Addio a Charles Aznavour, la leggenda della canzone francese, amico degli ebrei e di Israele (Mosaico-cem.it 04.10.18)

di Roberto Zadik
Dopo la sua morte escono interessanti  rivelazioni sul leggendario cantautore francese di origine armena Charles Aznavour. A questo proposito il sito Times of Israel ha recentemente pubblicato un interessante approfondimento non solo sul suo stretto rapporto col mondo ebraico, la sua famiglia salvò diversi ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale, ma anche con Israele. La notizia era uscita nel 2016, quando il cantautore aveva raccontato a un ricercatore israeliano l’impegno dei suoi genitori armeni, nel salvare alcuni ebrei durante la Shoah.

Sempre dinamico, vitale e fantasioso fino al’ultimo, poliglotta e viaggiatore instancabile, a quanto pare questo gigante della canzone francese avrebbe dovuto esibirsi a luglio a Tel Aviv, dopo una serie di concerti di grande successo che aveva tenuto nella metropoli israeliana che era meta preferenziale nella sua scaletta concerti sempre molto attiva malgrado l’età.

E con Israele a quanto pare egli ebbe un rapporto molto stretto. Lo scorso 26 ottobre era stato invitato nientemeno che dal Presidente Rivlin nella sua Residenza per ricevere il Premio Raoul Wallenberg, dal nome del celebre diplomatico svedese che salvò migliaia di ebrei.  Durante l’incontro i due parlarono lungamente di musica e della passione del Capo dello Stato ebraico per la sua musica e capolavori come “La Boheme”. Consegnandogli il prestigioso riconoscimento, Rivlin ha detto “la sua famiglia nascose gli ebrei perseguitati mentre Charles e sua sorella Aida li salvarono”.

Ringraziando sentitamente il presidente, Aznavour ha ricordato le proprie origini armene specificando nel suo discorso “noi e gli ebrei abbiamo tanti punti in comune. Nella musica, nelle arti, nei momenti felici e nelle difficoltà e nell’essere diventati gente importante nei Paesi che ci hanno accolto”.

Nato da origini armene a Parigi nel 1924 lui e la sua famiglia hanno nascosto e protetto diversi ebrei e partigiani rivelando altruismo e coraggio straordinari. Il Times of Israel nel suo omaggio ripercorre anche le tappe principali della carriera di questo cantautore. Uno degli artisti più famosi e apprezzati  nel mondo  assieme a Gilbert Becaud, Georges Brassens o  Edith Piaf con cui esordì aprendo un suo concerto quando anche lei era agli esordi,  per poi lanciarsi nella lunga e gloriosa carriera solistica dal 1956 con classici come “Sur Ma vie” (Sulla mia vita) e raggiungendo la fama grazie a film come “Tirate sul pianista” del grande Truffaut del 1960 e del quale era il protagonista. Una vera star salutata da varie celebrità alla sua morte come dal Primo Ministro Francese Valls che ha detto “nato da genitori armeni è stato uno dei più grandi esempi di brillantezza francese”.

Vai al sito

Niente Europa League, l’Arsenal lascia ​Mkhitaryan a casa. Un caso politico (AGI 04.10.18)

Il suo nome nella translitterazione anglosassone diventa Henrikh Hamleti Mkhitaryan ed è uno dei centrocampisti più forti del mondo. Gioca nell’Arsenal, uno dei club più gloriosi della Premier League, è arrivato a Londra durante la sessione di calciomercato invernale dell’anno scorso nell’ambito dell’affare che ha portato Alexis Sanchez al Manchester UTD. Ma l’annata dell’Arsenal non è delle migliori e la posizione in classifica permette quest’anno soltanto la partecipazione all’Europa League, che quasi certamente vivrà da protagonista.

