Dzyunashogh: ricordi infranti dell’Azerbaijan (Osservatorio Balcani E Caucaso 23.11.18)

La strada per Dzyunashogh è lunga e difficile. I ricordi degli abitanti di questo villaggio remoto, incastonato tra le montagne dell’Armenia e della Georgia, sono come queste strade tortuose.

Trent’anni fa, quando Dzyunashogh era popolata da azerbaijani, il villaggio veniva chiamato Qizil Shafaq o “Alba Rossa”. Ma con l’acuirsi delle tensioni tra Armenia e Azerbaijan nella regione di Nagorno Karabakh, verso la fine degli anni ’80, gli abitanti del villaggio scelsero di scambiare le loro case con quelle di armeni che vivevano nel villaggio di Kerkenj, in Arzebaijan, distante circa 540 chilometri.

È a seguito del massacro degli armeni nella città di Sumgayit, in Arzebaijan, nel febbraio del 1988, che si diffuse l’idea di abbandonare il paese, racconta un ex abitante di Kerkenj.

“Un giorno, mentre stavamo lavorando, un azerbaijano arrivò e disse che dovevamo lasciare il villaggio”, spiega il 63enne Sashik Vardanyan. “Non potevamo crederci. Tutto è iniziato dopo Sumgayit”.

L’obiettivo era quello di tenere unito il villaggio. Un comitato informale iniziò quindi a cercare dei luoghi disponibili in Armenia, dove stabilire la comunità. Si sperava nella Valle dell’Ararat, una ricca pianura agricola situata ai piedi del Monte Ararat, un simbolo culturale per gli armeni. Ma quei villaggi erano già stati occupati da altri armeni sfollati dalla capitale dell’Azerbaijan, Baku.

Rimaneva disponibile Qizil Shafaq (Dzyunashogh), situata circa 52 chilometri a nord di Vanadzor, terza città dell’Armenia. Come gli abitanti di Kerkenj, anche gli abitanti di Dzyunashogh, azerbaijani, avevano lo stesso desiderio, vivere uniti e in pace.

A tutte le 250 famiglie di Kerkenj il comitato propose delle abitazioni in villaggi armeni, ricorda la moglie di Vardanyan, Sonia, 58 anni. In seguito ogni famiglia andò a Qizil Shafaq per parlare direttamente con gli abitanti azerbaijani.

Per entrambi la priorità era assicurarsi la protezione dei cimiteri. Mostrare rispetto per i defunti è una questione di profonda importanza e di onore. Un impegno di responsabilità collettiva preso dai due villaggi, basato sulla fiducia reciproca.

“Fino ad oggi ci siamo presi cura dei cimiteri e abbiamo spiegato ai nostri figli che anche loro dovrebbero farlo”, racconta Sashik Vardanyan.

Ora un cimitero di abitanti armeni sorge accanto a un cimitero azero abbandonato.

Lo scambio degli abitanti avvenne in modo pacifico, tra il maggio e l’agosto del 1989. Governo e partito comunista in carica non svolsero nessun ruolo in questo scambio e non espressero nessun interesse al riguardo, spiega un abitante.

Con poche automobili, lo scambio non fu una questione semplice. Spesso gli abitanti azerbaijani arrivavano a Kerkenj con la stessa macchina presa in prestito che aveva portato gli abitanti di Kerkenj in Armenia, raccontano alcuni abitanti.

Nel caso della famiglia di Sonia Vardanyan, un giovane di Kerkenj che già si era trasferito in Armenia ha fatto ritorno in Arzebaijan, “ed è con lui alle 2 del mattino che abbiamo lasciato il villaggio”, dice. L’ora è stata scelta per motivi di sicurezza. Lo stesso vale per il percorso, invece di attraversare il confine amministrativo azerbaijano con l’Armenia, i migranti viaggiavano a nord verso la Georgia, passando per la regione azerbaijana occidentale di Qazakh e poi a sud verso il nuovo villaggio.

“Siamo stati gli ultimi a lasciare il villaggio (Kerkenj) e le cose erano già peggiorate”, dice Vardanyan. “Non riuscivamo a trovare un’automobile e i nostri bagagli erano già pronti”.

Quando gli abitanti di Kerkenj si trasferirono a Qizil Shafaq il nome del villaggio venne cambiato. Non è chiaro il motivo della scelta di Dzyunashogh.

