Il segreto di Giorgio Petrosyan: “Mi faccio il c..o in palestra. Può bastare?” (Gazzetta.it 15.03.21)

Segreti per essere il numero uno non ne ha, dice alzando la guardia. Kickboxer di professione, Giorgio Petrosyan sa solo di aver cominciato a darci dentro coi guantoni a 13 anni, quando per allenarsi bastavano un sacco da prendere a pugni, una sbarra per trazioni e poco altro. Il fisico è diventato d’acciaio col tempo, tra soddisfazioni e vittorie sul ring, per ora 104 in 110 incontri. “Mi faccio il c… in palestra, direi che può bastare”, racconta sorridendo a Gazzetta Active.

Aveva le idee chiare fin da subito…

“Ho sempre visto il mio futuro sul ring, non ho mai immaginato la mia vita senza questo sport. A sedici anni il primo incontro, vittoria dopo vittoria mi è piaciuto sempre di più. A 18 anni ho capito che poteva diventare il mio lavoro “.

Il 26 febbraio l’ultimo combattimento. Com’è stato tornare sul ring dopo un anno così particolare?

“La situazione è tosta, ma per me è cambiato poco. Abito a duecento metri dalla mia palestra, mi sono sempre allenato. Andavo, aprivo e ci davo dentro. Il difficile è stato semmai lavorare senza incontri fissati e date certe”.

Allenamenti duri, vero?

“Dal lunedì al sabato, due volte al giorno. Al mattino focus su lavoro fisico e forza. Bilancieri, pesi, squat. Nel pomeriggio tecnica. Il cardio non manca mai, anche se di solito corro poco. Ripetute di trenta secondi, per esempio. Adesso ho ancora un po’ di dolore alle tibie per l’ultimo match, ma sto riprendendo pian piano”.

Si diverte in palestra?

“Qua parliamo di botte, non è come nel calcio. Se ti prepari a un incontro, tutti gli allenamenti sono pesanti. Forse solo ora, perché ho gareggiato da poco, posso lavorare in maniera più blanda e scherzare con i compagni”.

I colpi precisi le sono valsi il soprannome di “The Doctor”. Quando hanno cominciato a chiamarla così?

“Nel 2004, dopo un match contro il francese Anis Kabouri. Gli tirai quattro o cinque low kick in serie, fino a mandarlo giù. L’arbitro scattò delle foto. Guardandole notò che erano tutte uguali, con calci a segno nello stesso punto. In quel momento, diventai il chirurgo”.

Cosa scatta quando ufficializzano la data di un incontro?

“Eh (ride, ndr)… Non puoi più scherzare. Inizi a studiare l’avversario, costruisci gli allenamenti su di lui per lavorare sui suoi punti forti e deboli. A tavola poi, niente errori. Anche se sei stanco a livello fisico e mentale, non puoi fermarti”.

Cosa si mangia per restare a livelli così alti?

“A colazione, almeno negli ultimi tempi, mangiavo uno yogurt proteico, duecento grammi di frutta e un pezzo di cioccolato fondente, integrando con vitamine varie. A pranzo, dopo il primo allenamento, 100 grammi di riso, 120 grammi di pollo e verdure. Finita la sessione del pomeriggio, una barretta e un frutto per merenda, mentre per cena 60 grammi di riso uniti a pollo, carne rossa o pesce. Prima di andare a dormire non deve mancare mai lo spuntino, il fisico ne ha bisogno. Negli ultimi giorni ho sgarrato un po’, ma ogni tanto ci vuole”.

Come cambia l’alimentazione a ridosso di un incontro?

“Si mangia di meno e si soffre. Tiro via i carboidrati perché in ONE Championship (l’organizzazione per cui combatte, ndr) non c’è il taglio del peso, bisogna fare 70 kg naturali”.

Anche suo fratello Armen è un lottatore. Com’è condividere una passione-lavoro così in famiglia?

“Ci alleniamo insieme da vent’anni. Mi fido di lui perché mi conosce e ama questo sport. Quando combatto è sempre all’angolo a sostenermi. E io faccio lo stesso quando tocca a lui. Non ci siamo mai incazzati l’uno con l’altro. Io sono calmo e tranquillo, lui è l’opposto. Forse andiamo d’accordo per questo”.

Vai al sito

Alfonso Di Riso nominato ambasciatore d’Italia in Armenia „Alfonso Di Riso nominato ambasciatore d’Italia in Armenia“ (Avellino today 15.03.21)

Il Ministero degli Esteri ha ufficializzato una serie di nomine nelle ambasciate italiane all’estero. Tra queste, compare la nomina di Alfonso Di Riso, nolano doc di origini irpine, scelto come nuovo ambasciatore d’Italia in Armenia. Classe 1965, Di Riso ha frequentato il liceo classico “G.Carducci di Nola” per poi conseguire ben due lauree, la prima in Giurisprudenza alla Federico II di Napoli nel 1988 e la seconda nel 1991 in scienze politiche all’Istituto Universitario Orientale di Napoli. Nel 1998, si è trasferito a Siena dove ha ottenuto il Dottorato di Ricerca in diritto istituzionale. Da qui, per Alfonso Di Riso si sono aperte le porte della carriera diplomatica. Fino al 2017, ha ricoperto l’incarico di ambasciatore d’Italia in Costa D’Avorio.

A complimentarsi con Alfonso Di Riso il Sindaco di Domicella, paese d’origine di suo padre: “Il caro papà buonanima Francesco Di Riso,professore di latino e greco,di origini Domicellesi,oggi sarà orgoglioso di lui come lo è Domicella. Le mie più sentite congratulazioni”.

Potrebbe interessarti: https://www.avellinotoday.it/attualita/alfonso-di-riso-ambasciatore-in-armenia-15-marzo-2021.html

Oltre il nazionalismo con un lucido antimilitarismo (Umanitanova 15.03.21)

Intervista a Guillaume Davranche a cura dell’UCL Montreuil

Vicken Cheterian, insegnante e giornalista del settimanale armeno Agos, era a Yerevan a gennaio. Risponde alle domande di Alternative Libertaire sull’attuale crisi politica e discute le prospettive di un processo di pace e una soluzione politica tra Armenia e Azerbaigian.

Dalla sua sconfitta in Azerbaigian a novembre, dopo sei settimane di una guerra che ha provocato più di 3.000 morti per parte, l’Armenia è precipitata in una violenta crisi politica. Il primo ministro Nikol Pachinian, portato al potere nel 2018 da un movimento sociale anti-corruzione, è accusato di “tradimento” dai nazionalisti per aver firmato l’armistizio. Il personale dell’esercito, che da novembre ha rotto la neutralità, ha recentemente chiesto le sue dimissioni. Nelle strade, pro e anti-pachiniani manifestano a migliaia.

Alternative libertaire: Accusato di aver perso la guerra, minacciato di un colpo di stato militare, Nikol Pachinian rimarrà Primo Ministro? Chi chiede la sua destituzione e chi lo sostiene?

Vicken Cheterian: Dall’armistizio del 9 novembre, la situazione di Nikol Pachinian è stata precaria. L’opinione pubblica, mobilitata dallo sforzo bellico e non riuscendo a comprendere la portata del rovesciamento dei fatti da parte della propaganda, è rimasta scioccata dall’armistizio. Diversi territori precedentemente sotto il controllo armeno sono stati restituiti all’Azerbaigian, come Kelbadjar e Agdam. All’epoca, per protestare contro l’armistizio, il Parlamento fu preso d’assalto da militanti legati al “vecchio regime” ed ai circoli di governo scossi dalla rivolta popolare del 2018. Gli stessi che, oggi, sono a favore del fatto che l’esercito rovesci il primo ministro.

Pachinian, infatti, non è riuscito a tirare fuori il Paese dalla profonda crisi causata dalla sconfitta. Aveva quasi tre mesi per delineare una tabella di marcia invece di procrastinare, un passo avanti, due passi indietro. Dopo aver discusso di elezioni parlamentari anticipate, ha abbandonato l’idea affermando che, poiché l’opposizione non le voleva, non aveva senso convocarle. Lui e i suoi sostenitori hanno anche rifiutato categoricamente l’idea di dimettersi – persino per cedere il potere a un membro del suo gruppo – che probabilmente avrebbe placato la situazione. Il problema è che dopo aver escluso questi diversi scenari di uscita, Pachinian non è riuscito a trovare nient’altro. Va aggiunto che negli ultimi mesi ha irritato moltissimo vari circoli di potere, compreso il personale dell’esercito.

