Antonia Arslan: «Il genocidio degli armeni e i miei 57 anni di silenzio» (Corriere della Sera 22.09.18)

Quando qualche settimana fa ha visto Sergio Mattarella scendere dalla scaletta dell’aereo a Erevan, capitale dell’Armenia, alla scrittrice Antonia Arslan, 80 anni, s’è allargato il cuore: «Era la prima volta di un presidente della Repubblica nella terra dei miei antenati. Come armena italiana, mi sono sentita finalmente riconosciuta. E anche come armena veneta. Pochi sanno che la Serenissima si salvò dalla bancarotta grazie a 40 mila ducati d’oro prestati dagli Scerimanian, che nel 1612 avevano aperto una sede a Venezia, terminale dei commerci fin dall’anno 1000. Il che spiega perché nel 1717 il doge Giovanni Corner concesse in perpetuo l’Isola di San Lazzaro degli Armeni al monaco cristiano Mechitar».

Gli Arslan d’Italia

Gli Arslan d’Italia discendono da Yerwant Arslanian, pioniere dell’otorinolaringoiatria, nato nel 1865 a Kharpert e giunto nel nostro Paese a soli 15 anni. La sua passione per gli studi lo salvò dal Metz Yeghérn, il Grande crimine, il genocidio del suo popolo a opera dei turchi, iniziato nel 1894, culminato nel 1915 e proseguito fino al 1922. «Era mio nonno. Nel 1923 ottenne dallo stato civile di troncare le ultime tre lettere del cognome. Lo fece per angoscia, per mimetizzarsi. Una precauzione comprensibile: in quella fornace bruciarono le vite di almeno 25 o 30 parenti».

La nipote

La nipote Antonia non riesce a spiegarsi perché ha atteso quasi mezzo secolo prima di dare corpo, nel romanzo La masseria delle allodole, al ricordo di quell’immane tragedia che segnò la storia della sua famiglia, né come sia stato possibile che il libro abbia totalizzato sette edizioni in soli due mesi nel 2004 e da allora sia già stato ristampato ben 37 volte. «Se penso che non doveva nemmeno uscire…».

Tentarono di boicottarlo?
«No, la colpa fu mia. Anche se ho sempre insegnato Letteratura all’Università di Padova, i libri non erano il mio mestiere, per cui mi affidai a un agente letterario. Uno dei più famosi, non mi chieda il nome. Gli mandai il manoscritto a settembre del 2002. A Natale non l’aveva ancora visionato. La mia amica Siobhan Nash-Marshall, docente di Filosofia teoretica a New York, che ospitai per Capodanno, era indignata. Volle telefonargli. “Ma signora! È in lettura”, si stizzì lui. Ad aprile andai a trovare in America la dantista Teodolinda Barolini, capo del dipartimento di italiano della Columbia University. “E il tuo romanzo?”, mi chiese. Arrossii di vergogna».

Non stento a crederlo.
«Fu lei a trovarmi un altro agente. Io telefonai al primo, dicendogli: in nove mesi si fa un bambino, penso che bastino anche per un libro. Sentenziò: “La trama è debole”. Stavo quasi per crederci, se i registi Paolo e Vittorio Taviani, dopo che fu pubblicato, non mi avessero cercato: “Non abbiamo mai letto niente di più potente! Vogliamo farci un film”. Adesso posso dirlo: quell’agente, secondo me, nemmeno lo sfogliò».

«La masseria delle allodole» uscì quando lei aveva 66 anni. Perché non avvertì il bisogno di scriverlo prima?
«Non lo so, me lo chiedo spesso. Mi limitavo a comporre poesie sulla Guerra dei trent’anni, pensi un po’. All’improvviso, ebbi la percezione che dovevo parlare dell’olocausto armeno prima che i vecchi sopravvissuti morissero. Una necessità scaturita dai precordi».

La sua fonte fu nonno Yerwant.
«Sì, un dono che mi fece per i miei 9 anni. Poi non ne parlò mai più. Era il 1947. “Sto per andarmene, quindi devi sapere”, mi disse. Infatti morì dopo pochi mesi. Fu mio nonno ad accogliere in Italia i tre orfani del fratello Sempad, le femmine Arussiag ed Henriette e il maschio Nubar, che scampò al massacro di tutti i maschi perché la madre Shushanig lo aveva travestito da femminuccia. Anche mio zio Nubar divenne otorinolaringoiatra, a Genova».

Come mai suo nonno affidò proprio a lei i suoi atroci ricordi?
«Ero ammalata, una febbre misteriosa che ogni 15 giorni aumentava. Il nonno dovette farmi 36 punture di penicillina, molto dolorose, in cambio di un premio: 50 lire l’una. Se devo morire, ne voglio 100, replicai. Ci accordammo per 75. Mi portò in convalescenza sulle Dolomiti, a Susin di Sospirolo. E lì, sotto i glicini di un albergo liberty, cominciò a raccontare, a partire dalla madre Iskuhi, che lo aveva partorito a 16 anni e che morì a 19 dando alla luce Sempad. Ricordava ancora il profumo di pesca delle sue gote».

