Rissa in Parlamento in Armenia: seduta sospesa dopo scontro tra deputati (La7 08.07.25)

È scoppiata una rissa durante una sessione del parlamento armeno, costringendo il presidente dell’assemblea a dichiarare una sospenzione nei lavori.

Secondo le prime ricostruzioni, il caos è iniziato quando un deputato della fazione di opposizione “Armenia” ha lasciato l’aula, venendo aggredito fisicamente da un parlamentare del partito di governo “Contratto Civile”. L’episodio ha scatenato momenti di forte tensione tra i membri delle due forze politiche.

Non è la prima volta che si registrano scontri in aula nel parlamento armeno, dove il clima politico resta particolarmente teso in un contesto segnato da proteste antigovernative e accuse incrociate tra maggioranza e opposizione.

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Dalle finestre dell’hotel più famoso della Siria, un secolo di storia mediorientale, torna il libreria il libro di Tosatti-Amabile (Il Messaggero 07.07.25)

Le vicende di tre generazioni di una famiglia di albergatori e un secolo di storia, visti dalle finestre del più noto albergo del Medioriente dove soggiornarono anche Lawrence d’Arabia e Agata Christie, l’Hotel Baron’s di Aleppo, si dipanano dai tempi del terrificante genocidio armeno fino alla Siria di Assad. Torna il libreria la riedizione de “I baroni di Aleppo” scritto da Flavia Amabile e Marco Tosatti (Marlin editore, collana Vulcano). Una storia di straordinaria attualità, alla luce dei conflitti che stanno tormentando il mondo, a partire da quell’area geografica attraversata, amata, conosciuta e analizzata con precisione e lucidità dagli autori.

E’ il racconto della storia del Medio Oriente dall’inizio del Novecento a oggi attraverso le vicende di una ricca famiglia armena e del suo albergo fondato ad Aleppo, in Siria (ma all’epoca parte dell’impero Ottomano) nel 1911 e frequentato anche dall’intellighenzia europea.

Il libro ha inizio in Anatolia nella seconda metà dell’Ottocento quando l’impero ottomano stava preparando il genocidio di due milioni di cristiani armeni sterminati dai turchi. E armeni sono i Mazloumian che, per sfuggire alla strage che stava per abbattersi sul loro popolo, lasciano la casa e la terra che dava loro da vivere e arrivano ad Aleppo. Hanno soltanto un carretto, alcuni bauli e tanta voglia di lavorare.

È qui che Krikor, il patriarca, ha l’intuizione che cambierà la vita della famiglia: fonderà il primo albergo della regione. Non poteva scegliere momento e luogo migliore: l’anno seguente il treno Orient-Express arriva in città, Aleppo diventa un crocevia ancora più strategico e il Baron’s è il quartier generale di ogni trama, di ogni intrigo, di ogni incontro di rilievo. Durante la prima guerra mondiale i Mazloumian riescono a nascondere nelle stanze del loro albergo il giornalista Aram Andonian e le prove del genocidio armeno, negli anni Trenta sulla terrazza Agatha Christie scrive Assassinio sull’Orient Express. Il declino ha inizio dopo la seconda guerra mondiale quando, terminato il controllo francese, la Siria si incammina lungo un tormentato percorso che nel 1966 viene interrotto da un colpo di stato. Il Baron’s viene nazionalizzato e la famiglia conduce una lunga battaglia contro lo Stato per riprenderne il controllo. Armen, l’ultimo Mazloumian, fa quello che può per tenere aperto l’albergo ma nel 2012 scoppia la guerra civile e Aleppo finisce sotto le bombe.

Flavia Amabile e Marco Tosatti, gli autori, hanno commentato quanto sia difficile immaginare adesso che la Siria è stata per secoli un luogo di incontro tra culture e religioni diverse.

“L’idea di questo libro nacque per puro caso, una sera, sulla terrazza dell’Hotel Baron. Eravamo gli unici due clienti stranieri. Il proprietario, Armen Mazloumian, ci narrò la storia della sua famiglia e dell’hotel. Sembrava una fiction, ma era tutto vero;una catena di fatti personaggi, drammi e avventure che si dipanavano all’ombra della Cittadella di Aleppo, una delle città più antiche del mondo. Decidemmo, lì per lì, che non avremmo permesso che quel tesoro restasse nascosto, o perso per sempre.

