Nagorno-Karabakh: l’UE stanzia ulteriori 3 milioni di euro in aiuti umanitari per i civili colpiti dal conflitto (Apiceuropa 02.03.1)

a Commissione ha annunciato 3 milioni di euro in aiuti umanitari per assistere le persone colpite dal conflitto nel Nagorno-Karabakh. Il recente scontro militare tra Armenia e Azerbaigian, che ha infuriato senza sosta per sei settimane, ha causato vittime, danni gravi alle infrastrutture pubbliche come le scuole, le strade, i servizi pubblici e i servizi sanitari e ha spinto centinaia di migliaia di persone a fuggire dalle proprie case per mettersi in salvo.

Nonostante l’accordo di cessate il fuoco raggiunto tra Armenia e Azerbaigian il 9 novembre 2020, la situazione umanitaria rimane preoccupante.

Dall’inizio delle ostilità nel settembre 2020, l’UE ha mobilitato un totale di 6,9 milioni di euro in assistenza umanitaria. Ma con la pandemia di coronavirus e il rigido inverno la situazione è peggiorata ulteriormente. L’UE sta pertanto intensificando il suo sostegno. Infatti, aiuterà i suoi partner umanitari a fornire cibo, riparo, articoli per l’inverno e altri beni di prima necessità, nonché servizi sanitari essenziali e sostegno psicosociale alla popolazione colpita. Tutti i finanziamenti umanitari dell’UE sono forniti in linea con i principi umanitari di umanità, neutralità, imparzialità e indipendenza.

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“Le elezioni, unico modo per evitare un golpe e sanare un paese diviso” (Il Sussidiario 02.03.21)

Continua il momento difficile dell’Armenia, apertosi dopo la sconfitta nella guerra con l’Azerbaijan. Il trattato di pace stipulato con la supervisione di Mosca ha visto infatti gli armeni costretti a cedere territori a maggioranza armena, parte del Nagorno-Karabakh da sempre al centro delle dispute tra i due paesi. Ciò ha portato a un profondo malcontento popolare, guidato dal partito di opposizione Dashnaktsutyun, che chiede le dimissioni del primo ministro in carica Nikol Pashinyan che, secondo Pietro Kuciukian, console onorario della Repubblica di Armenia in Italia, da noi intervistato, godeva prima della guerra del 90 per cento del consenso popolare. “La situazione si è complicata quando il primo ministro ha chiesto le dimissioni del Capo di stato maggiore dell’esercito, colpevole secondo lui della sconfitta, cosa che ha portato l’esercito a stringersi a lui, rifiutando a sua volta le dimissioni”. La situazione è molto difficile, ci ha detto ancora Kuciukian, e solo elezioni anticipate possono chiarirla, assicurando però che “non c’è pericolo di un colpo di stato militare: in Armenia l’esercito si è sempre tenuto lontano dalla politica”.

L’Armenia appare spaccata in due: da una parte, il premier Pashinyan e il suo partito al governo; dall’altra, le forze di opposizione che ne chiedono le dimissioni. Ci può spiegare che parti politiche rappresentano i due schieramenti?

Pashinyan, avendo ottenuto la maggioranza alle ultime elezioni con il partito da lui fondato, Im Kayl, che in italiano significa “Il mio passo”, non intende dimettersi perché dice che il popolo lo ha voluto.

E a sua volta ha chiesto le dimissioni del Capo di stato maggiore dell’esercito, accusandolo della sconfitta miliare con l’Azerbaijan.

Esatto, voleva far dimettere il Capo di stato maggiore, ma le dimissioni devono essere firmate dal presidente della Repubblica, il quale finora non ha firmato, spiegando che, essendo una situazione di emergenza, si riserva di prendere del tempo. Ci sono manifestazioni continue del suo partito e dell’opposizione, fortunatamente pacifiche.

Questa opposizione invece che parte politica rappresenta?

Un insieme di partiti guidati dalla Federazione rivoluzionaria armena.

Cercando di inserirli in un’ottica occidentale, come possiamo definire le due forze in campo?

In Armenia non c’è una situazione politica paragonabile, ad esempio, a quella italiana. Possiamo dire che il partito del primo ministro è di centro-sinistra, mentre quello all’opposizione è di centro-destra, ma entrambi sono forze nazionaliste, che è l’ideologia politica che unisce tutti gli armeni. Persa la guerra, è ovvio che la gente delusa sia scesa in piazza a dimostrare contro il governo che ha fallito contro l’Azerbaijan.

E i militari? Che ruolo giocano in tutto questo?

I militari si sono schierati a difesa del loro Capo di stato maggiore. Diciamo che stanno in mezzo tra i due partiti. Finora si tengono alla larga dall’entrare in politica. Si tenga conto, poi, che anche quello che chiamiamo papa armeno è sulla loro posizione, quella di chiedere le dimissioni del primo ministro.

C’è il rischio che i militari possano tentare un golpe?

Direi di no. L’esercito in Armenia si è sempre tenuto fuori da ogni schieramento politico, sono sempre stati al di sopra delle parti.

Qual è secondo lei il ruolo di Mosca?

