Nagorno-Karabakh: soldato azerbaigiano spara a croce armena ad Hadrut (Agenzia nova 05.07.21)

Erevan, 05 lug 15:28 – (Agenzia Nova) – Un soldato azerbaigiano ha sparato ad un monumento armeno, una croce di pietra, ad Hadrut, nel Nagorno-Karabakh. Lo riferisce l’agenzia di stampa “Armenpress”. Quanto accaduto è testimoniato da un video che circola sui social network, mostrando il militare nell’atto di sparare al monumento. A ulteriore sfregio nei confronti della cultura armena, l’agenzia segnala scritte azere sul monumento. (Rum)

La Dichiarazione di Shusha e il futuro del Caucaso del sud (Osservatorio Balcani e Caucaso 05.07.21)

Oc Media ha intervistato una serie di analisti politici sulle implicazioni della “Dichiarazione di Shusha”, sottoscritta recentemente da Azerbaijan e Turchia

05/07/2021 –  Ismi Aghayev

(Pubblicato originariamente da Oc Media  il 24 giugno del 2021, tit. orig. “The ‘Shusha Declaration’: Strategic realignment or business as usual?”)

Ad una cerimonia a Shusha/Shushi, lo scorso 15 giugno, il presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliyev e il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan hanno firmato la ‘Dichiarazione di Shusha’.

Il documento, tra le altre cose, riporta che un attacco a uno dei due paesi verrà considerato come un attacco a entrambi. La dichiarazione tratta anche aspetti come la cooperazione in ambito internazionale, così come politico, economico, commerciale, culturale, educativo, sportivo, rispetto ai giovani, alla sicurezza energetica e militare.

Inoltre, il presidente turco ha annunciato che la Turchia vorrebbe inaugurare un consolato a Shusha/Shushi.

“Il nome del nostro accordo è alleanza, e questo dice tutto”, ha dichiarato Aliyev.

Erdoğan e sua moglie sono stati accolti da Aliyev e la moglie Mehriban Aliyeva, nel distretto di Füzuli prima di spostarsi a Shusha/Shushi, tutte aree di cui l’Azerbaijan ha guadagnato il controllo dopo la seconda guerra del Nagorno Karabakh.

Il tutto è accaduto il giorno successivo ad un incontro del leader turco con il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, in concomitanza con un vertice della NATO a Bruxelles.

L’ultima visita di Erdoğan in Azerbaijan risaliva al dicembre del 2020, quando aveva assistito alla parata vittoriosa promossa a seguito della guerra contro l’Armenia durata 44 giorni.

Azerbaijan, tra Turchia e Russia

Azer Gasimli, un analista politico, ha riportato ad OC Media che la Dichiarazione di Shusha mostra un cambio nelle priorità geopolitiche dell’Azerbaijan.

“Prima della guerra, l’Azerbaijan portava avanti – relativamente al sud del Caucaso – un rapporto politico bilanciato con la Russia e l’Occidente”.

“L’accordo firmato il 10 novembre 2020 tra Azerbaijan, Russia e Armenia, che include l’ingresso dei peacekeeper russi in Nagorno Karabakh, era una prova evidente di questa politica. L’altro lato della politica è indicato dalla Dichiarazione di Shusha. Quindi l’Azerbaijan non persegue più rapporti politici bilanciati con l’Occidente, ma con Turchia e Russia”.

Commentando riguardo all’apertura di un consolato turco a Shusha/Shushi e della possibile cooperazione economica espressa nella Dichiarazione, Gasimli ha detto che tutto questo è stato fatto senza consultare la Russia.

“La Turchia afferma di essere la garante di Shusha/Shushi. Aprendo un consolato lì pianterà la sua bandiera”.

Gasimli ha messo in dubbio il significato dell’aspetto economico della dichiarazione.

“In generale, nonostante vi siano clausole economiche previste nell’accordo, il governo dell’Azerbaijan non permetterà alla Turchia di avere voce in capitolo negli affari economici del paese. L’economia e i monopoli presenti rimarranno blindati. Anche se ad alcune aziende turche ben selezionate sarà permesso di operare”.