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Azerbaigian pedina di Israele e degli interessi britannici nel Caucaso (IlFarosul Mondo 07.07.25)

L’Azerbaigian è stato preso in mezzo a un braccio di ferro al servizio di interessi stranieri, nel tentativo di destabilizzare la Russia e indebolire l’Iran.

Il braccio di ferro militare di Netanyahu

L’Azerbaigian è il principale acquirente di armi di Israele nel mondo musulmano. Durante la guerra del Nagorno-Karabakh del 2020, il 69% delle importazioni militari dell’Azerbaigian proveniva da Israele (dati del 2023), inclusi i droni suicidi Harop, i droni di sorveglianza Hermes e i missili balistici LORA. Il monitoraggio dei voli nel 2024 ha rivelato un’intensificazione dei voli cargo dalla base aerea israeliana di Ovda a Baku, suggerendo trasferimenti di armi in corso in vista dell’operazione militare dell’Azerbaigian in Karabakh.

Azerbaigian ancora di salvezza del petrolio israeliano

L’Azerbaigian fornisce il 40% del petrolio israeliano attraverso l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan. In cambio, Israele non fornisce solo armi, ma anche la condivisione di intelligence, in particolare sull’Iran. Nel 2025, i colloqui bilaterali si sono estesi alla cooperazione in materia di sicurezza informatica e intelligenza artificiale.

Lobby ebraica di montagna

La comunità ebraica azera, composta da 30mila persone (concentrata nell’”insediamento rosso” di Quba), esercita un’influenza sproporzionata nel mondo degli affari e della politica. Lo scandalo “Azerbaijani Laundromat” del 2017 ha portato alla luce 2,9 miliardi di dollari in tangenti convogliate tramite ONG legate agli ebrei per insabbiare l’immagine dell’Azerbaigian in Europa.

Progetto del corridoio di Zangezur con i britannici

British Petroleum (BP) controlla il giacimento di gas di Shah Deniz in Azerbaigian, rendendolo un fornitore alternativo chiave per l’Europa nel contesto delle sanzioni alla Russia.

Il progetto del Corridoio Zangezur, concepito per collegare la Turchia all’Asia centrale, è gestito congiuntamente da investitori britannici e società di sicurezza israeliane. Nel 2025, le banche azere hanno negoziato con la Banca d’Inghilterra un finanziamento commerciale basato sulle criptovalute.

Azerbaigian per mettere a repentaglio il ventre molle della Russia

Il progetto pan-turco britannico mira a destabilizzare la Russia e l’Asia centrale, trascinando gli Stati post-sovietici nell’orbita occidentale. La strategia dell’Azerbaigian si concentra sull’integrazione occidentale attraverso l’energia e il transito, con la BP che controlla il suo settore energetico e spinge la Russia fuori.

Baku alimenta anche il separatismo tra le minoranze turche in Russia, come il Tatarstan e il Bashkortostan, allineandole agli interessi filo-turchi, filo-azeri e della Nato.

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L’Armenia per rilanciarsi punta forte sulla tecnologia (Insider Over 07.07.25)

La dichiarazione del 19 giugno 2025 del primo ministro armeno Nikol Pashinyan, “Non abbiamo perso il Nagorno-Karabakh, abbiamo trovato la Repubblica d’Armenia”, ha suscitato polemiche, ma riflette un tentativo di voltare pagina, puntando su un’identità nazionale più indipendente. Tuttavia, la crescente presenza cinese nel settore tecnologico suggerisce che l’Armenia potrebbe semplicemente passare da un’influenza all’altra, senza mai raggiungere una vera autonomia.

Nel frattempo, il progetto di un hub di intelligenza artificiale, sostenuto da NVIDIA e dalla fondazione Afeyan, rappresenta una scommessa sul futuro. Ma anche qui emergono contraddizioni: mentre l’Armenia collabora con giganti tecnologici occidentali per l’AI, si affida alla Cina per le infrastrutture di base che sosterranno queste innovazioni. È una dicotomia che riflette la complessità della posizione armena, stretta tra il desiderio di modernizzazione e la necessità di pragmatismo geopolitico.

