotrofi è la situazione in cui in assoluto c’è «maggior pericolo» dice Mazzarotto, tant’è che probabilmente non è un caso se tra i 1.130 bambini adottati dall’estero in Italia nel 2018, secondo i dati ufficiali del Cai, solo l’1% lo è stato in quanto orfano. Tuttavia qualcosa non torna. «L’Armenia è parte della convenzione internazionale dell’Aja» ed «i 3 enti ufficiali del Paese» sono controllati anche da organi internazionali. Per questo «mi stupirebbe se gli orfanotrofi fossero coinvolti e, sarei altrettanto stupito se, come dice la polizia armena, le adozioni legali fossero avvenute da parte di cittadini della Repubblica Italiana».
Non solo per le tutele stringenti garantite ai bambini e i controlli fatti in Italia da organi come il Cai, ma anche per il fatto che «per i trafficanti» indirizzare i neonati verso i Paesi della Convenzione «è l’ipotesi più rischiosa». Sarebbe molto più semplice se i piccoli andassero, ad esempio, negli Stati Uniti dove «si fanno più adozioni, non c’è un ente centralizzato e non sono parte della Convenzione».
Nel rapporto del Cai gli 11 bambini armeni adottati nel 2018 da famiglie della Penisola hanno un’età media di 1,4 anni. «Il campione è piccolo – dice il dirigente della Regione Lazio – ma significativo»: in assoluto è l’età più bassa tra tutte (molto meno dei circa 12 anni dei bielorussi o dei 6 anni dei russi) ed è in controtendenza con la crescita dell’età media iniziata nel 2000. In attesa che la vicenda diventi più chiara, le autorità caucasiche hanno però arrestato due cittadini armeni che avrebbero avuto un ruolo determinate nel traffico di neonati.
Francesco Malfetano

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Neonati venduti, traffico Armenia-Italia: 30 bimbi sottratti alle famiglie con l’inganno e dati in adozione (Ilmessaggero 28.12.19)

ROMA La feroce scelta avveniva immediatamente fuori dalla sala parto. «Signora, il suo bambino è nato con una gravissima malformazione e necessita di cure costose e continue». È così che una trentina di donne armene sono state costrette – attraverso la menzogna e il raggiro – ad abbandonare in ospedale il proprio figlio per darlo in adozione. Medici e infermieri compiacenti, anelli di collegamento di una rete internazionale molto ampia che porta fino in Italia, certificavano alle mamme disperate che il loro piccolo era nato malformato, con gravi patologie invalidanti.

LA SCOPERTA
Il Servizio Nazionale di Sicurezza armeno ha aperto a Yerevan, la capitale della Repubblica Armena, una inchiesta articolata (della quale è stato avvertito anche il governo italiano) che ha portato alla devastante scoperta di una rete che facilitava l’adozione internazionale di bambini. Un orribile traffico di neonati provenienti dal paese caucasico e diretti in Italia. Almeno trenta i piccoli che finora sarebbero stati sottratti alle famiglie di origine con l’inganno.

IL RAGGIRO
In pratica alle mamme e ai papà, in genere nuclei familiari estremamente poveri e socialmente deboli, veniva diagnosticata la grave malformazione al neonato. Di fatto la comunicazione di avere partorito un bambino handicappato incentivava le coppie disperate a darlo in adozione. Le pressioni psicologiche venivano esercitate con la complicità di diverse figure tra personale medico e infermieristico. Nel frattempo c’era chi provvedeva a spianare la strada per i passaggi burocratici successivi, in totale violazione alle leggi in vigore che in Armenia sono piuttosto restrittive. Alcuni giorni fa la polizia armena ha diffuso un comunicato in cui non solo confermava l’esistenza di un traffico di bambini ma lasciava aperti inquietanti interrogativi sulle ragioni di questo orrendo commercio.

«Lo scopo per cui i bambini sono stati adottati o sono caduti nelle mani di trafficanti di organi non è ancora chiaro. Per questo caso è stata già attivata una Commissione apposita e incaricata di ulteriori investigazioni». Il primo caso accertato risale al gennaio di quest’anno. La polizia ha confermato che finora sono finiti agli arresti due cittadini armeni che usavano i loro contatti in ambito ospedaliero e sociale: erano loro che favorivano l’ingresso dei neonati negli orfanotrofi da dove poi si organizzavano le adozioni legali «da parte di cittadini della Repubblica Italiana che di fatto prendevano in custodia i piccoli».