I pareri in merito al trasferimento erano divergenti. Il clima sulle montagne dell’Armenia del nord era più rigido rispetto a quello di Karkenj. In Armenia erano bestiame, patate e grano – piuttosto che l’uva – le principali fonti di guadagno.

Sonia Vardanyan ricorda che quando gli abitanti di Kerkenj arrivarono dall’Azerbaijan trovarono i terreni già coltivati, con patate orzo e grano.

“Ci siamo dati da fare e chiunque sapesse mungere una mucca lo faceva. Io lavoravo nelle stalle d’inverno e portavo al pascolo il bestiame d’estate, sulle montagne”.

Oggi, le 27 famiglie che ancora vivono qui vendono latte per guadagnare. Solo otto di queste sono originarie di Kerkenj.

Ma a Dzyunashogh il tempo sembra essersi fermato all’epoca dello scambio. La maggior parte delle case sono in rovina o abbandonate.

I migranti armeni provenienti da Baku “non sapevano fare nulla, erano ex abitanti di città”, racconta Sonia. “Quindi le persone iniziarono ad andarsene dal villaggio, una ad una. Sono andati tutti in Russia”. Restarsene qui significava affrontare grandi difficoltà. Nessun trasporto pubblico, nessuna fornitura di gas.

“C’era il servizio di autobus ma non c’è più,” spiega Sonia. “C’era un negozio dove compravamo il pane, chiuso. Tutto è stato privatizzato e spezzettato”.

I nativi di Kerkenj ora vedono Dzyunashogh come casa loro, ma nutrono ancora nostalgia per il villaggio che hanno lasciato.

A parte quelle portate dai giornalisti che visitano entrambi i villaggi, raccontano di non aver modo di ricevere notizie da Kerkenj.

“Abbiamo vissuto fianco a fianco per così tanti anni!” esclama Sonia pensando ai suoi ex colleghi e vicini azerbaijani.

Ricorda i “veri” matrimoni armeni che ogni fine settimana portavano a Kerkenj persone provenienti da ogni parte delle aree vicine. “Il cantante e il batterista erano del nostro paese, il fisarmonicista e il clarinettista di un villaggio armeno vicino. Diventarono amici e ogni settimana suonavano nel nostro villaggio. Ci riunivamo con i vicini e ci divertivamo molto”.

Sashik Vardanyan ricorda la terra. “Kerkenj significa ‘più duro della pietra’ nel dialetto armeno che parlano gli abitanti del villaggio, i cui avi provenivano perlopiù dalla città iraniana di Khoy,” spiega Sashik. “Ma non si trovava nemmeno una pietra là. Tutt’intorno c’erano terra nera, vigneti e acqua dalle sorgenti…”.

Tra gli abitanti resta accesa la speranza che un giorno, in qualche modo, vedranno di nuovo il luogo in cui hanno vissuto in Arzebaijan. Per ora rimangono solo i ricordi a legarli a quello che hanno lasciato.

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Olanda, messa no stop per impedire l’espulsione di una famiglia armena (Ilmessaggero 22.11.18)

Amsterdam – E’ da quasi un mese che in Olanda una catena di preti, religiosi, fedeli volontari si alternano giorno e notte per continuare a celebare una specie di messa infinita che ha lo scopo di salvare una famiglia di armeni dal rimpatrio. La funzione religiosa è in corso nella chiesa protestante di Bethel, all’Aja e costituisce l’escamotage legale che sta evitando a cinque cittadini armeni di essere espulti, dopo che si sono visti rifiutare la richiesta di asilo, nonostante vivano in Olanda da nove anni.

Per legge in Olanda la polizia non puo’ interrompere una funzione religiosa, e per questo pastori e fedeli, provenienti da tutto il Paese, si danno il cambio per non dare la possibilita’ alle autorita’ di avvicinarsi. Una straordinaria testimonianza di solidarieta’, e protezione, per la famiglia Tamrazyan, una coppia cristiana con tre figli di 15, 19 e 21 anni che vive nel Paese dal 2010 e che e’ ora costretta a rifugiarsi in chiesa. Theo Hettema, presidente del consiglio generale della Chiesa protestante a L’Aja, e’ fermamente convinto di cio’ che fa: «Quando abbiamo iniziato, sapevamo che sarebbe stata una lunga celebrazione, che sarebbe durata settimane, se non mesi».