Detto questo, Pachinian gode ancora di un forte sostegno. Un sostegno attivo da parte dei gruppi a lui fedeli ma anche un appoggio passivo, più ampio, da parte della popolazione che non vuole il ritorno della “vecchia guardia”. Quanto ai gruppi di sinistra e antimilitaristi che conosco, chiedono elezioni parlamentari anticipate, per avere un parlamento che rifletta la situazione del dopoguerra.

Alternative libertaire: Come si posizionano i gruppi di sinistra e pacifisti rispetto a Pachinian?

Vicken Cheterian: Lo hanno sostenuto nei giorni in cui era un simbolo della lotta contro l’oligarchia. Dopo la sua ascesa al potere nel 2018, hanno preso le distanze per due motivi. Tanto per cominciare, il dossier Nagorno-Karabakh e Azerbaigian. Inizialmente, Pachinian ha tenuto un discorso pacifista e democratico, evocando la pace non solo tra i governi ma tra i popoli. Quindi, senza spiegazioni, ha preso una linea nazionalista dura, dicendo che non ci sarebbe stato alcun compromesso con Baku. Andando anche oltre, ha rimesso in discussione il quadro dei negoziati sul Karabakh, condotti per decenni sotto l’egida del gruppo di Minsk.[1] Questo voltafaccia è abbastanza difficile da spiegare. Sicuramente è stato fatto sotto la pressione dei circoli dominanti cacciati dalla rivolta del 2018, che hanno continuato ad accusare Pachinian di essere “antinazionale”, di voler ripristinare i territori occupati e di abbandonare il Nagorno-Karabakh. In ogni caso, non doveva adottare questa posizione nazionalista: molto popolare, com’era all’inizio del suo mandato non aveva bisogno di dimostrare di non essere “debole”. Eppure l’ha fatto.

La seconda ragione del disincanto dei gruppi di sinistra e pacifisti verso Pachinian è l’aborto delle riforme politiche ed economiche promesse. In assenza di un programma chiaro, il Primo Ministro si è accontentato di grandi discorsi populisti, fortemente venati di neoliberismo. Il minimo che possiamo dire è che ripetere queste antifone antiquate dopo tre decenni di riforme neoliberiste e capitalismo selvaggio non è stato, per un gruppo portato al potere dalla mobilitazione popolare, affatto convincente…

Alternative libertaire: Quando la crisi sarà finita, sarà possibile un processo di pace tra Armenia e Azerbaigian o la regione ricomincerà altri vent’anni di “tregua armata”?

Vicken Cheterian: Dopo le migliaia di vittime di questa guerra, l’opinione pubblica non è pronta per la pace. Ci vorrà molto tempo per sostituire la propaganda nazionalista con lucide argomentazioni antimilitariste. Uno di questi è che dopo queste due guerre Yerevan e Baku sono più deboli, la loro sovranità più limitata. L’Armenia è completamente dipendente dalla protezione militare russa, mentre l’Azerbaigian ha ora sul suo territorio soldati russi e turchi. Non sarebbe stato meglio negoziare piuttosto che combattere e provocare l’intervento diretto di eserciti stranieri?

Alternative libertaire: Cosa sostengono i pacifisti dei due paesi come soluzione politica?

Deve essere chiaro che i gruppi pacifisti, contro la guerra e antimilitaristi sono sempre stati deboli in Armenia, Azerbaigian e nel Caucaso in generale. Durante il lungo status quo tra la prima (1991-1994) e la seconda guerra del Karabakh (2020), l’opinione pubblica non si è mobilitata, da nessuna parte, per chiedere la fine di questo conflitto che implicava spese militari da capogiro. Gli stati post-sovietici impoveriti del Caucaso hanno sprecato il 5% del loro PIL per la difesa, quando questa ricchezza avrebbe potuto essere utilizzata per la salute, l’istruzione, le pensioni…

Prima dell’ultima guerra, i pacifisti – spesso individui, più raramente gruppi – hanno lottato per mantenere i contatti “nell’altro campo”. Le riunioni si tenevano, di solito, in Georgia. Sono stati realizzati progetti comuni: relazioni, film, ecc. – a volte beneficiando di finanziamenti esteri (europei, britannici, ecc.) che le autorità di Yerevan e Baku disapprovano. Se non venivano incarcerati, questa manciata di attivisti veniva prontamente etichettata come “traditori” dai politici e dai media.

Al presente, la sfida è attraversare ancora una volta la linea del fronte e riaprire il dibattito per rispondere a queste domande: qual è il passo successivo? Cosa fare dopo due guerre? C’è spazio per risolvere questo conflitto e normalizzare le relazioni?

Questa intervista è stata aggiornata il 27 febbraio 2021 dopo le minacce di colpo di stato del 25 febbraio. Una versione leggermente diversa è stata stampata su Alternative Libertaire dal marzo 2021.

Traduzione di Enrico Voccia

Vai al sito

Armenia, presidente e premier discutono possibilità di elezioni anticipate (Sputniknews 13.03.21)

Il presidente armeno Armen Sarkissian ed il premier Nikol Pashinyan hanno discusso oggi della possibilità di indire elezioni politiche anticipate sullo sfondo della grave crisi politica che attanaglia il Paese, ha riferito l’ufficio stampa del capo di Stato.

“Il presidente e il primo ministro hanno discusso della situazione attuale nel Paese e delle soluzioni alla crisi politica interna. L’organizzazione di elezioni anticipate è stata accennata come una possibile soluzione”, si afferma nel comunicato dell’ufficio

La crisi politica è scoppiata a Yerevan dopo che il vicecomandante dello Stato Maggiore armeno ha deriso il controverso commento di Pashinyan sul presunto flop dei missili Iskander consegnati in precedenza dalla Russia durante il conflitto nel Nagorno-Karabakh. Questo situazione ha provocato diversi congedi forzati tra i vertici delle forze armate.

Le forze armate hanno rilasciato una dichiarazione chiedendo le dimissioni dello stesso Pashinyan, il primo ministro ha considerato questo come un tentativo di colpo di stato e ha invitato i suoi sostenitori a scendere in piazza. La richiesta di Pashinyan di mandare in congedo Gasparyan è stata respinta dal presidente Sarkissian, tuttavia il premier ha detto che avrebbe presentato un’altra richiesta per chiedere l’allontanamento del generale dallo Stato Maggiore.

Vai al sito

Putin e leader di Armenia e Azerbaigian rilevano rispetto del cessate il fuoco nel Karabakh (Sputniknews 12.03.21)

Il presidente russo Vladimir Putin, il capo di Stato azero Ilham Aliyev ed il premier armeno Nikol Pashinyan hanno constatato che il cessate il fuoco nel Nagorno-Karabakh viene rispettato e la situazione nella regione resta stabile e tranquilla, ha riferito l’ufficio stampa del Cremlino.

Tra ieri e oggi il presidente russo Vladimir Putin ha avuto colloqui telefonici con Aliyev e Pashinyan, ha fatto sapere il Cremlino.

“È stato constatato con soddisfazione che il regime di cessate il fuoco viene rigorosamente rispettato e la situazione nella regione rimane generalmente stabile e tranquilla”, si legge nella nota.

Alla fine dello scorso settembre nel Nagorno-Karabakh si era riacceso il conflitto congelato nella regione contesa del Nagorno-Karabakh, provocando vittime tra la popolazione civile. Le parti hanno intrapreso diversi tentativi per arrivare ad una tregua, alla fine l’accordo trilaterale tra Armenia e Azerbaigian con la mediazione della Russia raggiunto la notte del 10 novembre ha avuto successo. Le parti in conflitto, armeni e azeri, hanno messo fine alle operazioni militari, deciso di scambiarsi prigionieri ed i corpi delle vittime. L’Armenia ha inoltre ceduto a Baku i distretti di Kelbajar, Lachin e Aghdam della regione, cosa che ha fatto esplodere la rabbia dell’opposizione a Yerevan contro il premier Nikol Pashinyan. Inoltre l’accordo ha previsto il dislocamento delle forze di pace russe nella regione.