Gasimli ha pure detto che questi passi non porteranno a nessun processo di democratizzazione o miglioramento dei diritti umani nella regione.

“Penso che tutto questo sia un altro passo verso la continuazione di un regime autoritario nel sud del Caucaso. Se non fosse così, se avessero voluto veramente la pace, la Russia non avrebbe creato problemi nell’Ossezia del sud, in Abkhazia e Nagorno Karabakh. Il destino del conflitto sarebbe stato lasciato alla discrezione degli stati presenti nella regione”.

Zardusht Alizade, un analista politico ed ex politico dell’opposizione, afferma che la dichiarazione non è nient’altro che un rinnovo degli accordi del passato firmati da Turchia e Azerbaijan.

“La Dichiarazione di Shusha non significa niente di speciale per la regione”, ha affermato Alizade ad OC Media. “La Turchia, che ha l’Occidente dietro di sé, ha dichiarato apertamente che agirà in difesa della posizione dell’Azerbaijan. Non c’è niente di nuovo nella dichiarazione”.

”Le clausole presenti nella dichiarazione sono riflesse negli accordi e nei trattati conclusi precedentemente tra Turchia e Azerbaijan. La Turchia sta semplicemente mandando un messaggio diretto, ossia ‘sto dalla parte dell’Azerbaijan”.

“Il sostegno diretto della Turchia indica anche che vi è simpatia occidentale per le questioni legate alla sicurezza dell’Azerbaijan. Non c’è niente nella Dichiarazione di Shusha che vada contro gli interessi della Russia, quindi non ha niente a che fare con la Russia”.

Commentando riguardo all’apertura di un consolato generale a Shusha/Shushi, Alizadeh ha dichiarato che questo servirebbe ai cittadini turchi presenti nell’area per motivi di affari, lavorativi e per questioni legate alla residenza.

“L’apertura di un consolato a Shusha/Shushi indica che cittadini e aziende turche sono coinvolte nell’operazione per ricostruire il Nagorno Karabakh e questo consolato è pensato per loro”.

“Aziende turche impegnate in campo edilizio, industriale e agricolo e anche in altri settori saranno trasferite nell’area per la ricostruzione. Sono stati loro affidati progetti fortemente sostenuti economicamente. Questo significa che migliaia di cittadini turchi lavoreranno lì e questo consolato verrebbe aperto per loro”.

Aliyev, la conferma della vittoria

La visita di Erdoğan a Shusha/Shushi è stata condannata dal ministro degli Esteri armeno come “definitiva provocazione contro la pace e la sicurezza nella regione”.

Leyla Abdullayeva, che è a capo dell’ufficio stampa del ministero degli Esteri dell’Azerbaijan, ha invece respinto le critiche: ”Prima di tutto, vorremmo far notare che non è compito del ministro degli Esteri armeno commentare le visite a paesi vicini”, ha dichiarato. ”L’Armenia dovrebbe agire considerando la situazione reale, non basandosi su illusioni. La dichiarazione congiunta tra i presidenti dell’Azerbaijan e della Turchia a Shusha/Shushi è diretta a promuovere la pace, la sicurezza e nuove opportunità per la cooperazione”.

Richard Giragosian, direttore del Centro di studi regionali, un think tank situato a Yerevan, ha affermato che la visita “è da interpretare come una dimostrazione di vittoria per il governo di Aliyev”. “La visita è apparsa come un trionfo dopo la presa della città nei giorni della guerra, durata 44 giorni, nel 2020 nel Nagorno Karabakh”, ha dichiarato Giragosian ad OC Media.

“Da questa prospettiva, la visita presidenziale è apparsa anche come una dimostrazione del ruolo decisivo che il supporto militare turco ha avuto nel sostenere l’Azerbaijan in quella guerra”. “La Dichiarazione di Shusha non è sorprendente tanto meno nuova. Dato il supporto militare turco e i suoi investimenti in Azerbaijan, l’accordo non fa che riaffermare il suo ruolo come primo partner militare del paese”, ha dichiarato.