L’obiettivo dell’iniziativa – ha spiegato Hettema – e’ creare anche lo spazio di dialogo con il governo su un dilemma che non dovrebbe porsi per nessuna chiesa: scegliere tra il rispetto della legge e la tutela dei diritti dei bambini. Tuttavia Hettema non si illude: «Potrebbe finire da un momento all’altro». Il ministro per le Migrazioni, Mark Harbers, ha gia’ confermato che la famiglia non puo’ restare nel Paese. «Siamo contenti di tutto il sostegno che stiamo ricevendo, ma non siamo liberi”, ha detto ai media olandesi la Hayarpi, la figlia 21enne, che studia economia all’universita’. La Chiesa si appella alla comunita’ sul proprio sito, a chi volesse dare un contributo: mandare una mail per organizzarsi con in turni, arrivare possibilmente in bici per non infastidire i vicini, sono richiesti in particolare i
nottambuli e i mattinieri e non serve essere religiosi per partecipare

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Firmato con Armenia accordo per Ufficio investigativo su incidenti aerei (AGV 22.11.18)

La Russia e l’Armenia hanno firmato un accordo sulla creazione e l’attività di un ufficio internazionale di indagine su incidenti aerei e gravi incidenti all’interno dell’Unione economica euroasiatica (Uee). Lo ha riferito un corrispondente Sputnik, presente alla cerimonia della firma. Il ministro dei trasporti russo Yevgeny Dietrich e Akop Arshakyan, che agisce ministro armeno dei trasporti, delle comunicazioni e delle tecnologie dell’informazione, hanno firmato il documento.

Nell’ambito di questo accordo, i firmatari scambieranno informazioni su incidenti e inconvenienti con l’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile. Le commissioni investigative saranno dotate delle attrezzature necessarie, mentre gli investigatori saranno formati. Saranno emesse raccomandazioni sulla sicurezza dei voli e l’accordo promuoverà l’uso efficiente delle risorse tecniche e finanziarie per gli incidenti e le indagini sugli incidenti. Già a metà ottobre, il governo russo aveva approvato una bozza di accordo sulla creazione di un organismo internazionale per le indagini sugli incidenti aerei e gli incidenti all’interno dell’Uee. Attualmente, l’Interstate Aviation Committee (IAC) con sede a Mosca sta indagando sugli incidenti aerei che si verificano sul territorio della Comunità degli Stati Indipendenti, mentre la Russia dovrebbe ritirarsi dalla IAC dopo la creazione dell’ufficio internazionale.

Russia and Armenia signed on Thursday an agreement on creation and activity of an international bureau of aviation accidents and serious incidents investigation within the Eurasian Economic Union (EAEU), a Sputnik correspondent, present at the signing ceremony, reported.

Russian Transport Minister Yevgeny Dietrich and Akop Arshakyan, acting Armenian minister of transport, communications and information technologies, signed the document.

Within this agreement, the signatories will exchange information on accidents and incidents with the International Civil Aviation Organization. Investigative commissions will be provided with necessary equipment, while accident investigators will undergo training. Recommendations on flights safety will be issued, and the agreement will promote efficient use of technical and financial resources for accidents and incidents investigation.

In mid-October, the Russian government approved a draft agreement on creation of an international body for the investigation of aviation accidents and incidents within the EAEU.

Currently, the Moscow-based Interstate Aviation Committee (IAC) is investigating aviation accidents that occur on the territory of the Commonwealth of Independent States, while Russia is supposed to withdraw from the IAC after the international bureau is created.

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Forum della democrazia: Mnatsakanyan (Armenia), “mobilitare le donne per portare messaggi di pace” (SIR 21.11.18)