Vai al sito

L’acer in fundo di un’intervista diplomatica. Un Pontifex Maximus non può non essere consapevole della strumentalizzazione dei suoi discorsi e degli atti dei suoi ministri (Korazym 12.03.21)

Una delegazione interconfessionale della Repubblica dell’Azerbajgian, guidata dal Direttore esecutivo della Fondazione Heydar Aliyev, recentemente ha visitato lo Stato della Città del Vaticano, per la firma di un nuovo accordo di cooperazione tra l’Azerbajgian e la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra del della Santa Sede sul restauro di antichi affreschi e dipinti cristiani del IV secolo nelle catacombe romane di Commodilla. Il sito islamico francese Musulmansenfrance.fr ha pubblicato il 9 marzo 2021 – il giorno dopo il ritorno di Papa Francesco dal suo Viaggio Apostolico in Iraq e questo è una “coincidenza”… – un’intervista a S.E. Rahman Mustafayev, Ambasciatore della Repubblica dell’Azerbaigian presso la Santa Sede, dal titolo La Santa Sede apprezza molto gli sforzi dell’Azerbajgian per rafforzare il dialogo interreligioso.

Leggendo questa prosa – anche solo diagonalmente, non serve la particolare vocazione alla lente – si comprende tante cose, oltre ogni ragionevole dubbio, circa il reale significato delle relazioni tra la Repubblica dell’Azerbajgian e la Santa Sede. Si è compreso, già con le informazioni che stiamo fornendo da mesi, e adesso anche visto la diplomazia con i proventi del gas azero che sono stati convogliati verso il Vaticano. Proponiamo in una nostra traduzione italiana dal francese dei passaggi più significativi dell’intervista, condotta secondo il classico copione propagandistico azero-turco. Il tutto servito nel tipico stile del diplomatico di turno, che deve vendere la merce (avariata) del suo Paese e soprattutto mettere in mostra la sua personale attività, così che il suo Ministro degli Esteri lo tenga presente per future promozioni.

Lunedì 28 settembre 2020 eravamo tra i primissimi (e in Italia, poco ne hanno parlato) a scrivere dell’aggressione – iniziata la mattina di domenica 27 settembre – dell’Azerbaigian di cultura turca e islamico, armato dalla Turchia islamica con il sostegno dei mercenari tagliagole ammazzacristiani jihadisti islamici, contro la Repubblica di Artsakh, a stragrande maggioranza cristiano armeno [Presidente Arayik Harutyunyan: non è l’Azerbaigian, è la Turchia che combatte contro l’Artsakh. Circa 4.000 jihadisti della Syria combattendo con i turchi dalla parte azera – 28 settembre 2020]. La volontà della Turchia espansionista di Erdogan (il 2 ottobre 2020 ha dichiarato che Gerusalemme appartiene alla Turchia…) è di finire il genocidio degli Armeni consumato dall’Impero islamico Ottomano nel 1915-16, allora una situazione nuova e scioccante per l’opinione pubblica mondiale (almeno quella parte che ne sapeva qualcosa allora), che oggi rimane in silenzio come fu per il genocidio degli Ebrei consumato dal Terzo Reich (“non lo sapevamo”). Solo per fare – al compimento dell’opera di sterminio nazista – giornate alla memoria (e per gli Armeni neanche questo).

Il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan all’inizio di dicembre 2020 era andato a Baku per una visita di due giorni in Azerbajgian, dove il 10 dicembre ha partecipato alla “Parata della vittoria”, organizzata dalle autorità azere per celebrare le conquiste territoriali al termine dei 44 giorni di aggressione contro la Repubblica di Artsakh, sancite dall’accordo di cessato il fuoco imposto dalla Russia. Alla “Parata della vittoria” a Baku, Aliyev ha proclamato che l’area della capitale della Repubblica di Armenia Yerevan, il Zangezur (una striscia di terra montuosa che separa la provincia meridionale armena di Syunik e la Repubblica Autonoma di Nakhichevan in Azerbajgian) e la regione del lago Sevan (il più grande lago dell’Armenia e uno tra i più grandi laghi d’alta quota al mondo, nella provincia di Gegharkunik, ad est del Paese) sono terre storiche azere. La guerra continua, l’odio cresce, il dittatore azero-turco alza la posta. Per tutti gli Armeni si profila un ulteriore futuro di incertezza.

L’analisi del Difensore dei diritti umani dell’Armenia ha confermato, che le dichiarazioni e le espressioni di odio e ostilità incluse nei discorsi dei Presidenti azeri e turchi erano le stesse usate anche dai soldati azeri-turchi durante la recente guerra di aggressione dell’Azerbajgian mentre torturavano, uccidevano o trattavano in modo degradante i prigionieri armeni di guerra e civili prigionieri con eccessivo cinismo e umiliazione. “Questi sono stati i discorsi che hanno costituito negli anni il sistema di predicazione istituzionale in Azerbaigian, volto a diffondere e infliggere odio e ostilità contro gli Armeni in base alla loro etnia, avallando l’impunità esplicita e sostenendo tutto ciò al più alto livello ufficiale”, ha detto il Difensore dei diritti umani dell’Armenia, Arman Tatoyan.

“Nel periodo di settembre-novembre del 2020 i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità commessi dalle forze militari azere sono stati oltre ogni immaginazione umana per il volume e il livello della loro crudeltà: queste sono state azioni che richiedono ulteriori ricerche scientifiche per capire cosa può essere l’estremo della crudeltà di cui un essere umano è capace “, ha affermato il Difensore dei diritti umani dell’Armenia.

Il Presidente turco nel suo discorso pieno di odio e minacce contro l’intero popolo armeno, ha ricordato che oggi è il giorno della glorificazione delle anime di Ahmed Jevad Pasha, Nuri Pasha, Enver Pasha e dei membri dell’Esercito islamico del Caucaso. “È un dato di fatto che queste persone sono i Giovani Turchi, che hanno organizzato e commesso il genocidio armeno nell’Impero ottomano, accompagnandolo con uccisioni, infliggendo danni alla salute, torture e stupri”, ha affermato Tatoyan. “Di questi, Enver Pasha in particolare, durante gli anni del genocidio armeno, fu tra gli organizzatori delle atrocità, nella sua posizione di Ministro militare dell’Impero Ottomano (1913-1918) e Jevad Bey, organizzò e commise le azioni genocide durante la Prima guerra mondiale, nella sua posizione di Comandante della città di Costantinopoli (ora Istanbul) e membro dell’organizzazione speciale statale turca “Teskilat Mahsume”, basata sull’ideologia del pan-turkismo. Inoltre, queste persone, in particolare Nuri Pasha, che era il fratello di Enver Pasha, come parte dell’Esercito islamico del Caucaso, hanno preso parte alle atrocità di massa del settembre 1918 commesse contro gli Armeni a Baku. Queste atrocità sono state anche accompagnate da torture e stupri”, egli aggiunto. “La glorificazione di queste persone dal Presidente turco e farlo con un discorso pubblico pronunciato durante una parata militare mostra espliciti intenti genocidi. Lo scopo di questo discorso è senza dubbio quello di instaurare più odio “, ha sottolineato il Difensore dei diritti umani dell’Armenia.

“Tutto questo è rafforzato da dichiarazioni schiettamente false, che incolpano gli Armeni per la distruzione del patrimonio o degli oggetti religiosi azerbajgiani o turchi”, ha aggiunto. “Questi discorsi sono minacce dirette rivolte alla vita e alla salute dell’intero popolo armeno, la popolazione civile armena, un terrorismo esplicito, che sono sotto il divieto assoluto stabilito dal diritto internazionale. I suddetti discorsi affermano anche la politica genocida dell’Azerbajgian applicata attraverso metodi di pulizia etnica e terrorismo durante questa guerra”, ha detto Tatoyan.