Giragosian ha suggerito che la dichiarazione potrebbe essere rivolta alla Russia. Ha affermato che la Russia ha perso la sua posizione di primo fornitore di armi sia per l’Armenia che per l’Azerbaijan, con ”il ruolo post-conflitto della Turchia come partner militare”.

“La Dichiarazione di Shusha rappresenta anche un importante e potente messaggio: nonostante possa essere vista come diretta contro una più debole Armenia, il vero significato si trova nella determinazione della Turchia e dell’Azerbaijan nel resistere a un’ulteriore espansione e proiezione del potere della Russia nella regione”.

Giragosian ha affermato che la Dichiarazione di Shusha ha “un impatto diretto minimo sulla diplomazia post-conflitto o sulla ripresa del processo di pace”. “In primo luogo, così come per tutti gli accordi diplomatici e le dichiarazioni, la misura reale del suo impatto sta nella sua implementazione e non poggia semplicemente su ambiziose e vaghe promesse oppure radicali ma indefiniti impegni”, ha detto.

“In secondo luogo, dato che l’Armenia rimane senza una nuova strategia diplomatica e deve superare la sua paralisi politica, il primo impatto sul processo di pace è proprio conseguente della debolezza armena e della sua mancanza di preparazione”.

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Armenia: oggi si festeggia la Giornata della Costituzione (Agenzianova 05.07.21)

Erevan, 05 lug 10:26 – (Agenzia Nova) – L’Armenia festeggia oggi la Giornata della Costituzione, commemorando il referendum del 5 luglio del 1995. Nel 1991 con il ripristino dell’indipendenza, l’adozione di una nuova costituzione nazionale in Armenia divenne inevitabile. La Costituzione è stata adottata il 5 luglio 1995 in seguito un referendum nazionale, successivamente modificato da referendum (2005, 2015). Dopo l’adozione della Costituzione, il 5 luglio è diventato una festa nazionale. La Costituzione dell’Armenia è la base del sistema giuridico del Paese caucasico, la legge fondamentale del Paese, alla quale devono conformarsi tutte le altre leggi e atti giuridici. La Costituzione è anche un documento valoriale-ideologico, che definisce i principi più basilari dell’organizzazione della società. La Costituzione ha sancito la natura dell’Armenia come Stato sovrano, democratico, giuridico-sociale, ha proclamato i diritti umani e le libertà fondamentali di un cittadino e ha definito il governo della Repubblica basato sul principio di separazione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. (Rum)

Una famiglia armena”: Laura Ephrikian presenta il suo libro a Villa Filangeri (Balarm.it 05.07.21)

La suggestiva Villa Filangeri, lunedì 5 luglio dalle 18.00, fa da splendida cornice all’incontro con Laura Ephrikian. Un appuntamento imperdibile, ad ingresso gratuito, che vedrà protagonista l’ultima fatica letteraria della nota attrice italiana: “Ephrikian. Una famiglia armena”.

Durante la presentazione dialogheranno con l’autrice: Rossella Scannavino (presidente dell’associazione Eventi e Cultura), Nicola Macaione (editore del libro e amico di lunga data della Ephrikian), Emanuele Drago (professore e scrittore, delegato dell’associazione Siciliando) e Milena Venturi (assessore al Turismo e Spettacolo del Comune di Santa Flavia). L’evento sarà impreziosito dalle letture di alcuni passi del libro, interpretati da Mariadonata Di Cristina.

Un appuntamento da non perdere in cui si conoscerà non solo l’aspetto più umano e intimo di Laura Ephrikian, ma anche gli importanti incontri professionali (Giorgio Strehler, Giancarlo Giannini, Vittorio De Sica etc) che hanno costellato la sua carriera di attrice.

L’iniziativa è organizzata dall’associazione Eventi e Cultura e da Spazio Cultura Edizioni, con il patrocinio del Comune di Santa Flavia.