Non la sconvolsero i racconti della carneficina?
«No, neppure quando mi spiegò che il fratello Sempad, farmacista, era stato decapitato dai soldati turchi e la sua testa gettata in grembo alla moglie Shushanig. Mi pareva di leggere l’Enciclopedia della fiaba, che mi avevano regalato. Ero onorata dalla sua fiducia e tranquillizzata dal distacco con cui narrava gli eventi. Avevo già visto gli orrori della Seconda guerra mondiale, mia madre alle prese con i nazisti, le mitragliate che mi fecero finire in un fosso, i due bombardamenti di Padova. La vita del nonno mi sembrava un romanzo d’appendice».

Immagino, catapultato dall’Anatolia a Venezia appena quindicenne.
«Un viaggio mitologico. Suo padre lo affidò a dei banditi, dando loro un gruzzolo in banconote tagliate a metà: ebbero l’altra parte solo quando il figlio gli scrisse dal Collegio Armeno. A 18 anni nonno Yerwant rifiutò i sussidi paterni. Si laureò in Medicina a Padova. Per mantenersi, fece l’infermiere durante un’epidemia di colera. Andò a studiare chirurgia a Parigi, dove, non avendo soldi, mangiava solo albicocche secche. Incontro ancora anziani che da piccoli furono operati da lui. Non esistendo l’anestesia, la tecnica era semplice: uno sberlone del papà e uno della mamma, in contemporanea, il bimbo spalancava la bocca urlando per lo spavento e, zac, in un baleno il nonno gli aveva già resecato le tonsille».

Che motivi avevano i Giovani Turchi per annientare gli armeni?
«Venivano dalle steppe. Avevano bisogno di una patria. La trovarono in Anatolia, sbarazzandosi della popolazione autoctona. Molti di loro avevano studiato in Germania. Fu la prova generale della Shoah. I giornali tedeschi a fine Ottocento scrivevano: “Gli armeni sono gli ebrei del Medio Oriente”».

L’Occidente sapeva, ma tacque.
«Il rapporto di Leslie Davis, console americano a Kharpert dal 1914 al 1917, corredato di foto agghiaccianti, è rimasto sepolto per 70 anni al Dipartimento di Stato Usa. Mio nonno mi raccontò come fecero i seguaci di Mustafa Kemal Atatürk ad abolire il fez».

Come?
«A chi usciva di casa con quel copricapo, glielo inchiodavano in testa. Cambiarono persino i nomi delle città, dei monti, dei fiumi. Neppure i nazisti arrivarono a tanto. Subito dopo, la persecuzione colpì l’ultima minoranza: i curdi».

Quanti armeni furono uccisi?
«Tra 1,2 e 1,5 milioni, forse 2 milioni».

Liliana Segre, uscita viva da Auschwitz, mi disse che il tempo della dimenticanza dura meno di un secolo. Poi i genocidi spariscono dai libri di storia.
«Il nostro sparì subito, tanto da far dire ad Adolf Hitler: “Chi si ricorda il massacro degli armeni?”».

Perché la Turchia nega ostinatamente il vostro olocausto?
«È pervasa da uno sciovinismo spaventoso. I bimbi di 4 anni ogni mattina devono cantare l’inno nazionale. Riconoscere vorrebbe dire anche restituire. Io non possiedo nulla che attesti le origini familiari a Kharpert. Eppure mio nonno aveva quattro fratelli medici che giravano per la città cantando: “Siamo i felici dottori Arslanian”. Furono trucidati».

Si fida di Recep Tayyip Erdogan?
«No di certo. È un uomo astutissimo. Sogna di annettersi la Siria e far risorgere l’Impero ottomano, estirpando i curdi».

Sogna anche di entrare nell’Ue.
«Portare 75 milioni di musulmani in Europa? Al fianco della Germania, con cui va d’accordissimo, Erdogan detterebbe legge a Strasburgo. Provo i brividi».

Quali sentimenti suscitano in lei i migranti che sbarcano sulle nostre coste?
«Pietà, perché mi ricordano Arussiag, Henriette e Nubar. Ma anche coscienza che le persone accolte hanno l’obbligo d’imparare la lingua e adeguarsi alle leggi del Paese ospitante. I miei avi lo fecero. Conosco un armeno di Milano che è andato all’Agenzia delle Entrate per segnalare che si erano dimenticati di fargli pagare le tasse su taluni redditi».

Che riflessi ha avuto sulla sua vita lo sterminio degli armeni?
«Mi ha tolto qualsiasi forma di ansietà. Non mi agito per nulla, mai, perché penso a ciò che accadde ai miei progenitori e mi dico che il peggio del peggio lo abbiamo già vissuto. Credo che ogni individuo abbia dentro di sé un lago profondo, da cui trae forza. A me pare di ritrovarla quando ascolto il nostro canto di comunione, Der voghormia, Dio abbi pietà».