Il Difensore dei diritti umani dell’Armenia ha invitato la comunità internazionale a reagire e ad adottare misure preventive sostanziali riguardo a quelle questioni, che violano i principi fondamentali del diritto internazionale e minano l’intero sistema internazionale dei diritti umani e della protezione umanitaria.

Detto questo – e tenendolo presente mentre scorrono le affermazioni propagandistiche dell’Ambasciatore Mustafayev – ritorniamo all’intervista pubblicato da Musulmansenfrance.fr il 9 marzo 2021, in riferimento ad una recente visita nello Stato della Città del Vaticano di una delegazione interconfessionale della Repubblica dell’Azerbajgian, guidata dal Direttore esecutivo della Fondazione Heydar Aliyev.

La prima parte dell’intervista è un elenco di collaborazioni sul piano artistico, politico e del dialogo interconfessionale (accennando anche a non meglio specificati collaborazioni in ambiente scientifico ed educativo), intramezzata con una rievocazione delle ripetute visite ufficiali in Vaticano del dittatore azero e della sua consorte vicepresidente. La seconda parte ripete la consueta posizione azera, con il diavolo in fondo dell’intervista.

Il Cardinale Gianfranco Ravasi firma da Presidente il nuovo accordo di cooperazione tra l’Azerbajgian e la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra del della Santa Sede sul restauro di antichi affreschi e dipinti cristiani del IV secolo nelle catacombe romane di Commodilla.

Iniziamo con la prima parte. Per quanto riguarda gli obiettivi, l’Ambasciatore Mustafayev afferma che “questa visita, mirava a firmare un nuovo accordo di cooperazione tra l’Azerbajgian e la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra della Santa Sede sul restauro di antichi affreschi e dipinti cristiani del IV secolo nelle catacombe romane di Commodilla. Inoltre, uno degli obiettivi della visita è stato quello di vedere lo stato di avanzamento dei lavori relativi all’accordo concluso a febbraio 2019 tra la Fondazione Heydar Aliyev e la Fabbrica de San Pietro sui lavori di restauro del Santuario di Papa San Leone Magno (440 -461) nella Basilica di San Pietro”. L’Ambasciatore Mustafayev ricorda che “a seguito dei lavori di restauro eseguiti secondo la “Convenzione sul Restauro dei Sarcofagi delle Catacombe di San Sebastian” firmata il 23 febbraio 2016 tra la Fondazione Heydar Aliyev e la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, una cerimonia di apertura delle catacombe restaurate si è svolta il 26 settembre 2018 nel complesso della Chiesa-Museo di San Sebastian con la partecipazione del Primo Vicepresidente Aliyeva. (…) Inoltre, il 28 febbraio 2019 è stata firmata la “Convenzione per il Restauro del Mausoleo nelle Catacombe di Santa Commodilla” tra la Fondazione Heydar Aliyev e la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra”. (…) Ma ai miei occhi uno dei progetti più importanti con il Vaticano è l’“Accordo tra la Fondazione Heydar Aliyev e la Fabbrica di San Pietro in Vaticano sui lavori di restauro dell’acropoli sotto la Basilica di San Pietro e il Santuario di San Leone Magno”, firmato il 28 febbraio 2019. (…) Attualmente i lavori di restauro della basilica e dell’acropoli stanno volgendo al termine e mi auguro che nei prossimi mesi avvenga l’inaugurazione ufficiale dell’altare e dell’acropoli restaurati, che diventerà senza dubbio un evento importante nei rapporti tra i nostri Stati”.

Affreschi di Commidilla.

Lo scopo di tutta questa premura per il patrimonio architettonico della Santa Sede è stato messo subito in chiaro dalle prime battute dell’intervista, con cui l’Ambasciatore Mustafayev ci tiene a “sottolineare che i rapporti con il Vaticano occupano un posto speciale nelle priorità di politica estera” del suo Paese e specifica che “lo sviluppo del dialogo e della cooperazione” con il Vaticano è “di particolare importanza” per gli azeri, “non solo a livello bilaterale ma anche internazionale”. L’Ambasciatore Mustafayev ha voluto ricordare che la cooperazione dell’Azerbajgian con il Vaticano nel campo della conservazione del suo patrimonio culturale e religioso si sta attivamente sviluppando dal 2011 e che “i progetti realizzati in Vaticano con il sostegno della Fondazione Heydar Aliyev contribuiscono a rafforzare ulteriormente i legami tra Azerbajgian e Vaticano, e costituiscono un esempio di dialogo e cooperazione tra Islam e cristianesimo, tra stati musulmani e cattolici”. Poi, L’Ambasciatore Mustafayev “segnala in particolare che la Fondazione Heydar Aliyev ha dato un importante contributo allo sviluppo delle relazioni con la Santa Sede. Il Presidente della Fondazione Heydar Aliyev, il Primo Vicepresidente della Repubblica dell’Azerbajgian Mehriban Aliyeva ha visitato la Santa Sede in sei occasioni (novembre 2011, giugno 2012, giugno 2014, febbraio 2016, settembre 2018 e febbraio 2020) in questi anni”.

L’area di cooperazione dei progetti per la conservazione del patrimonio culturale e religioso del Vaticano realizzati da parte azera “è la più dinamica tra le parti”, sottolinea l’Ambasciatore Mustafayev, “e un grande merito va alla Fondazione Heydar Aliyev e più personalmente al Primo Vicepresidente Mehriban Aliyeva”. Il riferimento ai lavori di restauro dell’acropoli sotto la Basilica di San Pietro e il Santuario di San Leone Magno l’Ambasciatore Mustafayev ci tiene a precisare che “l’importanza di questo progetto va ben oltre il semplice lavoro di restauro. Per la prima volta, un paese musulmano ha avuto accesso per intervenire nel ‘sancta sanctorum’ della Chiesa Cattolica Romana – la Basilica di San Pietro. È un segno di rispetto e riconoscimento dell’importante ruolo dell’Azerbajgian, della Fondazione Heydar Aliyev e personalmente del Primo Vicepresidente Aliyeva nella conservazione del patrimonio culturale e religioso mondiale, compreso il patrimonio della cultura cristiana e la Chiesa Cattolica Romana”.

La collaborazione dell’Azerbajgian con la Santa sede tocca anche altri ambiti, oltre alla realizzazione di progetti sulla conservazione del patrimonio culturale e delle aree della scienza e dell’educazione. L’Ambasciatore Mustafayev rileva che “certamente, il dialogo politico tra i capi dei nostri Stati è di particolare importanza nella nostra cooperazione. In questo contesto, vorrei sottolineare le visite dei Presidenti Heydar Aliyev nel settembre 1997 e Ilham Aliyev nel febbraio 2005, marzo 2015 e febbraio 2020 in Vaticano, nonché le visite dei papi Giovanni Paolo II nel maggio 2002 e Francesco a ottobre 2016 in Azerbajgian, che ha dato un importante contributo allo sviluppo delle relazioni tra i due Paesi”.

Il popolo armeno cristiano è stato oggetto di un genocidio all’inizio del secolo scorso. A tutt’oggi, la Repubblica caucasica, già appartenente all’Unione Sovietica prima della sua dissoluzione all’inizio degli anni ’90, è in conflitto con il vicino Azerbajgian, anche in virtù dell’annosa vicenda relativa al territorio conteso della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh, culminato nell’aggressione militare dell’Azerbajgian, iniziato lo scorso settembre e durato “appena” 44 giorni solo grazie alla mediazione della Russia. Abbiamo riferito passo dopo passo di questa aggressione, con la violazione dei Diritti Umani subita dai civili e dovuta alle numerose violenze perpetrate dall’Azerbajgian tra settembre e novembre scorsi nell’Artsakh/Nagorno Karabakh, con un contorno drammatico fatto di macerie, famiglie distrutte e feriti gravi, difficilmente riparabili con l’apparente tregua ora vigente, imposta dalla Russia. Tutto questo non va dimenticato, mentre l’Ambasciatore parla di “dialogo politico” e di “rafforzare l’atmosfera di comprensione, rispetto e dialogo reciproci tra culture”.