Una guerra addormentata dal 1994, da quando Il 5 maggio a Bişkek, capitale del Kirghizistan, viene firmato tra i rispettivi ministri della difesa un accordo di cessate il fuoco. Accordo che chiaramente non ha reso la vita più semplice, violato molte volte da allora, che non può far dimenticare un conflitto che in soli due anni effettivi di guerriglia, dal 92 al 94, ha causato 30 mila morti, 80 mila feriti e diverse centinaia di migliaia di profughi costretti a lasciare le loro case per passare da una parte all’altra della barricata.

Mkhitaryan è un classe ’89 ed ha vissuto in Armenia fino al 2009, quando lascia il paese per aggregarsi agli ucraini del Metalurh Donec’k; ciò vuol dire che è nato e diventato adulto in perenne clima di guerra. Poi la vita, ma soprattutto la passione per il calcio e il suo enorme talento, gli hanno regalato una vita più serena, lo hanno portato a vestire maglie prestigiose, tre in particolare: Borussia Dortmund, Manchester UTD e ora Arsenal, ma il passato bussa nuovamente beffardo alla sua porta.

L’Arsenal finisce nel girone con gli azeri del Qarabag e, per la sua sicurezza, decide di non farlo nemmeno viaggiare con la squadra. Come riporta il sito di Sky Sport, l’allenatore del Qarabag, Gurban Gurbanov (azero), non la prende benissimo e commenta arrabbiato la mancata convocazione di Mkhitaryan da parte dei Gunners: “L’Arsenal potrebbe temere che davanti a 60 mila tifosi azeri Mkhitarian abbia troppa pressione addosso ed è per questo che non lo hanno portato con loro. Non è la prima volta che non viene in Azerbaijan. Fino ad ora, comunque molti sportivi armeni sono venuti qui: è scelta dell’Arsenal non averlo convocato”.

Una scelta presa evidentemente quasi come un insulto ed è vero, non è la prima volta che il centrocampista rinuncia a trasferte in terra azera, era già successo quando vestiva i colori del Borussia Dortmund. Ma la scelta della società londinese è irrevocabile ed è stata presa già all’indomani dei sorteggi: “La sicurezza generale e quella di tutti i nostri giocatori è sempre una priorità assoluta per noi”, aveva dichiarato per bocca di un loro portavoce a fine agosto.

Sulla carta l’Arsenal dovrebbe svolgere il compitino in scioltezza anche senza l’apporto tecnico di Mkhitarian, ma un problema sorge all’orizzonte: la finale di Europa League quest’anno si giocherà proprio a Baku, capitale dell’Azerbaijan e l’Arsenal certamente è tra le squadre favorite per arrivarci; cosa succederà allora? Il clima in tal caso si sospetta potrebbe essere decisamente più caldo per Mkhitarian, il centrocampista armeno che non riesce in nessun modo a dribblare il proprio passato.


Mkhitaryan e non solo: i casi dei giocatori “fermati” dalla politica  (gianlucadimarzio.com)

Il caso di Mkhitaryan, non convocato per questioni politiche, non è l’unico nel mondo del calcio: le storie di Jahanbakhsh, Sukur, Naki e Eigendorf altre testimonianze di vicende oltre il mondo del pallone

È possibile non giocare a calcio per motivazioni politiche? Eccome. La vicenda di Mkhitaryan è solo l’ultima di una serie di casi di questo tipo: l’Arsenal si è infatti trovato costretto a lasciare a casa uno dei suoi giocatori più rappresentativi, per una questione che esula da questioni tecniche, tattiche o di calciomercato. Lui, armeno e capitano della sua Nazionale, non è stato convocato per la trasferta di Europa League in Azerbaijan, dove si troveranno di fronte il Qarabag. Gli azeri sono da anni in guerra contro l’Armenia per il controllo di una piccolissima porzione di territorio, il Nagorno-Karabakh. In due anni, dal 1992 al 1994, quella linea di terra è diventata teatro di guerra, con 30mila morti e oltre 80mila feriti: a nulla è servito l’armistizio firmato proprio nel ‘94, dal momento che le azioni di guerriglia sono continuate fino a oggi, di fatto senza tregua. Così, è arrivata la scelta di non convocare Mkhitaryan per questioni di sicurezza, e la reazione dell’allenatore del Qarabag, Gurbanov, è stata molto dura: “Molti sportivi armeni sono venuti qui: non convocarlo è una scelta dell’Arsenal, forse temono possa subire troppa pressione da parte dei nostri tifosi, ma allo stadio…”.