C’è qualcosa che in lei abbia provocato lo stesso orrore del Metz Yeghérn?
«L’Holodomor russo, la carestia pianificata per cancellare un intero popolo. Da 3 a 5 milioni di contadini ucraini che Stalin soppresse portandogli via tutto, non solo il bestiame e le scorte alimentari, ma persino le sementi. Bisogna aver letto Tutto scorre… di Vasilij Grossman per capire che cosa significhi morire di fame guardando i propri campi incolti. L’ultimo boccone il padre lo dà al suo bambino. Dopo qualche mese arriva il poliziotto, apre la porta e dice: “Qua ce ne sono tre, due grandi e uno piccolo. Buttate via tutto”».

Armenia: premier canadese Trudeau in visita a Erevan a ottobre (Agenzianova 22.09.18)

Armenia: premier canadese Trudeau in visita a Erevan a ottobre
Erevan, 22 set 13:27 – (Agenzia Nova) – Il primo ministro del Canada Justin Trudeau ha annunciato che si recherà in visita ufficiale in Armenia per partecipare alla 17ma edizione del summit della francofonia, in programma a Erevan tra l’11 e il 13 ottobre. Trudeau, secondo quanto riferisce l’agenzia di stampa “Armenpress”, interverrà al summit della francofonia incentrando il suo discorso sulle sfide comuni alla sicurezza, sulla crescita economica inclusiva e sulla promozione della diversità. A Erevan, il premier canadese avrà anche una serie di incontri istituzionali con i principali esponenti politici del paese caucasico, al fine di valutare possibilità di rafforzamento nei rapporti economici bilaterali. Quella di ottobre sarà la prima visita in Armenia da parte del premier canadese Trudeau.
(Res)

Intrecci armeni. Un catalogo e un romanzo per STANDART 2017 (Artslife 20.09.18)

A Milano, una serata dedicata a STANDART 2017, la Triennale d’Arte contemporanea in Armenia curata da Adelina von Fürstenberg.

Due volumi in una sola serata. Giovedì 20 settembre presso Assab One a Milano verranno presentati “The Mont Analogue”, il catalogo di STANDART 2017 (la Triennale d’Arte contemporanea in Armenia che si è chousa nel dicembre 2017) e  “A Contemporay Art experience”, il primo romanzo dello scrittore italo-tedesco Christian Oxenius. Entrambi sono pubblicati da Skira editore.

Sarà Adelina Von Furstenberg, curatrice di Standard 2017,  insieme agli artisti Marta Dell’Angelo, Riccardo Arena, Giuseppe Caccavalle, Mikayel Ohanjanyan e Christian Oxenius – autore dell’opera – a presentarli. In occasione della serata, sarà proiettato il video: Tararà, 2017 di Marta dell’Angelo & Gohar Matirosyan

Ispirato dalle parole del romanzo incompiuto Mount Analogue dell’autore francese Renè Daumal, A Contemporary Art Experience traccia l’idea di un’arte legata ad una costante ricerca ed esplorazione.

Il romanzo dello scrittore italo-tedesco Christian Oxenius crea un contesto narrativo fittizio nel quale l’esperienza dell’arte diventa fattore di unione di un gruppo di artisti per un viaggio attraverso l’Armenia. Scopo dell’autore è quello di ricercare un nuovo linguaggio per discutere l’arte contemporanea e la sua posizione nel mondo odierno.

Standart 2017 ha permesso agli artisti di creare una connessione tra le loro ricerche e la cultura armena, un dialogo intergenerazionale ispirato da esperienze e memorie condivise. La ricchezza negli approcci e nelle interpretazioni di questa Triennale ha permesso di sottolineare, attraverso gli occhi e le sensibilità di tutti i partecipanti, la rilevanza che l’Armenia ha avuto nel suo triplo ruolo di ospite, sorgente d’ispirazione e soggetto fertile per le ricerche di arte contemporanea.

Giovedì 20 settembre 2018
dalle 18.00 ad ASSAB One,
Via Privata Assab 1, Milano
Metro 2 fermata Cimiano

Standart 2017
Triennial of Contemporary Art in Armenia
The Mount Analogue A Contemporary Art Experience
Concept and Curatorship Adelina Cüberyan v. Fürstenberg
Catalogue  edited by Christian Oxenius
2018, edizione bilingue (inglese-armeno)
16,5 x 24 cm, 104 pagine, 64 colori, brossura
ISBN 978-88-572-3878-4
€ 25,00 £ 22.00 $ 30.00

Christian Oxenius
A Contemporary Art Experience
A Journey Inspired by René Daumal’s Mount Analogue
Illustrations by Benji Boyadgian
2018, edizione inglese
14 x 21 cm, 80 pagine, 20 b/n,
brossura ISBN 978-88-572-3877-7 € 15,00
£ 12.95 $ 19.50 Can $ 25.00

La Mappa Marsili vola a New York (Ansa 20.09.18)

(ANSA) – NEW YORK, 20 SET – La storia armena “a fumetti”, come in un “graphic novel”, ma di tre secoli fa. Un nobile bolognese alla corte di Vienna e un erudito armeno a Istanbul: da questo incontro, nel 1691, vide la luce uno straordinario documento di cartografia antica che da sabato 22 settembre fino al 13 gennaio sarà in mostra al Metropolitan Museum di New York.