Quale rispetto ha l’Azerbajgian – così premuroso per il patrimonio architettonico storico del Vaticano – per il patrimonio culturale e cristiano armeno nell’Artsakh/Nagorno-Karabakh, abbiamo esemplificato in diversi articoli in questi mesi, documentando numerosi casi di vandalismo e sistematica distruzione da parte dell’Azerbajgian del patrimonio armeno cristiano nei territori storici armeni, occupati con la forza degli armi. L’ultimo in ordine di tempo: Repubblica di Artsakh. A rischio i monumenti armeni per mano azera. Il Parlamento europeo condanna aggressione azera e ingerenza turca – 26 gennaio 2021.

Poi, arriviamo alla seconda parte dell’intervista. In cauda venenum, come nel caso dello scorpione, che in sé sarebbe poco pericoloso, ma che ha per l’appunto una coda altamente velenosa. In questo modo, l’Ambasciatore Mustafayev ha iniziato suo discorso in maniera melliflua, piazzando alla fine la stoccata finale.

L’intervistatore fa da apripista, chiedendo: “Quindi non è un caso che la Santa Sede abbia apprezzato così tanto gli sforzi della Fondazione Heydar Aliyev e personalmente del Primo Vicepresidente Aliyeva, per la tutela del patrimonio culturale del Vaticano e della Chiesa Cattolica Romana…”, a cui l’Ambasciatore Mustafayev risponde: “Sicuramente, nel quadro della visita ufficiale in Vaticano del Presidente della Repubblica dell’Azerbajgian Ilham Aliyev e di sua moglie Mehriban Aliyeva nel febbraio 2020, il Primo Vicepresidente dell’Azerbajgian, Mehriban Aliyeva, è stato decorato con la Gran- Croce – il grado più alto dell’Ordine di Pio IX. Istituito nel 1847, l’Ordine di Pio IX è la più alta onorificenza della Santa Sede che può essere ricevuta da un laico. Questo alto premio è un riconoscimento dell’eccezionale contributo personale del Primo Vicepresidente Mehriban Aliyeva allo sviluppo delle relazioni tra l’Azerbajgian e la Santa Sede, del ruolo attivo dell’Azerbajgian nella conservazione dei patrimoni culturali e della civiltà cristiana, rafforzando il dialogo tra culture. Come il Vaticano ha più volte notato, l’Azerbajgian, attraverso le sue azioni in quest’area, sta dando l’esempio che altri paesi possono seguire. Questa è una valutazione molto alta della politica interna ed estera del nostro paese e dei suoi governanti, specialmente nelle condizioni moderne, quando l’intolleranza religiosa ed etnica e le politiche aggressive diventano la norma nella vita nazionale e internazionale e quando il nazionalismo radicale e lo sciovinismo stanno guidando il liberalismo l’ideologia delle élite al potere in molti paesi del mondo”.

E togliendo ogni dubbio, l’Ambasciatore Mustafayev aggiunge: “Durante l’incontro con il Presidente dell’Azerbajgian, il Segretario di Stato Pietro Parolin ha osservato che ci sono ‘relazioni speciali tra l’Azerbajgian e il Vaticano, e la Santa Sede apprezza molto gli sforzi dell’Azerbaigian per rafforzare l’atmosfera di comprensione, rispetto e dialogo reciproci tra culture’. E il compito della nostra diplomazia è far sì che queste ‘relazioni privilegiate’ si sviluppino ulteriormente, ricche di nuovi contenuti e progetti”.

L’Ambasciatore per la stoccata finale parte da lontano. Inizia spiegando il motivo perché la delegazione azera era composta da rappresentanti di diverse comunità religiose in Azerbajgian, delle comunità cattolica, musulmana, ortodossa e delle due comunità ebraiche, gli ebrei di montagna e gli ebrei ashkenaziti “che hanno visitato per la prima volta il Vaticano in una tale composizione”: “Volevamo che tutti avessero un’idea dell’evoluzione della nostra cooperazione con il Vaticano, con lo Stato teocratico cattolico, e informassero i membri della Curia romana sulla situazione delle comunità religiose nel nostro Paese. Penso che siamo riusciti in questo compito: la visita è stata utile per entrambe le parti. I nostri amici vaticani hanno appreso in prima persona che la tolleranza, la pacifica convivenza e l’interazione tra le diverse comunità religiose non è una bella immagine dalla copertina della rivista, ma la realtà dell’Azerbajgian moderno”.

Poi, l’Ambasciatore Mustafayev prosegue il suo monologo: “Il Vaticano ha ripetutamente affermato di apprezzare molto la tolleranza religiosa ed etnica in Azerbajgian. In particolare, Papa Giovanni Paolo II durante la sua visita a Baku nel maggio 2002 ha detto: «Sono venuto in questo antichissimo Paese, portando nel cuore l’ammirazione per la ricchezza e la varietà delle sue culture. Ricco di diversità e di caratteristiche caucasiche, questo paese ha assorbito i tesori di molte culture, in particolare persiana e altai-turanica. Su questa terra c’erano e fino ad oggi ci sono grandi religioni: lo zoroastrismo coesisteva con il cristianesimo della Chiesa albanese, che ha svolto un ruolo così importante nell’antichità. L’Islam ha successivamente svolto un ruolo sempre più crescente e oggi è la religione della stragrande maggioranza del popolo azero. Da tempo immemorabile, il giudaismo, che gode ancora di grande stima, ha dato il suo contributo unico. Anche dopo che il lustro iniziale della chiesa si è indebolito, i cristiani hanno continuato a vivere fianco a fianco con i credenti di altre religioni. Ciò è stato possibile grazie a uno spirito di tolleranza e comprensione reciproca di cui questo Paese non può che essere orgoglioso».

Durante la Visita Apostolica di Papa Francesco a Baku il 2 ottobre 2016, è stato confermato l’alto apprezzamento della Santa Sede per la politica di tolleranza e benevolenza religiosa condotta dal nostro Paese, il rispetto per tutte le religioni e per i loro aderenti che lavorano in Azerbajgian. A questo proposito, vorrei ricordare le meravigliose parole del Pontefice: «Mi auguro vivamente che l’Azerbajgian prosegua sulla strada della collaborazione tra diverse culture e confessioni religiose. Possa l’armonia e la pacifica convivenza nutrire sempre la vita sociale e civile del Paese, nelle sue molteplici espressioni, assicurando a tutti la possibilità di dare il proprio contributo al bene comune». Mi auguro, rimarca Papa Francesco, «che grazie a Dio e grazie alla buona volontà delle parti, il Caucaso possa essere il luogo dove, attraverso il dialogo e la negoziazione, le controversie troveranno la loro soluzione e il loro superamento, affinché questa regione sia una “Porta tra Oriente e Occidente”, secondo la bella immagine usata da San Giovanni Paolo II».

Le basi di una così proficua collaborazione tra la Repubblica dell’Azerbajgian e la Santa Sede, l’Ambasciatore Mustafayev trova nel “principio più importante della politica interna ed estera dell’Azerbajgian, il sostegno al pluralismo religioso, etnico e culturale”. Poi, prosegue con l’operazione di strumentalizzazione già adoperato con i discorsi di San Giovanni Paolo II e Francesco: “Nella politica estera di Papa Francesco, che attribuisce grande importanza allo sviluppo del dialogo con il mondo musulmano, anche questo principio occupa un posto preponderante. Questa convergenza di due stati su una questione così importante fornisce una solida base per la cooperazione bilaterale. Vi invito a prestare attenzione agli accenti che il Sommo Pontefice ha espresso nei suoi discorsi durante la sua recente e storica visita in Iraq. Ha ripetutamente sottolineato che il pluralismo religioso, etnico e culturale contribuisce al benessere dei paesi e all’armonia della società. E viceversa, l’assenza di questo pluralismo genera terrorismo, violenza e odio. Penso che questa idea sia giusta non solo per il Medio Oriente, ma anche per la nostra regione del Caucaso meridionale. Infatti, il terrore contro i cristiani in Iraq da parte del cosiddetto ‘Stato islamico’, Daesh e la deportazione forzata di musulmani dall’Armenia nel 1987, poi il terrore contro gli azeri e altre minoranze etniche nei territori occupati dalla regione del Karabakh dell’Azerbajgian dall’Armenia nel 1991-1993 – sono manifestazioni della stessa ‘malattia’ – intolleranza religiosa e nazionale, impreparazione al dialogo interculturale e assenza di pluralismo religioso ed etnico”.