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Musica: Muti sulle ‘Vie dell’Amicizia’ tra Italia e Armenia (Rassegna Ansa e altri al 05.07.21)

Non importa in quale angolo del mondo due Armeni si incontrino; là – si dice – creeranno una nuova Armenia, dove rideranno, canteranno e pregheranno di nuovo. Giovedì 1 luglio è Ravenna Festival ad accogliere l’Armenian State Chamber Choir, che si unisce all’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini per il concerto ‘Le vie dell’Amicizia’ diretto da Riccardo Muti al Pavaglione di Lugo (Ravenna), alle 21.30.

Artisti italiani e armeni voleranno poi a Erevan, sempre con la guida di Muti, domenica 4 luglio, vent’anni dopo il primo concerto dell’Amicizia nella capitale armena.

Il programma si apre con l’Incompiuta di Schubert e prosegue con il Te Deum di Haydn, il Kyrie K.341 di Mozart e la Messa n.2 di Schubert, solisti il tenore Giovanni Sala, il soprano Nina Minasyan e il baritono Gurgen Baveyan. Il concerto – con il sostegno de La Cassa di Ravenna Spa e della Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna – è sold out e sarà trasmesso in diretta su Rai Radio3 e prossimamente da Rai1. “È ancora vivo il ricordo del silenzio commosso, dell’emozione intensa che attraversava il Palazzo dell’Arte e dello Sport a Erevan di fronte alla musica di Giuseppe Verdi – ricorda Muti – Era l’estate del 2001. Oggi, dopo vent’anni, torniamo in quella terra antica e dura, inquieta, in bilico tra Oriente e Occidente. Torniamo a lanciare un ponte di fratellanza, un segno di speranza, convinti come allora che attraverso la musica si possano superare incomprensioni e diversità di cultura, di lingua, di religione”.
Nel 2001 il Festival aveva scelto Erevan come destinazione delle Vie dell’Amicizia in occasione delle celebrazioni per i 1700 anni dalla proclamazione del Cristianesimo come religione dello stato armeno. Era il quinto appuntamento di un progetto inaugurato nel 1997 con il primo storico concerto a Sarajevo. (ANSA)


Riccardo Muti al Ravenna Festival, sulle vie dell’amicizia (Ilrestodelcarlino 01.07.21)

Riccardo Muti rinnova l’abbraccio all’Armenia nel segno della musica sacra (Ravennaedintorni 01.07.21)

Muti spirituale, anzi amareggiato (GDM 02.07.21)

Ravenna Festival porta di nuovo la musica delle “Vie dell’Amicizia” in Armenia, a Erevan, con il concerto diretto da Riccardo Muti  (Ravennanotizie 04.07.21)

Riccardo Muti: «Nel segno di Dante un gesto di solidarietà per l’Armenia» (Corriere della Sera 04.07.21)

Una delegazione dell’Acn Siena ad Erevan (Armenia) per il ‘Festival dell’amicizia’ (Sienanews 05.07.21)

Ravenna Festival in Armenia per «Le vie dell’Amicizia», successo per il maestro Muti (Settesere.it 05.07.21)

Muti incanta l’Armenia culla di musica e dolore (Ilgiornale 05.07.21)

 

Azerbaigian estrada 15 armeni in cambio di mappe di 92 mila mine poste a Fuzuli e Zangilan (Trt 04.07.21)

l Ministero degli Esteri dell’Azerbaigian ha annunciato che 15 persone detenute nel Paese sono state estradate in Armenia in cambio di mappe di 92 mila mine.

In una dichiarazione, il Ministero si riferisce che l’Armenia ha consegnato le mappe di 92 mila mine anticarro e antiuomo poste nelle province di Fuzuli e Zangilan, che un tempo erano sotto l’occupazione dell’Armenia.

Di conseguenza l’Azerbaigian ha estradato 15 cittadini armeni detenuti nel Paese.

Il processo di estradizione ha avuto luogo sull’iniziativa della Russia.

Precedentemente, l’Azerbaigian ha estradato altre 15 persone in Armenia in cambio di mappe di 97 mila mine poste nella provincia di Aghdam.