Oggetto di lusso per studiosi e mercanti, la mappa del conte Luigi Ferdinando Marsili è il pezzo forte di “Armenia!”, una carrellata di 1300 anni attraverso la storia di un popolo che non sempre ha avuto entità statali, ma che sempre si è riconosciuto nelle sue chiese e nei monasteri. Lunga tre metri e mezzo per 120 centimetri, la mappa è stata srotolata al centro della mostra accanto a reliquiari, codici, tessuti, arredi liturgici e modelli di chiese provenienti dall’Armenia, da Gerusalemme, Antalia nel Libano, Venezia, il Getty di Los Angeles, la Gran Bretagna, Lisbona. Preti e laici in abiti ottomani conversano davanti alla cattedrale di Etchmiadzin fondata nel quarto secolo da San Gregorio. Accanto, in verde, le cime dell’Ararat. Gregorio caccia gli idoli da Mush. Simboli indicano l’importanza delle città per la corte ottomana. Mush, dove la popolazione armena fu obliterata nel 1915 ne ha due, Erzurum in Cappadocia, teatro di massacri alla fine dell’800, tre. “Il conte Marsili ebbe una vita da romanzo”, spiega all’ANSA Giacomo Nerozzi, direttore della Biblioteca Universitaria di Bologna che ha concesso il prestito: “Nel 1691 era a Istanbul e chiese ad un erudito armeno un documento sulla storia della sua terra e della sua gente. Eremia Keomiwrchean mise un’incredibile quantità di dottrina nella mappa: una rappresentazione simbolica, senza riferimenti alle distanze reali, quasi una un’enciclopedia bidimensionale della storia, cultura e religione armene”. Eremia raffigurò quasi 800 siti religiosi, da Nishapur, oggi in Iran, ai monasteri della Crimea, ai maggiori centri ecclesiastici: i catolicosati di Etchmiadzin, Gandzasar, Aght’amar e Cilicia e i patriarcati di Gerusalemme e Costantinopoli. Tutti identificati tranne uno: una grande città al nord che, osserva Nerozzi, merita ulteriori ricerche. La mappa andò “smarrita” pochi anni dopo il ritorno di Marsili a Bologna. Si cercò invano a Vienna, dove il conte aveva prestato servizio. In realtà era rimasta in biblioteca, dove la riscoprì nel 1991 Gabriella Uluhogian, armenologa dell’ateneo bolognese. La mappa Marsili non è l’unico apporto italiano alla mostra sull’Armenia curata da Helen Evans, responsabile per il museo dell’arte bizantina, con l’aiuto di Constance Alchermes. Il monastero di San Lazzaro a Venezia ha prestato preziosi volumi, testimonianza di una antica storia di accoglienza quando nel 1717 la piccola isola nella Laguna fu donata dalla Serenissima a una confraternita di padri fuggiti dall’Armenia dopo l’invasione turca.


AL METROPOLITAN MUSEUM DI NEW YORK ARRIVA LA “TABULA ARMENA” VOLUTA DAL BOLOGNESE MARSILI E REALIZZATA DALL’EREMITA ARMENO C‘ELEPI KEOMIWRCEAN ALLA FINE DEL 1600

La Tabula Corographica Armenica  sui luoghi sacri dell’Armenia risalente al 1691, è un rotolo che nonostante le sue notevoli dimensioni è rimasto ignorato per circa 3 secoli,  nei depositi delle Biblioteca Universitaria di Bologna, fino a che non è riemerso dall’oblio nel 1991 grazie alla studiosa Gabriella Uluhogian ed al contributo dell’ambasciata della Repubblica di Armenia in Italia. La Mappa sottoposta a restauro nello scorso mese di maggio viene presentata il 22 settembre al Metropolitan Museum of Art di New York, dove sarà esposta fino al 13 gennaio 2019.

