Armenia: elezioni anticipate, opposizione accetta compromesso con premier Pashinyan ma manca l’intesa coi repubblicani (Agenzianova 03.10.18)

Erevan, 03 ott 16:32 – (Agenzia Nova) – I negoziati sulle elezioni anticipate che si sono svolti ad Erevan a partire da ieri sera hanno portato al raggiungimento di un compromesso tra il primo ministro, Nikol Pashinyan, e la maggior parte delle forze politiche in parlamento, con l’eccezione del Partito repubblicano d’Armenia (Pra). Principale fautore del controverso disegno di legge che emenda il regolamento interno del parlamento, il Pra resta l’unica forza politica a opporsi alla volontà espressa da Pashinyan di indire elezioni anticipate entro fine anno. Le discussioni che questa mattina erano state definite “infruttuose” da Edmon Marukyan, esponente del blocco Yelk (Via d’Uscita) sotto la guida del premier, si sono concluse con svariate forze d’opposizione (Armenia Prospera, la Federazione Rivoluzionaria Armena e il blocco Tsarukyan) che hanno assicurato che non presenteranno un candidato per la carica di primo ministro, qualora Pashinyan dovesse decidere di dimettersi per accelerare il processo che condurrebbe alle elezioni anticipate. (segue) (Res)

Napoli: il Complesso di San Gregorio Armeno (touringclub.it 02.10.18)

Alla scoperta del Complesso di San Gregorio Armeno, situato sull’omonima via, tra le più famose del centro storico di Napoli per le botteghe e i banchetti degli artigiani che perpetuano la tradizione del presepe napoletano. Una visita guidata in esclusiva per i soci e gli amici del Tci. Ammireremo la chiesa (popolarmente conosciuta come Chiesa di Santa Patrizia) e il monastero, con la straordinaria ricchezza degli ambienti.
Scheda della visita
La chiesa di San Gregorio Armeno – che da il nome alla strada – unitamente all’annesso chiostro costituiscono un valido esempio di architettura barocca napoletana.
L’intero complesso è una struttura ricca di storia, sia spirituale che artistica, tra le più belle della città di Napoli.
La costruzione della chiesa risalirebbe intorno all’anno 1000, dove prima già sorgeva una precedente chiesa che si dice fosse stata fatta edificare da Sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino, nel luogo dove si trovavano le rovine del tempio pagano
di Cerere. In quella chiesa nell’ VIII secolo, le monache di San Basilio, fuggite dall’Oriente in seguito alle conquiste dei musulmani, vi portarono le spoglie di San Gregorio di Armenia, fondando il complesso monastico che porta il nome del Santo.
La chiesa di San Gregorio Armeno è anche conosciuta come chiesa di Santa Patrizia, protettrice della città insieme a San Gennaro, in quanto in essa sono custodite le spoglie della Santa.
La struttura dell’edificio ha subito diverse ristrutturazioni nel corso dei secoli. Oggi si presenta con un’elegante facciata costituita da una cancellata a tre arcate. L’interno di impianto cinquecentesco è costituito da una navata unica e da cinque cappelle laterali ricche di decorazioni barocche davvero originali. Si possono ammirare tra gli altri, affreschi di Luca Giordano e di Dionisio Lazzari (altare maggiore). Molto bello è il soffitto a cassettoni.
Adiacente alla chiesa si può visitare lo splendido chiostro, opera dell’architetto Vincenzo della Monica. Qui ci si sente subito rapiti dalle numerose opere d’arte che esso contiene. Eleganti gruppi marmorei, affreschi e fontane in un giardino ben curato. Lungo i corridoi del portico sarà possibile visitare il salotto della Badessa, il coro delle monache, il refettorio, le grate, un piccolo museo contenente utensili un tempo adoperati dalle suore per le loro attività e l’antica Cappella intitolata a Santa Maria dell’Idria (l’ambiente più antico di tutto il complesso).

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Adieu, Charles (Rassegna 02.10.18)

Quotidianocontribuenti.com

di Patrizia Orofino

Chahnourth Varinag Aznavourian, in arte Charles Aznavour è passato a miglior vita ieri, all’età di 94 anni. Nacque a Parigi nel 1924 da genitori armeni, la madre scampò al genocidio armeno del 1915,  quel massacro che fu causa della, deportazione obbligata degli armeni, verso prigioni controllate dai turchi e la morte di 1.500.000 persone, uno sterminio degli inizi del novecento.

Un miracolo che i genitori di Aznavour riuscirono a salvarsi, per poi ritrovarsi da immigrati  a vivere in Francia; il padre faceva il cuoco, la madre  era figlia di commercianti armeni. Da ragazzino fu introdotto nel mondo teatrale e dello spettacolo proprio dai suoi genitori che, intravedevano in lui doti e talenti artistici da coltivare. Nel 1946 la meravigliosa Edit Piaf, lo nota e lo porta con lei per una tournèe in Francia e all’estero che, gli diede l’opportunità di farsi conoscere, ma anche di fare la sua prima vera esperienza di chansonnier della canzone francese.

Negli anni Cinquanta del Novecento, diviene una star. Numerose furono le sue esibizioni nei più famosi palcoscenici  di tutta Parigi e della Francia, prediligendo tuttavia l’Olympia. Le sue interpretazioni, nel corso della sua lunghissima carriera lasciavano il segno negli spettatori che andavano a sentire i suoi concerti; mai banali i suoi spettacoli, la buona musica e gli eccellenti testi scritti proprio da lui, gli permisero di entrare nel cuore di milioni di persone in tutto il mondo.

Il suo talento andava oltre la canzone d’amore. Fu uno dei primi ad intrerpretare nel 1972 una canzone dedicata agli omosessuali: “Che si dice”, infatti, attacca i preconcetti omofobi molto pesanti e presenti, all’epoca nella vita di coloro i quali non erano liberi di amare ufficialmente persone dello stesso sesso.

Il suo immenso talento camaleontico gli consentì di cantare in sette lingue: inglese, francese, italiano, spagnolo, tedesco, russo e napoletano (quest’ultima considerata una vera e propria lingua unica ed inimitabile). Vendette oltre 300 milioni di dischi in tutto il globo, il suo repertorio evergreen ancora oggi è riproposto da tanti artisti di nuova generazione. Ha duettato con la crème dei cantanti di fama mondiale come: Liza Minnelli, Compay Segundo, Cèline Dion, e con artisti italiani del calibro di: Mia Martini, Iva Zanicchi e Laura Pausini. Altrettanti omaggi, resi ad Aznavour da cantautori italiani che, da Modugno a Battiato, da Enrico Ruggieri a Gino Paoli, Renato Zero, Mina, Milva e tanti altri, hanno cantato in italiano le sue opere.

Canzoni come: “Ed io tra di voi”, ” L’Istrione”, ” Com’è triste Venezia”, ” La Boheme”, sono solo alcuni esempi di come il  cantautore gentiluomo, ha lasciato la sua arte ai posteri.

Ha conosciuto e vissuto la vita, ed i suoi valori più intimi, riportando tutto questo in poesia d’amore e di vita. In 94 anni di cose ne ha viste Aznavour, attraversando generazioni e tuttavia anticipandone spesso i suoi mutamenti sociali. La sua carriera ricca di percorsi, ci ha insegnato come l’arte arrivi all’animo più intimo e personale di un individuo; la sua vita personale, quella di un figlio di immigrati scampati ad un genocidio, ci riporta ai giorni nostri, a ciò che viviamo. Storie uguali di guerre, di dolore di violenza, cui gli immigrati cercano di sfuggire e che spesso, si ritrovano isolati perchè “diversi”.

La diversità il 22 Maggio del 1924 portò una ricchezza in più alla Francia ed al mondo, la nascita  di Charles Aznavour, esempio di un’opportunità di vita migliore, in un paese straniero;  quella della realizzazione di un sogno realizzato che, non poteva essere compiuto se quel paese straniero non avesse accolto i genitori di Aznavour.

Arrivederci e non addio maestro, perchè ogni qualvolta  che, riascolteremo una tua chanson, tu sarai lì a farcela rivivere interamente come sempre. Grazie straordinario chansonnier per averci regalato un pezzo della tua anima. 


Il rifugio svizzero di un cantante popolare in tutto il mondo (Swissinfo 02.10.18)

Charles Aznavour viveva in Svizzera dal 1972. Una scelta che non era motivata solo dalla pressione del fisco francese. “La Svizzera è un’oasi di pace”, aveva dichiarato a swissinfo.ch il cantante, i cui genitori erano fuggiti dal genocidio armeno un secolo fa.

“La Svizzera è un’oasi di pace. Tutto è più calmo, più pudico, anche i semafori rossi diventano più lentamente verdi e viceversa. È un paese che rispetto e amo molto. Ho fatto naturalizzare i miei figli”, dichiarò nel 2011 Charles Aznavour a Bernard Léchot, all’epoca giornalista di swissinfo.ch e tuttora musicista.

E il poeta delle parole e delle melodie aggiunse: “Io ho rinunciato per una questione di fedeltà. La Francia ha dato ai miei genitori la possibilità di avere una vita normale e crescere i loro figli. Non potevo tradire questo. Ho lasciato la Francia molto adirato, perché mi ha ferito molto. Ho subito un vero e proprio linciaggio”.