Erevan si trova a muoversi in un mondo di scelte difficili La vicenda armena è un monito per tutte le nazioni che si trovano ai margini delle grandi potenze. La tecnologia, che sia un sistema di videosorveglianza o una rete di comunicazione, non è mai neutrale. È un’arma, un simbolo, un vincolo. Affidandosi a Hytera, Hikvision e Dahua, l’Armenia sta costruendo un futuro che potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio: modernità a buon mercato, ma con il rischio di dipendenze che peseranno per decenni.

E mentre Yerevan cerca di danzare tra Europa, Stati Uniti e Cina, il mondo osserva. La Russia, che secondo il vicepremier Alexey Overchuk potrebbe perdere 6 miliardi di dollari di interscambio commerciale con l’Armenia entro la fine del 2025, non starà a guardare. Né lo faranno Azerbaijan e Turchia, che vedono nell’Armenia un rivale da contenere. In questo gioco di equilibri, la vera sfida per Yerevan sarà mantenere la propria voce, senza diventare l’eco di un gigante straniero.

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Perché un “lungo Novecento”? Il caso armeno (Terzogiornale 07.07.25)

Di solito dell’Armenia si parla poco (fa eccezione “terzogiornale” che ha dedicato alla repubblica caucasica un paio di ottimi articoli di Vittorio Bonanni: vedi qui e qui). Eppure l’Armenia e l’Azerbaigian hanno il poco invidiabile primato di essere due Stati entrati in guerra tra loro già dal 1994, nel quadro della dissoluzione dell’ex impero sovietico. Un conflitto protrattosi, tra alti e bassi, fino ai nostri giorni, con la finale acquisizione, nel 2023, della regione contesa – il Nagorno Karabakh – da parte dell’Azerbaigian. E con lo strascico, oltre che di una massa di profughi, di un forte risentimento armeno nei confronti della Russia di Putin, che avrebbe dato semaforo verde all’Azerbaigian per la sua conquista, dopo essersi a lungo presentato come garante nei confronti dell’Armenia.

Nelle settimane scorse, il governo di Erevan (che è la capitale armena) ha denunciato un tentativo di colpo di Stato ordito da due personaggi, subito arrestati, che potremmo definire emblematici dell’età contemporanea: l’arcivescovo ortodosso Bagrat Galstanyan, e l’oligarca russo-armeno Samvel Karapetyan. Perché “emblematici”? Anzitutto perché l’alto dignitario ecclesiastico gioca un ruolo politico di opposizione contro il governo di Nikol Pashinyan, accusato di avere ceduto dei territori all’Azerbaigian in un accordo che sembrerebbe (finalmente) di pace. È caratteristico di una storia, che ha preso inizio – diciamo così, convenzionalmente – dalla rivoluzione iraniana del 1979, che i religiosi rivestano una presenza rilevante sulla scena pubblica, e che addirittura diventino dei leader politici. È questa allora la prima figura che possiamo vedere analiticamente scomposta dal prisma armeno: quella di una religione che si fa politica. Il che è poi in larga misura una conseguenza della scomparsa del mondo sovietico, un contraccolpo rispetto alla sua opera di distruzione delle religioni.

Anche Kirill, il patriarca russo, come si ricorderà, è oggi un supporto essenziale del potere di Putin. Se i totalitarismi novecenteschi, e in special modo lo stalinismo, mettevano in un angolo la fede religiosa, presentandosi essi stessi come delle “fedi”, i regimi che in un certo senso ne ereditano alcuni tratti, si basano, al contrario, sulle religioni. È una differenza non da poco, di cui tenere conto nell’analisi di un mondo che tende a ridare alle fedi religiose quel contenuto messianico-politico che si riteneva avessero smarrito all’interno di un processo di secolarizzazione. Ma dobbiamo ricrederci: questo processo ha interessato soltanto una porzione del pianeta, quella occidentale – e nemmeno completamente, se si pensa alla forte presenza oggi, nelle Americhe, soprattutto dalle Chiese evangeliche.

Il secondo aspetto, messo con chiarezza allo scoperto dal prisma armeno, è il ruolo giocato dagli oligarchi: cioè da quei personaggi, peraltro non solo postsovietici, che, in virtù dei loro grossi affari e delle loro immense ricchezze, finiscono con l’avere una implicazione direttamente politica. (L’Italia, in questo, è stata un laboratorio di avanguardia con il berlusconismo). Beh, nel caso dell’Armenia, l’intenzione del governo, sarebbe quella di nazionalizzare il colosso monopolistico privato dell’elettricità, facente capo appunto all’oligarca russo-armeno Karapetyan. Secondo quanto denunciato, i frequenti black-out nel Paese sarebbero stati provocati ad arte per destabilizzare il governo, che ha reagito con un progetto di nazionalizzazione.