(Strasburgo) “La partecipazione delle donne alla vita pubblica è una questione di sicurezza, a livello nazionale e globale”, afferma Zohrab Mnatsakanyan, ministro degli esteri ad interim dell’Armenia, aprendo in emiciclo la sessione plenaria su “donne, sicurezza e democratizzazione”, quasi al termine del Forum mondiale per la democrazia, in corso da lunedì 19 novembre a Strasburgo. Perché “le donne hanno il potere di trasmettere messaggi alternativi all’odio. Dobbiamo mobilitare le donne per portare il messaggio di pace”. Indicazione rafforzata da Yves Leterme, presidente di Idea, l’istituto per la democrazia e il controllo delle elezioni. “Le donne sono raramente implicate nei processi di pace, perché non sono considerate legittime”: addirittura “su 1500 accordi di pace, solo 25 affrontano in modo esplicito il ruolo delle donne nella implementazione di questi accordi”. Invece “quando le donne sono incluse, la pace è raggiunta, quasi dappertutto”. E un passo ulteriore: “la partecipazione delle donne e degli uomini insieme è un fattore di pace durevole” e non solo “di pace intesa come fine della violenza”. Perché “se le donne sono incluse, i processi di pace non sono solo negoziazione del potere, ma si concentrano anche sulla sostenibilità”, afferma Adam Lupel, vice-presidente dell’istituto internazionale per la pace (Ipi), che argomenta: “gli studi mostrano che il migliore parametro in un processo di pace è il trattamento riservato alle donne”. Invece succede che “anche se le donne e le ragazze sono vittime di violenza nei conflitti, sono escluse dai processi di pace”.

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Kerkenj: ripensando all’Armenia (Osservatorio Balcani e Caucaso 21.11.18)

Una volta all’anno, Bayram Allazov, azero di 83 anni, parte da casa sua, distante qualche ora da Baku, e arriva fino alle colline della Georgia meridionale. Lì fa un salto indietro nel tempo. Dal villaggio di Irganchai prova a intravedere l’Armenia, lontana tre chilometri, che ancora considera come casa. Ma inevitabilmente il tentativo fallisce.

“Guardo attentamente. Non c’è nulla. Il vuoto”, dice tristemente Allazov.

Bayram Allazov e la moglie Khanim – foto Chai Khana

Alla fine del 1988 Bayram Allazov, presidente della fattoria collettiva del villaggio azerbaijano di Qizil Shafaq, nel nord dell’Armenia, prese un’importante decisione. Gli abitanti del villaggio avrebbero scambiato le loro case con gli abitanti di Kerkenj, un villaggio di armeni lontano 540 chilometri, in Azerbaijan.

Uno dei suoi figli, allora studente a Baku, capitale azera, lo chiamò per spiegargli la proposta ricevuta da un amico armeno di Kerkenj.

Gli abitanti di Qizil Shafaq la considerarono un’idea ragionevole, dato l’aumento delle violenze tra armeni e azerbaijani nella regione separatista azera del Nagorno-Karabakh.

Del resto i violenti attacchi del febbraio 1988 contro gli armeni della città di Sumagayit, in Arzebaijan, avevano già spinto molti a fuggire dal paese. Alla fine di quell’anno, nemmeno gli azerbaijani presenti in Armenia si sentivano più al sicuro. “Qizil Shafaq, oggi Dzyunashogh, era l’ultimo villaggio azerbaijano rimasto in Armenia”, spiega Allazov a Chai Khana.

Durante uno dei suoi incontri con gli abitanti per condividere le notizie che arrivavano da Baku, Allazov, annunciò la proposta di Kerkenj.

“Gli uomini decisero di andare a vedere,” racconta ora Allanov, parlando del villaggio. “Non c’era tempo e non c’era altra scelta”.

Essenziale per lo scambio fu l’accordo fatto tra le parti al fine di preservare e prendersi cura dei reciproci cimiteri, un simbolo di onore per entrambe le culture. In seguito i capi famiglia di Qizil Shafaq votarono a favore del trasferimento in Azerbaijan.

La migrazione iniziò nel maggio del 1989 e durò tre mesi. 200 delle 330 famiglie di Qizil Shafaq si trasferirono a Kerkenj, le rimanenti optarono per Baku, un centinaio di chilometri più a sud.

Allazov sostiene di essere stato l’ultimo a lasciare il villaggio. “Ero sicuro che dovessimo agire in quel modo”, racconta.

Prima di partire gli abitanti azerbaijani organizzarono un banchetto funebre per dire addio ai loro antenati, sepolti nel cimitero di Qizil Shafaq.

Gli abitanti del villaggio sapevano che molto probabilmente non avrebbero più fatto ritorno.

Oggi, così vengono espressi i ricordi di quel villaggio. “Pascoli, sorgenti, grandi case a due piani, prodotti naturali, 800 vacche sane, un fiume che attraversa il paese, inverni rigogliosi, niente umidità”, ricorda Allazov. “Quando ospiti provenienti da Mosca visitavano Yerevan (la capitale dell’Armenia, ndr), la loro prima destinazione era la città di Kalinino (Tashir), per ammirare questa bellezza”.