Lunga tre metri e mezzo per 120 centimetri, la mappa è stata disposta – nella mostra “Armenia” – accanto a reliquiari, codici, tessuti, arredi liturgici e modelli di chiese provenienti dall’Armenia, oltre che  da Gerusalemme, Antalia nel Libano, Venezia, il Getty di Los Angeles, la Gran Bretagna, Lisbona…

Uno straordinario documento, una sorta di storia a fumetti ante litteram,  realizzato verso la fine del 1600 ad opera di un nobile bolognese alla corte di Vienna e un erudito armeno a Istanbul, incontratisi nel 1691.
Fu  composta dall’armeno della comunità di Costantinopoli, il saggio Eremita CELEPI KEOMIWRCEAN  (1637-1695), su commissione dell’aristocratico bolognese, scienziato, militare e gran viaggiatore Luigi Ferdinando Marsili (1658-1730).  Tracciarla riusci’ a  rappresentare  la Chiesa armena in tutta la sua completezza nel territorio comprendente l’Anatolia, la Ciscaucasia e la Subcaucas

Il conte Marsili donò tutta la produzione e documentazione dei suoi viaggi e ricerche alla città natale, Bologna, che conservò il fondo all’Università di Bologna, ma presto venne dimenticata, poichè nei cataloghi del Fondo Marsili non era citata, fino a che è stata riscoperta.(20/09/2018-ITL/ITNET)

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La questione armena va riconosciuta. Risposta all’Ambasciatore turco in Italia (Il Messaggero 18.09.18)

 

 

La questione armena va riconosciuta (Il Messaggero 18.09.18)

Nvart Cricorian*

Gentile Direttore, ci pare opportuna un’ ultima replica all’ intervento dell’ ambasciatore di Turchia, Murat Salim Esenli, pubblicata in data 8 settembre scorso. Non possiamo che condividere il senso di gratitudine nei confronti de Il Messaggero per aver ospitato nei mesi passati lo scambio di vedute tra l’ ambasciata turca e la nostra organizzazione e cogliamo anche l’ occasione per ringraziare pubblicamente i tanti lettori che ci hanno espresso vicinanza, stima e solidarietà. Confidavamo invero che l’ occasione fosse propizia per un franco confronto sull’ annosa questione del riconoscimento del genocidio armeno da parte del governo turco e che, proprio dalle colonne di codesto giornale, emergessero segnali di cambiamento rispetto alla politica ufficiale di Ankara. Ma, evidentemente ci siamo sbagliati. Come si evince nell’ ultimo intervento del rappresentante diplomatico, prendiamo amaramente atto che dopo aver negato il genocidio, anche la stessa presenza armena nella regione viene messa in dubbio; come dire, eliminata la causa, eliminato il problema. Quando S.E. vorrà farsi una passeggiata a via dei Fori imperiali potrà notare sulla quarta lastra marmorea che descrive l’ Impero romano ben impressa la parola Armenia a indicare tutta l’ attuale parte orientale del suo Paese. Una storia millenaria non si cancella neppure con il più rigoroso negazionismo. Dalle parole dell’ ambasciatore apprendiamo poi che in Turchia oggi si può parlare liberamente della questione armena, (evidentemente i processi intentati a giornalisti, premi Nobel e professori ai sensi del famigerato art. 301 del c.p. sono sfuggiti al nostro interlocutore), e che il governo turco è fortemente impegnato per la pace nel Caucaso e in Medio oriente. Anche se non riusciamo a far collimare questo concetto con le notizie riportate dalla stampa mondiale. Poiché, dunque, ci sembra inutile abusare della disponibilità di codesto quotidiano per continuare a smentire altre argomentazioni, a dir poco fantasiose, a cui fa cenno il diplomatico di Ankara, (vedi ratifica dei protocolli di Zurigo che giacerebbero da 10 anni all’ o.d.g. dell’ agenda parlamentare) non ci resta che ritenere esaudita la nostra pubblica partecipazione al dibattito e considerare, per quel che ci riguarda, chiuso ogni scambio di opinione.

*Presidente del Consiglio per la comunità armena di Roma.


Anche l’ Armenia apra al dialogo sui fatti del 1915 (Il Messaggero 08.09.18)