È nel 1972 che si trasferisce in Svizzera con la famiglia. Dapprima nel Vallese. Il “blocco aznavouriano”, secondo le sue parole al quotidiano La Tribune de Genève, trasloca in seguito nel cantone di Ginevra, sulle rive del lago Lemano, dal quale non stacca gli occhi nel 2012 cambia di nuovo casa e si trasferisce a Saint-Sulpice nel cantone di Vaud.

Ambasciatore dell’Armenia in Svizzera

Lo scorso aprile ha fatto la sua ultima apparizione pubblica in Svizzera. A Ginevra, l’ambasciatore – in Svizzera e all’ONU – Charles Aznavour partecipa all’inaugurazione dei “Lampioni della memoria”, un memoriale dedicato agli armeni massacrati un secolo fa in Turchia e ai tanti svizzeri che si erano allora mobilitati in loro favore.

“L’ho trovata di una sublime bellezza. Più svizzera che armena, anche se è un giovane armeno che l’ha concepita. Non è un monumento ai morti, è un luogo formidabile: sembra una Rambla, dove ci si avventurerebbe per incontrare una futura sposa…”, aveva detto a swissinfo.ch nel 2011, in merito all’opera.

Un progetto che ha avuto grandi difficoltà a concretizzarsi, a causa delle pressioni del governo turco.

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Il genocidio armeno mette in luce la crisi attuale in Medio Oriente

Di Frédéric Burnand, Ginevra

I Lampioni della Memoria rendono omaggio agli armeni uccisi oltre un secolo fa in Turchia e agli svizzeri che si sono mobilitati in loro favore.

Qual è stato il suo legame tra le canzoni che ha scritto e la tragedia vissuta dagli armeni? “Ciò che mi ha avvicinato alle difficoltà delle persone è questo. Il dolore di vivere è lì. Troviamo tutto ciò negli armeni, ma anche negli spagnoli, negli ebrei, nei maghrebini, oggi, come ieri nei neri americani. Ho letto poesie di donne armene, anonime, sono molto vicine al mio modo di scrivere”, aveva risposto a Bernard Léchot.

Charles Aznavour è stato un cantautore popolare per eccellenza per la sua capacità di trovare le parole e le melodie per cantare la vita quotidiana, a volte drammatica, della gente comune.

Nell’intervista a swissinfo.ch del 2011, aveva dichiarato: “Ho appena scritto una canzone sulla Shoah. Ma è una canzone d’amore. Perché? Perché? Perché un giorno ho incontrato una persona che aveva incontrato sua moglie in un campo di concentramento. E che aveva dunque trovato l’amore nel campo di concentramento. La mia canzone è questo. L’amore è nato in un luogo che è un disastro, un orrore”.

Un’esaltazione della vita e un’empatia che ha coltivato con il suo amato pubblico: “Incontro regolarmente il mio pubblico al di fuori del palcoscenico: faccio la spesa da solo, non ho guardie del corpo, conduco una vita normale, in un’atmosfera amichevole. Siccome parlo diverse lingue, posso comunicare con persone provenienti da luoghi molto diversi. Incontrando questo pubblico tutti i giorni, si acquista una vicinanza che traspare quando si scrivono le canzoni anche per lui, il pubblico”.


Charles Aznavour che lasciò la Francia per la Svizzera (Caratteriliberi.it)

di Frédéric Burnand –
“La Svizzera è un’oasi di pace. Tutto è più calmo, più pudico, anche i semafori rossi diventano più lentamente verdi e viceversa. È un paese che rispetto e amo molto. Ho fatto naturalizzare i miei figli”, dichiarò nel 2011 Charles Aznavour a Bernard Léchot, all’epoca giornalista di swissinfo.ch e tuttora musicista.

E il poeta delle parole e delle melodie aggiunse: “Io ho rinunciato per una questione di fedeltà. La Francia ha dato ai miei genitori la possibilità di avere una vita normale e crescere i loro figli. Non potevo tradire questo. Ho lasciato la Francia molto adirato, perché mi ha ferito molto. Ho subito un vero e proprio linciaggio per essermi espresso su politica e immigrazione”.

È nel 1972 che si trasferisce in Svizzera con la famiglia. Dapprima nel Vallese. Il “blocco aznavouriano”, secondo le sue parole al quotidiano La Tribune de Genève, trasloca in seguito nel cantone di Ginevra, sulle rive del lago Lemano, dal quale non stacca gli occhi nel 2012 cambia di nuovo casa e si trasferisce a Saint-Sulpice nel cantone di Vaud.

Ambasciatore dell’Armenia in Svizzera:

Lo scorso aprile ha fatto la sua ultima apparizione pubblica in Svizzera. A Ginevra, l’ambasciatore – in Svizzera e all’ONU – Charles Aznavour partecipa all’inaugurazione dei “Lampioni della memoria”, un memoriale dedicato agli armeni massacrati un secolo fa in Turchia e ai tanti svizzeri che si erano allora mobilitati in loro favore.

“L’ho trovata di una sublime bellezza. Più svizzera che armena, anche se è un giovane armeno che l’ha concepita. Non è un monumento ai morti, è un luogo formidabile: sembra una Rambla, dove ci si avventurerebbe per incontrare una futura sposa…”, aveva detto a swissinfo.ch nel 2011, in merito all’opera.

Un progetto che ha avuto grandi difficoltà a concretizzarsi, a causa delle pressioni del governo turco.

Qual è stato il suo legame tra le canzoni che ha scritto e la tragedia vissuta dagli armeni? “Ciò che mi ha avvicinato alle difficoltà delle persone è questo. Il dolore di vivere è lì. Troviamo tutto ciò negli armeni, ma anche negli spagnoli, negli ebrei, nei maghrebini, oggi, come ieri nei neri americani. Ho letto poesie di donne armene, anonime, sono molto vicine al mio modo di scrivere”, aveva risposto a Bernard Léchot.

Charles Aznavour è stato un cantautore popolare per eccellenza per la sua capacità di trovare le parole e le melodie per cantare la vita quotidiana, a volte drammatica, della gente comune.

Nell’intervista a swissinfo.ch del 2011, aveva dichiarato: “Ho appena scritto una canzone sulla Shoah. Ma è una canzone d’amore. Perché? Perché? Perché un giorno ho incontrato una persona che aveva incontrato sua moglie in un campo di concentramento. E che aveva dunque trovato l’amore nel campo di concentramento. La mia canzone è questo. L’amore è nato in un luogo che è un disastro, un orrore”.

Un’esaltazione della vita e un’empatia che ha coltivato con il suo amato pubblico: “Incontro regolarmente il mio pubblico al di fuori del palcoscenico: faccio la spesa da solo, non ho guardie del corpo, conduco una vita normale, in un’atmosfera amichevole. Siccome parlo diverse lingue, posso comunicare con persone provenienti da luoghi molto diversi. Incontrando questo pubblico tutti i giorni, si acquista una vicinanza che traspare quando si scrivono le canzoni anche per lui, il pubblico”.

(Traduzione dal francese – fonte:  tvsvizzera.it)


Aznavour, l’ultimo chansonnier che aveva la passione per l’Italia (Messaggeroveneto.it)

«Io sono un istrione. E l’arte, l’arte sola è la vita per me. Se mi date un teatro e un ruolo adatto a me il genio si vedrà», cantava Shahnourh Varinag Aznavourian, per tutti Charles Aznavour, lo chansonnier francese di origine armena mancato ieri nel sonno all’età di 94 anni nella sua casa a Mouriès, in Provenza. La notizia della morte è stata data dal suo ufficio stampa. Aznavour era la Francia, quella dalla vocazione internazionale, quella dell’accoglienza che ne ha fatto un precursore della contaminazione musicale. «Mi sono interessato a tutti gli stili della musica – ebbe a dire a Le Monde – sono orgoglioso di essere stato in qualche modo il primo a farlo in Francia. Ecco perché ho avuto successo nei paesi del Maghreb, tra gli ebrei, i russi». In settant’anni di carriera “l’istrione”, probabilmente il cantante francese più famoso al mondo, scoperto da Edith Piaf, ha scritto oltre 1400 canzoni e ne ha incise più di 1200, in sette lingue (francese, inglese, italiano, spagnolo, tedesco e russo) e ha recitato in un’ottantina di film e telefilm. In Italia numerosi suoi pezzi, da “Come è triste Venezia” a “La Bohème” ne hanno fatto un’icona della musica. Un gigante nonostante arrivasse a fatica a un metro e sessantacinque d’altezza.

Aznavour ha partecipato a due edizioni di Sanremo, sempre fuori gara, nel 1981 con “Poi passa” e nel 1989 con “Momenti sì, momenti no”, ha duettato con grandi artiste italiane come Milva, Mia Martini e Laura Pausini, così come ha fatto con star internazionali come Nana Mouskouri, Liza Minnelli, Compay Segund e Céline Dion.

Molti interpreti della musica leggera italiana hanno inciso canzoni da lui scritte e cantate nei più grandi teatri del mondo, a cominciare dall’Olympia a Parigi dove era di casa: Domenico Modugno, Mina, Ornella Vanoni e Gino Paoli, solo per citarne alcuni. Nel 1971 lo chansonnier scomparso ieri vinse il Leone d’oro a Venezia per la canzone “Morire d’amore”, utilizzata come colonna sonora per l’edizione italiana dell’omonimo film diretto da André Cayatte. Nel 2009 la città di Firenze gli rese omaggio consegnandogli il Giglio d’argento «per la sua straordinaria carriera artistica tra cinema e musica, per l’impegno a sostegno del popolo armeno, della pace e della libertà». Memorabile il concerto del 23 luglio dello scorso anno all’Auditorium Parco della Musica di Roma per celebrare i 70 anni della sua straordinaria carriera. Sul palco a 90 anni passati, la classe di sempre e fu davvero un peccato, quest’estate, l’annullamento del concerto in programma a Palmanova, cancellato a causa di un infortunio.