Tutti si ricordano come piangevano e come baciavano i muri delle loro case prima di andarsene. E come, una volta trasferitisi a Kerkenj, non volevano entrare nelle loro nuove abitazioni. Così spendevano la maggior parte del tempo in strada.

“Faccio spesso un sogno”, racconta Mamed, 80 anni, ex autista di trattori presso il sovkhoz di Qizil Shafaq. “Sogno il mio villaggio, sogno il mio trattore”.

Come altri abitanti, Mamed arrivò a Kerkenj con sua moglie e quattro bambini. Tornò solo poche volte a Qizil Shafaq. La polizia di frontiera e gli ufficiali locali “ci lasciavano farlo senza problemi”, dice Mamed. Ciononostante, il rischio rimaneva e quindi le visite erano molto brevi. “Ero ospite di una famiglia armena nella mia casa, ma non mi sono fermato mai per la notte”, racconta Mamed.

In casa di Bayram Allazov – foto Chai Khana

Pare che il Partito comunista abbia tentato di convincere la gente a non lasciare l’Armenia.

I nuovi abitanti di Kerkenj volevano rinominare il villaggio in Shafaq, ma la richiesta venne loro negata.

Niente distingue oggi Kerkenj dai villaggi vicini.

Su una collina, alla sinistra del villaggio, si trovano le tombe dei precedenti abitanti armeni.

Gli attuali residenti riconoscono che i bambini hanno danneggiato alcune fotografie e ribaltato alcune lapidi, ma dicono che tenere d’occhio i giovani è molto difficile. Sostengono che, nonostante questo, il cimitero sia stato preservato.

Il custode del cimitero, un mullah locale, guardiano di entrambi i cimiteri, azerbaijano e armeno, si è rifiutato di commentare per Chai Khana.

Allazov, anziano del villaggio, ha descritto il danno con una smorfia. Nonostante la sua nostalgia per Qizil Shafaq, non crede che l’amicizia tra Armenia e Arzebaijan possa essere rianimata.

“Immagina, hai un piccolo giardino” dice parlando di Nagorno Karabakh e dei sette territori ora sotto il controllo armeno. “Pianti alberi che danno frutti, pianti fiori, poi arriva il tuo vicino e ti strappa il giardino dalle mani…”.

Il legame con la terra gli sta profondamente a cuore.

A Kerkenj, come a Qizil Shafaq, Allazov è stato il presidente del sovkhoz. Sebbene abbia tentato di vivere a Baku con la moglie, Khanim, dove vive anche sua figlia con tre bambini, dice di non potercela fare.

“Sono nato e ho trascorso tutta la mia vita in campagna. Mi mancava. Volevo sentire il verso del gallo, il muggito delle mucche, un cane che abbaia e il mio gatto miagolare,” continua Allazov.

Così, ogni mattina, si cambia i vestiti e va verso i campi per aiutare. L’ambiente può essere diverso, ma la sua dedizione al lavoro è sempre la stessa.

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Dessaran Festival, la settimana della cultura armena presentato da Antonia Arslan (Padovaoggi 20.11.18)

Dessaran Festival, la settimana della cultura armena presentato da Antonia Arslan
„Torna il Dessaran Festival, che per una settimana (dal 26 novembre al 2 dicembre) porta a Padova una rappresentazione della cultura armena nelle sue diverse forme attraverso sette imperdibili appuntamenti che avranno come protagonisti alcuni tra i più importanti artisti del panorama italiano e internazionale. Le prime due edizioni hanno totalizzato 2.000 presenze complessive con il tutto esaurito ad ogni appuntamento.  “

Dessaran Festival, la settimana della cultura armena presentato da Antonia Arslan

La manifestazione è ideata e curata da Nairi Onlus e Casa di Cristallo e realizzata con il contributo dell’Assessorato alla Cultura e della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e con il Patrocinio dell’Ambasciata della Repubblica d’Armenia in Italia. La direzione artistica del Festival è a cura della scrittrice e intellettuale, Antonia Arslan.