 

Il nuovo impero ottomano di Erdogan avanza nel Caucaso e in Asia centrale (Asianews.it 03.07.21)

Mosca (AsiaNews) – Il ministro degli Esteri turco Khulusi Akar ha iniziato il primo luglio un giro di visite in Asia centrale, partendo dal Kirghizistan per proseguire in Tagikistan. La ragione principale del viaggio è quella di favorire gli accordi tra i due Paesi, per evitare che si ripetano i recenti scontri di confine. Khulusi ha illustrato però finalità più ambiziose, parlando di “ampliare la collaborazione in campo militare, della sicurezza e dell’industria bellica”. Egli ha ricordato che Dušanbe e Biškek sono “partner importanti della Turchia”.

La vittoria militare dell’Azerbaigian sull’Armenia dello scorso novembre ha mutato gli equilibri di forza non soltanto nel Caucaso, ma in tutta la regione intorno al “nuovo impero” turco, fino all’Asia centrale. La Russia ha ottenuto soltanto un fragile armistizio nel Nagorno Karabakh, dovendo rinunciare a essere la principale protagonista dei giochi caucasici sulla frontiera tra Europa e Asia. L’influsso della Turchia, che ha sostenuto in modo esplicito gli azeri a parole e con i fatti, è invece cresciuto molto: come minimo, ora nel Caucaso è pari a quello dei russi.

I militari turchi proseguono le intense “sessioni Mustafa Kemal Ataturk 2021”, usate per addestrare l’esercito azero, di fatto controllato da Ankara.

L’agenzia di stampa turca Anadolu ha parlato delle relazioni tra Turchia e Azerbaijan secondo la concezione dei “due Stati, una nazione”. Questa è infatti l’enfatica espressione contenuta nella “dichiarazione di Šuša” del 16 giugno, sottoscritta dal presidente turco Recep Tayyp Erdogan e dal collega azero Ilham Aliev.

Per Baku la firma del documento è un “passo di portata storica”. Šuša è la città simbolo del Nagorno Karabakh, che dai suoi 1.368 metri di altitudine permette di estendere lo sguardo sulle vaste distese del nuovo impero turco-ottomano.

L’accordo di collaborazione firmato a Šuša non obbliga le due parti ad alcuna azione concreta. Come ha sottolineato però Aliev, “esso mostra che in futuro saremo sempre insieme e ci prenderemo cura della sicurezza dell’altro, come era avvenuto nel passato, quando Azerbaigian e Turchia erano unite sulle questioni più importanti”. Nella dichiarazione si afferma soprattutto che “ogni azione bellica contro uno dei due Paesi significa dichiarare guerra in modo automatico anche all’altro”.

L’aiuto bellico reciproco tra Turchia e Azerbaigian risale a prima ancora del conflitto con l’Armenia, quando nel 2017 le due parti hanno firmato i primi accordi nel campo dell’industria bellica, dando avvio anche gli addestramenti turchi a Baku. Da allora si è iniziato a parlare dell’esercito azero come di una “copia minore” di quello turco. I giovani ufficiali azeri (quasi 20mila effettivi) sono tutti diplomati nelle accademie militari turche e hanno scalzato la “vecchia guardia sovietica” più legata ai russi.

Il 27 ottobre 2020, sull’onda dell’euforia dopo la vittoria azera nel Nagorno Karabakh, il giornale Turkiye ha fatto uscire un numero speciale con l’appello alla “Decisione dell’Armata turanica”: vi si immagina un esercito pan-turco formato da Turchia, Azerbaigian, Kazakistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Kirghizistan e Tagikistan (i tagiki sono però di ceppo iranico, ndr).

Il cantante azero Talib Tale ha spopolato quest’anno con la canzone “Bir Millət İki Dövlət”, dedicata proprio all’amore reciproco tra Turchia e Azerbaigian, che inizia con le parole: “Tempo fa eravamo divisi, ora siamo uniti, una nazione, due Stati”. Secondo i sondaggi, il 91% degli azeri sostiene l’unione con i turchi.