Murat Selim Esenli*

Gentile Direttore, le scrivo la presente in risposta alla lettera del Signor Nevart Cricorian, pubblicata il 5 agosto 2018. Sono grato aIl Messaggero per aver fornito una piattaforma dove poter esprimere la posizione della Turchia su un argomento così controverso come gli eventi del 1915. Riteniamo che questa discussione civile sia molto utile per i lettori de Il Messaggero per comprendere il fulcro della questione, spoglio dalla narrativa soggettiva degli armeni assorbita dall’ oppressione intellettuale. Il Signor Cricorian e la diaspora armena dovrebbero capire che questo cupo periodo storico è stato molto traumatico anche per la popolazione turca la quale ha sofferto enormemente a causa delle ostilità perpetrate dalle milizie armene. Diversamente dalla descrizione fornita nella lettera del Signor Cricorian, gli eventi del 1915 non sono un tabù per la Turchia. I libri, i dibattiti televisivi, le colonne dei giornali, le conferenze, che difendono e riportano la versione armena degli eventi e della storia compaiono liberamente in Turchia. In effetti, sarebbe uno sviluppo positivo se l’ Armenia adottasse un atteggiamento simile, lasciando che venga data voce a narrative alternative, in linea con la decisione della CEDU (Perinçek vs Svizzera) ed esponendo il loro materiale in archivio sugli eventi del 1915. In merito alle cifre sulla popolazione armena prima degli eventi del 1915, ritengo sia necessaria un’ ulteriore correzione. Gli armeni non hanno rappresentato una maggioranza in nessuna provincia dell’ Impero Ottomano da ben prima del 1800. Un punto ancora più indicativo, l’ unico modo per conoscere il numero di una popolazione è censirlo e gli ottomani non hanno mai censito la propria popolazione per gruppi etnici o per una qualsiasi altra categoria al di fuori della religione, e nessun’ altro (eccetto il sistema di registrazione della popolazione ottomana) ha mai censito del tutto la popolazione musulmana. Quindi come è possibile trarre la conclusione che gli armeni rappresentavano una maggioranza nell’ Anatolia orientale? La Turchia ha perseguito i suoi sforzi per normalizzare le relazioni con l’ Armenia su diversi livelli da quando l’ Armenia ha proclamato la propria indipendenza nel 1991. In questo contesto, i Protocolli di Zurigo del 2009, il cui obiettivo è quello di normalizzare le relazioni tra la Turchia e l’ Armenia, sono il risultato di negoziazioni facilitate dalla Svizzera. Tuttavia, il ritiro dei Protocolli di Zurigo da parte del Parlamento armeno per poi dichiararli nulli sono segni indicativi della loro volontà di alimentare lo scontro ed inoltre confermano la riluttanza della parte armena a normalizzare le relazioni. È risaputo che la diaspora armena era contraria alla firma dei Protocolli sin dall’ inizio ed ha esercitato pressioni sul Governo armeno al fine di non ratificarli. Questo approccio negativo si evince facilmente dalla lettera del Signor Cricorian in quanto egli rappresenta la diaspora. Nonostante la posizione negativa dell’ Armenia in merito ai detti Protocolli, quest’ ultimi sono ancora nell’ ordine del giorno della Grande Assemblea Nazionale turca e per la loro ratificazione è essenziale che vengano assicurate sia un’ atmosfera politica favorevole che la pace nel Caucaso meridionale. L’ obiettivo primario della Turchia relativo al processo dei Protocolli è quello di normalizzare le relazioni tra la Turchia e l’ Armenia, in modo da garantire pienamente pace e stabilità nel Caucaso meridionale. In tale ottica, è necessario che per la soluzione del conflitto del Nagorno-Karabakh vengano fatti progressi, basati sull’ integrità territoriale dell’ Azerbaigian alla luce delle relative risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ Onu (per coloro che non fossero familiari con la questione, il venti per cento dei territori dell’ Azerbaigian è ancora sotto occupazione armena). In ogni caso, l’ Armenia deve porre fine alla propria invasione dei territori dell’ Azerbaigian e deve rispondere ad uno dei più gravi crimini contro l’ umanità nella storia recente, il massacro di Khojaly nel 1992.

* Ambasciatore della Repubblica di Turchia

Le capitali europee più economiche e quelle più costose (Quotidiano.net

Yerevan al 4° posto tra quelle economiche

Capitale mia, ma quanto mi costi? Il sito di viaggi Wanderu ha messo in fila 48 città europee (paesi caucasici compresi) dalle più economiche alle più costose per i turisti, basandosi sui prezzi medi di una serie di voci: hotel, taxi, mezzi pubblici, ristoranti, birra, caffè e ingresso ai musei.

LE CAPITALI DOVE SI SPENDE DI MENO
Per una vacanza urbana a basso budget bisogna andare a est, puntando su destinazioni interessanti per i viaggiatori più curiosi, ma non di grande attrattiva per il turista medio. Si spende meno che in qualunque altra capitale europea a Skopje, in Macedonia, seguita da Pristina in Kosovo e Pogdorica in Montenegro. Fra le più affascinanti nella top 10 di quelle a basso costo spiccano Belgrado, Sarajevo, Sofia e Yerevan, in Armenia, una meta in grande crescita negli ultimi anni.

LE CAPITALI PIÙ COSTOSE
Nessuna sorpresa nelle parti basse della classifica: si confermano tutte le capitali europee già note fra i viaggiatori per l’accanimento sul portafogli. Fra le più costose in assoluto non potevano mancare le città dei paesi scandinavi: Oslo, Stoccolma, Helsinki e Copenaghen, oltre ovviamente a Parigi e Londra. Il podio delle più costose è però dominato dalla città-stato del Principato di Monaco, davanti a Reykjavik e a Dublino.

QUALCHE CURIOSITÀ
A Baku potete bere la birra più a buon mercato: 0,89 dollari (0,76 euro) in media una pinta, mentre non stupitevi se a Reykjavik vi chiedono più di 11 dollari (9,44 euro). Per cenare (tenendo conto di un pasto da tre portate in un ristorante di livello standard), ad Ankara in Turchia potete cavarvela con 7,30 dollari (6,44 euro), mentre a Monaco lo scontrino si attesta in media sui 58,50 dollari (50 euro). I taxi più economici li trovate a Chisinau in Moldavia e a Mosca (0,18 dollari a chilometro), i più cari a Londra (4,07 dollari a chilometro).