Musica, teatro, letteratura

Un lungo viaggio tra musica, teatro, letteratura, calligrafia, cinema ed enogastronomia che vuole esplorare questa antichissima cultura andando a toccare anche le tante civiltà che ad essa si sono intrecciate nei millenni della sua esistenza. Da qui il titolo Dessaran che in armeno significa “l’orizzonte, il confine di ciò che vedi” e l’obiettivo, come dichiarano la direttrice artistica Antonia Arslan e l’Assessore alla Cultura Andrea Colasio, di gettare lo sguardo verso «tanti orizzonti diversi, ma anche nessun orizzonte definito ed escludente, in uno scambio fruttuoso e allegro di saperi, cognizioni, suggestioni antiche e moderne».

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L’Armenia si prepara al voto (Osservatorio Balcani e Caucaso 19.11.18)

I colpi di scena non sono certo mancati nella vita politica della Repubblica di Armenia dalla fine dell’URSS: la guerra per il Karabakh, la sparatoria in parlamento nel 1999, l’ascesa alla presidenza di Serzh Sargsyan nel 2008 bagnata di sangue. Il 2018 si incastona in questa periodizzazione di eventi che hanno scandito la storia del paese ma con un primato positivo: tutti i processi politici dell’anno sono stati pacifici. Un primo bilancio che permette di ripercorrere i principali momenti dell’anno politico armeno che volge al termine – ma che certo non s’è ancora esaurito – con un blando ottimismo.

Un anno convulso ma pacifico

Nel marzo 2018 le elezioni presidenziali hanno portato all’elezione alla massima carica dello stato di Armen Sarkissian, innescando i processi che hanno poi portato alla cosiddetta Rivoluzione di Velluto. Presidente uscente è stato infatti Serzh Sargsyan (non poteva più ricandidarsi) che a quel punto ha cercato di portare a termine il suo avvicinamento verso la carica di primo ministro, strategia avviata già tre anni fa con l’organizzazione di un referendum che ha trasformato l’Armenia in una Repubblica parlamentare, con il potere politico passato dallo scranno presidenziale a quello del primo ministro.

Il cambio di poltrona si è però rivelato impraticabile per il veterano della politica armena. L’ex presidente, per pochi giorni primo ministro, è stato obbligato alle dimissioni sotto la pressione delle manifestazioni di piazza capeggiate da Nikol Pashinyan che il 1 maggio è divenuto il nuovo primo ministro. Un premierato rimesso il 6 ottobre scorso, quando Pashinyan ha dato le dimissioni innescando una crisi di governo e l’ormai prossimo scioglimento del Parlamento.

Come e perché della crisi

La necessità di rinnovare il Parlamento – o Assemblea Nazionale, come è denominata in Armenia – era stata percepita nell’immediato del dopo Rivoluzione di Velluto. Il motivo è intuibile: Pashinyan si è trovato a capo di un governo di minoranza, in un parlamento largamente dominato dal partito del delegittimato e spodestato Sargsyan. I numeri del parlamento come uscito dalle elezioni del 2017 vedevano il Partito Repubblicano di Sargsyan con 58 seggi su 105, l’Alleanza Tsarukyan con 31, lo Yelk (Via d’Uscita) di Pashinyan con 9 seggi e la Federazione Rivoluzionaria Armena con 7. Come governare con questi numeri, considerando che lo stesso Yelk si era diviso nel periodo della rivoluzione, per poi ricompattarsi solo a fronte del successo largamente personale di Pahinyan? Si è aperta quindi una fase politica di concitate negoziazioni, in cui le quattro forze politiche presenti in parlamento hanno dovuto ridisegnare le proprie strategie davanti a un elettorato mobilitato, critico e più attento, emerso da un’apatia e un disincantato scetticismo che avevano accompagnato il ristagno politico degli ultimi anni.

Una stampella allo Yelk del nuovo primo ministro è arrivata dall’Alleanza Tsarukyan e dalla Federazione Rivoluzionaria Armena. Per i due partiti, ambedue in passato alleati di Sargsyan e del Partito Repubblicano, pur con fasi alterne, la situazione creatasi ha rappresentato una grande chance per scrollarsi di dosso l’etichetta di un passato politico scomunicato dalle piazze e per accedere al governo dell’Armenia post-rivoluzionaria. Vice versa per lo Yelk i due partiti hanno portato i seggi necessari per provare a portare avanti la propria piattaforma politica con il parlamento che c’era, senza screditarsi provando a cooptare parlamentari Partito Repubblicano.