Mosca, come sempre, tiene il piede in due scarpe tra Armenia e Azerbaijan, ma anche con la Turchia.

Cosa può succedere?

Difficile dirlo in questo momento, molto difficile. Spero si vada a elezioni anticipate, così si vedrà la composizione di questa eventuale opposizione. Pashinyan aveva il 90% dei consensi, adesso dopo la sconfitta, solo le elezioni potranno dire da che parte sta il popolo.

C’è bisogno insomma di un cambiamento?

Ci sarebbe bisogno di un cambiamento in Turchia, prima di tutto, non solo per il suo appoggio all’Azerbaijan, ma per la sicurezza di tutto il mondo. La Turchia di Erdogan è sempre più pericolosa e nessuno interviene.

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Bach, Prince e l’Armenia: concerti e webinar nel programma del Puccini (Varesenews 02.03.21)

La rassegna “Virtuose e virtuosi in virtuale” raddoppia e prosegue fino a maggio: il programma proposto da docenti e studenti dell’istituto Puccini ha già proposto alcuni numerosi incontri aggiuntivi rispetto al programma lanciato nel dicembre scorso (che si concludeva a Natale) e ora conferma un calendario decisamente ampio.

«Abbiamo iniziato a dicembre, all’inizio dell’anno accademico, e ora il programma proseguirà fino a maggio 2021» spiega Alberto Nones, che insieme a Irene Veneziano ha seguito il progetto della rassegna fin dall’inizio.
«La maggior parte dei concerti sono stati registrati in sala Mozart del nostro istituto: un segnale della produzione artistica che continua, punta dell’iceberg di una attività che non si è mai interrotta». Buona la partecipazione delle trasmissioni in prima visione e anche l’accesso successivo alle registrazioni: «Alcuni concerti hanno raggiunto le 1600 visualizzazioni».

Il programma “primaverile”, per così dire, integra i concerti anche con quattro appuntamenti di tono diverso, le conferenze curate dalla docente Virginia Guastella (già inaugurate il 22 febbraio). Un altro incontro-conferenza sarà invece dedicato all’Armenia, interessante contributo del Puccini al festival dedicato all’Armenia ideato a Comabbio.
Le conferenze saranno comunque alternate ai concerti, che rimangono elemento centrale di una rassegna nata per superare i limiti di esibizione dal vivo della fase pandemica, ma pensata anche «per aprire il conservatorio alla città e a un pubblico potenzialmente ampissimo».

Come ricordato anche dal direttore del Puccini, Carlo Balzaretti, la rassegna fa parte di quelle «energie nuove» che stanno animando il conservatorio. L’organizzazione dei concerti e degli incontri ha coinvolto maggiormente i docenti (anche come musicisti), mente gli allievi hanno curato anche la parte di promozione dell’iniziativa, affidata a Silvia Del Zoppo per i rapporti con la stampa, a Tomaso De Bortoli per la presenza sui social media, a Filippo Cortellari per la cura del nuovo sito istituzionale (qui).

Il programma dei prossimi incontri della rassegna musicale del Puccini di Gallarate

8 marzo
Concerto per la Giornata Internazionale della Donna. Silvia Gatti, pianista allieva della Prof.ssa Maria Clementi, e Lucia Foti, arpista recentemente diplomata con menzione presso il Conservatorio di Como, si esibiranno eseguendo brani di Liszt, Messiaen e altri autori.
15 marzo
Il nostro docente di chitarra Prof. Andrea Ferrario, in duo con la pianista Elena Napoleone, eseguirà musiche di Margola, Gnattali e Castelnuovo- Tedesco.
22 marzo
Concerto di Agnese Nascimbene, pianista allieva del Prof. Francesco Pasqualotto.
29 marzo
“Composizione, analisi musicale e tecnologia nell’educazione scolastica”
Webinar della Prof.ssa Virginia Guastella con ospite Emanuele Pappalardo, compositore e didatta.
19 aprile
Concerto delle classi di clarinetto del Prof. Enrico Maria Baroni e di flauto della Prof.ssa Jessica Dalsant.
26 aprile
“Musica colta dai campi di grano: un piccolo viaggio musicale in Armenia”, nell’ambito del progetto Comabbio racconta l’Armenia. Conferenza del Prof. Alberto Nones
3 maggio
“Teatro musicale e Formazione: Opera Education”
Webinar della Prof.ssa Virginia Guastella con ospite Barbara Minghetti, creatrice di Opera Education e direttrice artistica del Macerata Opera Festival.
10 maggio
Concerto dei pianisti Samuele Paparella e Lorenzo Re, allievi della classe del Prof. Francesco Di Marco.
17 maggio
“Bach e Prince: vite parallele”
Webinar della Prof.ssa Virginia Guastella con ospite Carlo Boccadoro, compositore e musicologo.
24 maggio
Concerto del pianista Fabio De Bortoli, allievo della classe del Prof. Matteo Costa.
31 maggio
Concerto degli allievi della classe di Musica da Camera della Prof.ssa Cristiana Nicolini.