In una recente intervista al giornale filogovernativo Eny Musavat, il miliardario azero Ilham Rahimov, molto vicino ad Aliev, si è spinto ancora più in là. Egli ha dichiarato che a suo parere è tempo di passare direttamente al modello “una nazione, uno Stato”.

Questi sentimenti filo-turchi sono condivisi perfino dall’opposizione politica in Azerbaigian. Gultekyn Gadjbeyly, una dirigente del Partito del consiglio nazionale, ha dichiarato che “l’ideale di una Confederazione turca sarebbe la modalità più realistica per risolvere i conflitti e le contraddizioni del mondo contemporaneo, soprattutto nella nostra regione geopolitica, in cui la nostra stessa nazione è messa spesso in pericolo”.

L’idea dell’unione azero-turca è un sogno che a Baku coltivano dalla fine dell’Unione Sovietica.

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Rabbia della Turchia contro Usa per inserimento nella lista dei Paesi che sfruttano bambini-soldato (Sputniknews 02.07.21)

L’amministrazione Biden aveva cercato di trovare il modo di ricucire le relazioni con il suo alleato turco dopo la spaccatura su per la vicenda S-400/F-35. Le tensioni sono tuttavia cresciute per la decisione americana di riconoscere il genocidio armeno e per le divergenze sulla cooperazione degli Stati Uniti con le forze curde in Siria.
Ankara respinge categoricamente la mossa degli Stati Uniti di aggiungere la Turchia alla lista dei Paesi implicati nell’uso di bambini-soldato, ha fatto sapere oggi il ministero degli Esteri turco.
L’annuncio arriva dopo la decisione senza precedenti di Washington giovedì di aggiungere Ankara all’elenco di Paesi che avrebbero usato bambini-soldato nell’ultimo anno. Il rapporto 2021 sul traffico di persone del Dipartimento di Stato americano accusa la Turchia di dare “sostegno tangibile” ad una milizia jihadista di turkmeni siriani nota per reclutare e utilizzare bambini soldato.
Un funzionario del Dipartimento di Stato ha indicato che nell’elenco “per la prima volta compare un membro della Nato” e ha suggerito che lo status della Turchia “come rispettato leader regionale” le ha dato “l’opportunità di realizzare il reclutamento e l’impiego di bambini-soldato in Siria e Libia”.
Bandiera della Turchia - Sputnik Italia, 1920, 02.05.2021

Vicepresidente turco afferma che il termine genocidio “andrebbe utilizzato per Washington”
Il portavoce del Dipartimento di Stato Ned Price ha auspicato che la lista dei bambini-soldato non influisca “sulle discussioni costruttive che stiamo avviando con la Turchia, nel contesto dell’Afghanistan o di qualsiasi altra area di interesse comune”.
Insieme alla Turchia, anche gli alleati pakistani di Washington sono stati inclusi nell’elenco del Child Soldiers Prevention Act, che minaccia sanzioni nell’area della cooperazione militare a danno degli Stati inclusi. L’elenco comprende anche Afghanistan, Birmania, Repubblica Democratica del Congo, Iran, Iraq, Libia, Mali, Nigeria, Somalia, Sudan del Sud, Siria, Venezuela e Yemen. La lista definisce “bambini soldato” qualsiasi persona di età inferiore ai 18 anni che partecipa ad operazioni militari “come membro delle forze armate governative, della polizia o di altre forze di sicurezza”.

Libano: incontro in Vaticano. Aram I, “promuovere la convivenza cristiano-islamica con una rinnovata enfasi sui valori comuni” (SIR 02.07.21)