Nato il 22 maggio 1924 a Parigi da genitori armeni immigrati dalla Turchia e dalla Georgia, sfuggiti al genocidio perpetrato all’Impero ottomano, Aznavour si è sempre battuto per la causa armena, con un’intensa attività diplomatica che nel 2009 lo portò anche a diventare l’ambasciatore del proprio Paese d’origine in Svizzera, dove negli anni Settanta siera trasferito per problemi con il fisco francese.

Per la stessa causa nel 1989 riunì a Milano una sessantina di artisti per registrare il brano da “Per te Armenia” in supporto del progetto “Fondazione Aznavour per l’Armenia” per aiutare i bambini orfani armeni.


Aznavour e la sua Armenia. Storia breve di un amore doloroso e mai tradito (AGI.it)

La casa di Charles Aznavour a Erevan ha la vista sul Monte Ararat, quello che segnò la fine del Diluvio Universale sostenendo il peso dell’Arca di Noè. Luogo caro agli ebrei, segnati nella storia del secolo scorso dal più grande genocidio della storia, così come lo erano stati gli armeni qualche anno prima della Soluzione Finale. Uno sterminio voluto da un gruppo di ufficiali nazionalisti turchi, che fecero fare il lavoro sporco ai curdi per non avere troppi imbarazzi: tipico di ogni impero multietnico come lo era quello ottomano. Secondo alcune stime i morti furono un milione e mezzo, ma è impossibile dare cifre certe.

Due identità in una sola anima

La storia personale di Aznavour iniziava proprio con quella orribile strage, e la fuga dei superstiti in ogni angolo d’Europa e del mondo. Proprio come gli ebrei. Lui non era ancora nato, ma sua madre gli trasmise in quel di Parigi dove si era rifugiata con il padre, armeno anche lui, due cose. La prima il senso dell’identità, per cui si possono avere due patrie ed essere fedeli a entrambi; la seconda il senso di una presenza cupa di violenza e dolore che pervade le esistenze.

Forse è per questo che lui, Aznavour, una piega amara nell’espressione l’ha sempre mantenuta, anche se per sua stessa ammissione la parte piacevole della vita non gli era per nulla estranea. Francese e armeno, tutta la vita senza concessioni alle facili argomentazioni dei sovranisti per cui sei una cosa o dei un’altra: l’animo umano è troppo stretto per comprendere due continenti.

Quando è bene sapere

Ora, non è che Aznavour abbia fatto una bandiera della sua doppia identità culturale. Parlava francese (e altre quattro lingue) ed in francese cantava. Ma soprattutto dopo il 1989, quando il crollo dell’Urss fece scoprire agli occidentali l’altra metà del mondo scongelando antiche culture e vecchie rivalità, sentì la voce dell’altra metà dell’Io che lo chiamava suadente come se stesse cantando “Devi sapere”: “La dignità devi salvare / malgrado il male che senti … ”. Sarà stata anche una canzone d’amore del 1962, ma sembrano le sensazioni di qualcuno a cui la Storia torna addosso, tutta in una volta con il suo peso schiacciante.

Le vicende dell’Armenia da quel momento diventano quasi un’ossessione, come se lui, scampato al massacro, cercasse di farsi perdonare da chi non era riuscito a mettersi in salvo.

La riscoperta dell’antica masseria

In realtà l’impegno risale a poco tempo prima: era il 1988 – piena era gorbacioviana, quando nessuno nemmeno immaginava cosa sarebbe successo di lì a pochi mesi – e la Repubblica Sovietica d’Armenia venne sconvolta da un terremoto. Venticinquemila morti, forse il doppio, intere città distrutte e Gorbaciov in persona che si deve umiliare a chiedere aiuto all’America di Ronald Reagan. Lui canta (in francese) “Pour toi Armenie”, e la fa interpretare a 90 suoi colleghi di ogni cultura e lingua. I proventi serviranno alla ricostruzione. Lui ha ritrovato la sua prima casa. Parafrasando un libro che ha fatto conoscere anche all’Italia il massacro degli armeni, la sua prima masseria.

Un ponte aereo privato

Il salto di qualità, comunque, viene spiccato quando l’Urss già non esiste più: l’Armenia è indipendente da appena un anno e si scatena la guerra con il vicino Azerbaigian, a causa di un’enclave in territorio azero chiamata Nagorno Karabakh. Di nuovo, come settant’anni prima, l’incubo della pulizia etnica. Lui, senza dire niente a nessuno, paga il biglietto per fuggire in Occidente a migliaia di persone. Un ponte aereo privato.

A Erevan non se lo dimenticano: lo nominò rappresentante permanente presso l’Unesco, poi ambasciatore in Svizzera (lui vi vie per alcuni anni; si dice anche a causa di problemi con il fisco francese, ma l’uomo è essere molto complicato, alle volte), poi “eroe nazionale”. Gli intitolano una piazza: è l’immagine dell’Armenia nel mondo e al tempo stesso quella di una identità nazionale che non ha bisogno del nazionalismo per affermarsi. Anche se la lingua prediletta resta sempre quella, il francese.

Undici fuggiaschi in tre stanze

Una lingua, per l’appunto, imparata da piccolo, armeno errante, sulle strade di Parigi vivendo la condizione psicologica (ancora una volta la Masseria delle Allodole di Antonia Arslan) di chi cerca “il caldo nido di una volta: non estranea, non ospite, ma passeggera in attesa di un treno di cui non conosco l’orario”.

Forse è anche per questo che, quando nella Parigi occupata dai nazisti inizia la caccia all’ebreo, nelle tre stanze della casa degli Aznavourian (il vero nome della famiglia Aznavour) vivevano madre, padre, due figli e 11 uomini e donne in fuga dall’Olocausto. Due popoli, un unico dolore. Anche se lui, verso la fine della vita, annoterà con mestizia: “Mi duole molto che Israele non abbia riconosciuto il genocidio degli Armeni: fu quello il modello a cui i nazisti si rifecero per la Soluzione Finale degli Ebrei”.

 

Morte Charles Aznavour, le reazioni: da Macron al Presidente armeno, fino a Pausini e Ranieri (Rassegna 2 – 01.10.18)

Repubblica

Tante personalità hanno espresso cordoglio per la scomparsa del grande chansonnier francese. Brigitte Bardot: “Era il nostro Asso immortale, Asso fra i poeti, della canzone francese, della popolarità”

Cordoglio per la morte di Charles Aznavour è stato espresso dalle istituzioni francesi e armene, come dal mondo della musica e del cinema. Il presidente francese Emmanuel Macron ha commemorato su Twitter la scomparsa del cantautore francese definendolo “profondamente francese, attaccato visceralmente alle sue radici armene, riconosciuto in tutto il mondo, Charles Aznavour ha accompagnato le gioie e i dolori di tre generazioni. I suoi capolavori, il suo timbro, il suo splendore unico sopravvivranno per lungo tempo”, ha concluso il capo dell’Eliseo. Per il primo ministro armeno Nikol Pachinian, la morte di Aznavour è una “perdita enorme per il mondo intero”. Pachinian lo ha definito “uno dei figli straordinari del popolo armeno”.  “Il grande Charles è andato via”, scrive su Facebook l’ex presidente Nicolas Sarkozy, aggiungendo: “Ci lascia le sue parole, le sue melodie, la sua voce: quella di un genio assoluto, di un poeta della canzone francese”. “Da Erevan fino a Parigi, ha cantato in tutte le città del mondo, per l’amore e la libertà”, gli fa eco François Hollande.

Profondamente commossa per la scomparsa la cantante Mireille Mathieu invoca “funerali di stato” per il “patriarca”. Cordoglio espresso anche da Brigitte Bardot che ha dato il suo addio a Charles Aznavour definendolo “il nostro Asso degli ambasciatori del talento nel mondo. Era il nostro Asso immortale, Asso fra i poeti, della canzone francese, della popolarità. Rimarrà il nostro Aznavour per sempre”.Laura Pausini ha scritto sui social di aver “avuto il grande onore di incontrarlo e di cantare con lui Parigi in agosto. Charles era anche l’idolo di mio padre Fabrizio e un giorno racconterò come si sono incontrati, è stato commovente. Il mio pensiero è per la sua bella e grande famiglia che durante questi 94 anni della sua vita lo ha accompagnato con la sua musica in tutto il mondo”.

Per Massimo Ranieri “con Charles Aznavour se ne va l’ultimo grande vecchio, un papà, il più grande, non esiste un altro gigante così. La notizia della sua morte mi ha destabilizzato. Non c’è più nessuno che ci guidi. È sempre stato un faro per me. I giovani neanche conoscono la grandezza dell’arte di Aznavour, non hanno tempo, vivono attaccati ai cellulari. Io ho sempre guardato a lui come modello come chansonnier, mentre come cantante mi ispiravo a Sinatra e al grande nero, Ray Charles. Aznavour era un talento, oltre che nella musica, anche al cinema, a teatro, come ballerino e scrittore. Mi sono sempre ispirato a lui. Tutti vorremo essere così, lui lo era veramente. Il brano L’istrione fotografa in un attimo una straordinaria carriera”.