Da una non convocazione all’altra. Simile a quello del centrocampista dei Gunners è il caso di Alireza Jahanbakhsh, ora in forza al Brighton, qualche anno fa dell’AZ Alkmaar. Era il 19 ottobre 2016, e l’allenatore degli olandesi, van den Brom, decise di non convocare l’iraniano, allora ventitreenne. Perché? Sempre in Europa League la sua squadra avrebbe giocato contro gli israeliani del Maccabi Tel Aviv. E non era cosa ignota che esistesse (e tutt’ora esiste) un aspro conflitto tra Iran e Israele. A differenza di Mkhitaryan, però, la scelta di non scendere in campo per la partita che si sarebbe giocata in Olanda fu direttamente di Jahanbakhsh: giocare contro una squadra israeliana avrebbe significato per lui, iraniano, riconoscere Israele come una nazione.

Il senso di appartenenza verso le proprie origini sembra collegare tutte queste storie, anche quando si tratta di giocatori non più in attività. È singolare la vicenda di Hakan Sukur, vecchia ma tutt’altro che ignota conoscenza del calcio italiano. L’attaccante, che ha militato tra le file di Torino, Inter e Parma, ha concluso la sua carriera in Turchia, nel Galatasaray. Un ritorno in patria, per il classe ‘79, che terminata la sua carriera da calciatore si è buttato in politica, nello schieramento di Erdogan. Con l’attuale leader anatolico, inizialmente i rapporti furono ottimi: la popolarità di Sukur gli permise di ottenere in breve tempo un posto in parlamento, ma lo strappo si consumò quando Fethullah Gulen, famoso predicatore turco, venne dichiarato nemico di Stato. Sukur, seguace di Gulen, si schierò contro il provvedimento, e dopo beni sequestrati, conti congelati, e addirittura l’incarcerazione per un anno del padre, si ritrovò costretto a fuggire dalla Turchia nel 2015, per trasferirsi in California, a Palo Alto, dove è ora proprietario di una famosa caffetteria. Su di lui pende ancora un mandato di cattura, è un rifugiato politico americano ma, almeno, “ho conservato la mia dignità”, ha dichiarato al New York Times.

E sempre in Turchia non sta vivendo vita facile Deniz Naki, tedesco di nascita ma curdo di origini. È cresciuto nel Bayer Leverkusen, ma l’attaccamento familiare alla sua terra lo ha portato dopo qualche anno di attività a trasferirsi in Anatolia. Anche lui è inviso a Erdogan, che qualche anno fa lo fece condannare per 10 mesi a causa delle aperte critiche contro il leader politico e delle sue parole di difesa nei confronti del partito comunista curdo. Nel 2014 decise di lasciare il Genclerbirligi, squadra di Ankara, dopo un’aggressione subita per le vie della città e da tre anni ha scelto di giocare in terza categoria, nell’Amed S.K., squadra curda di cui è diventato in brevissimo tempo una bandiera. Nel gennaio 2018, Naki è rimasto vittima di un attentato da cui è uscito illeso: diversi colpi di pistola sono stati sparati sulla sua macchina, con lui alla guida. L’attaccante ventinovenne è stato molto fortunato: non a tutti è capitato così.

La storia di Lutz Eigendorf è terribile. È il racconto di un ragazzo, prima ancora che un calciatore, che a 27 anni ha cercato di guardare al di là del muro. Un atto di libertà, se si pensa che il “muro” era in realtà il Muro, quello di Berlino, in pieno periodo di Guerra Fredda. Il centrocampista era nato nel 1956 nella Germania dell’Est (aveva giocato anche nella sua Nazionale), e come tanti suoi coetanei sognava un’Europa non divisa, lontana dal regime di restrizioni che l’URSS aveva imposto nei territori sotto la propria influenza. Tentò la fuga, per un futuro anche extra calcistico migliore: ma i suoi sogni furono stroncati per diretta opera della STASI, che lo uccise durante il suo tentativo. Nemmeno il calcio e la sua popolarità poterono salvarlo.