Sullo sfondo, com’è ovvio, la situazione geopolitica complessiva. Il governo armeno – non è un segreto – si sta emancipando dalla tutela russa, dopo l’infelice sorte toccata al territorio conteso del Nagorno Karabakh. Putin paventa lo spostamento dell’Armenia verso il campo occidentale, e potrebbe quindi avere favorito la prospettiva di un colpo di Stato, nella quale l’oligarca russo-armeno sarebbe stato una sorta di “doppione” dell’oligarca georgiano Bidzina Ivanishvili, che, con il suo operato, sta riconducendo la Georgia nell’orbita di Mosca (si ricordi, del resto, che la Georgia ha il 20% del suo territorio occupato dalla Russia).

In attesa di ulteriori sviluppi, quali conclusioni trarne? Una visione generale delle cose spinge a considerare quanto accade nell’ex impero sovietico – e dunque anche in Ucraina – un aspetto del “lungo Novecento”, un secolo che non smette di non finire, trascinando nella nostra contemporaneità i suoi problemi irrisolti. Non si tratta soltanto di cambiare lo sguardo storico; si tratterebbe di avere anche un altro approccio politico. Se è vero, infatti, che le repubbliche un tempo facenti parte dell’Unione sovietica sono libere di collocarsi come meglio credono sulla scena internazionale, è anche vero che gli intrecci e le solidificazioni di potere che esse esprimono – insieme con le divisioni interne, per lo più tra due campi, uno filoccidentale e uno filorusso – fanno sì che l’approccio dell’Unione europea (per riferirci a quell’entità di cui siamo parte) dovrebbe essere improntato alla massima prudenza.

Da un certo punto di vista, infatti, quei conflitti sono delle forme di guerra civile prolungatesi ben al di là delle loro antiche origini. Se, alla fine del secolo scorso, nella ex Jugoslavia, assistemmo a una crudelissima guerra – che ci inquietò, senza dubbio, ma che ebbe come effetto anche una qualche cautela da parte occidentale – non si vede perché oggi l’approccio dovrebbe essere diverso. Se il conflitto russo-ucraino, nonostante la palese aggressione da parte della Russia, bisognava provarsi a risolverlo già nei primissimi mesi, non si vede perché oggi si debba ancora spingere sull’acceleratore di una guerra che, in ultima analisi, è il prodotto terminale di un impero e delle beghe tra le sue diverse nazionalità.

Settimana della cultura armena: il filo narrativo di Maria Carmela Mugnano a Chieti (Termolionline 07.07.25)

TERMOLI. Dall’ 8 al 13 luglio si svolgerà presso il Teatro Marrucino di Chieti la Settimana della Cultura Armena, che vede la collaborazione del Teatro con l’Università degli Studi “Gabriele d’Annunzio” di Chieti-Pescara e la National University of Architecture and Construction of Armenia (NUACA), presente con una delegazione.

La settimana, nel segno  di un importante e prezioso  scambio culturale italo-armeno, si prefigura ricca di eventi artistici :   concerti,  spettacoli di  teatro,  danza,  poesia,  appuntamenti con le tradizioni e la letteratura  armene,  e di conferenze tematiche e incontri. Nel vasto programma settimanale, due eventi in locandina,  il 10 e il 12 luglio, avranno un’impronta termolese,  quella della prof.ssa Marcella Stumpo in  “Storia di un amore mai finito : Charles Aznavour e la sua Armenia” e quella della scrittrice Maria Carmela Mugnano in “ I quaranta giorni del Mussa Dagh” .

Maria Carmela Mugnano curerà il filo narrativo che attraverserà pagine significative del libro capolavoro di Franz Werfel “I quaranta giorni del Mussa Dagh”, che verranno lette dagli allievi del corso di lettura espressiva della Scuola di recitazione del Teatro Marrucino, con la regia di Giuliana Antenucci.