LE PRESSIONI
L’inchiesta appena aperta sta facendo affiorare uno spaccato fatto di povertà estrema e di pressioni psicologiche sulle mamme che si persuadevano a non essere in grado di provvedere materialmente al loro bambino. Ad alcune ragazze, subito dopo il parto, è stato detto che il loro piccolo era segnato per tutta la vita, malato senza speranza, affetto da patologie invalidanti. Le condizioni economiche delle famiglie determinavano una scelta quasi obbligata e le mamme hanno finito per abbandonare il figlio e firmare subito i documenti necessari per l’adozione. A questo punto entrava in funzione una rete ben collaudata di complici dei medici e delle infermiere. Un sentiero che porta all’Italia.

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Almeno 30 bambini sarebbero stati adottati (o comprati) da cittadini italiani attraverso questa rete criminale

«Una mafia più ricca e potente di quella della droga». È così che Marat Kostanyan – avvocato di Syuzan Patvakanyan, una donna armena alla ricerca da vent’anni della figlia sottratta subito dopo il parto – ha commentato l’inchiesta-scandalo sul raggiro subito da decine di madri in Armenia. Donne che sarebbero state costrette a portare a termine la gravidanza nonostante la loro contrarietà.

Come funzionava il traffico criminale

Alle donne incinte veniva detto che la figlia o il figlio appena dato alla luce presentava gravissime malformazioni e che necessitava di cure continue e costose.

In seguito, attraverso pesanti pressione psicologiche che facevano leva sull’impossibilità di potersi prendere cura adeguatamente dei neonati gravemente malati, con la complicità di medici e personale sanitario, i genitori dei piccoli venivano raggirati a tal punto che venivano costretti a firmare documenti per dare i propri figli in adozione.

Una volta firmata la documentazione, i neonati venivano trasferiti negli orfanotrofi in cui si organizzavano adozioni legali anche «da parte di cittadini della Repubblica italiana, che di fatto prendevano in custodia i piccoli», secondo quanto riferito dalla polizia.

A far scattare le indagini è stato il numero di adozioni dei bambini armeni all’estero, dopo che il ministero del lavoro armeno ha notato che in alcuni casi venivano preferite alle adozioni in patria, il che va contro le convenzioni internazionali.

«Lo scopo per cui i bambini sono stati adottati o sono caduti nelle mani di trafficanti di organi non è ancora chiaro – ha aggiunto la polizia armena -. Per questo caso è stata già attivata una Commissione apposita e incaricata di ulteriori investigazioni».

Secondo i servizi segreti armeni, almeno 30 bambini sarebbero stati adottati (o comprati) da cittadini italiani attraverso questa rete criminale.

La testimonianza di Syuzan Patvakanyan, alla ricerca della figlia sottratta 20 anni fa

Tra le vittime di questo raggiro ci sarebbe anche Syuzan Patvakanyan, una donna armena 35enne che, 20 anni dopo il parto, è ancora alla ricerca della propria figlia Stella.

«Partorii una bambina sana nell’Armenia medical center. Mi hanno imposto di abbandonarla, dicevano che aveva problemi di salute. Mi hanno dato un foglio bianco e mi hanno fatto scrivere che rinunciavo a lei», ha raccontato la donna ad Afp.

Poi le è stato dato l’indirizzo di un orfanotrofio nella città di Gyumri e le è stato detto che sua figlia si trovava lì, ma in realtà della bambina non vi era traccia e la donna è ancora alla ricerca dopo tanti anni. Andando a ritroso nella tempo, la donna in lacrime ricorda: «Ci siamo poi resi conto che la bambina ancora in fasce era stata venduta proprio fuori dall’ospedale».

L’avvocato di Patvakanyan, Marat Kostanyan, lancia durissime accuse verso questo sistema e verso chi ne faceva parte: «La rete criminale era vasta e coinvolgeva funzionari e poliziotti di alto rango, nonché personale dei reparti di maternità e orfanotrofi».«Questa mafia – chiosa Kostanyan – ha trasformato il Paese in un incubatore per la produzione di bambini».


Armenia, bambini tolti alle mamme e venduti per le adozioni. Un giro di affari gestito dalla criminalità organizzata.

Armenia, bambini tolti alle mamme e venduti per le adozioni – Universomamma.it

Il mercato illegale delle adozioni è purtroppo presente in tutto il mondo e molto più diffuso di quanto si creda. Bambini che vengono venduti da famiglie bisognose e letteralmente “acquistati” da famiglie benestanti ma senza figli è una pratica vietata ovunque ma ancora frequente, nonostante le collaborazioni tra le polizie di tutto il mondo per fermarla. La storia che stiamo per raccontarvi viene dall’Armenia ed è agghiacciante. La dimostrazione di come la fragilità economica e sociale possa sconvolgere le vite di mamme e bambini.