Armenia: tra rivoluzione di velluto e limiti da non superare (Lindro 03.10.18)

L’ Armenia è un piccolo Stato del Caucaso meridionale, invaso dalle truppe bolsceviche ed inglobato nell’Unione Sovietica nei primi anni venti, è divenuto indipendente nel 1991, dopo la dissoluzione dell’impero sovietico. Poco meno di tre milioni i residenti nel Paese e molti altri gli armeni della diaspora o semplicemente migranti economici: in Russia, negli Stati Uniti, ma anche in Ucraina e in Francia.

Nel mese di aprile una serie di proteste per le strade della capitale Yerevan e nelle principali città armene ha spinto alle dimissione il primo ministro Serzh Sargsyan, sostituito qualche giorno dopo da Nikol Pashinyan. Una piccola rivoluzione, non violenta, definita di velluto, che potrebbe in realtà non avere alcuna conseguenza e non produrre alcun cambiamento, ma che ha creato più di qualche turbamento nell’area, in quanto ha mostrato che anche un uomo di potere come Sargsyan può essere allontanato da movimenti di piazza, quando il bicchiere è colmo.

Sargsyan è stato il Presidente della Repubblica di Armenia per due mandati, dal 2008 al 2018. L’Armenia era allora una repubblica semipresidenziale, con poteri largamente nelle mani del Presidente, eletto direttamente dal popolo per un massimo di due mandati.

Pashinian è un ex giornalista ed editore, vicino politicamente per un certo periodo all’ex presidente Levon Ter-Petrosyan, fu condannato a sette anni di prigione perché accusato di essere tra gli organizzatori delle proteste che seguirono le elezione presidenziali del 2008. Rilasciato nel 2011, dopo un’amnistia, divenne parlamentare nel 2012.

Tra la prima elezione di Sargsyan nel 2008 e l’assegnazione della carica di primo ministro, nel 2018, a Pashinyan corrono dieci anni ed importanti cambiamenti: l’Armenia, assecondando i desideri di Mosca, entra nel 2015 nell’Unione economica eurasiatica e contemporaneamente, dopo un referendum costituzionale, si trasforma da repubblica semipresidenziale in repubblica parlamentare, con passaggio di poteri dal presidente al primo ministro e primo ministro, appena qualche giorno dopo la fine del mandato presidenziale, viene eletto proprio Serzh Sargsyan. Le opposizioni non ci stanno e cominciano le proteste di piazza che si concludono con le dimissioni di Sargsyan e la nomina di Pashinyan e con l’apparente, inusuale, disinteresse di Mosca per le vicende.

In realtà, Pashinian non sarebbe mai divenuto primo ministro se la Russia non avesse avuto rassicurazioni che non ci sarebbe stati cambiamenti radicali e che l’asse non si sarebbe spostato verso l’Unione Europea. Già a maggio, infatti, nel corso del primo incontro ufficiale a Mosca, Pashinyan si era affrettato a precisare ai giornalisti presenti che «le relazioni strategiche tra Armenia e Russia non richiedono discussioni. Penso che nessuno nel nostro paese abbia o possa mettere in dubbio l’importanza strategica delle relazioni armeno-russe». Pashinian ha sicuramente intenzione di continuare a cooperare con la Russia e lo ha ribadito anche nel corso dell’ultimo incontro di settembre, vorrebbe farlo però come partner alla pari e non sarà facilissimo, considerando che in passato governo e potere politico in senso lato a Yerevan hanno sempre agito per compiacere Mosca.