Un’alleanza di governo però fatta di cristallo che si è infranta il 3 ottobre scorso quando Pashinyan ha sollevato dal governo 6 ministri su 17, tutti esponenti dei due partiti-stampella, come effetto di una dura battaglia verso quei ministri che intendevano approvare modifiche ai regolamenti parlamentari che avrebbero ritardato le elezioni. Per Pashinyan era invece importante arrivare a breve allo scioglimento del parlamento perché le elezioni parlamentari anticipate erano una delle condizioni della Rivoluzione di Velluto. Sono seguite le già citate dimissioni del primo ministro, la mancata sua rielezione in due sedute del parlamento e quindi il prossimo scioglimento del parlamento ed elezioni, che probabilmente si terranno il prossimo 9 dicembre.

Una crisi politica quindi condotta in prima persona da Pashinyan, una prova di forza con l’ambizione di ridisegnare un parlamento che sia più rappresentativo della cosiddetta Rivoluzione di Velluto.

Tutti i partiti sapevano che questo momento sarebbe arrivato, ma vi era chi le preferiva prima e chi dopo. Per Pashinyan questo è un buon momento: il fermento rivoluzionario non si è esaurito, il primo ministro è ancora molto popolare e il governo non ha avuto né il tempo né la capacità, essendo di minoranza, di fare nulla che ne intaccasse il seguito e la credibilità. Il movimento di primavera, e le sue probabili estese alleanze a movimenti attualmente extra parlamentari, si sente tra l’altro rinfrancato da un recente successo elettorale, la cui scia potrebbe lambire le elezioni di dicembre: a settembre ci sono state infatti le amministrative del comune della capitale, e l’Alleanza il Mio Passo – che raduna il partito di Pashinyan ed esponenti della società civile a lui vicini – ha ottenuto l’81% dei voti. Con questa sigla, che richiama la marcia rivoluzionaria di primavera, Pashinyan correrà anche alle parlamentari di dicembre.

Il Partito Repubblicano, sprofondato nel voto di settembre, ha già visto in seno dell’attuale parlamento le prime defezioni (i suoi seggi attuali sono 50). Avrebbe voluto portare avanti la legislatura almeno fino all’estate 2019, in modo da avere il tempo per riorganizzarsi dopo il terremoto politico degli ultimi mesi. Non ce l’ha fatta, ma chiude la legislatura con quella che forse è una vittoria di Pirro: ha impedito che venisse cambiata la legge elettorale.

Come si vota?

La legge elettorale con cui si andrà al voto è ancora quella fatta dal governo a guida dei Repubblicani. Sono previste due liste, una chiusa e una con preferenze da indicare. Pashinyan, avrebbe voluto cambiare la legge elettorale abbassando lo sbarramento attualmente del 5% per i partiti e del 7% per le coalizioni, alzando le quote rosa al 30% – attualmente del 25% – e rimuovendo la lista a preferenze che è una misura introdotta dai Repubblicani. Questi ultimi infatti enumerano tra le proprie fila pesi massimi del mondo politico ed economico e permettendo l’espressione delle preferenze in alcune circoscrizioni possono mettere in campo persone in grado di fare man bassa di voti. Rimuovere la loro visibilità ne avrebbe ridotto il peso.

La legge non è passata per l’ostruzionismo dei Repubblicani. Gli elettori decideranno se è stata o meno una vittoria di Pirro.

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Il silenzio sul genocidio armeno (Polesine24.it 19.11.18)

“La bellezza sia con te” è il nuovo libro di Antonia Arslan, uscito lunedì 19 novembre, che la scrittrice ha anticipato sabato scorso durante l’incontro nella biblioteca frazionale di Bottrighe. “Un privilegio che ci ha particolarmente onorato” il commento di Gabriella Veronese responsabile della biblioteca particolarmente emozionata nell’ospitare una personalità di così alto livello morale e culturale. Sala completamente gremita e pubblico attento dalla prima all’ultima parola, per poi mettersi in coda per salutare la scrittrice e farsi fare autografi e dediche.

Arslan ha parlato con grande emozione della storia del popolo armeno, il nonno paterno era armeno, il primo popolo a dichiarare la sua fede cristiana, ancor prima dei romani. Si è soffermata a raccontare le persecuzioni subite da parte del governo ottomano, dell’incredibile indifferenza degli altri Paesi di fronte a migliaia di morti. Tra il 1915 e il 1916 su 2 milioni di popolazione totali, 1 milione e 500mila armeni furono barbaramente trucidati e i rimanenti scamparono alla morte certa solo per casi fortuiti.