Armenia, bambini tolti alle mamme e venduti

In Armenia la criminalità organizzata è riuscita a creare un lucroso giro d’affari sulla pelle di tante donne e dei loro bambini, che venivano loro sottratti per darli illegalmente in adozione a coppie senza figli, disposte a tutto pur di diventare genitori. Molte donne si sono viste togliere i figli con l’inganno, altre sono state costrette a portare a termine la gravidanza, anche quando non volevano proseguirla, al solo scopo di prendere i loro figli e  venderli ad altri. Quest’ultima circostanza pare si sia verificata in particolare negli ultimi anni. Ma quella di togliere i figli a madri giovani, povere o in condizioni di fragilità non sarebbe una novità in Armenia. Succedeva anche vent’anni fa.

Stanno emergendo, infatti, storie di donne a cui in passato sono stati sottratti i figli con l’inganno. Nonostante le enormi difficoltà nel fare luce su una vicenda così oscura, alcuni casi stanno venendo allo scoperto, grazie alla testimonianza e al coraggio di mamme che non si sono arrese. Come nel caso di Syuzan Patvakanyan, una donna di 35 anni che vent’anni fa, quando era ancora giovanissima, diede alla luce una bambinaStella, che purtroppo lo è stata tolta con l’inganno. Stella era nata sana, all’Armenia medical center, tuttavia la portarono via alla madre con la scusa dei problemi di salute. A Syuzan, giovanissima e indifesa, venne fatto firmare un foglio con la rinuncia alla figlia. Alla mamma adolescente fu detto che la figlia sarebbe stata mandata in un orfanotrofio nella città Gyumri, di cui le venne dato un indirizzo. Ma quando la donna si mise a cercare la figlia non la trovò. La bambina molto probabilmente era stata data in adozione. Questa drammatica testimonianza è stata riportata dall’agenzia AFP, che ha indagato sul caso, a sua volta citata da Euronews.

Purtroppo non si tratta di un caso isolato. Si ritiene che molte altre donne e i loro bambini devono aver subito lo stesso destino. Come dicevamo, deve essere stato creato un vero e proprio giro di affari di adozioni illegali e bambini venduti, gestito dalla criminalità organizzata. Marat Kostanyan, avvocato di Syuzan Patvakanyan, ha parlato di una vera e propria rete criminale che strappava i bambini appena nati alle loro mamme e in cui erano coinvolti i membri del personale dei reparti di martenità e degli orfanotrofi, agenti di polizia e funzionari pubblici. Nel reparto dell’ospedale dove Syuzan ha partorito è stato arrestato un ginecologo, nell’ambito dell’inchiesta sui bambini tolti alle mamme.

Recentemente, negli anni dal 2016 al 2018, ad alcune donne armene che volevano interrompere la gravidanza sarebbe stato impedito, costringendole a far nascere il bambino per poi venderlo ad altre famiglie, per lo più straniere. Ad insospettire le autorità armene è stato il numero sospetto di adozioni all’estero, che in alcuni casi avevano la precedenza su quelle interne. Adozioni avvenute senza rispettare le convenzioni internazionali. Tra i destinatari di queste adozioni illegali potrebbero esserci anche delle famiglie italiane. Secondo i servizi segreti armeni, che indagano sulla vicenda, la rete criminale che gestisce questo mercato di bambini avrebbe aiutato anche alcuni italiani ad adottare illegalmente, o forse sarebbe più corretto dire comprare, più di 30 bambini negli ultimi anni.

Ad oggi, le donne armene a cui sono stati sottratti i figli non hanno ancora avuto giustizia, ha affermato l’avvocato Kostanyan, che con amarezza ha aggiunto: “Questa mafia ha trasformato il Paese in un incubatore per la produzione di bambini“.

Una storia davvero sconvolgente, care unimamme.


 

Arrivano in Armenia i primi caccia Su-30SM prodotti in Russia e acquistati dalla repubblica del Caucaso (Lantidiplomatico 27.12.19)

Il primo paio di caccia multiruolo Su-30SM di fabbricazione russa acquistati dall’Armenia all’inizio del 2019 è atterrato in un aeroporto nella repubblica del Caucaso meridionale. Come annunciato dal Primo Ministro dell’Armenia Nikol Pashinyan sulla sua pagina Facebook.

“La nostra acquisizione più importante quest’anno”, ha osservato Pashinyan, dimostrando l’aereo consegnato.