Rita Pavone ha scritto su Twitter: “Ebbi la gioia di conoscerlo e frequentarlo durante il mio bellissimo periodo francese negli anni Settanta. Che sia un viaggio sereno, grande Charles”.

Anche Andrea Bocelli ha voluto ricordate con un tweet l’artista: “Charles, hai stupito sempre con la tua arte e la tua brillante ironia. Qualche giorno fa, per il mio compleanno, mi avevi detto: ’60 anni, sei giovane Andrea! Anche io ho avuto 60anni… ma circa 30, anzi 34 anni fa. Spero di vederti presto!’. In realtà eri il più giovane di tutti e, nonostante una carriera lunga quasi un secolo, eri pronto a partire in concerto ovunque e in qualunque momento. Il mio affetto e la mia stima nei tuoi confronti resteranno sempre intatti e la tua passione per questo lavoro saranno per me un esempio continuo. ‘Se vuoi essere amato dal pubblico, devi amare il pubblico’, questo dicevi, e infatti hai indubbiamente infuso in questa arte una quantità incredibile d’amore”.


Morto Charles Aznavour, il padre degli chansonnier (Il Gazzettino)

Charles Aznavour è morto. Il cantante francese di origini armene, monumento della canzone francese, aveva 94 anni. Nato a Parigi nel 1924 da immigrati di origine armena, Shahnour Vaghinagh Aznavourian, in arte Charles Aznavour, debuttò a teatro come attore di prosa. Nel dopoguerra, grazie a Edith Piaf che lo portò in tournée in Francia e negli Stati Uniti, si mise in luce come cantautore.

Ma il riconoscimento mondiale arrivò nel 1956 all’Olympia di Parigi con la canzone Sur ma vie: uno strepitoso successo che gli permise di entrare nella storia degli chansonnier francesi. Il fatto che Aznavour cantasse in sette lingue gli consentì di esibirsi in tutto il mondo divenendo ovunque famosissimo. Si esibì alla Carnegie Hall e nei maggiori teatri del mondo, duettando con star internazionali come Nana Mouskouri, Liza Minnelli, Sumiva Moreno, Compay Segundo, Céline Dion e, in Italia, con Mia Martini e Laura Pausini.

In Italia per quasi tutte le versioni italiane delle sue canzoni collaborò con il paroliere Giorgio Calabrese. Il suo ultimo concerto nel nostro Paese risale a giugno scorso. All’estero le sue canzoni sono state spesso reinterpretate da numerosi artisti come Elton John, Bob Dylan, Sting, Placido Domingo, Céline Dion, Julio Iglesias, Edith Piaf, Liza Minnelli, Sammy Davis Jr, Ray Charles, Elvis Costello e moltissimi altri. Il suo impegno come cantautore non impedì di battersi da sempre per la causa armena, con un’intensa attività diplomatica che gli è valsa la nomina di Ambasciatore d’Armenia in Svizzera.​


Aznavour, l’ultima intervista a Verona  «Sono un artigiano, sono Aznavour e basta»   (L’Arena)              

È morto a 94 anni Charles Aznavour, ultimo dei giganti della canzone francese, padre degli chansonnier.Qui lo celebriamo con l’intervista che concesse a TeleArena in occasione del concerto in Arena del 14 settembre 2016 per celebrare i suoi 70 di carriera. Mostrando ancora una straordinaria lucidità, unite a un’umiltà sconfinata nonostante la sua fama e il suo valore. (Vai all’intervista)


Morto Charles Aznavour. Il re della canzone francese, aveva 94 anni (Panorama)

Aveva 94 anni Charles Aznavour. Tra le sue canzoni più famose, La Mère (La mamma), She (Tous les visages de l’amour), l’Istrione. Esordì sul teatro mondiale grazie ad Edith Piaf e nella carriera ha duettato con star come Liza Minnelli, Céline Dion, Mia Martini e Laura Pausini

E’ morto, a 94 anni, Charles Aznavour. Nato a Parigi nel 1924 da immigrati di origine armena, debuttò a teatro come attore di prosa. Nel dopoguerra, grazie a Edith Piaf che lo portò in tournée in Francia e negli Stati Uniti, si mise in luce come cantautore. Il riconoscimento mondiale arrivò nel 1956 all’Olympia di Parigi con la canzone Sur ma vie: un successo che lo catapultò nella storia degli chansonnier francesi. Tra le sue canzoni più famose, La Mère (La mamma), She (Tous les visages de l’amour), La Boheme, L’Istrione.

Grazie alla sua capacità di cantare in 7 lingue, si esibì nei maggiori teatri del mondo, duettando con star internazionali come Liza Minnelli, Compay Segundo, Céline Dion e, in Italia, con Mia Martini e Laura Pausini. In Italia per quasi tutte le versioni italiane delle sue canzoni collaborò con il paroliere Giorgio Calabrese. Le sue canzoni sono state reinterpretate da artisti come Elton John, Bob Dylan, Sting, Placido Domingo, Julio Iglesias, Edith Piaf, Sammy Davis Jr


Musica in lutto: è morto Charles Aznavour, la voce di Francia (Euronews)

Addio a Charles Aznavour, il “Frank Sinatra di Francia”. Il cantautore si è spento nella sua casa nelle Alpilles, in Provenza, all’età di 94 anni.

Un’intera vita consacrata alla musica: salì per la prima volta sul palco all’età di 9 anni. E fino all’ultimo ha voluto esibirsi davanti al suo pubblico. Il 26 ottobre era previsto un concerto a Bruxelles e poi a novembre ancora una tournée in Francia. Perché, aveva dichiarato più volte, smettere di cantare avrebbe siginificato morire.

Dopo un tour in Giappone, una caduta e la conseguente frattura al braccio lo avevano costretto quest’estate ad annullare i concerti, compresa l’unica data italiana del 23 giugno a Palmanova, in Friuli.

In un’intervista con ironia aveva immaginato la sua orazione funebre: “Vorrei che fosse breve, che non durasse due ore… E che la gente presente fosse felice, felice di essere viva”, aveva detto.

La vita di “Aznavoice”

Di origini armene, Aznavour nasce il 22 maggio del 1924 da genitori artisti: suo padre era stato un baritono, sua madre un’attrice, che era riuscita a scampare al genocidio. A soli nove anni Aznavour è già immerso nel mondo artistico parigino.

L’incontro che gli cambierà la vita avviene nel 1946, quando il suo cammino si incrocia con quello di Édith Piaf, che accompagnerà nelle tournée in Francia e negli Stati Uniti.

Scrive e interpreta successi come La mamma, Et pourtant (1963), For me formidable (1964), Que c’est triste Venise (1964), La Boheme (1965) e Emmenez-moi (1967). Aznavour si esibisce sui piu importanti palcoscenici internazionali. Canta in sette lingue, persino in napoletano.

Ma grande è anche il suo impegno civile. Dopo il terremoto del 1988 nella sua Armenia, che contò oltre 25mila vittime, Aznavour si spende nella raccolta di fondi per i sopravvissuti e incide con 89 artisti un disco per beneficienza, che vende milioni di copie.

Nel 1994 porta tonnellate di aiuti alimentari e medicine ai rifugiati del conflitto del Nagorno Karabakh, donando più di tre milioni di franchi francesi, circa 500mila euro, per costruire un ospedale.

Nel 1997 il presidente Jacques Chirac gli conferisce la Legion d’Onore, per aver dato lustro alla Francia nel mondo. Nel 2006 presenzia alle commemorazioni del genocidio armeno del 1915. Al memoriale di Erevan canta l’Ave Maria, davanti al papa Giovanni Paolo II.

Nel 2008 Aznavour ottiene la cittadinanza armena, e nel 2009 diventa ambasciatore dell’Armenia in Svizzera e rappresentante permanente del Paese presso la sede Onu a Ginevra.

Molti cantanti e interpreti di fama internazionale hanno voluto duettare insieme a lui. Tra loro Julio Iglesias, che di Aznavour disse: “È forse il più grande artista pop del continente europeo“.


Addio a Aznavour, l’istrione che fece piangere Wojtyla (Famiglia Cristiana)

Si è spento a 94 anni il grande cantante francese di origini armene. Una vita intensissima illuminata anche da una profonda fede. Come quella volta nel 2001 in cui Giovanni Paolo II venne in visita nella sua terra natale…

Certo, dispiace sempre quando un grande artista ci lascia. Ma non si può dire che Charles Aznavour, scomparso a 94 anni, non abbia avuto una vita ricca sotto ogni punto di vista. Nato da genitori armeni scampati al genocidio dei turchi, sopravvissuto all’occupazione nazista di Parigi durante la quale la sua famiglia diede rifugio a decine di ebrei, scoperto da Edith Piaf, amico di Marlene Dietrich, autore di circa 1400 canzoni molte delle quali tradotte in italiano, sei figli avuti da tre matrimoni (l’ultimo, però, è durato oltre cinquant’anni), ha composto musica e fatto concerti fino all’ultimo. Era infatti reduce da un tour in Giappone.