Quasi tutti i Paesi, in passato assoggettati al sistema sovietico, rimangono ancora oggi confinati all’interno di un sistema in cui gli affari privati spesso sono nascosti da ragion di Stato ed in cui la straripante corruzione rende qualsiasi sforzo compiuto verso lo sviluppo economico ed il benessere diffuso, uno sforzo vano. Anche in Armenia, la ragione principale che ha spinto migliaia di cittadini nuovamente in strada, nei mesi passati, è da ricondurre alla dilagante corruzione e all’arroganza della politica. Riuscire a far emergere il meglio della società armena, lottare contro la corruzione e le oligarchie senza tagliare i legami con Mosca sarà abbastanza complicato. Il primo caso che ha creato qualche frizione tra Mosca e il nuovo potere di Yerevan riguarda l’ex Presidente Robert Kocharian e l’ex vice ministro della Difesa Yuri Khachaturov, arrestati perché accusati di aver violato l’ordine costituzionale in occasione della repressione seguita alle proteste dopo le elezione del 2008 e che costò la vita a 10 manifestanti: sia il Presidente russo che il Ministro degli esteri Lavrov hanno infatti sollevato la questione, anche se con toni e modalità differenti, lasciando trapelare preoccupazione per la campagna anticorruzione che ha toccato gli ex leader politici.

Le relazioni tra Armenia e Russia sono sicuramente rilevanti, ma il legame con Mosca va ben oltre gli aspetti puramente economici. E’ sicuramente vero che l’Armenia esporta il 19 per cento dei propri prodotti in Russia, ma è anche vero che l’intera Unione Europea ne importa più del 25 per cento e il solo Canada il 12 per cento. E’ vero altresì che l’Armenia dipende dalla Russia per questione energetiche, aspetto del resto evidenziato dal Presidente russo anche nel corso dell’ultimo incontro di qualche giorno fa con Pashinian, quando ha sottolineato che se l’Armenia si approvvigiona di gas naturale a prezzi stracciati, lo deve proprio alla vicinanza a Mosca. Ma la Russia non è solo un importante partner economico, Mosca fino ad ora è stato un alleato di Yerevan, nel verso senso della parola. L’Armenia ha infatti un altro piccolo problema, si chiama Nagorno Karabakh, la regione a maggioranza armena assegnata negli anni ’20 da Stalin all’Azerbaijan. Subito dopo il crollo dell’impero sovietico, il Nagorno Karabakh dichiarò l’indipendenza  e la violenta reazione degli azeri diede avvio alla guerra che si concluse con un accordo nel 1994, dopo una lunga lista di violenze, morti, rifugiati ed operazioni con un forte tanfo di pulizia etnica da entrambe le parti. L’Armenia aveva conquistato circa il 10% di territorio azero, che non ha mai voluto restituire, nonostante le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, tutte rimaste inascoltate e che richiedevano «il ritiro dei soldati armeni dalle aree occupate appartenenti all’Azerbaijan». Nella complicata vicende del Nagorno Karabakh, l’appoggio russo e’ sempre stato fondamentale per l’Armenia ed oggi, i diecimila soldati russi, distaccati presso la base militare di Gyumri, sono un modo per la Russia per controllare i propri interessi nella regione, ma sicuramente un solido appoggio all’Armenia ed un deterrente per eventuali decisioni non concordate degli ingombranti vicini, Azerbaijan e Turchia.

L’ Armenia sa bene che se riesce a mantenere le posizioni e non ha mai ceduto il territorio conquistato lo deve soprattutto alla Russia ed i politici armeni sono ben consci del fatto che basta poco perché l’ago della bilancia si sposti da una parte piuttosto che dall’altra: un paio di anni fa la vendita di armi russe all’Azerbaijan ha fatto squillare qualche campanellino, con la conseguente, inusuale, contestazione del ministro degli esteri Sergey Lavrov in visita nel Paese.

L’appoggio russo  e’ sempre stato importante per l’Armenia, la rivoluzione di Pashinyan è assolutamente ‘incolore’ e la vicinanza al Cremlino, sia da parte del governo che della maggioranza degli armeni non e’ in dubbio, del resto i diecimila soldati russi della base di Gyumri sono un ottimo deterrente e non solo per le mire degli ingombranti vicini.