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Le conseguenze della guerra 40mila profughi allo sbando (Ilfattoquotidiano 01.03.21)

“Ci hanno staccato la corrente e le altre utenze per costringerci ad abbandonare il villaggio, ma noi non lo faremo”, raccontava a dicembre Harout Genejian, un ragazzo di Aghavno che si è unito alle truppe volontarie filo-armene dopo lo scoppio della guerra tra Armenia e Azerbaijan per il controllo del Nagorno-Karabakh. “Questo luogo per noi […]

Armenia-Azerbaijan. Il confine rovente Le conseguenze della guerra 40mila profughi allo sbando

“Ci hanno staccato la corrente e le altre utenze per costringerci ad abbandonare il villaggio, ma noi non lo faremo”, raccontava a dicembre Harout Genejian, un ragazzo di Aghavno che si è unito alle truppe volontarie filo-armene dopo lo scoppio della guerra tra Armenia e Azerbaijan per il controllo del Nagorno Karabakh. “Questo luogo per noi è sacro”, spiegava con un Kalashnikov in mano e una sigaretta nell’altra, mentre le donne intorno a lui parlavano degli orrori dei bombardamenti dei droni.

Oggi queste persone si trovano in Armenia e hanno dovuto lasciare le loro case. Quelle stesse donne che parlavano con apprensione dei mariti o dei figli al fronte hanno già incorniciato la foto di chi non tornerà più sopra la bandiera a lutto. È una terra martoriata, il Nagorno-Karabakh. Una storia di assegnazioni arbitrarie e ripensamenti che risale agli anni Venti dello scorso secolo ma che esplode nel 1991, quando sette province si auto-dichiarano indipendenti dall’Azerbaijan e assumono l’antico nome armeno di Repubblica dell’Artsakh.

L’Azerbaijan non riconosce il nuovo stato e l’Armenia interviene in sua difesa; ne scaturisce una guerra sanguinosa che dura fino al 1994 e si conclude con la vittoria armena e l’autonomia di fatto dell’Artsakh. Fino all’autunno del 2020, quando una poderosa offensiva delle truppe azere con il supporto turco riconquista due terzi della regione lasciando solo Stepanakert (che ne era anche la capitale) e pochi territori limitrofi sotto il controllo stabile del governo filo armeno.

Per settimane gli abitanti dei villaggi che ora si trovano lungo i nuovi confini hanno atteso di capire dove passasse il nuovo confine e se fossero o no obbligati a emigrare. Migliaia di agricoltori hanno perso i propri campi e sono stati costretti ad abbandonare beni e macchinari. Altri, come gli abitanti del piccolo paese di Pirdjamal, a nord di Stepanakert, hanno dovuto dividere le terre con i nuovi padroni accettando di credere a una pace nata già precaria.

Il villaggio di Aghavno è l’esempio perfetto di questo limbo. Qualche casa visibile dalla strada e un silenzio da cimitero lungo i vicoli sterrati che separano le vecchie abitazioni in rovina dai prefabbricati che in molti avevano accolto come il simbolo di una nuova stabilità, come a dire che in alcuni casi le convinzioni umane sono fondamenta più resistenti del cemento. Per questo, mentre nel resto dell’Artsakh migliaia di famiglie abbandonavano le province incalzate dall’avanzata azera, qui gli abitanti avevano scelto di rimanere e organizzarsi in piccoli gruppi armati per difendere le proprie case, anche dopo la resa di novembre.

“Di notte vedevamo le auto che correvano verso Goris (la prima cittadina oltre il confine, ndr) e ogni tanto sentivamo delle forti esplosioni, allora il cielo si illuminava per un po’ e noi scappavamo verso quelle case di pietra laggiù”, raccontava Mane, una ragazza di quindici anni che aspettava con la madre e i due fratelli di avere notizie del padre, contadino richiamato dall’esercito e inviato al fronte nella provincia di Hadrut.

Sopra Aghavno, infatti, passa il cosiddetto “Corridoio di Lachin”: una lingua di terra di 5 chilometri disseminata di scheletri di auto carbonizzate e ponti bombardati, che prende il nome della città di confine attraverso cui si snoda l’unica via percorribile tra Stepanakert e il territorio armeno. A presidiarla ci sono i soldati del contingente di pace russo inviati a garantire il “cessate il fuoco”. Duemila per cinque anni, stando agli accordi ufficiali, ma di recente il primo ministro armeno, Nikol Pashinyan ha chiesto a Mosca di aumentare gli effettivi. Più avanti, poco prima della capitale, c’è Shushi, città simbolo dell’Artsakh per la storia secolare,le chiese antiche e, soprattutto, per la posizione strategica. “Chi controlla Shushi, controlla il NagornoKarabakh”, dice un adagio locale. Perciò gli azeri hanno impiegato le forze speciali e tutti i mezzi disponibili per conquistarla, inuna sanguinosa battaglia, combattuta casa per casa tra il 4 e il 7 novembre. Oggi dalla rocca di Shushi domina una gigantesca bandiera azera, visibile dall’altro lato della vallata. In quel punto i militari dei diversi contingenti sono a distanza di poche decine di metri e passando il check-point,fino a qualche settimana fa, si poteva vedere una bandiera turca di fianco a quella azera.