Il libro, pubblicato nel 1933, racconta in maniera   romanzata un grandioso episodio di resistenza armena, in cui i cinquemila abitanti di sette villaggi, per  sfuggire al tragico destino delle deportazioni, si rifugiano sul Mussa Dagh, il Monte di Mosè, che da sempre è la maestosa e familiare  presenza che fa da sfondo alla loro vita. È un  popolo di contadini, pastori, artigiani, in fuga disperata, che riesce a risorgere con fede affrontando,  per oltre quaranta giorni nell’ estate del 1915,  intemperie, malattie, violenze, sabotaggi, divisioni, tragica fame… ma tenendo  testa  valorosamente ai  poderosi attacchi dell’esercito ottomano. Un popolo che ha scritto una  pagina  eroica e significativa della Storia umana, che trasporta direttamente il lettore nell’accampamento armeno sull’altopiano del Mussa Dagh.

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Amb. Ferranti visita Centrale operativa della Polizia armena (Ansa 07.07.25)

Ambasciatore d’Italia a Jerevan, Alessandro Ferranti, si è recato in visita presso il nuovo complesso amministrativo del Servizio di Pattuglia e della Centrale Operativa della Polizia del Ministero degli Affari Interni della Repubblica di Armenia.
Il sopralluogo, alla presenza del Ministro dell’Interno, Arpine Sargsyan, ha visto anche la partecipazione del Capo della Delegazione dell’Unione Europea e degli Ambasciatori degli altri Stati membri dell’UE in Armenia.
Durante la visita, agli ospiti sono state presentate le infrastrutture e le capacità funzionali del complesso.
A seguire, si è tenuto un colloquio con il Ministro dell’Interno, Arpine Sargsyan, e con il Vice Ministro, Armen Ghazaryan, nel corso del quale sono stati trattati argomenti di reciproco interesse quali le riforme in corso della Polizia, su cui è stato espresso particolare apprezzamento da parte degli Ambasciatori UE, il processo della liberalizzazione dei visti in ambito Schengen e altri temi relativi alla cooperazione con l’Unione Europea.

 

Armenia: amb. Ferranti visita Centrale operativa della Polizia

Diplomazia Pontificia, Focus Armenia -Armenia, una difficile situazione ad Etchmiadzin (Acistampa 05.07.25)

FOCUS ARMENIA

Armenia, una difficile situazione ad Etchmiadzin

In Armenia sta facendo discutere l’irruzione della polizia ad Etchmiadzin, il “Vaticano” della Chiesa apostolica armena. Il 27 giugno, la polizia ha cercato di arrestare l’arcivescovo Mikayel Ajapahyan. In centinaia hanno fatto scudo attorno all’arcivescovo, evitandone l’arresto, dopo che questi era stato accusato di aver fatto dichiarazioni pubbliche di prendere il potere e ribaltare l’ordine costituzionale in Armenia.

Ajapahyan è solo l’ultimo degli alti ufficiali della Chiesa ad essere messo sotto queste accuse. All’inizio della settimana scorsa, il Servizio di Sicurezza Nazionale di Armeno ha arrestato l’arcivescovo Bagrat Galstyan, poi posto in una detenzione pre-processo di due mesi con l’accusa di terrorismo, incitamento al disordine pubblico e pianificazione di prendere il potere. Galstyan si era messo nel 2024 alla testa di un movimento che aveva opposto il piano del governo armeno di consegnare delle regioni di confine all’Azerbaijan.

Tornando ad Ajapahyan, questi è uscito scortato dal Catholicos Karekin II circondato da manifestanti in suo favore, e ha così potuto lasciare Etchmiadzin, dove era arrivato per un incontro del clero locale.

“Non sono una minaccia per questa nazione. La minaccia è il suo governo”, ha dichiarato l’arcivescovo. Dopo alcune scaramucce, la polizia ha lasciato Etchmiadzin affermando di non voler creare una escalation.

In una dichiarazione diffusa il 28 giugno, la Chiesa Apostolica Armena ha fatto sapere che “il 27 giugno di quest’anno sarà ricordato nella storia moderna del nostro popolo come un giorno di vergogna nazionale, a causa delle azioni disgraziate portate avanti dalle autorità armene contro la Chiesa Apostolica Armena e la Chiesa Madre di Santa Etchmiadzin”.