Quindi, gli Azeri musulmani strumentalizzano i discorsi di Papa Francesco in Iraq per accusare gli Armeni cristiani della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh di terrorismo e accreditare il Presidente-dittatore dell’Azerbajgian Ilham Alyev e la sua invasione militare con il sostegno della Turchia e dei mercenari jahadisti islamici siriani come benedetta dalla Santa Sede e in particolare dal Segretario di Stato, il Cardinale Pietro Parolin (costui di cui Papa Francesco disse sul Volo Papale Tallinn-Roma il 25 settembre 2018, parlando del sciagurato accordo segreto della Santa Sede con il regime dittatoriale comunista della Cina continentale firmato il 22 settembre 2018, “che è un uomo molto devoto, ma ha una speciale devozione alla lente: tutti i documenti li studia: punto, virgola, accenni. Questo mi dà una sicurezza molto grande”; il medesimo che disse: “Ma che persecuzioni! Bisogna usare le parole correttamente”, in risposto ad una domanda di Avvenire in merito all’accordo sulla nomina dei vescovi tra Cina e Santa Sede, rinnovato il 22 ottobre 2020 per altri due anni, negando che nella Cina comunista la Chiesa Cattolica Romana sia perseguitata con parole che purtroppo non sono suffragate dai fatti, andando oltre la consueta prudenza nelle dichiarazioni imposta dalla diplomazia, riuscendo ad essere offensive verso le sofferenze dei fedeli cinesi; degno erede del Cardinale Agostino Casaroli e la sua infausta “Ostpolitik”).

Tutto questo toglie qualsiasi dubbio sulla posizione della Santa Sede nella orribile vicenda dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh. Non mi risulta che oltre alle poche parole generiche di Papa Francesco – durante l’Angelus seguito all’incontro con Karekin II, il Patriarca Supremo e Catholicos di tutti gli Armeni della Chiesa apostolica armena del 27 settembre 2020, Papa Francesco ha parlato della situazione delicata del Caucaso chiedendo il ritorno alla diplomazia ed un nuovo cessate il fuoco, seppur senza riferirsi esplicitamente alla situazione del Nagorno-Karabakh – la Santa Sede abbia preso sull’aggressione azera-turca-jihadista contro la Repubblica di Artsakh una posizione a favore degli armeni cristiani.

Evitare di prendere una posizione, è prendere già posizione. E questo sfonda le porte, spalanca le finestre e abbassa i ponti levatoi alla strumentalizzazione [*]. Lo dimostra in modo chiaro e limpido questa intervista all’Ambasciatore dell’Azerbajgian presso la Santa Sede Rahman Mustafayev. E visto la prassi della Santa Sede, è inutile attendere una protesta formale per le gravissime affermazioni e falsità contenute in questa intervista. Ormai i giochi sono fatti e gli Azeri-Turchi liberi a completare il genocidio armeno nel Nagorno-Karabakh.

Nel frattempo, il titolo dell’intervista è tragicomico (La Santa Sede apprezza molto gli sforzi dell’Azerbajgian per rafforzare il dialogo interreligioso), pensando al modo in cui l’esercito azero conduce il “dialogo interreligioso” con i cristiani armeni nelle loro terre che hanno occupato.

[*] Strumentalizzareverbo transitivo derivato di strumentale: servirsi di qualcuno o di qualcosa, o anche di un evento, di un fatto, di una situazione, esclusivamente come mezzo per conseguire un proprio particolare fine, non dichiarato ed estraneo al carattere intrinseco di ciò di cui ci si serve.

Vai al sito

Col propagarsi della pandemia infuria anche la guerra in Nagorno-Karabakh (Globalvoices 11.03.21)

Nessuno può auto isolarsi in una zona di guerra.

E una zona di guerra è proprio ciò in cui si è trasformata Nagorno-Karabakh. Il 27 Settembre, sono scoppiati forti scontri nel mezzo di un attentato da parte dell’Azerbaijan per riconquistare il territorio a sud del Caucaso. La guerra in corso è ad oggi la più violenta dal 1994, quando un instabile cessate il fuoco ha lasciato Nagorno-Karabakh sotto il controllo delle forze etniche Armene come stato di fatto. Anche se il Nagorno-Karabakh non è riconosciuto dall’Armenia, Yerevan fornisce un ampio supporto economico e militare, e la maggior parte dei residenti nella regione sono cittadini armeni.

Le forze armate azerbaigiane hanno bombardato la capitale Stepanakert con artiglieria, droni, e secondo un recente report della Human Rights Watch (HRW), anche con munizioni a grappolo [en, come i link seguenti, salvo diversa indicazione]. Le vittimi civili sono state segnalate nella città, e molti dei 55.000 abitanti si sono spostati nella vicina Armenia. I pochi rimasti devono mettersi al riparo nei rifugi antiaereo e nei sotterranei. Vi è inoltre stata un’interruzione dell’alimentazione elettrica.

Fino ad ora, due cessate il fuoco umanitari mediati dalla Russia sono falliti. Le forze armate Azerbaigiane hanno fatto rapidi progressi nel sud del Nagorno-Karabakh, lungo il confine con l’Iran. Il 23 ottobre, i soldati azerbaigiani si trovano a vari chilometri dal principale punto di passaggio tra il Nagorno-Karabakh e l’Armenia, conosciuto come il Corridoio di Lachin’. [it]

Mentre gli scontri continuano, la domanda da porsi non è se Karabah possa fronteggiare una crisi umanitaria, ma come questa possa essere evitata. Questa guerra è stata combattuta nell’ombra di una pandemia — la COVID-19 incombe su uno stato non riconosciuto a livello internazionale, quasi separato dal suo unico collegamento con il supporto esterno, mentre si avvicina l’inverno.

Il 26 Settembre, il giorno prima che le ostilità iniziassero, Hetq, un media investigativo armeno, ha riportato le ultime cifre del Ministero della Salute di Nagorno-Karabakh. Afferma che sono stati registrati 421 casi di COVID-19 nel territorio. Quella settimana, anche i media armeni hanno riportato che il Nagorno – Karabakh ha registrato 12 nuovi casi di COVID-19 in un solo giorno; un grande aumento per un territorio di 140.000 abitanti.

Emerge che le autorità sanitarie non sono riuscite a stare al passo con le nuove statistiche sui casi di COVID- 19 da quando è iniziata la guerra.

Global Voices ha tentato di contattare il Ministero della Salute di Nagorno-Karabakh, ma senza successo. Tuttavia, il 22 ottobre, il Ministro della Salute Ararat Ohanjanyan indica all’agenzia Associated Press che molti degli operatori sanitari locali a Krabakh erano a conoscenza di essere stati infetti, ma hanno mantenuto il silenzio. “Non abbiamo avuto il tempo di rintracciare coloro che erano stati contagiati mentre Stepanakert veniva bombardata, e questo ha permesso una diffusione del contagio” afferma Ohanjanyan, che continua a lavorare nonostante sia risultato positivo al test.

Combattere efficacemente una pandemia mentre si cerca di sopravvivere ad una guerra risulta praticamente impossibile. Secondo un reportage di Euronews risalente al 21 Ottobre, alcuni dei pazienti affetti dalla COVID-19 a Stepanakert si sono dovuti riparare dalle bombe in alcuni scantinati insieme a persone non ancora infette, aumentando così il rischio di contagio.

“Oggettivamente e personalmente, nessuno può porre sufficiente attenzione alle misure di prevenzione”, ha spiegato il responsabile diritti umani in Nagorno-Karabakh, Artak Beglaryan durante una conversazione telefonica.

Lika Zakaryan, una giornalista di Stepanakert, in uno scambio con Global Voices, ha dichiarato senza tanti giri di parole che “a nessuno interessa della COVID-19 in questo momento. Molte persone probabilmente sono infette, date le ferite di guerra negli ospedali” ha dichiarato la giornalista di CivilNet, una testata giornalistica online armena.