Moltissimi profughi provenienti da Shushi sono a Stepanakert nell’attesa di capire come si evolverà la situazione. In una mensa per rifugiati chiediamo a Meline, seduta a un tavolo con i suoi tre figli, se pensa che riuscirà a recuperare i suoi averi: “Ho visto in un video su Facebook che la mia casa è stata bombardata, ora sono qui solo per aspettare mio marito, poi ce ne andremo non so dove”. Il marito di Meline è prigioniero di guerra, insieme alla sua unità è stato catturato a fine ottobre e da quel momento la donna non ne ha più notizie. Come lei in molti attendono comunicazioni da parte del governo, ma non è ancora chiaro quanti siano i soldati catturati e dove siano. Le loro vite sono al centro dei trattati post-bellici e sono usate come moneta di scambio in uno scontro che intreccia diversi tipi di interessi. Ora il governo armeno affronta una situazione interna drammatica: l’economia è in ginocchio e il malcontento per la disfatta militare è montato fino a scatenare massicce proteste nelle piazze di Yerevan. I militari accusano il governo, il primo ministro denuncia un tentativo di colpo di stato e chiama i suoi fedelissimi a raccolta. Intanto Meline aspetta notizie, il padre di Mane è ancora disperso, migliaia di famiglie aspettano di sapere che fine hanno fatto i corpi dei propri cari e gli abitanti di Aghavno sono stati costretti a trasferirsi altrove dagli stessi russi che in molti avevano accolto come liberatori.

Ora Harout vive nel nord dell’Armenia e ha smesso l’uniforme: la sua è la vita di quasi 40 mila profughi dell’Artsakh che cercano di ricominciare da zero e che, quotidianamente, affrontano i fantasmi di una guerra che lascerà per molto tempo strascichi e cicatrici.

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Trent’anni fa i massacri degli armeni a Sumgait. Ma chi se ne ricorda? (Impaginato 01.03.21)

Era il 1988, e uno di quei massacri più cruenti e abominevoli della post modernità, quella per intenderci che si sta snodando all’indomani del secolo breve, trovò attuazione anche grazie ad un clima torbido a quelle latitudini.

In risposta alle manifestazioni pacifiche della popolazione armena del Nagorno-Karabakh, che chiedeva l’indipendenza dall’Azerbaijan, le autorità azere reagirono organizzando, nelle città densamente abitate dagli armeni, violenze gratuite contro l’inerme popolazione armena.

Non solo violenza da condannare in quanto tale, ma scarsa attenzione della politica nonostante l’età tecnologica sia decisamente differente rispetto a fatti di sangue che si sono compiuti un secolo fa, come le foibe su cui solo dopo moltissimi anni di silenzio si è fatta luce.

Fu quella la miccia che contribuì a tanto sangue versato per strade e case, terreni e confini, anime di uomini e donne innocenti che chiedevano solo di inseguire il proprio sogno di libertà. Non c’erano telecamere a immortalare quelle armi che menavano fendenti, solo occhi e braccia terrorizzate per gli eventi che ne scaturirono.

Scenario del massacro durato 48 ore fu la cittadina di Sumgait con centinaia di cittadini e cittadine massacrate con il sostegno esplicito e la connivenza delle autorità azere, da bande anti-armene che trucidarono brutalmente donne, uomini, bambini e anziani nelle loro case.

Anche se ufficialmente nessuno parla di pulizia etnica, non è necessario attendere che la politica inizia a farlo. Quando a morire è un essere umano con la motivazione della sua appartenenza etnica, logica vuole che le parole lascino il posto allo sdegno così come è accaduto con gli armeni.

In quell’anno il Premio Nobel Andrei Sakharov, attivista per i diritti umani ed eminente scienziato, in una lettera indirizzata al leader sovietico Mikhail Gorbaciov sui pogrom di Sumgait scriveva: “Se prima degli eventi di Sumgait qualcuno poteva avere ancora dei dubbi, dopo questa tragedia non resta nessuna possibilità morale di insistere sul mantenimento dell’appartenenza territoriale del Nagorno-Karabakh all’Azerbaijan. Le liste delle vittime di Sumgait non sono state pubblicate, cosa che mette in dubbio l’esattezza dei dati ufficiali relativi al numero delle vittime. Non ci sono informazioni sulle indagini. Un crimine del genere non può non avere degli organizzatori. Chi sono questi?”.

Giorni dopo, intervistato dal New York Times, disse senza timore di essere smentito che i massacri degli armeni rappresentavano una vera minaccia per lo sterminio della minoranza armena dell’Azerbaijan e della popolazione del Nagorno-Karabakh. Inutile chiedersi se fu aperta un’inchiesta ufficiale e come fu condotta. Restano di quelle due giornate di morte le testimonianze dirette di giovani studenti che assieme alle fasce più giovani della popolazione non vennero risparmiati: “puntati” senza un perché contro gli armeni, grazie ad un odio manipolabile proprio per via della giovane età.