Le autorità armene hanno annunciato all’inizio del 2019 di aver acquisito dalla Russia quattro caccia multiruolo Su-30SM.

Il Su-30SM è un jet da combattimento super manovrabile a due posti di serie 4 ++ prodotto e potenziato in serie. Il Su-30SM è dotato di due motori turbofan a doppio flusso riscaldati a vettore di spinta AL-31FP. Il caccia ha un raggio d’azione di 1.500 km e una durata del volo di 3,5 ore senza rifornimento di carburante.

Caos Armenia, la madre di Mkhitaryan insultata: “Henrikh ancora in Nazionale? Vediamo” (Corriere dello sport 27.12.19)

ROMA – Due casi nel giro di pochi mesi. Henrikh Mkhitaryan è finito nel mirino delle critiche, ma solamente indirettamente. Il primo caso, che risale allo scorso ottobre-novembre, riguarda il lungo infortunio che gli ha impedito di giocare le importanti partite della Nazionale, in quel momento ancora in corsa per un posto all’Europeo. A scatenare il primo caso Mesrop Arakelyan, un consulente del Primo Ministro Pashinyan, che su Facebook aveva proposto di togliere la fascia a Mkhitaryan perché deluso dal suo lungo stop per infortunio. Detto che il miglior giocatore della storia dell’Armenia giocherebbe per la sua nazionale anche con una gamba sola, la polemica venne smontata dei vari dirigenti della Federazione, nonché dai cittadini armeni che idolatrano Henrikh.

Il secondo caso, quello più spinoso, risale agli ultimi giorni. Lo scorso 23 dicembre dopo il cambio in panchina del ct armeno e le dimissioni di molti membri del consiglio, è stato eletto un nuovo presidente della Federcalcio, Armen Melikbekyan. Un’elezione vietata ad alcuni organi di stampa e all’ex membro del comitato esecutivo della federazione armena, Marina Tashchyan, madre di Mkhitaryan. La signora stata duramente attaccata sui social – dai sostenitori di Melikbekyan – per aver criticato fortemente le ultime elezioni della Federcalcio, con crtiche feroci che sono arrivate anche a mettere in dubbio le qualità umane di suo figlio: “Non avevo mai visto una cosa così vergognosa all’interno del nostro calcio – ha dichiarato Tashchyan agli organi di stampa locale -. Forse chi non ha mai lavorato nel settore non riesce a capire bene cosa stia succedendo, ma io, che vivo il calcio da 40 anni da quando ho sposato Amlet (pade di Mkhitaryan, il più grande giocatore di calcio dell’Armenia, ndr) ho capito tutto. E queste elezioni sono state vergonose”.

Per la mancanza di rispetto nei suoi confronti e quelli del figlio, oltre agli insulti ricevuti dai sostenitori di Melikbekyan, Marina Tashchyan ha messo in dubbio anche la possibilità di un ritorno di Mkhitaryan in nazionale“Se continuerà a giocare in nazionale ancora non lo so. Deciderà lui se vestire quella maglia ancora dopo tutto quello che ci è successo”.

Dopo i recenti stravolgimenti politici che, con la cosiddetta non violenta “rivoluzione di velluto”, hanno portato al governo il partito “Il mio passo” di Nikol Pashinyan, la società armena è attraversata da processi (anche giudiziari) che stanno portando cambiamenti in tutti i settori della società: non è escluso che anche nella Federcalcio sia in atto una modifica dei precedenti equilibri politici.

Comunque sia, la popolarità di “Heno” – come vezzeggiativamente è chiamato Mkhitaryan in patria in forma di abbreviativo del suo nome – non è mai stata messa in discussione e il giocatore rimane un punto di riferimento per tutti gli appassionati di calcio in Armenia.

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Mkhitaryan è un caso in Armenia, il consulente del Primo Ministro lo vorrebbe fuori dalla Nazionale. La mamma è furiosa (blitzquotidianosport 27.12.19)

Armenia-Ue: fonti ufficiali, Macron firma legge per ratifica accordo Cepa (Agenzianova 24.12.19)

Erevan, 27 dic 15:46 – (Agenzia Nova) – Il presidente francese, Emmanuel Macron, ha firmato la legge per la ratifica dell’accordo di partenariato globale e rafforzato (Cepa) tra Armenia e Unione europea. Lo riferisce l’agenzia di stampa “Armenpress” citando fonti interne all’ambasciata del paese caucasico a Parigi. “Con questo il processo di ratifica da parte della Francia può dirsi definitivamente concluso”, ha detto la portavoce del dicastero degli Esteri di Erevan, Anna Naghdalyan. (Res)