Zakaryan inoltre aggiunge che per quanto è di sua conoscenza, la maggior parte degli ospedali in Nagorno-Karabakh, incluso il policlinico di Stepanakert, sono operanti. Mher Musaelyan, direttore del reparto di Clinica Medica del Republican General Hospital a Stepanakert, ha confermato a Global Voices, durante una conversazione telefonica, che non era a conoscenza di nessun monitoraggio su larga scala del tasso di infezioni da COVID-19. “Ad ora, il nostro compito principale è quello di curare i feriti”, ha spiegato il Dr. Musaelyan, sottolineando che i dottori faranno del loro meglio per curare tutti coloro che presentano sintomi della COVID-19.

Tuttavia, alcune strutture mediche sono state danneggiate dai bombardamenti. Per esempio, anche se è presumibile che i più grandi ospedali del territorio abbiano i loro generatori di corrente, un attacco azerbaigiano sulla principale centrale elettrica di Stepanakert ha portato alla perdita di elettricità nella città il 3 ottobre. Il 14 ottobre, invece, sono comparse alcune foto mostranti il bombardamento di un ospedale nella fortemente contestata città di Martakert, per le quali gli ufficiali Armeni affermano sia stato un attacco intenzionale, negato dalla controparte azerbaigiana.

Questa guerra arriva insieme ad un aumento dei casi di COVID-19 in tutto il Caucaso del Sud.

L’Armenia è stata quella più colpita duramente all’inizio. Il 22 ottobre, i media hanno riportato un incremento di 2306 casi di COVID-19 in un solo giorno – il dato peggiore dall’inizio della pandemia a marzo. Ma non sono buone le notizie neanche per l’Azerbaigian; il 21 ottobre la capitale Baku ha registrato il record giornaliero con 825 casi.

Dato l’elevato aumento di casi, gli ufficiali armeni iniziano a dubitare che il loro già tormentato sistema sanitario sia in grado di affrontare un incremento della richiesta. E quella richiesta è considerevole, dal momento che la guerra ha già portato migliaia di armeni da Nagorno-Karabakh a fuggire verso il sud dell’Armenia [ru]. Beglaryan stima che circa il 60% della popolazione del territorio sia già stata dislocata.

“Il nostro sistema sanitario potrebbe presto collassare se la situazione continua così, e potremmo non essere più in grado di ricoverare i casi più gravi. Al momento abbiamo 2000 pazienti negli ospedali,” ha segnalato l’epidemiologa Lusine Paronyan in una conferenza stampa il 22 ottobre. Paronyan, che dirige il Centro Nazionale di Controllo delle malattie del Ministero della Salute dell’Armenia, ha aggiunto che i servizi sanitari stanno lavorando con i militari per assicurare che, tramite il rintracciamento dei contatti, il virus non abbia raggiunto il fronte.

“Stiamo tracciando ogni singolo caso diagnosticato della COVID-19 per chiedere a tutti coloro che sono stati in stretto contatto di isolarsi. Questi dati sono forniti dal Ministero della Difesa della Repubblica di Armenia, così da essere in grado di impedire al virus di raggiungere le prime linee.” – Lusine Paronyan, Ministro della Salute.

Paronyan e i suoi colleghi, inoltre, hanno sollecitato gli armeni a ricordare che ora il paese si trova a fronteggiare due guerre, e che nessuna delle due è stata ancora vinta:

Ufficiale del Centro Nazionale per il Controllo delle Malattie e Prevenzione dell’Armenia: Dallo scoppio della guerra in Artsakh, i casi della COVID- 19 sono drasticamente aumentati del 13%. Ha chiesto alla gente di rimanere vigile e di seguire i protocolli di sicurezza.

Arsen Torosyan, il Ministro della Salute Armeno, insinua che la leadership dell’Azerbaigian sarebbe colpevole di qualunque incremento delle morti dovui alla COVID-19 in Armenia e Karabakh:

Le #aggressioni militari durante la #pandemia hanno raddoppiato la natura #terrorista della leadership azerbaigiana.

Le organizzazioni internazionali evocano sempre più la pandemia nei loro appelli per un ridimensionamento.

“L’Armenia non sta vincendo. L’Azerbaigian non sta vincendo. La COVID-19 sta vincendo. Dobbiamo fermarlo.” sollecita il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Gutierres il 21 ottobre.

Per Hans Klüge, capo dell’Organizzazione Mondiale della Salute (WHO), ulteriori ostilità contribuirebbero direttamente ad una seria diffusione dei casi della COVID-19.

“Non prevedo che la guerra abbia un impatto; già so che ce l’ha,” conclude Beglaryan, difensore dei Diritti Umani. “È chiaro che il conflitto ha influenzato negativamente la pandemia, molto negativamente. Non abbiamo i numeri esatti a causa del carico di lavoro che il sistema sanitario si trova a fronteggiare. Questo non sta testando e trattando i casi adeguatamente come faceva prima, quindi non abbiamo nemmeno delle statistiche generali. Sulla base delle mie conversazioni con i dottori e il Ministero della Salute, è abbastanza chiaro che i numeri sono aumentati svariate volte. Non due volte e nemmeno tre, ma probabilmente dieci o quindici. Si sta attivamente espandendo.”

Ma la nostra conversazione è stata interrotta.

“Stanno colpendo di nuovo” ha detto Beglaryan, e chiude la chiamata.

Questa sera, Stepanakert è stata attaccata ancora una volta.

Vai al sito

Madonna di Fatima, per la prima volta la statua originale in Armenia e Georgia (AciStampa 11.03.21)

Sarà a settembre e ottobre che l’immagine numero 2 della Vergine Pellegrina di Fatima sarà trasportata nel Caucaso, per un viaggio senza precedenti che ha anche la speranza di favorire venti di pace della regione. Oltre a Georgia e Armenia, la statua passerà anche in Azerbaigian.

La statua percorrerà dunque tutto il Caucaso, risiedendo in parrocchie e comunità cattoliche dei tre Paesi con il preciso intento di favorire “riconciliazione e pace” in una area difficile, dove restano dei conflitto congelati, ma anche conflitti caldi come quello azero-armeno riguardante il territorio del Nagorno Karabakh, che ha avuto come esito un accordo doloroso per l’Armenia e che rischia di sfociare in un genocidio culturale.

L’arcivescovo José Avelino Bettencourt, nunzio in Georgia e Armenia, ha fatto sapere che “i cattolici del Caucaso sono felici di apprendere della visita dell’Immagine di Nostra Signora di Fatima nella Regione”.

“Le parrocchie e le comunità cattoliche – ha detto ad ACI Stampa l’arcivescovo Bettencourt – stanno preparando con entusiasmo le celebrazioni.  È la prima volta che la statua internazionale della Madonna di Fatima visita il Caucaso meridionale”.

In Georgia, in particolare, i vescovi hanno consacrato tutto l’Anno Pastorale alla Madonna di Fatima, la cui statua girerà per tutte e 35 le parrocchie del Paese a maggioranza ortodossa.

Durante l’anno pastorale, c’è l’idea di offrire una serie di nuove iniziative, a partire dai progetti della Commissione Famiglia della Chiesa Cattolica Georgiana, che includono incontri sulle Sacre Scritture, incontri di preparazione alla famiglia e al matrimonio, un campo estivo per le giovani coppie.

La scultura della Vergine dei Fatima fu commissionata nel 1919 da Gilberto Fernandes dos Santos, un devoto di Torres Novas, alla Casa Teixeira Fanzeres di Braga.

La scultura è opera di José Ferreira Thedim, ed è ispirata ad una immagine di Nostra Signora di Lapa, modellata però secondo le visioni dei pastorelli nel mondo in cui qeste erano state trasmesse al sacerdote Manuel Formigao.

La scultura fu realizzata con cedro del Brasile, ed è alta 1,04 metri. Fu benedetta il 13 maggio 1920 dal parroco di Fatima, padre Manuel Marques Ferreira, e portata alla cappella delle apparizioni solo un mese dopo, perché allora le manifestazioni religiose erano proibite dal regime repubblicano.