La scrittrice ha posto un accento particolare per spiegare il vero significato della parola genocidio. “Si tratta – ha affermato – di un termine di origini recenti, coniato nel 1944 dal polacco Raphael Lemkin proprio per identificare quanto era stato perpetrato ai danni di un intero popolo, termine da non confondere con strage o altri idiomi. Un genocidio si compie quando un governo, quello ottomano, in questo caso, elimina una parte della sua popolazione con l’intento di estirpare la popolazione stessa per motivi etnici, religiosi o altro, tragedia che poco dopo toccò anche al popolo ebraico e, successivamente, nel 1994, in Ruanda, all’etnia Tutsi”.

Durante l’incontro Arslan ha parlato dei suoi libri che ricostruiscono di fatto l’autobiografia culturale e morale di un popolo: “La masseria delle allodole”, uscito nel 2004, ispirato proprio alle vicende del popolo armeno, fino al penultimo “Lettera a una ragazza in Turchia”, del quale ha letto un brano di grande bellezza. “Il pomeriggio si è concluso troppo presto – ha osservato Gabriella Veronese – con il pubblico che, dopo lunghi applausi, ha fatto la coda per salutare la grande scrittrice e chiedere il suo autografo. Anch’io, come la docente del liceo Banfi, che ha ospitato una precedente conferenza della Arslan, voglio terminare con una frase presa da “Il libro di Mush” dove si legge: ‘Cadano tre mele dal cielo: la prima per chi ha raccontato questa storia, la seconda per chi l’ha ascoltata, la terza per il mondo intero’. Questa è la lezione che, sono certa, rimarrà nel cuore e nella mente dei tanti presenti che hanno dedicato un sabato pomeriggio per ascoltare una testimonianza che deve essere la bussola per orientarsi al giorno d’oggi”.

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Armenia: premier designato Pashinyan, cooperazione tra governo e cittadini cruciale per risolvere problemi del paese (Agenzianova 19.11.18)

Erevan, 19 nov 13:02 – (Agenzia Nova) – Un’efficace cooperazione tra governo, comunità e cittadini è cruciale per la risoluzione di tutti i problemi che affliggono l’Armenia. Lo ha dichiarato il primo ministro designato, Nikol Pashinyan, parlando ad un incontro con i leader delle comunità, i direttori delle scuole e i capi delle strutture sanitarie del governatorato di Gegharkunik. “Vogliamo che ci siano pari opportunità per tutti i cittadini, in modo da incoraggiare gli investimenti e incentivare il governo a creare nuovi posti di lavoro”, ha affermato il premier incaricato, aggiungendo che è in corso di valutazione una proposta per rendere le microimprese esenti dalle tasse. (Res)

Italia-Armenia: Mattarella riceve presidente Sarkissian (Agenzianova 18.11.18)

Italia-Armenia: Mattarella riceve presidente Sarkissian
Erevan, 18 nov 08:55 – (Agenzia Nova) – Il presidente della Repubblica italiano Sergio Mattarella ha ricevuto ieri l’omologo armeno Armen Sarkissian. Lo rende noto un comunicato della presidenza armena, secondo cui al centro dei colloqui ci sono state le questioni riguardanti l’ulteriore approfondimento delle relazioni bilaterali. Nel corso dell’incontro Sarkissian ha inoltre informato Mattarella sugli incontri e gli accordi stipulati durante la sua visita a Roma, iniziata mercoledì scorso, ponendo l’accento sulle ampie opportunità di cooperazione esistenti nei settori economico, culturale e scientifico. Durante il suo soggiorno a Roma Sarkissian ha avuto una serie di incontri, tra cui quelli con i dirigenti dell’Associazione nazionale costruttori edili (Ance), con l’amministratore delegato di Leonardo, Alessandro Profumo, e con il presidente del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), Massimo Inguscio. Il presidente armeno è inoltre intervenuto mercoledì scorso alla conferenza “Geopolitica del digitale: nuovi confini, crescita e sicurezza del paese”, organizzata dal gruppo Elettronica presso la Sala della Scherma del Foro Italico, a Roma, con la collaborazione dello Studio Ambrosetti. (Res)