E dire che da ragazzo tutti lo prendevano in giro dicendo che era basso e brutto e che quella voce che avrebbe incantato il mondo intero non era un granché. Ma lui ha sempre creduto in sé stesso, come canterà in una delle sue canzoni più celebri: “Io sono un istrione, ma la genialità è nata insieme a me. Nel teatro che vuoi dove un altro cadrà, io mi surclasserò“.

Ambasciatore dell’Onu per l’Armenia, nel 2001, quando Giovanni Paolo II visitò il Paese, Aznavour cantò per lui l’Ave Maria di Gounod, facendo commuovere il Papa fino alle lacrime. E quando anni nel 2016 Papa Francesco definì “genocidio” quanto avvenne nella sua terra all’inizio del Novecento, Aznavour gli scrisse una lunga lettera per ringraziarlo del suo coraggio.

Le sue canzoni sono nell’immaginario di tutti, fino a diventare paradigmatiche. Un esempio su tutti? Ed io tra di voi, vero manifesto di tutti gli amanti traditi: “Ed io tra di voi se non parlo mai, ho già visto tutto quanto…”.

In Italia lo abbiamo visto l’ultima volta l’anno scorso a Roma. Aveva cantato per la millesima volta “devi saper lasciar la vita. Ma l’amo troppo ancor e dirle addio non so”. Ora quel momento è arrivato. Arrivederci, magnifico istrione.

È morto Charles Aznavour: «Esaltava l’identità francese con il cuore sempre in Armenia» (Cds 01.10.18)

«Charles Aznavour è stato un immenso interprete che ha incarnato la Francia restando profondamente legato al suo Paese del cuore che era l’Armenia. Ha rappresentato la Francia legata alle migrazioni e alle tragedie della Storia. Era il simbolo di tutto questo, anche se lo si sentiva nella personalità e nelle sue prese di posizione, mentre nelle canzoni non traspariva immediatamente». Aurélie Filippetti, ministra della Cultura dal 2012 al 2014, nata in Lorena in una famiglia originaria di Gualdo Tadino (Perugia), ha conosciuto e apprezzato Aznavour, condividendo con lui un’identità plurale fatta di amore per la Francia e di radici mai dimenticate.

Che cosa ama nelle canzoni di Aznavour?
«C’è una parte tragica, sempre in sottofondo, che lascia intendere una specie di nostalgia, forse legata alla sua storia personale, e che non era mai esplicitata nelle canzoni».

Forse è questa profondità ad averlo reso universale?
«Credo di sì, non ci sono in Francia artisti internazionali quanto lui. Lo possiamo paragonare solo a Édith Piaf, la sua poesia era universale».

Lo ha incontrato quando era ministra?
«Sì, ho avuto la fortuna di conoscerlo e me lo ricordo come un uomo davvero impegnato. Al di là delle canzoni, teneva moltissimo alle cause che gli stavano a cuore, in particolare quella legata agli armeni. Ma poi mi parlò anche della sua voglia di aiutare i giovani artisti a crescere».

Come se lo ricorda da un punto di vista personale?
«Me lo avevano descritto come un uomo talvolta difficile, un po’ caratteriale. Invece mi sono trovata davanti una persona di straordinaria gentilezza. La sua personalità mi aveva molto toccata».

Senza mai sconfinare nella militanza politica, Aznavour ha affrontato certi temi con coraggio. Nel 1972 pubblica «Comme ils disent», una canzone sull’omosessualità nella Francia di Pompidou, quando era punita dal Codice penale e considerata una malattia mentale.
«È stato uno dei primi ad affrontare questo argomento, un fatto eccezionale per l’epoca, e Aznavour non era omosessuale».

Da ministra lei ha voluto attribuire la Legion d’Onore a Bob Dylan, provocando qualche polemica poi ripresa quando Dylan ha vinto il Premio Nobel per la Letteratura. Come giudica i testi di Aznavour? Hanno anche loro dignità letteraria?
«Credo che Aznavour sia uno dei quattro o cinque più grandi cantanti francesi di sempre non solo per la musica o la sua voce straordinaria, che pure all’inizio era molto criticata, ma per la scelta delle parole».

Sono giorni questi in cui si parla continuamente di identità nazionale. Aznavour è nato in Francia, diceva che il suo Paese era la Francia, ma questo non gli impediva di amare anche l’Armenia. «Sono come il caffè latte — disse una volta —, una volta mescolato non si può separare l’uno dall’altro». Era moderno anche in questo?
«Proprio così, era la prova che non esiste un problema di lealtà. Era profondamente francese, lo rivendicava e sapeva di essere una bandiera del nostro Paese nel mondo, e allo stesso tempo non ha rinunciato alla sua parte armena e questo non dava fastidio a nessuno. Incarnava bene il popolo francese nella ricchezza delle sue origini».

È un atteggiamento che sente di avere anche lei, nata in Francia in una famiglia di immigrati italiani?
«Certamente. Noi non siamo stati vittime di un genocidio come gli armeni, ma sento che è possibile avere un’identità composita, essere profondamente francese mantenendo un legame con le origini, nel mio caso italiane. Vicino a Lione ho avuto l’occasione di inaugurare un centro nazionale per la memoria armena. È una parte importante della storia della Francia, e Aznavour ha saputo esprimerlo alla perfezione».

Morto Aznavour, un grande della Francia e un padre per l’Armenia (Rassegna 01.10.18)

Il Messaggero

È morto un mito vivente, Charles Aznavour, nome d’arte di Chahnourh Varinagh Aznavourian. Era figlio di sopravvissuti al genocidio armeno, trasferiti in Francia negli anni Trenta. La notizia della sua scomparsa è stata data dal suo addetto stampa. Aznavour aveva 94 anni, ma fino a poco tempo fa continuava a cantare e a fare tournè. L’ultima volta che si è esibito a Roma è stato all’auditorium, l’anno scorso, con un concerto memorabile e pieno di ricordi, salutato da una bandiera armena che qualcuno aveva voluto lasciare sul palcoscenico, accanto al microfono, in segno di omaggio.

Già, perchè Aznavour oltre ad avere dato lustro alla Francia, incidendo più di 300 milioni di dischi nel mondo, e per il quale è stato insignito della Legion d’Onore, è stato anche un grande benefattore per il popolo armeno che non ha mai smesso di appoggiare, anche a distanza, facendosi spesso interprete del bisogno di riconoscimento della verità sul genocidio armeno, battendosi contro il negazionismo turco. Nella città di Gyumri, in Armenia, quasi ai confini con la Georgia, dove un tremendo terremoto nel 1988 rase al suolo case, scuole, ponti, edifici causando oltre 25 mila morti, c’è una grande statua di pietra grigia che lo ricorda.

Per gli armeni Aznavour è un padre della patria, non solo per i continui aiuti che ha elargito al paese dei suoi avi, ma per avere diffuso nel mondo la musica e la cultura del Caucaso. Melodie struggenti trasformate e rese più occidentali nelle celebri canzoni dell’artista. La maggior parte parlano d’amore e di come questo sentimento riesca a muovere le corde più profonde dell’anima.

Aznavour iniziò la sua carriera artistica da ragazzino, già con questo nome d’arte. La sua fortuna si deve a Edith Piaf che nell’immediato dopoguerra lo scoprì e decise di portarlo con sé in tournè all’estero. Pochi anni dopo era già una star. Memorabili i suoi successi a partire da Tu t’laisses aller (1960), il faut savoir (1961), For me formidable (1964) La Boheme (1965), Desormais (1969). In Italia ha partecipato fuori gara a Sanremo, nel 1981 e poi successivamente nel 1989. In quello stesso anno incide Pour Toi Armenie, una canzone per aiutare i bambini armeni colpiti dal terremoto.

Ha collaborato con Ornella Vanoni, Gino Paoli, Domenico Modugno, Mia Martini, Massimo Ranieri, Franco Battiato, Renato Zero, Gigliola Cinquetti.  Durante la visita di Sanbb Giovanni Paolo II in Armenia, nel settembre 2001, Aznavour volle cantare per lui al memoriale del genocidio, intonando l’Ave Maria di Gounot. Papa Wojtyla si commosse fino alle lacrime e lo ringraziò per avergli ravvivato il ricordo di un milione e mezzo di vittime, sterminate dai turchi agli inizi del secolo.


E’ morto Charles Aznavour, ultimo grande chansonnier (ANSA)

Il cantante francese di origini armene aveva 94 anni. Massimo Ranieri all’ANSA: “Era l’ultimo grande vecchio, il nostro papà, il più grande. Non esiste un altro gigante così”.

E’ morto Charles Aznavour. Il cantante francese di origini armene (il suo vero nome è Shahnour Vaghinagh Aznavourian), l’ultimo degli chansonnier aveva 94 anni.
Scoperto da Edith Piaf, che lo portò in tournée in Francia e negli Stati Uniti, si mise in luce nel dopoguerra come cantautore.
Ma il riconoscimento mondiale arrivò nel 1956 all’Olympia di Parigi con la canzone Sur ma vie: uno strepitoso successo che gli permise di entrare nella storia come monumento della canzone francese.