Vai al sito

ARMENIA: Pashinyan pronto alle dimissioni (Esat Journal 11.03.21)

Dopo la sconfitta nella seconda guerra in Nagorno-Karabakh, l’Armenia è entrata in una fase di grave instabilità interna. Il primo ministro, Nikol Pashinyan, è il capro espiatorio di una crisi i cui germi fermentavano ormai da tempo, le pressioni dell’opposizione, le tensioni con l’esercito e le drammatiche condizioni economico-sociali del paese rendono la sua capitolazione sempre più probabile, al punto che lui stesso, il primo marzo scorso, ha ventilato la possibilità di indire elezioni anticipate.

Il cessate il fuoco – un paese sotto shock

Con il cessate il fuoco del 9 novembre, Erevan ha perso il controllo di molti territori, che, dopo quasi trent’anni di occupazione, sono ritornati sotto l’effettivo controllo azero. La repubblica non riconosciuta del Nagorno-Karabakh si trova adesso in una situazione di grande vulnerabilità e isolamento e l’unica possibilità per i suoi abitanti di raggiungere l’Armenia è il corridoio di Lachin, al momento controllato dalle forze di peacekeeping russe. Tale esito, tanto in patria quanto tra la diaspora, è stato percepito come un’inaccettabile tragedia. Il sempre più stretto sodalizio tra Istanbul e Baku, l’assenza di qualsiasi tipo di relazioni tra Armenia e Turchia – il cui confine è chiuso dagli anni ‘90 – e la retorica di guerra non aiutano il popolo armeno a superare il senso di persecuzione che si porta dietro dai tempi del genocidio. Al tempo stesso, l’amputazione territoriale non può che esacerbare un sentimento revanchista in un paese che non ha mai smesso di sognare il mito di una  “Grande Armenia”.

Queste emozioni, che certamente richiedono particolare attenzione da parte di Erevan, devono convivere con l’emergenza sociale portata dalla guerra in un paese già provato da un problema cronico di povertà diffusa e dalle conseguenze della pandemia. A una situazione dunque già complessa, si aggiungono ora la necessità di assistere i cittadini che hanno abbandonato i territori occupati e una ripresa economica che non lascia spazio ad aspettative ottimistiche. Per dare un’idea della gravità della situazione, a gennaio ha avuto particolare risonanza la triste storia di un’anziana signora di 70 anni che, non potendosi permettere il riscaldamento, è morta nel sonno, assiderata.

La polemica sui missili Iskander e la reazione dell’esercito

Ad accendere la miccia delle tensioni interne è stata un’affermazione dell’ex presidente Serzh Sargsyan, che, criticando la gestione della guerra da parte di Pashinyan, ha accusato il primo ministro di non aver saputo fare buon uso dei missili russi Iskander, acquistati nel 2016. Pashinyan, dal canto suo, ha raccolto la provocazione, dichiarando pubblicamente che tali missili sarebbero stati usati nel recente conflitto, ma si sarebbero rivelati inutili. Secondo il premier, infatti, non solo tali dispositivi spesso non esplodevano in seguito all’impatto, ma, quando succedeva, producevano solo il 10% degli effetti sperati.

La risposta, prevedibile, dei vertici dell’esercito non si è fatta attendere; il generale Tigran Khachatrian ha rilasciato un’intervista in cui definisce “prive di senso” le affermazioni del primo ministro. In tutta risposta, Pashinyan ha chiesto al presidente, Armen Sarkissian, di rimuovere il generale dal suo incarico. A questo punto, lo scontro tra potere politico e forze armate era inevitabile. Il 25 febbraio 40 alti ufficiali dell’esercito hanno diffuso una nota in cui chiedevano le dimissioni  del primo ministro, che dal canto suo ha rifiutato di rassegnarle e ha disposto il licenziamento del capo di stato maggiore dell’esercito, denunciando un tentato golpe.

Gli scontri tra esercito e potere politico non sono mai un buon sintomo, specie in un paese sconfitto e prostrato dalla guerra: appare evidente che, se Pashinyan vorrà restare al potere, dovrà accettare di ricucire i rapporti con l’apparato militare.

La reazione della Russia 

Nella polemica sui missili Iskander, il Cremlino è stato automaticamente chiamato in causa dalle accuse di Panishyan. Il ministro della Difesa russo ha dichiarato che nessuno di quei missili è stato utilizzato nella guerra in Nagorno-Karabakh e il primo ministro si è scusato, ammettendo di essere stato “male informato”.  Le scuse sono state accettate e, con le parole di Dimitri Peskov, la “verità ristabilita”.

Tuttavia, nel pomeriggio del 25 febbraio, si è verificato un evento piuttosto strano, che potrebbe far sospettare un coinvolgimento russo più attivo nelle vicende degli ultimi giorni: mentre la folla gremiva le piazze della città e Panishyan denunciava il golpe, un jet militare ha per più volte sorvolato la città a bassa quota. Secondo la Piattaforma di Investigazione dei Fatti, un’organizzazione indipendente dedita al fact checking, si trattava di un MiG-29, velivolo che l’Armenia non possiede, ma di cui sono appostati alcuni esemplari nella base militare russa di Gyumri. Il ministro della Difesa armeno ha subito spiegato che si era trattato di una mera coincidenza e che Mosca stava semplicemente svolgendo un’esercitazione militare.

Elezioni anticipate

Dopo aver dichiarato pochi giorni prima di non avere alcuna intenzione di rassegnare le dimissioni, Pashinyan il primo marzo ha aperto la prospettiva di elezioni anticipate, chiedendo all’opposizione di accettare il compromesso. Tornare alle urne potrebbe in realtà essere una scelta ragionevole per il primo ministro. Infatti, nonostante la sconfitta militare abbia gravemente scalfito i suoi consensi, la coalizione di governo è in testa ai sondaggi con il 33% dei consensi.

Purtroppo, però, le proteste – pur vedendo anche la partecipazione di partiti che hanno seggi in parlamento – sono organizzate dall’opposizione extraparlamentare, che al tema elettorale non è molto sensibile e continua a chiedere le dimissioni di Pashinyan cui dovrebbe seguire un governo ad interim che porti a nuove elezioni entro un anno. Il 9 marzo, Vazgen Manukian – già primo ministro nel 1990 e attualmente leader del partito di opposizione Salvezza dell’Armenia – ha incitato la folla a bloccare gli ingressi del parlamento.

“Che ne sarà di Pashinyan?” Questa è una delle domande che in questi giorni aleggia tra le vie di Erevan. Essa tuttavia ne sottintende un’altra, molto più importante: la rivoluzione di velluto finirà per essere travolta dalla storia? Qualora Pashinyan dovesse uscire sconfitto da questa impasse, potrebbe concludersi l’esperienza politica che nel 2018 ha portato alla destituzione di Sargsyan. Insomma, il cessate il fuoco è stato raggiunto, ma la vita politica armena nel breve termine non sembra destinata a trovare pace.

Vai al sito

Armenia: rappresentante Unicef Clark-Hatting accusata di spionaggio ha lasciato il Paese (Agenzia Nova 11.03.21)

La rappresentante dell’Unicef in Armenia Marin Clark-Hatting ha lasciato il Paese. A riferirlo la sua portavoce Zara Sargsyan all’agenzia di stampa “Armenpress”, secondo cui “l’ufficio continuerà il suo regolare lavoro, in attesa di un presidente ad interim”. In precedenza, la portavoce del ministero degli Esteri armeno, Anna Naghdalyan, aveva sottolineato alcune carenze della rappresentante dell’Unicef in Armenia, soprattutto per l’approccio di lavoro non sufficientemente collaborativo di Clark-Hatting. Di conseguenza, il governo armeno ha deciso di interrompere il suo mandato come rappresentante dell’Unicef. Tuttavia, secondo alcuni organi di stampa la vera ragione della sua estromissione è che le autorità armene avrebbero scoperto il suo coinvolgimento in attività di spionaggio e raccolto informazioni per conto dei governi dell’Azerbaigian e del Regno Unito. (segue) (Rum)