Da quel giorno Sumgait divenne simbolo della crociata moderna contro gli armeni, accanto ad una stagione di distruzione dolosa del patrimonio storico e culturale del popolo armeno presente in Azerbaijan, come fatto dai Turchi a Cipro in occasione dell’invasione del 1974 con cimiteri distrutti, chiese e monasteri trasformati in stalle e bordelli da chi oggi rivendica per giunta una legittimazione che per fortuna l’Onu ancora non concede.

E la politica che dice? Il Parlamento Europeo reagì al massacro di Sumgait con l’adozione, il 7 luglio 1988, di una risoluzione che definisce i massacri contro gli armeni come una minaccia per la sicurezza degli armeni residenti in Azerbaijan.

Nel luglio del 1988 il Senato degli Stati Uniti approvò all’unanimità l’emendamento alla legge sulle compensazioni finanziarie per l’azione estera per l’anno1989 che riguardava il Nagorno-Karabakh, in cui si chiedeva alle autorità sovietiche di rispettare le legittime aspirazioni del popolo armeno. A marzo il Washington Post scrisse che erano stati commessi crimini terrificanti contro gli armeni nella città azera di Sumgait.

Il 27 settembre 1990, 130 esponenti del mondo accademico e difensori dei diritti umani, provenienti da Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Canada e da altri paesi, pubblicarono sul New York Times una lettera aperta per denunciare i massacri. Ma le autorità dell’Azerbaijan e dell’Unione Sovietica fecero di tutto per nascondere la verità su Sumgait.

E oggi vista l’assenza di una pronuncia ufficiale, ecco che la comunità internazionale, tramite i copresidenti del gruppo di Minsk dell’OSCE, non sembra particolarmente sensibile a quei fatti storici.

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Prima memoria liturgica di San Gregorio di Narek (Korazym 01.03.21)

“In quest’ottica vorrei infine evocare un altro grande testimone e artefice della pace di Cristo, san Gregorio di Narek, che ho proclamato Dottore della Chiesa. Egli potrebbe essere definito anche ‘Dottore della pace’. Così ha scritto in quello straordinario Libro che mi piace pensare come la ‘costituzione spirituale del popolo armeno’”.

Così disse papa Francesco quando, nel corso del suo viaggio apostolico in Armenia, nel 2016, prese parte a Yerevan all’incontro ecumenico e di preghiera per la pace. Nel Libro delle Lamentazioni, infatti, san Gregorio di Narek aveva rivolto al Signore un’invocazione di perdono e misericordia per i nemici: ‘Non sterminare coloro che mi mordono: trasformali! Estirpa la viziosa condotta terrena e radica quella buona in me e in loro (Libro delle Lamentazioni, 83,1-2)’.

L’anno prima, nel 2015, papa Francesco aveva dichiarato san Gregorio di Narek, già venerato come santo dalla Chiesa apostolica armena e dalla Chiesa cattolica, ‘Dottore della Chiesa universale’; ed in tale occasione aveva anche inviato un messaggio agli armeni richiamandosi, nel senso della solidarietà, alle parole profetiche di san Gregorio di Narek, ‘formidabile interprete dell’animo’.

E per ricordare questo eminente Dottore della Chiesa, in Vaticano sabato scorso, giorno della sua prima memoria liturgica, nella basilica di san Pietro si è svolta una Messa, presieduta dal card. Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, ed concelebrata da mons. Lévon Bogos Zékyian, arcivescovo di Istanbul degli Armeni e delegato pontificio per la Congregazione Armena Mechitarista, e mons. Brian Farrell, segretario del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.

Subito dopo nei Giardini Vaticani presso la statua di san Gregorio di Narek, mons. Khajag Barsamian, rappresentante della Chiesa Armena Apostolica a Roma, ha presieduto una preghiera ecumenica alla presenza del card. Kurt Koch, presidente del dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.

Nell’omelia il card. Leonardo Sandri ha ricordato il giorno di quella celebrazione del 2015: “Ora un’altra stella dell’Oriente risplende nel firmamento della Chiesa Universale, perchè san Gregorio di Narek ne è stato proclamato Dottore. Per tale motivo nel 2018 ha avuto luogo la benedizione della sua statua nei Giardini Vaticani, e quest’anno l’inserimento nel Calendario Generale della Chiesa Latina della sua memoria liturgica come Dottore, il 27 febbraio.

Oggi siamo qui riuniti a celebrare l’Eucarestia, il più autentico gesto di rendimento di grazie perché si unisce a quello di Cristo che offre la sua vita al Padre sulla croce e siamo riconoscenti a Papa Francesco per la sua affettuosa benevolenza verso il popolo armeno, come nella sua visita in Armenia del 2016, coronata con il lancio delle colombe della pace dal Monastero di Khor Virap, e in questi tempi con gli appelli rivolti negli ultimi mesi per la pace e la riconciliazione nel Caucaso”.

Questa celebrazione avviene a pochi giorno dal viaggio apostolico del papa in Iraq: “Eleviamo la nostra preghiera per lui quest’oggi, soprattutto nell’imminenza del Viaggio Apostolico in Iraq.