LA TOP 10 DELLE CAPITALI PIÙ ECONOMICHE
1. Skopje – Macedonia
2. Pristina – Kosovo
3. Pogdorica – Montenegro
4. Yerevan – Armenia
5. Chisinau – Moldavia
6. Tirana – Albania
7. Minsk – Bielorussia
8. Sofia – Bulgaria
9. Belgrado – Serbia e Bucarest – Romania
10. Sarajevo – Bosnia ed Erzegovina

LE ULTIME 10 DELLA CLASSIFICA
39. Stoccolma – Svezia
40. La Valletta – Malta
41. Helsinki – Finlandia
42. Copenaghen – Danimarca
43. Parigi – Francia
44. Londra – Regno Unito
45. Amsterdam – Paesi Bassi
46. Dublino – Irlanda
47. Reykjavik – Islanda
48. Principato di Monaco

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Il Papa ai Mechitaristi: si continui ad illuminare la vita del popolo armeno (Vaticannews.va 17.09.18)

A conclusione delle celebrazioni per i 300 anni dalla Fondazione della Congregazione Armena Mechitarista, Papa Francesco ha inviato una lettera letta ieri al termine della Divina Liturgia celebrata all’Isola di San Lazzaro degli Armeni, Venezia. Presente il cardinale Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali

Benedetta Capelli – Città del Vaticano

Un anniversario che è occasione per ringraziare il Signore per “l’abbondante effusione di grazie e carismi” ricevute nei secoli dalla Congregazione Armena Mechitarista. Lo ha scritto Papa Francesco in una lettera, datata 5 settembre, inviata per il terzo centenario della fondazione a mons. Boghos Levon Boghos Zékiyan, Delegato Pontificio per la Congregazione. La missiva è stata letta ieri al termine della Divina Liturgia celebrata a Venezia presso l’Isola di San Lazzaro degli Armeni e a cui ha assistito il cardinale Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali.

Fede vissuta fino al martirio

Francesco, nel testo, ha ricordato i membri della Congregazione che si sono distinti “per una vita religiosa fedelmente vissuta e, non di rado, eroicamente testimoniata, talvolta fino al supremo sacrificio del martirio”. Nel rievocare la figura del venerabile Mechitar, uno dei grandi riformatori della vita monastica nelle Chiese d’Oriente, il Papa ha evidenziato il suo contributo nel costruire “il sensus fidei del popolo armeno, una delle espressioni più fulgide della spiritualità e della cultura del suo popolo”. Pertanto, l’invito alla Congregazione è stato quello di “custodire, approfondire e diffondere per il bene di tutto il popolo armeno”, “il tesoro spirituale e culturale” che da sempre gli appartiene.

Apertura ecumenica

Il Papa ha poi ricordato due elementi di particolare valore: “la tradizione dell’umanesimo teologico armeno incarnato in modo singolare nell’istituzione dei Vardapet” (titolo armeno che esprime l’idea del cultore delle sacre scienze e delle arti). Francesco ha messo in luce l’originale sintesi operata da Mechitar “tra 1’umanesimo ecclesiale dei Vardapet armeni e quello classico occidentale, di cui sono monumenti insigni la produzione teologica, filosofica, storica, lessicografica e filologica della scuola mechitarista”. Il secondo elemento evidenziato dal Papa è quello della “profetica apertura ecumenica insita nella spiritualità mechitariana” sulla scia della tradizione della Chiesa armena incarnata tra gli altri da san Gregorio di Narek e che oggi “si rivela sempre più segno dei tempi” per camminare verso la piena unità.

La Santa Sede vicina nelle prove

Il Pontefice ha ricordato poi “le incomprensioni e le difficoltà” che Mechitar e la Congregazione incontrarono ma che vennero superate e che “sono parte inscindibile del carisma” ancora oggi di grande attualità. “La Santa Sede, che ha sempre nutrito per Mechitar e i suoi figli particolare riguardo e attenzione – ha scritto Francesco –  è stata ed è a fianco della Congregazione in questi delicati passaggi, offrendole ogni possibile aiuto e sostegno”.

San Lazzaro, cuore pulsante della Congregazione

Insieme al Monastero di Vienna – ha sottolineato il Papa – l’isola è un luogo vivo nonostante la generale riduzione dei monaci, chiamati sempre a “mantenere aperti e ampi gli orizzonti della missione e forte il vincolo della comunione”. “L’identità mechitarista consiste nell’essere anzitutto persone interamente consacrate a Dio, una vocazione irrealizzabile senza una comunione reale con i confratelli e senza l’assunzione totale, integra e gioiosa dei voti di povertà, castità e obbedienza, fonte evangelica di vero rinnovamento e garanzia sicura nei travagli dell’oggi”.