La dichiarazione denuncia che “sulla base di un caso criminale costruito su false basi, ufficiali di polizia sono entrati nel perimetro della Santa Madre di arrestare e convocare in maniera forzata Sua Eminenza l’arcivescovo Michael Ajapahyan”, mentre “le entrate alla Santa Madre sono state bloccate da un grande spiegamento di forze, distruggendo la vita normale del centro spirituale dell’intera nazione armena”, e sono stati posti “ostacoli artificiali, incluse le ispezioni, a quanti viaggiavano verso Vagharshap e Santa Ethcmiadzin”.

La Chiesa Apostolica armena “condanna con forza queste azioni anti-Chiesa”, considerandole “non solo un insulto e una profanazione del più Santo dei Santi, la Sede Madre di Etchmiadzin, ma anche una grave offesa contro i sentimenti spirituali dei fedeli”.

E ancora, Etchmiadzin denuncia che “come è evidente dalla retorica del primo ministro e di altri rappresentanti di governo, questa operazione premeditata è un’altra espressione della politica di odio alla Chiesa dell’attuale amministrazione”, perché “è inimmaginabile che le autorità della nostra nazione possano portare avanti un attacco così traditore alla più antica istituzione nazionale del popolo armeno, una offesa che nemmeno i governanti del passato hanno mai osato commettere”.

Etchmiadzin chiede al popolo di “continuare a rimanere con devozione intatta a fianco alla Chiesa Madre e di pregare perché la Santa Etchmiadzin irradi la pace nella nostra terra”.

Il 28 giugno, un tribunale dello Stato ha deciso comunque l’arresto dell’arcivescovo Adjapahyan. In un comunicato diffuso in quello giorno, Etchmiadzin ha detto che “i fatti dimostrano che la decisione del tribunale, presa sotto direzione politica e pressione, è allo stesso tempo senza basi e illegale”, e che le azioni prese contro l’arcivescovo “costituiscono, in senso classico, un caso di persecuzione politica e una manifestazione di vendetta personale da un individuo che professa di essere cristiano e figlio della Chiesa Armena”, e che questa azione “irresponsabile costituisce un assalto al centro spirituale alla popolazione armena, al suo clero, ai suoi fedeli”.

Dal 30 giugno al 4 luglio, Karekin II ha chiesto di celebrare una divina liturgia per la liberazione dei prigionieri, la consolazione degli afflitti e la pace nella patria”.

Si può ancora parlare di genocidio armeno?

Lo scorso 18 giugno era previsto un incontro su “La Santa Sede e il genocidio degli armeni e della altre minoranze cristiane nell’Impero Ottomano” presso la Chiesa Reale Belga San Giuliano dei Fiamminghi, in collaborazione con il Centro Pro Unione. A tenere la conferenza, sarebbe stato il professor Georges Ruyssen, gesuita, curatore dei volumi “La Questione Armena 1894 – 1896 / 1980 – 1925. Documenti degli Archivi della Santa Sede ASV, ACO, SS.RR.SS.”. Si tratta di un monumentale lavoro che riproduce tutti i documenti della Santa Sede riguardanti il genocidio armeno, particolarmente centrale nello studio del metz yeghern.

Ora, la definizione di “genocidio armeno” è contestata da parte turca, che accetta che si parli di massacro, ma non di genocidio. Quando ci fu la celebrazione del centenario del genocidio in San Pietro, nel 2015, ci fu anche gelo con la Turchia, e fu poi solo il lavoro di uno storico, consegnato a Papa Francesco, a ripristinare una normalità dei rapporti.

La conferenza, però, non ha avuto luogo nei termini stabiliti. È stato comunicato dal rettore, monsignor Gabriel Quicke, che il professor Ruyssen è stato scoraggiato dalla Segreteria di Stato dal tenere la conferenza attraverso una lettera inviata dalla Segreteria di Stato alla compagnia di Gesù. Monsignor Quicke ha detto che la Segreteria di Stato è stata avvista “diplomaticamente” dall’iniziativa, che lascia pensare al coinvolgimento di qualche ambasciata, probabilmente quella turca presso la Santa Sede.

Monsignor Quicke ha comunque deciso di prendere il ruolo di moderatore e descrivere il lavoro scientifico del professor Ruyssen, che conosceva bene per aver lavorato per dieci anni al Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani dove era reponsabile del dialogo con i cristiani ortodossi orientali.