Un secolo fa, Papa Benedetto XV, il papa della Prima Guerra Mondiale, aveva proclamato dottore della Chiesa Universale un altro figlio dell’Oriente, Sant’Efrem il Siro; papa Francesco, il papa che evocato la ‘guerra mondiale a pezzi’ e che ha indicato san Gregorio di Narek come stella nel firmamento nei dottori, vola nelle terre che insieme alla Siria pur sofferente si appellano a Sant’Efrem come padre ed ispiratore. Un incrocio di storie, di sofferenze, di santità e di sapienza”.

Inoltre il prefetto della Congregazione per le Chiese orientali ha spiegato il significato del celebrare questa memoria liturgica: “Con la sua testimonianza egli infatti ci chiede se vogliamo essere cristiani solo di nome o per antica tradizione, o perchè vogliamo essere oggi discepoli del Signore, come lui ha fatto, diventando maestro di sapienza e di dottrina.

Una sapienza che non è data dai fiumi di inchiostro utilizzati per le sue opere, ma è data dal sapore di Cristo sperimentato nella vita e confluito nelle pagine da lui composte. Pagine scritte con la luce anche se pronunciate nelle tenebre, come quelle della malattia: ‘abbattuto dai miei crimini, sul letto delle mie malattie e il letamaio dei miei peccati, non sono niente più che un cadavere vivente, un morto che ancora parla’”.

Ed infine la testimonianza di san Gregorio di Narek può ridestare la speranza nei cattolici, specialmente per quelli che vivono in Armenia: “Ai cristiani di Oriente e di Occidente, dentro le tenebre che avvolgono le nazioni, è dato di ridestare i propri cuori alla speranza, riscoprendo il dono della fede e vivendolo come una vocazione che offre la possibilità di una testimonianza: in ogni parte della terra e di fronte ad ogni dolorosissima ferita, perchè nessun potere umano potrebbe strapparci il nostro cuore immerso in Dio e le nostre labbra per cantare i suoi inni di lode”.

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Assalto al Governo in Armenia (Rassegna stampa 01.03.21)

Irruzione stamane in un edificio che ospita alcuni ministeri del Governo guidato dal contestato primo ministro armeno Nikol Pashinyan. Nella capitale Erevan i suoi oppositori hanno organizzato una nuova protesta con una breve irruzione in uno stabile governativo. Chiedono la partenza del premier e sostengono di “essere in grado di entrare in qualsiasi edificio del Governo”.

La settimana scorsa Nikol Pashinyan aveva denunciato un tentativo di colpo di Stato da parte dell’esercito, dopo che lui stesso aveva deciso di allontanare un alto graduato dello Stato maggiore.  Al licenziamento si è opposto anche il presidente armeno Armen Sarkissian.

Il capo del Governo è fortemente contestato dopo la pesante sconfitta militare subita dall’Armenia durante l’ultima guerra in Nagorno-Karabach, andata in scena nell’autunno scorso, che ha permesso all’Azerbaigian di riconquistare importanti fette di territorio che la comunità armena aveva conservato dopo la caduta dell’Unione sovietica.

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Armenia: verso nuove elezioni anticipate (ISPI on line)


Armenia: manifestanti irrompono in edificio governativo (ANSA)


ARMENIA. GIORNATA DI MANIFESTAZIONI PRO E CONTRO IL GOVERNO (Notizie Geopolitiche)


L’impegno dell’Azerbaigian per una pace duratura (Il Giornale 02.03.21)


Nagorno- Karabakh, Usa e UE evitano coinvolgimenti (Varesenews 02.03.21)

Comabbio racconta l’Armenia: al via il primo appuntamento (Varesenews 28.02.21)

Da un viaggio e un’amicizia nasce un progetto dal respiro internazionale per conoscere un paese lontano. Il 5 marzo comincerà “Comabbio racconta l’Armenia”: la rassegna organizzata dal Comune di Comabbio per divulgare la storia, la cultura e il territorio dell’Armenia con l’aiuto di esperti, accademici e studiosi. Tanti gli eventi tra concerti, conferenze, spettacoli teatrali e laboratori – sia online che in presenza – in programma da marzo fino alla fine di maggio.

«Tutto – racconta Giusy Tunici, promotrice dell’iniziativa – è cominciato da un mio primo viaggio in Armenia. È lì che è nato il mio affetto per questo paese e il suo popolo. Tornata a casa, nel settembre del 2020, ho iniziato a pensare a un evento dedicato all’Armenia, qualcosa di semplice, di tranquillo. A ottobre ho contattato la mia amica Shushan Martirosyan in Armenia, ma il progetto, intanto, aveva già destato l’interesse anche della biblioteca e dell’amministrazione comunale. Col tempo sono state molte le realtà di Comabbio e non che hanno aderito con entusiasmo a questa iniziativa, dando vita a un progetto dal respiro realmente internazionale».

Un progetto che ha però attraversato momenti anche molto difficili. «Quando Giusy mi ha contattata – ricorda Shushan Martirosyan – il mondo pareva trovarsi a un passo dalla fine». Tra il settembre e il novembre 2020, l’Armenia ha dovuto infatti affrontare la Guerra nell’Artsakh: un periodo di accesi scontri armati col vicino Azerbaigian per il controllo della regione del Nagorno Karabakh. Le ostilità sono terminate il 9 novembre con una tregua.