Si continui ad illuminare la strada del popolo armeno

“Auspico – ha scritto in conclusione il Papa – che la fiaccola accesa dal Fondatore continui a illuminare la strada spinosa e fiorente del popolo armeno con la fede in Cristo e con la speranza che la sua Parola contemplata, studiata e diffusa perennemente genera”.

Gratitudine per la lettera del Papa

Mons. Boghos Levon Boghos Zékiyan, Delegato Pontificio per la Congregazione Armena Mechitarista, ha avuto parole di ringraziamento per la lettera di Francesco, “segno e pegno di benedizioni divine”. Nel suo intervento ha affermato di vedere “quasi il presagio della beatificazione del Servo di Dio, l’Abbate Mechitar”, confessando di essersi “attardati come figli nel perseguire questo obiettivo”.

Card. Sandri: riscoprire la comunione anche tra noi

Nell’omelia del cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, l’esortazione a pregare per il Papa “perché il Signore attraverso di Lui renda certa la navigazione della Chiesa universale nelle acque tumultuose di questo tempo. Cristo stesso non ci abbandona in nessuna tempesta, è sulla nave con tutti noi”. “Solo nella comunione e nell’armonia – ha aggiunto – c’è la possibilità di potersi esprimere, pena l’irrilevanza e l’incomunicabilità, anzitutto tra noi prima che di fronte al mondo, che tanto attende dalla vostra testimonianza”.

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Buon compleanno Yerevan: un concerto al Teatro dell’Opera di Roma (Mondogreco.net 14.09.18)

In occasione della Festa Nazionale della Repubblica d’Armenia e del 2800° anno della Fondazione della capitale Erebuni-Yerevan, l’Ambasciata della Repubblica d’Armenia in Italia organizza, lunedì 17 settembre presso il Teatro dell’Opera di Roma, un concerto dell’orchestra italo-armena diretta dal Maestro Sergey Smbatyan.

Verranno eseguiti brani del compositore armeno Aram Khachaturyan, si esibiranno come solisti il violinista Hayk Kazazyan, vincitore nel 2015 del terzo premio al Concorso Internazionale Čajkovskij, e il Maestro Kamo Seyranyan, uno dei più rappresentativi suonatori di duduk, il tradizionale flauto armeno.

Armenia: premier Pashinyan oggi a Parigi in visita ufficiale, previsto incontro con presidente Macron (Agenzianova 14.09.19)

Armenia: premier Pashinyan oggi a Parigi in visita ufficiale, previsto incontro con presidente Macron
Erevan, 14 set 08:46 – (Agenzia Nova) – L’agenda dell’incontro di oggi tra il primo ministro armeno, Nikol Pashinyan, e il presidente francese, Emmanuel Macron, è piuttosto ampia. Lo riferisce l’agenzia “Armenpress”, riprendendo le dichiarazioni rilasciate dal portavoce del ministero degli Esteri armeno, Tigran Balayan, durante una conferenza stampa. Stando a quanto detto, il numero elevato di argomenti da discutere sarebbe da imputare all’elevato livello di cooperazione tra i due paesi. “Abbiamo ottimi rapporti con la Francia, sul piano politico, economico, culturale e sociale. Tutti questi punti saranno discussi durante l’incontro”, ha dichiarato l’agente diplomatico armeno. Il primo ministro Pashinyan arriverà oggi a Parigi per una visita ufficiale della durata di due giorni, durante la quale, oltre ad incontrare il capo di stato francese, prenderà parte ad una riunione con i rappresentanti della comunità armena locale. (Res)

Vladimir Putin sarà presto in visita ufficiale in Armenia (Agvilvelino.it 13.09.18)

Il presidente russo Vladimir Putin farà una visita ufficiale in Armenia ma i tempi della visita non sono ancora stati determinati, ha detto il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov al quotidiano Izvestiya.

“Le date saranno determinate”, ha detto Peskov rispondendo alla domanda sulla data della visita.

Sabato Putin ha incontrato a Mosca il primo ministro armeno Nikol Pashinyan, con le parti che hanno discusso di una serie di questioni relative all’agenda bilaterale e internazionale.

Il primo ministro armeno ha dichiarato di aver invitato Putin a visitare Erevan. Secondo Pashinyan, Putin visiterà l’Armenia nel prossimo futuro.

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Armenia, colloqui con Russia per prestito da 100 mln in settore difesa (Ilvelino)

L’Armenia sta discutendo con la Russia la possibilità di ottenere un nuovo prestito militare di 100 milioni di dollari. Lo ha riferito il ministro della difesa armeno David Tonoyan. “Ottenere un nuovo prestito militare è un processo che sarà attuato. Al momento si parla di circa 100 milioni”, ha detto Tonoyan ai giornalisti. Il ministro ha riferito di non avere l’autorità per parlare dei tipi di armi che si prevede di acquistare, promettendo di fornire ulteriori dettagli in seguito. “La cooperazione con la Russia si sta sviluppando con successo”, ha aggiunto Tonoyan.