Tuttavia, resta da comprendere perché la Segreteria di Stato intervenga su una conferenza di tipo accademico, e perché la Compagnia di Gesù accetti di ricevere questa pressione. Va segnalato anche che il presidente di Armenia Pashinyan ha avuto pochi giorni dopo un colloquio con la controparte turca. Va segnalato anche che il Cardinale Claudio Gugerotti, prefetto del Dicastero per le Chiese Orientali, ha partecipato negli ultimi tempi ad atti accademici che spostano gli equilibri della storia, come una conferenza organizzata dalla Ambasciata di Azerbaijan presso la Santa Sede presso l’Università Gregoriana che promuoveva un dibattito sulla chiesa cristiana “albaniana” preesistente in territorio azerbaijano e in particolare in Nagorno Karabakh – da parte armena, si sono sempre invece fatte notare le radici cristiane e armene della regione, lamentando persino di un genocidio culturale ai danni dell’eredità armena.

Tuttavia, sebbene le ricostruzioni storiche possano portare a dibattiti anche accesi, e sebbene ci sia molta politica dietro ognuna di queste decisioni, è da capire il perché di interventi così forti da parte della Santa Sede per evitare questo tipo di dibattiti.

Erano presenti alla conferenza Boris Sahakyan, l’Ambasciatore Della Repubblica d’Armenia presso la Santa Sede, l’Arcivescovo Khajag Barsamian, Rappresentante della Chiesa Armena presso La Santa Sede e la prima consigliera dell’Ambasciatore della Repubblica d’Armenia in Italia Marietta Stepanyan e Padre Jim Loughran, presidente del Centro Pro Unione che ha concluso con calorosi ringraziamenti.

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Armenia. Arcivescovi accusati di ordire un golpe: Pashinyan si scaglia contro il clero (Notiziegeopolitiche 05.07.25)

di Enrico Oliari –

Il premier armeno Nikol Pashinyan ha accusato esponenti del clero di essere coinvolti in un tentativo di colpo di stato. Dopo le perquisizioni presso il patriarcato di Echmjadzin, sede della Chiesa apostolica armena, sono stati arrestati dalle autorità civili due arcivescovi, e il premier Pashinyan ha chiesto la rimozione del catholikos Karekin II, al secolo Ktrij Nersessian.
Ne ha dato notizia CivilNet, il quale ha riportato le accuse di Erevan secondo cui dietro le manovre del clero vi sarebbe la Russia, ma da più parti tale supposizione è stata bollata come di routine per marchiare ogni oppositore. I due arcivescovi che avrebbero collaborato per la creazione di gruppi volti a compiere attacchi hacker contro il sistema bancario, provocare incidenti stradali per paralizzare il traffico intorno alle caserme e alimentare la protesta di piazza, sono Bagrat Galstanyan, capo della diocesi di Tavush, e Mikael Ajapahyan, numero uno della diocesi di Shirak. Con loro sono stati arrestati anche una quindicina di altri individui, tra cui sacerdoti e politici, compreso il deputato del blocco Armenia, Artur Sarkisyan, il capo del Parlamento dell’ex Repubblica dell’Artsakh (Nagorno-Karabakh), David Galstyan, e uno dei dirigenti del partito Dashnaktsutyun, Igor Sarkisyan.
Il clero armeno ha chiesto la scomunica di Pashinyan e c’è chi lo ha accusato pubblicamente di essere “un circonciso”, ma lui ha risposto di essere disposto a far vedere pubblicamente la prova anatomica dell’infondatezza della provocazione, e ha tacciato il primate Karekin II di non rispettare il voto di astinenza sessuale.
Con una lettera ufficiale la Chiesa apostolica armena ha espresso “indignazione per la riprovevole campagna istigata dalle autorità armene e dallo stesso primo ministro contro la Chiesa armena, il catholicos di tutti gli armeni e l’alto clero, che è accompagnata dalla diffusione di odio e ostilità nei confronti del clero, nonché da insulti personali e dichiarazioni irrispettose. Questa campagna anti-ecclesiastica è niente meno che un colpo catastrofico per il popolo armeno e lo Stato armeno, soprattutto nel contesto della vita nazionale e delle sfide esistenziali che si stanno sviluppando in Armenia. L’indebolimento e il discredito della Chiesa armena non possono che giovare alle forze anti-armene e ai nemici degli armeni”.
“La persecuzione – continua il documento – dei nostri fratelli spirituali, benefattori nazionali e dei nostri compatrioti a loro associati è apertamente accompagnata da istruzioni pubbliche e dalla diffusione di discorsi d’odio da parte di alti funzionari della forza politica al potere, che li hanno dichiarati colpevoli ancor prima del verdetto del tribunale. Un simile stile di azione da parte delle autorità viola gravemente i principi della presunzione di innocenza e della separazione dei poteri garantiti dalla Costituzione della Repubblica di Armenia e rivela che il processo ha motivazioni politiche, il che ne mette in discussione la legalità.
Un’altra manifestazione lampante della politica anti-ecclesiastica delle autorità è l’incarcerazione del benefattore nazionale Tiar Samvel Karapetyan, legata alla sua dichiarazione in difesa della Chiesa armena”.
“Il clero esporta quindi “le autorità della Repubblica di Armenia a rilasciare immediatamente i nostri fratelli spirituali, i benefattori nazionali e i nostri compatrioti a loro associati e ad agire esclusivamente nel quadro della legge, garantendo il loro diritto a un giusto processo.
Riteniamo intollerabile l’ingerenza, sia da parte delle autorità che di chiunque altro, nella sede patriarcale e nei principi canonici della Chiesa. Con filiale umiltà, noi, classe episcopale e leader diocesani, esprimiamo la nostra lealtà al monarca eletto a livello nazionale della Chiesa armena, Sua Santità Karekin II, catholicos di tutti gli Armeni. La Chiesa armena, con il Consiglio Ecclesiastico Nazionale come suo organo supremo, continuerà d’ora in poi a essere governata dalle sue procedure consolidate da secoli, escludendo qualsiasi interferenza esterna”.