Il fatto che cantasse in sette lingue gli consentì di esibirsi in tutto il mondo divenendo ovunque famosissimo. Come attore si impose all’attenzione della critica e del pubblico a partire dalla sua interpretazione in ‘La tête contre les murs’ (La fossa dei disperati) nel1958. Compose la colonna sonora di diversi film da lui interpretati. Anche Stanley Kubrik utilizzò una canzone di Aznavour (composta con Georges Garvarentz) ‘Old Fashioned Way’ in ‘Eyes wide shut’

Suo il brano ‘She’ utilizzato come colonna sonora (nella versione rifatta da Elvis Costello) del film ‘Notting Hill’

Aznavour è morto nella notte nella sua casa delle Alpilles, nel sud della Francia, e ora l’intero Paese piange il suo ultimo immenso chansonnier, la cui carriera è stata così lunga da sembrare quasi eterna o immortale.

Un record, quello del cantante francese legatissimo alle sue origini armene, che salì per la prima volta su un palco all’età di 9 anni fino all’ultimo concerto, il 19 settembre scorso, a Osaka, In Giappone.

Anche se lui avrebbe voluto cantare fino ai 100 anni. Era previsto per il 26 ottobre a Bruxelles il suo prossimo concerto

“Profondamente francese, legato visceralmente alle sue radici armene, riconosciuto nel mondo intero, Charles Aznavour ha accompagnato gioie e dolori di tre generazioni. I suoi capolavori, il suo timbro di voce, il suo successo unico sopravviveranno a lungo”, scrive il presidente Francese Emmanuel Macron in un tweet, aggiungendo: “Avevo invitato (Aznavour) nella mia missione a Erevan per il summit della francofonia, dove avrebbe dovuto cantare. Condivideremo con il popolo armeno il lutto del popolo francese”.

Massimo Ranieri all’ANSA commenta a caldo la scomparsa del maestro Aznavour: “Era l’ultimo grande vecchio, il nostro papà, il più grande. Non esiste un altro gigante così”.


Charles Aznavour, le canzoni simbolo del re della chanson francese (Sky)

È morto a 94 anni uno dei più grandi chansonnier francesi della storia. I suoi brani d’amore, tradotti in molte lingue, hanno avuto successo in tutto il mondo. Ecco alcuni dei capolavori della sua carriera, lunga 70 anni e portata avanti sui palchi fino all’ultimo

Charles Aznavour, morto a Parigi all’età di 94 anni, è stato uno dei chansonnier francesi più famosi al mondo. Ma il cantante di origini armene è stato anche interprete e attore teatrale. Durante la sua lunghissima carriera, durata ben 70 anni, ha scritto oltre 1300 canzoni, tradotte e cantate in diverse lingue, vendendo 300 milioni di dischi nel mondo, al pari di alcuni dei suoi più importanti colleghi in ambito rock. Aznavour è famoso per le sue canzoni d’amore, ma anche per essere un attivista per il riconoscimento del genoicidio armeno in Turchia, per cui si è battuto fino all’ultimo. Ecco alcuni dei suoi brani più simbolici… continua  a leggere


È morto Charles Aznavour, uno dei più amati e grandi chansonnier francesi (La Repubblica)

Il destino ha voluto che diventasse il più grande chansonnier di Francia, il crooner che incarnava la canzone popolare d’Oltralpe come forse nessun altro aveva saputo fare prima di lui. E questo nonostante Charles Aznavour, morto oggi a 94 anni nella sua casa delle Alpilles, nel sud della Francia, dove si era ritirato dopo avere cancellato i concerti della scorsa estate a causa di una caduta, fosse di origini armene e con le tradizioni del suo paese avesse sempre mantenuto un legame fortissimo. Nonostante poi da bambino gli fosse stata diagnosticata una paralisi che bloccava alcune corde vocali anche se questo, invece di limitarne la crescita artistica gli ha donato il caratteristico, e riconoscibile, timbro roco.

Famoso in Francia Aznavour lo è però diventato soltanto molto più tardi, essendo all’inizio poco accettato un compositore con origini armene. Le sue canzoni restarono al bando alla radio francese dalla fine degli anni Quaranta e per tutti gli anni Cinquanta. Le cose non andarono meglio in America, come egli scoprì durante un viaggio nel 1948. Il fatto è che le sue canzoni d’amore audaci, originali e sincere, abbinate a uno stile di canto limitato ma anche molto espressivo, in quegli anni disorientavano ancora il pubblico.

Shahnour Varenagh Aznavourian, questo il vero nome di Charles Aznavour, nacque a Parigi dove la sua famiglia si era trasferita per sfuggire ai massacri e alle deportazioni di quello che sarebbe stato definito il genocidio armeno perpetrato dai turchi dell’Impero Ottomano ai danni degli armeni tra il 1915 e il 1916. Dal padre cantante (la madre era un’attrice e a tempo perso sarta) Aznavour ereditò la passione per il canto, in un primo tempo ostacolata dal problema alle corde vocali.

Dopo aver mosso i primi passi a teatro a 9 anni, nella piece Un bon petite diable, da adolescente Aznavour ha affiancato nei tour alcune compagnie teatrali cominciando a scrivere i testi per le canzoni musicate da Pierre Roche e pian piano ha cominciato a interpretare da solo i brani scritti in coppia con Roche. Una mano importante, per superare le paure legate al suo handicap fisico, gli arrivò da Edith Piaf per la quale aveva cominciato a lavorare come autista. Ovviamente la Piaf cominciò poi anche a cantare le sue canzoni.

Il successo arrivò nel 1956 a Casablanca, dove la reazione del pubblico al suo ingresso sul palco durante uno spettacolo di arte varia fu così forte che Aznavour diventò l’headliner. Così nel 1958 arrivarono il primo contratto discografico e il debutto in un ruolo drammatico al cinema, oltre alla scrittura di colonne sonore. Quindi i film con Cocteau e Truffaut gli aprirono la strada in America con il primo concerto alla Carnegie Hall e il suo primo disco completamente americano con il titolo The World of Charles Aznavour per l’etichetta fondata da Frank Sinatra, la Reprise Records.

Il suo modo di cantare è stato paragonato a quello di Maurice Chevalier e di Frank Sinatra, anche se lui ha sempre pensato a se stesso più come ad un autore che come ad un interprete e cantante. La verità è che Aznavour è rimasto popolare per almeno quattro decenni, ha sempre cantato l’amore nelle sue diverse forme, come raccontano i brani Apres l’amour, J’ai perdu la tete, J’en deduis que je t’aime e Bon anniversaire. Fino all’amore gay che Aznavour ha voluto cantare con la canzone Comme ils disent.

Aznavour è stato sposato tre volte e ha avuto sei figli ed è sempre rimasto in contatto con le sue radici armene tanto da essere stato nominato ambasciatore armeno in Svizzera, dove risiedeva a Saint-Sulpice. Ha sempre continuato a coltivare la sua passione per la politica e il suo impegno per i diritti umani: “Continuo a cantare e a scrivere canzoni perché per me andare in pensione significherebbe imboccare la porta verso la morte” ci aveva detto in un incontro in occasione di un suo concerto a Roma pochi giorni dopo il suo novantesimo compleanno, “io però non ne ho ancora nessuna voglia”.


Morto il cantante Charles Aznavour, aveva 94 anni (CDS)

Come è triste Venezia, Lei, Io sono un istrione, Quel che non si fa più, Amore, Devi sapere (Il faut savoir)». Charles Aznavourian, morto ieri a Alpilles, nel sud della Francia all’età di 94 anni, è stato il cantautore francese più applaudito nel mondo. Era nato a Parigi il 2 marzo 1924 da una coppia di immigrati armeni. Nella sua carriera ha venduto 300 milioni di dischi incisi in 7 lingue e recitato in oltre 60 film fra cui «Morire d’amore», Leone d’oro a Venezia. Forte il suo legame con l’Italia. Il padre Micha fu salvato da una delle maggiori stragi che vennero inflitte al popolo armeno da una nave italiana. E fu proprio il coraggio del comandante a sottrarre l’uomo agli inseguitori. In omaggio all’Italia la sorella maggiore dell’artista fu chiamata Aida. Questa fu una delle ragioni che portarono Aznavour a pubblicare ed eseguire dal vivo o suoi capolavori nella nostra lingua. Il suo immenso repertorio è dominato da una sottile e struggente melanconia, che raggiunge i massimi livelli in «E io fra di voi», la canzone di un uomo che coglie i segni del tradimento da parte della donna amata che si svolge sotto i suoi occhi. La dirompente sofferenza del tradito è espressa con una intensità che ha pochi eguali. L’altro vertice espressivo viene raggiunto in «Quello che si dice», ovvero la triste esistenza solitaria di un omosessuale, che, smessi i lustrini e i belletti del palco, torna ogni alba a casa a curare la vecchia madre. Diceva: «Credo che questa canzone abbia giovato alla causa degli omosessuali, all’epoca ancora oggetto di scherno e discriminazione».