«”Comabbio racconta l’Armenia” – commenta il sindaco di Comabbio Marina Paola Rovelli – è un progetto ambizioso costruito giorno per giorno con uno scopo: conoscere. Conoscere ci permette di rispettare, e la voglia di confrontarsi con culture diverse ci rende non solo migliori, ma anche più liberi e indipendenti».

Gli eventi in calendario

La rassegna inizierà il 5 marzo con una serata online dedicata all’Armenia, alla sua storia, la sua lingua, la sua cultura e il suo territorio natura. Il secondo appuntamento sarà il 12 marzo con Marco Ruffilli per scoprire i khachkar: stele di pietra sulle quali è scolpita una croce insieme ad altri elementi simbolici. Si continuerà poi il 19 marzo con una conferenza dedicata alla ballata caucasica a cura della scrittrice Antonia Arslan. Il 26 marzo si stuzzicherà il palato con un incontro dedicato alla cucina rituale armena. Il 27 marzo si affronterà il tema del negazionismo turco riguardo il genocidio armeno insieme alla docente di filosofia Siobhan Nash-Marshall. Tutti gli eventi di marzo si terranno online e cominceranno alle 20.30.

La rassegna riprenderà il 9 aprile, con una conferenza a cura dell’architetto Paolo Arà Zarian sul restauro conservativo degli antichi dipinti murali del monastero di Dadivank. Il 16 aprile, Aldo Ferrari, docente del dipartimento di studi sull’Asia e sull’Africa Mediterranea dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, affronterà la storia millenaria dell’armenia: dagli antichi regni, alla conversione al Cristianesimo, alla diaspora e ai rapporti con l’Impero Ottomano e la Russia. L’Armenia ha una lunga storia, ma è segnata anche da un presente tormentato: il giornalista Simone Zoppellaro il 23 aprile racconterà i nuovi drammi e le sfide che rischiano di mettere a repentaglio l’esistenza stessa di questo paese. Il 24 aprile l’appuntamento è con gli allievi del Conservatorio Puccini di Gallarate, che si esibiranno nei brani della musica colta armena. Il mese di aprile si concluderà venerdì 30 con una conferenza sui luoghi dell’Armenia a cura di Nadia Pasqual e Shushan Martirosyan. Tutti gli eventi di aprile si terranno online e cominceranno alle 20.30.

Il 9 maggio alle 20.30 Baykar Sivazliyan, dirigente politico della diaspora armena, e Pietro Kuciukian, console onorario della Repubblica di Armenia in Italia, discuteranno in un incontro online sulla posizione particolare che l’Armenia occupa nella sua regione: un popolo che da sempre ha svolto una funzione di “cerniera” tra Occidente e Oriente. Il 15 maggio si svolgerà un laboratorio sull’alfabeto armeno (sede e orari da definire). Lo stesso giorno alle 17.30 si terrà la Messa celebrata da mons. Levon arciv. Zekyan, subito seguita da una sua conferenza. Domenica 16 maggio si terranno due concerti, uno all’alba e uno al tramonto (sedi da definire). Sempre domenica verrà organizzata anche una conferenza in casa Fontana. Il 22 maggio alle 10.30 in casa Fontana si terrà un laboratorio di khachkar, mentre alle 21 la compagnia Campari Padoan interpreterà il la malinconia dell’esule armeno con lo spettacolo teatrale “Canta, gru, canta” (luogo da confermare). Il 23 maggio la rassegna si concluderà con un’ultima conferenza in casa Fontana e tavola rotonda di conclusione lavori (orari e sedi ancora da definire).

Il progetto include anche due eventi riservati agli studenti delle scuole secondarie di secondo grado. Il primo si terrà online il 30 marzo alle 9.30, il secondo – sempre online – si terrà il 22 aprile alle 9.30.

Il calendario con tutte le informazioni su eventi e relatori si può consultare sul sito comabbioraccontalarmenia.blog.

“Comabbio racconta l’armenia” è una rassegna organizzata dal Comune di Comabbio con il contributo della biblioteca comunale, la Parrocchia di Comabbio, l’associazione “Il borgo di Lucio Fontana“, Gli amici della santa collinacompagnia Campari Padoan; con il patrocinio di Unione armeni d’Italia e del Centro studi e documentazione della cultura armena e la collaborazione dell’Ufficio scolastico di VareseCongregazione armena mechitarista e associazione Padus-Araxes.

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LETTURE/ “Digiunare”, cioè rimanere saldi: dai latini all’Armenia, non è una rinuncia (Ilsussidiario 28.02.21)

Nel periodo liturgico che stiamo attraversando, la Quaresima, la Chiesa ci chiede in determinati giorni la pratica del digiuno, una volontaria rinunzia al cibo come forma di educazione alla vita e alla prassi penitenziale della Chiesa. La storia della parola ci mostra quanto il linguaggio del cristianesimo abbia permeato di sé nei secoli passati la cultura europea.