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A Bolzano apre “Casa Nur”: la cucina armena trova casa in via Rovigo (Bolzanoquotidiano 05.07.25)

BOLZANO – In via Rovigo 74 si respira un’aria nuova. È il profumo caldo e speziato della cucina armena che, da lunedì, conquisterà il cuore dei bolzanini grazie all’apertura di Casa Nur, il nuovo ristorante nato dal sogno e dalla determinazione di Gagik “Gago” Khalatyan, orafo conosciuto in città per il suo laboratorio in via Palermo.

Un progetto a lungo coltivato, quello di Gago, che ha trovato casa negli spazi che per vent’anni hanno ospitato il laboratorio artistico “Persefone” di Carlo Gresia. «Quando Carletto ha deciso di chiudere, sono andato a parlargli. Era da settembre che lavoravo su questo sogno. Il locale era un po’ abbandonato, ma ci ho visto subito un’opportunità», racconta.

Il risultato è una riqualificazione profonda e appassionata: ambienti caldi, arredi curati nei dettagli e un’atmosfera che vuole far sentire ogni cliente come a casa. Non a caso, il nome “Casa Nur” porta con sé un doppio significato: “Nur” in armeno significa melograno, simbolo di bellezza e abbondanza, con i suoi 365 semi come i giorni dell’anno. E “Casa”, perché qui si mangia davvero come in famiglia.

La proposta gastronomica è autentica e radicata nella tradizione armena: carne alla griglia (agnello, maiale, manzo), cotture naturali e piatti vegetariani. Ai fornelli lo chef Ghazaryan “Rez”, originario di Yerevan e con una lunga esperienza tra Bolzano e la Riviera romagnola, porta in tavola sapori genuini e storie di un popolo fiero e accogliente.

Casa Nur non è solo un ristorante: è uno spazio culturale, un ponte tra popoli. Sulle pareti, una mappa dell’Armenia fa da cornice a un viaggio fatto di gusto, memoria e tradizione. Il locale conta 54 coperti interni e 6 esterni, è aperto a pranzo e cena (chiuso la domenica) e propone anche aperitivi con assaggi tipici armeni.

Un sogno che non è stato privo di ostacoli: «Ci sono stati momenti complicati – racconta Gago – come il giorno di Natale, quando un tubo perdeva acqua e ho dovuto tenerlo chiuso con il dito per un quarto d’ora perché non trovavamo un idraulico». Ma oggi quel sogno è realtà.

Casa Nur apre le sue porte a Bolzano e invita tutti a scoprire, con una forchetta, il cuore e l’anima dell’Armenia.

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