Cresciuto alla scuola Charles Trenet, adorava cantare le vite sul viale del tramonto, gli amori corrosi dagli anni e dalla noia, il rimpianto per le grandi occasioni perdute. Diceva: «Canto l’amore ma anche il suo contrario. L’amore non è solo quello che va bene, ma anche quello logorato». Le versioni italiane sono state firmate da Bardotti, Mogol, Calabrese, Lorenzo Raggi.. L’altra faccia di Aznavour è quella del combattente per la libertà del popolo armeno. La tragedia di quelle genti, delle quali si sentiva parte, è sempre stata in cima ai suoi pensieri. L’aiuto materiale e morale dato sul quel fronte da Aznavour è immenso e difficile da calcolare.
Nel 1989 chiamò una cinquantina di cantanti italiani per registrare nel grande auditorio della Fonit Cetra di via Meda a Milano il brano «Per te Armenia» a favore del progetto «Fondazione Aznavour per l’Armenia» colpita da un gravissimo terremoto. Vi presero parte fra gli altri Nilla Pizzi Lorella Cuccarini, Enzo Jannacci, Tullio de Piscopo, Sergio Endrigo Dori Ghezzi, Toni Dallara Pierangelo Bertoli, Memo Remigi , Orietta Berti, Gino Paoli e Gigliola Cinquetti, Scialpi, Mino Reitano, Franco Simone. E al coro s’era aggregata anche Maria Pia Fanfani, che vestiva l’alta uniforme della Croce Rossa.

Commovente il testo tradotto da Andrea Lo Vecchio: «Dio lo vedrà, provvederà per te Armenia…La maledetta sorte tua ti ha spazzato via e così sia. Tu Armenia rivivrai e la fiamma che è in te più forte si alzerà e griderà che viva sei». Sorprendente la sua capacità di calcare il palco con successo fino alla della fine. Il segreto? Era riuscito ad adattare il suo spettacolo ai suoi limiti. Così per surrogare una vocalità ormai scarsa, Aznavour sfoderava la classe del grande uomo di palcoscenico, una teatralità e una gestualità che sottolineava ogni parola dei suoi versi, la saggezza disincantata di chi conosce a fondo la vita, le donne, la gioia, il dolore, l’ansia, la noia. Usava le rughe, l’età, i capelli bianchi per caricare d’enfasi drammatica un gran numero di canzoni legate proprio al tema degli anni che passano impietosi, alla difficoltà di invecchiare con dignità, al rimpianto di quella giovinezza fuggita. A un certo punto aveva lasciato la Francia per Stati Uniti. Motivo? «Mi rifiuto di pagare in tasse più del 50% di quanto incasso». Dopo aver ottenuto la Legion d’Onore nel suo paese si era trasferito in Svizzera come ambasciatore ufficiale dell’Armenia. Se ne va dunque un magico poeta insuperabile nel cantare di sogni infranti, amori sterili («Noi non abbiamo bambini»), vite coniugali vissute nell’incomprensione, emozioni di un attimo. Aznavour era molto pessimista sul futuro della canzone d’autore francese: «Morirà con Becaud, Ferrè e il sottoscritto, visto che ai giovani non mi pare interessi troppo».


Addio allʼistrione Charles Aznavour, re degli chansonnier francesi (TGCOM24)

Charles Aznavour, uno dei più amati cantanti francesi, è morto all’età di 94 anni. Era stato scoperto da Edith Piaf nel dopoguerra ed era stato insignito anche della Legione d’Onore. In settant’anni di carriera ha scritto oltre 1.300 canzoni e venduto più di 300 milioni di dischi e il fatto che cantasse in sette lingue gli consentì di esibirsi in tutto il mondo divenendo oNato a Parigi nel 1924 da immigrati di origine armena, prima debuttò a teatro come attore di prosa, e solo nel dopoguerra, grazie a Edith Piaf che lo portò in tournée in Francia e negli Stati Uniti, si mise in luce come cantautore. Lo strepitoso successo nel 1956 all’Olympia di Parigi con la canzone “Sur ma vie” gli permise di entrare nella storia degli chansonnier francesi.

Successivamente si esibì alla Carnegie Hall e nei maggiori teatri del mondo, duettando con star internazionali come Nana Mouskouri, Liza Minnelli, Sumiva Moreno, Compay Segundo, Céline Dion e, in Italia, con Mia Martini e Laura Pausini. Nel nostro Paese per quasi tutte le versioni italiane delle sue canzoni collaborò con il paroliere Giorgio Calabrese.

All’estero le sue canzoni sono state spesso reinterpretate da numerosi artisti come Elton John, Bob Dylan, Sting, Placido Domingo, Céline Dion, Julio Iglesias, Edith Piaf, Liza Minnelli, Sammy Davis Jr, Ray Charles, Elvis Costello e moltissimi altri.

Oltre all’attività di cantante ha portato avanti la carriera di attore, partecipando a oltre 60 film tra cui “Tirate sul pianista” di François Truffaut e “Ararat” (2002), sulla questione armena, per la quale si è sempre battuto grazie a una fitta attività diplomatica, diventando ambasciatore dell’Armenia in Svizzera, dove si esiliò negli anni Settanta per problemi con il fisco.

AVREBBE VOLUTO CANTARE FINO A 100 ANNI – Il suo ultimo concerto è stato il 19 settembre scorso, a Osaka, In Giappone. Il prossimo era previsto per il 26 ottobre a Bruxelles. Quando compì 90 anni dichiarò: “Ho smesso di festeggiare i miei compleanni a cinquant’anni e ho deciso che ricomincerò solo quando ne compirò 100. D’altronde l’aria in Francia è buona e le mie origini caucasiche mi fanno credere che vivrò fino a 120 anni. Al compimento di un secolo smetterò di cantare, ma non di scrivere canzoni”.vunque famosissimo.


Morto Charles Aznavour. Il re della canzone francese, aveva 94 anni (Panorama)

Aveva 94 anni Charles Aznavour. Tra le sue canzoni più famose, La Mère (La mamma), She (Tous les visages de l’amour), l’Istrione. Esordì sul teatro mondiale grazie ad Edith Piaf e nella carriera ha duettato con star come Liza Minnelli, Céline Dion, Mia Martini e Laura Pausini

E’ morto, a 94 anni, Charles Aznavour. Nato a Parigi nel 1924 da immigrati di origine armena, debuttò a teatro come attore di prosa. Nel dopoguerra, grazie a Edith Piaf che lo portò in tournée in Francia e negli Stati Uniti, si mise in luce come cantautore. Il riconoscimento mondiale arrivò nel 1956 all’Olympia di Parigi con la canzone Sur ma vie: un successo che lo catapultò nella storia degli chansonnier francesi. Tra le sue canzoni più famose, La Mère (La mamma), She (Tous les visages de l’amour), La Boheme, L’Istrione.

Grazie alla sua capacità di cantare in 7 lingue, si esibì nei maggiori teatri del mondo, duettando con star internazionali come Liza Minnelli, Compay Segundo, Céline Dion e, in Italia, con Mia Martini e Laura Pausini. In Italia per quasi tutte le versioni italiane delle sue canzoni collaborò con il paroliere Giorgio Calabrese. Le sue canzoni sono state reinterpretate da artisti come Elton John, Bob Dylan, Sting, Placido Domingo, Julio Iglesias, Edith Piaf, Sammy Davis Jr


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“Il chicco acre della melagrana”: presentato, a Roma, il libro autobiografico del professionista armeno Giorgio Kevork Orfalian (Agenziastampaitaliana.it 01.10.18)

ASI)  A Roma, presso l’hotel “Londra & Cargill” in Piazza Sallustio, è stato presentato ultimamente il libro “Il chicco acre della melagrana” ( Divina Follia ed., 2018), scritto a quattro mani da Letizia Leonardi, giornalista,e Giorgio Kevork Orfalian, professionista armeno da anni residente nell’ Urbe.

Il racconto autobiografico della vita di Orfalian, nato nel 1950 in Libia (dove il nonno era stato deportato, proveniente da Aleppo, dai turchi durante il “Medz Yeghern”, il vero e proprio genocidio armeno perpetrato dal Governo ottomano nel 1915).