Alla base di digiuno c’è il latino ieiunus (o iaiunus) divenuto prima gigiuno e poi, con quella che i linguisti chiamano una dissimilazione (la sequenza g – diviene d – g), digiuno. Oltre non si va: c’è un collegamento col latino ientare “fare uno spuntino”, ma non vi sono in altre lingue indoeuropee parole che si possano accostare a ieiunus per tracciarne la storia remota. La parola in latino classico non ha il valore di oggi: si tratta di un aggettivo in uso nella terminologia agricola col valore di “secco, poco fertile” (terra ieiuna): l’opposto di umidus, che invece indica il terreno saturo di liquidi. Poi l’aggettivo passa alla terminologia della medicina (ieiunus indica l’organismo smunto ed emaciato) e si presta a un’infinità di usi metaforici: ieiuna può essere l’oratio (un modo di parlare dimesso e senza fronzoli), ma possono essere anche l’odium e la fames “secca”, portata agli estremi.

Benché pratiche di digiuno fossero comuni a molte religioni antiche (dalla Grecia, dove “digiuno” è nēstis “il non mangiare”, alle religioni misteriche, all’ebraismo e così via), la diffusione del sostantivo ieiunium o ieiunum comincia soprattutto nei primi secoli del cristianesimo, quando il tema del digiuno diventa oggetto di discussione e la Chiesa primitiva chiede, come forma di penitenza, il digiuno tutte le settimane. Uno dei più antichi scrittori ecclesiastici latini, Tertulliano (morto nel 230), dedica al tema del digiuno un’opera di forte intonazione polemica, scritta quando ormai si era allontanato dall’ortodossia cattolica (De ieiunio).

La parola latina è proseguita in tutte le lingue romanze occidentali sotto varie forme (francese jeûn, catalano dejuni, portoghese jejum, inoltre spagnolo ayuno da iaiunum). In altre lingue non se ne hanno in genere riprese (l’inglese jejune è un termine tecnico recente). L’interruzione del digiuno è il dis-ieiunum, da cui il francese déjeuner e lo spagnolo desayuno “colazione”.

Da ieiunum ci aspetteremmo una derivazione verbale sul tipo di ieiunare, e questa in effetti esiste, ma è d’uso relativamente raro, perché si preferisce ricorrere a perifrasi come observare ieiunum, tanto che in alcuni contesti di latino medioevale basta observare da solo per “digiunare”.

Questo uso di observare ha riflessi importanti anche al di fuori dell’ambito latino. Nelle lingue germaniche il verbo abitualmente usato per “digiunare” si rifà a una radice che originariamente valeva “resistere, mantenersi saldo”: si tratta di fastan, che troviamo nel senso di “digiunare” già nella più antica traduzione della Bibbia in una lingua germanica, quella in gotico curata da Wulfila (IV secolo). L’uso della radice si trova anche nelle altre lingue germaniche: l’antico inglese ha fæstan (da cui il moderno fast), il tedesco fasten, lo svedese fasta. Il senso originario è rimasto invece nell’aggettivo fast (antico inglese fæste “saldo”, in cui oggi prevale il valore secondario di “veloce, rapido”). Fast è evoluzione di un precedente posti-. A questa forma fanno capo varie parole indicanti il digiunare nelle lingue slave, dall’antico slavo postiti al russo postit’sja. Anche in armeno per “digiunare” si usa pahel, il cui significato originario è quello di “mantenere, osservare”, sottintendendo com “digiuno”.

Naturalmente anche le religioni dell’Asia (induismo, buddhismo) hanno forme di digiuno rituale, talora anche severe. La rinuncia al cibo è spesso accompagnata dalla rinuncia ad altri aspetti gradevoli del vivere (eleganza, fiori, profumi, unguenti). La parola più diffusa in India è upavāsa, dal verbo upavas- “dimorare, aspettare”. Sembra che l’idea fondamentale per il fedele indiano sia quella di una fissità passiva, mentre il digiuno della tradizione cristiana si inscrive tra le opere di carità, e quindi presume nel fedele un atteggiamento partecipe. L’osservanza del digiuno non è un atto masochistico. Come scriveva il teologo ed eremita camaldolese don Paolo Giannoni, il digiuno cristiano “non è mortificazione, ma ‘vivificazione’ perché è opera positiva personale e comunitaria”.

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Armenia: presidente non firma licenziamento capo esercito (Ansa 27.02.21)

(ANSA) – MOSCA, 27 FEB – Il presidente armeno Armen Sarksyan non ha firmato il decreto di destituzione del capo dello Stato Maggiore delle Forze Armate Onik Gasparian, disposto dal primo ministro Nikol Pashinyan. “La misura è stata studiata da avvocati ed esperti; di conseguenza è stato deciso che era incostituzionale.

Il presidente dell’Armenia, nell’ambito dei suoi poteri costituzionali, ha restituito il decreto con obiezioni”, ha detto il servizio stampa del presidente. Lo riporta Interfax. (ANSA).


Il presidente armeno rifiuta di licenziare il capo di stato maggiore dell’esercito su ordine del primo ministro | Notizie di politica (La Tribuna Sanmarinese 28.02.21)


No del presidente armeno alla richiesta di licenziamento del capo di stato maggiore (Quotidianocontribuenti 28.02.21)