“Riaffermare l’impegno a promuovere la convivenza cristiano-islamica con una rinnovata enfasi sui valori comuni, nel rispetto delle reciproche peculiarità e dei diritti delle comunità”; “sottolineare l’imperativo di avere un nuovo governo in modo che possa dare priorità alle questioni socio-economiche per soddisfare i crescenti bisogni della gente”; “riaffermare la piena attuazione dell’Accordo di Ta’if, tenendo conto del principio di convivenza cristiano-islamico, che è alla base del suddetto accordo”; chiamare le Chiese a “dare nuovo slancio al loro servizio nell’ambito educativo, sociale, umanitario e sanitario”; lavorare su queste priorità in modo da rendere possibile l’avvio di “un processo finalizzato alla restaurazione del Libano”. Sono “i cinque punti” presentati ieri da Sua Santità Aram I, Catholicos di Cilicia degli Armeni, alla sessione di consultazione che si è svolta a porte chiuse nell’ambito della Giornata di preghiera e riflessione per il Libano tra i responsabili delle Comunità cristiane libanesi. A renderlo noto è un comunicato diffuso oggi dalla Chiesa armena apostolica di Cilicia. “Anche le comunità islamiche, così come i rappresentanti della società civile, dovrebbero far parte di questo processo”, si legge nel comunicato. “Il Vaticano, dal canto suo, è chiamato a svolgere un ruolo importante in questo processo, con la sua autorità morale all’interno della comunità internazionale”. Secondo quanto riportato dalla Chiesa armena apostolica di Cilicia, i leader cristiani hanno dedicato tempo a parlare dei programmi educativi, umanitari e sanitari attuati dalle Chiese, sottolineando “l’imperativo di dare nuovo impulso a queste opere” e “affermando che sono realizzate senza discriminazioni religiose o comunitarie”. Al termine delle discussioni, i partecipanti hanno deciso di non fare una dichiarazione pubblica dell’assemblea, né di rilasciare una dichiarazione ufficiale del Vaticano. “Al termine dell’incontro – si legge ancora nella nota -, Papa Francesco ha espresso la sua profonda soddisfazione per il lavoro svolto dalla Congregazione e ha promesso di visitare il Libano subito dopo la formazione del nuovo governo”.

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INSIEME PER IL LIBANO, LE PIÙ BELLE FOTO DELL’INCONTRO DI PREGHIERA E DI RIFLESSIONE (Famiglia Cristiana)

Turchia, il caso Yücel non è un problema solo tedesco (Cds 01.07.21)

Con un po’ di ironia, che non manca mai negli uomini intelligenti, Deniz Yücel ha detto di non aver scelto la «popolarità» che ha conquistato. La vera scelta — una scelta offensiva per tutti gli amanti della libertà — è stata compiuta dalla Turchia perseguitando un giornalista che non ha mai fatto altro che il proprio lavoro. Rifugiarsi in Germania e lasciare il suo Paese, dove è stato rinchiuso per oltre un anno nel carcere di massima di sicurezza di Silivri, non è servito a proteggersi dalla vendetta di Recep Tayyip Erdogan che lo aveva definito «una spia», utilizzando accuse fabbricate a tavolino come avviene spesso nei regimi autoritari.

La Turchia non molla la presa, insomma, e ora vuole condannare il giornalista per aver parlato di «genocidio armeno» in un articolo pubblicato nel 2016 su Die Welt. Il processo non è iniziato ieri a Istanbul solo a causa dell’indisponibilità di un giudice. Come se non bastasse, Yücel deve rispondere anche di un titolo della Welt Am Sonntag in cui Erdogan veniva definito «il golpista». Sembra uno scherzo, ma si tratta della realtà. A proposito di titoli, all’apparato repressivo turco è fortunatamente sfuggito il libro del reporter pubblicato in Italia da Rosemberg & Sellier, Ogni luogo è Taksim. Da Gezi Park al controgolpe di Erdogan.

È chiaro che la Germania (dove il giornalista si è ormai stabilito definitivamente), è chiamata a fare sentire la sua voce. Lo ha già fatto in passato, peraltro, grazie soprattutto all’impulso di Cem Özdemir, uno dei leader storici del Verdi, che è intenzionato a combattere anche questa nuova battaglia. Come la liberale Gyde Jensen, presidente della commissione diritti umani del Bundestag. Ma il caso Yücel non è un problema solo tedesco. Deve essere un problema dell’intera Europa, troppo cauta nel condizionare i rapporti con Ankara al rispetto di valori che non possono essere calpestati impunemente.

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