Una vita da film, quella di Orfalian: che, trasferitosi giovanissimo in Italia, studia vari anni nel Collegio armeno di Venezia; sino a quando, nel 1969, non può tornare dalla famiglia, in una Libia dove, nel frattempo (1 settembre), è scoppiata la rivoluzione del colonnello Gheddafi, che liquida la monarchia filoccidentale di re Idris. Trasferitosi a Roma, Giorgio si dedica ai lavori piu’ umili: esperienze, queste, che, però, gli permettono di fare altre conoscenze ( tra cui anche personalità come Enrico Maria Salerno e Pier Paolo Pasolini), e introdursi nel mondo commerciale. Da rappresentante nel settore abbigliamento, il giovane Giorgio gira allora un po’ tutti i Paesi del Medio Oriente; sinchè, nell’inquieta Turchia degli anni ’70, stretta fra terrorismo e fremiti golpisti ( nel ’70 c’era stato il primo putsch dei generali turchi ), nel ’77 viene arrestato sotto la falsa accusa di terrorismo.
L’ esperienza del carcere – ha raccontato Orfalian – è stata veramente disumana ( non a caso, sullo schermo in fondo alla sala venivano proiettate, intanto, scene del “cult-movie” degli anni ‘ 70 di Alan Parker “Fuga di mezzanotte”). Dopo 9 mesi di carcerazione e torture, riconosciuto innocente del reato di terrorismo ( che gli è costato una condanna a morte, mai revocata), Giorgio, liberato, può tornare in Armenia , dove lavorerà sodo altri anni, per ricrearsi un’ adeguata base di vita.
Dedicatosi, oltre che al commercio, anche al lavoro come agente finanziario internazionale, padrone di ben 7 lingue, Orfalian farà, poi, anche le altre profonde esperienze del volontariato in soccorso ai terremotati di Spitak ( dicembre 1988), nel nord d’ un’ Armenia all’ epoca ancora sotto la sovranità sovietica; e in ultimo, dopo l’indipendenza armena in seguito al crollo dell’ URSS (settembre 1991), anche della guerra con l’ Azerbaijan (1992- ’94), scoppiata per la secessione, da quest’ ultimo, dell’ enclave armena del Nagorno-Karabakh ( o Artsakh). Un conflitto che, dopo aver provocato 30.000 morti e non essersi mai veramente concluso, si riaccenderà, dopo periodiche fiammate, ad aprile 2016, causando piu’ di altre cento vittime.
Come per tutti gli armeni, la vita di Giogio Kevork Orfalian risulta segnata dal dolore per il genocidio del 1915 “e dintorni”: dolore acuito dalla posizione tuttora assunta dal Governo turco, che , a proposito di quegli avvenimenti – lo sterminio, appunto, di un milione e mezzo di armeni nel “1915 e dintorni” – si rifiuta ostinatamente di parlare di “genocidio”, ma. al massimo, di morti per fame, stenti o per episodi di violenza causati dai comandi locali del proprio esercito, ma non frutto d’ un disegno preordinato. “Ci furono invece, ai primi del 1915”, ha ricordato Orfalian , “vari segnali inquietanti, che purtroppo noi armeni sottovalutammo: a gennaio, infatti, il Governo turco disarmò i battaglioni armeni, inquadrati nel proprio esercito, che, nella situazione successiva, avrebbero potuto opporti validamente allo sterminio. Poi, quando il 24 aprile iniziò il “Medz Yeghern”, la prima mossa turca fu l’ eliminazione sistematica di tutta l’elite armena (giornalisti, scrittori, medici, avvocati, ecc..: cioè tutti quei professionisti, culturalmente dotati, che avrebbero potuto denunciare meglio al mondo quel che stava accadendo). Ma il destino del nostro popolo, se ha previsto sempre varie sciagure, ci ha sempre dato, però, anche la possibilità di risorgere”.

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L’Armenia smentisce l’esistenza di laboratori militari americani nel Paese (Sputniknews.it 26.09.18)

Non ci sono laboratori stranieri, in particolare americani, sul territorio dell’Armenia, ha dichiarato oggi ai giornalisti il portavoce del ministero degli Esteri armeno Tigran Balayan.

In precedenza il ministero degli Esteri russo aveva esternato le proprie preoccupazioni per le attività medico-biologiche degli esperti militari statunitensi, in particolare nelle strutture dislocate a ridosso dei confini della Russia. Le autorità armene affermano che i laboratori creati con i finanziamenti americani sono completamente sotto il controllo di Yerevan e si dichiarano pronte a collaborare con la Federazione Russa.

“Recentemente sui media è stata diffusa la notizia che gli esperti russi sono stati fatti entrare nei laboratori americani in Armenia. Voglio precisare che non vi è alcun laboratorio americano o di nessun altro Paese in Armenia: le strutture sono controllate direttamente dalle autorità nazionali ed operano sotto la nostra legislazione, vi lavorano cittadini armeni”, ha detto Balayan.

Ha confermato che gli esperti russi si sono recati in visita in un laboratorio, aggiungendo che l’evento corrisponde alla natura delle relazioni bilaterali di Paesi alleati

La musica del Tomadini sbarca in Armenia e Georgia (Udinetoday 29.09.18)

La musica del Tomadini sbarca in Armenia e Georgia

Il Friuli e la sua musica ai confini dell’Europa. Un importante contributo della Fondazione Friuli e della Regione consentirà a studenti e docenti del conservatorio “Jacopo Tomadini” di Udine di portare l’eccellenza della musica italiana nelle città di Yerevan e Tbilisi. «Quattro concerti in sale straordinarie e moltissime ore di lezioni e conferenze: un’occasione unica per i nostri studenti di fare un’esperienza di studio e di produzione internazionale. È un’opportunità eccezionale per far conoscere il nostro conservatorio e il nostro territorio nel mondo.» Così il Direttore del Tomadini, Mo. Virginio Zoccatelli, descrive il progetto che vedrà coinvolti in compartecipazione i conservatori di Yerevan e Tbilisi. E continua: «Abbiamo impostato il viaggio in modo che la musica sia centro ed occasione di un proficuo scambio artistico, umano e culturale tra i nostri studenti e docenti e quelli delle istituzioni dei paesi ospitanti. Tutto il conservatorio di Udine ha collaborato alla definizione di questo progetto e alla sua realizzazione. Condivideremo poi l’esperienza con un documentario, una testimonianza del Friuli e della sua musica nel mondo. Ciò non sarebbe stato possibile senza il contributo della Fondazione Friuli, che da subito ha mostrato un’attenzione particolare al nostro progetto e ci ha permesso di concretizzarlo

Diciannove gli studenti in viaggio e con loro dieci docenti. Porteranno in Armenia e Georgia anche trascrizioni e nuove composizioni ad opera di molti dei loro compagni compositori. Tra i docenti coinvolti Glauco Venier, orgoglio udinese della scena jazz internazionale, il sassofonista Alfonso Deidda, i docenti di canto lirico Paoletta Marrocu ed Emanuele Giannino, l’oboista Sandro Caldini e i compositori Mario Pagotto e Giovanni Albini, quest’ultimo delegato alle relazioni del Tomadini e coordinatore del progetto. «Ogni concerto vedrà la collaborazione di studenti e docenti delle istituzioni coinvolte», precisa Albini, «l’idea è quella di fare musica insieme, senza confini.» Marco Somadossi, docente di strumentazione per banda presso il nostro Istituto, dirigerà gli ensemble. E il docente di tecniche della ripresa e della registrazione audio del Tomadini Andrea Carli, fidato collaboratore di Riccardo Muti e Keith Jarret, coordinerà le riprese e la documentazione sonora.

Il progetto nasce grazie ad una Convenzione che è stata sottoscritta tra il Conservatorio di Udine e la Fondazione Friuli il 24 settembre di quest’anno, che aveva proprio lo  scopo promuovere l’internazionalizzazione dell’attività degli studenti e dei docenti.

La Georgia e l’Armenia negli ultimi anni si stanno sempre più affacciando sulla scena europea, favorendo scambi culturali e commerciali e inserendosi passo a passo nelle dinamiche europee. Con il suo progetto il conservatorio di Udine si inserisce in questo processo, garantendo un posto in prima fila al Friuli ai confini dell’Europa.

4 concerti:

  • il 4 Ottobre alle 19:00 presso la Concert Hall del Conservatorio di Yerevan nel quale saranno presentati alla delegazione italiana strumenti e musiche della tradizione popolare armena;
  • il 5 Ottobre alle 19:00 presso la Concert Hall dell’Aram Khachatryan Museum di Yerevan su musiche composte o trascritte dai compositori del conservatorio di Udine, eseguite da un’orchestra da camera di studenti e docenti dei due conservatori;
  • l’11 Ottobre alle 21:00 una jam session in un jazz club di Tbilisi, condotta dal rettore e sassofonista del Conservatorio di Tbilisi Reso Kiknadze e dai docenti del Tomadini Glauco Venier e Alfonso Deidda con gli studenti del conservatorio di Tbilisi;
  • il 12 Ottobre alle 18:00 presso la Recital Hall del conservatorio di Tbilisi su musiche composte o trascritte dai compositori del conservatorio di Udine, eseguite da un’orchestra da camera di studenti e docenti dei due conservatori.

 

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L’arte contemporanea si respira al castello di Govone (Gazzettadalba.it 29.09.18)

ESPOSIZIONE L’Art site fest sarà inaugurato oggi, sabato 29 settembre alle 17.30 nel castello di Govone e si potrà visitare sino a domenica 25 novembre.

Le più belle residenze storiche del Piemonte ospiteranno un percorso attraverso i linguaggi della contemporaneità, tra fotografia, scultura, pittura, teatro e musica. Nel circuito sarà coinvolto anche il castello di Govone che, da tempo, guarda all’arte, alla cultura e alla promozione del territorio senza tralasciare il giardino di rose antiche, e dunque la botanica. Insieme alla reggia di Venaria, la palazzina di caccia di Stupinigi, il castello Cavour di Santena, il Museo egizio, palazzo Madama, palazzo Chiablese, palazzo Biandrate e casa Martini a Torino, coinvolgerà artisti provenienti da diversi Paesi come Italia, Germania, Giappone, Argentina, Cina, Corea, Israele, Austria, Turchia, Armenia, Spagna, Slovenia, Serbia, Grecia, Canada, Libano, Bosnia Erzegovina, Iran, Russia e Ucraina, che presenteranno le loro ricerche con lavori realizzati appositamente per le sedi scelte.

Luca Malvicino, presidente dell’associazione Govone residenza sabauda commenta così il festival che, alla quarta edizione coinvolge 52 artisti con oltre 160 opere: «Si tratta di una grande esposizione di arte contemporanea che si inserisce nell’idea di caratterizzare il castello di Govone come polo culturale in grado di connettere due realtà riconosciute patrimoni dell’Unesco come i Paesaggi vitivinicoli di Langhe, Roero e Monferrato e le residenze sabaude».

Ogni edizione di Art site fest ha un paese ospite che per quest’anno è l’Armenia: cinque giovani autori ci restituiranno un panorama tra poesia, pittura e fotografia delle attuali tendenze artistiche nel Paese caucasico.

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