Vai al sito

Armenia: elezioni anticipate, opposizione accetta compromesso con premier Pashinyan ma manca l’intesa coi repubblicani (Agenzia Stampa 03.10.18)

Armenia: elezioni anticipate, opposizione accetta compromesso con premier Pashinyan ma manca l’intesa coi repubblicani (6)
Erevan, 03 ott 16:32 – (Agenzia Nova) – “Oggi abbiamo dimostrato che le elezioni anticipate sono una richiesta pan-armena. Coloro che si opporranno dichiareranno guerra al proprio popolo”, ha affermato il primo ministro, parlando ai suoi sostenitori in Piazza della Repubblica ad Erevan. Il presidente Sarkissian, di ritorno dalla sua visita negli Stati Uniti in questo momento, ha avuto una conversazione telefonica con il premier e con il presidente del parlamento, Ara Babloyan, chiedendo a tutti un atteggiamento moderato, che consenta di superare la crisi nel modo più efficiente possibile e nel rispetto della Costituzione. Il contesto politico in Armenia attualmente resta fluido: il premier Pashinyan sembra poter contare ancora sul sostegno della popolazione che già gli aveva garantito il suo appoggio durante la “Rivoluzione di velluto”; d’altro canto i repubblicani hanno tirato le fila della politica armena praticamente sin dall’indipendenza dall’Unione sovietica. Per questo motivo, quindi, resta difficile al momento delineare quale sarà lo scenario più probabile. Il paese dovrà arrivare a elezioni anticipate, ma il punto focale resta quando: entro fine anno, come proposto dal premier, o nel 2019, la soluzione preferita dal Pra. (Res)

Armenia: elezioni anticipate, opposizione accetta compromesso con premier Pashinyan ma manca l’intesa coi repubblicani (Agenzianova 03.10.18)

Erevan, 03 ott 16:32 – (Agenzia Nova) – I negoziati sulle elezioni anticipate che si sono svolti ad Erevan a partire da ieri sera hanno portato al raggiungimento di un compromesso tra il primo ministro, Nikol Pashinyan, e la maggior parte delle forze politiche in parlamento, con l’eccezione del Partito repubblicano d’Armenia (Pra). Principale fautore del controverso disegno di legge che emenda il regolamento interno del parlamento, il Pra resta l’unica forza politica a opporsi alla volontà espressa da Pashinyan di indire elezioni anticipate entro fine anno. Le discussioni che questa mattina erano state definite “infruttuose” da Edmon Marukyan, esponente del blocco Yelk (Via d’Uscita) sotto la guida del premier, si sono concluse con svariate forze d’opposizione (Armenia Prospera, la Federazione Rivoluzionaria Armena e il blocco Tsarukyan) che hanno assicurato che non presenteranno un candidato per la carica di primo ministro, qualora Pashinyan dovesse decidere di dimettersi per accelerare il processo che condurrebbe alle elezioni anticipate. (segue) (Res)

Napoli: il Complesso di San Gregorio Armeno (touringclub.it 02.10.18)

Alla scoperta del Complesso di San Gregorio Armeno, situato sull’omonima via, tra le più famose del centro storico di Napoli per le botteghe e i banchetti degli artigiani che perpetuano la tradizione del presepe napoletano. Una visita guidata in esclusiva per i soci e gli amici del Tci. Ammireremo la chiesa (popolarmente conosciuta come Chiesa di Santa Patrizia) e il monastero, con la straordinaria ricchezza degli ambienti.
Scheda della visita
La chiesa di San Gregorio Armeno – che da il nome alla strada – unitamente all’annesso chiostro costituiscono un valido esempio di architettura barocca napoletana.
L’intero complesso è una struttura ricca di storia, sia spirituale che artistica, tra le più belle della città di Napoli.
La costruzione della chiesa risalirebbe intorno all’anno 1000, dove prima già sorgeva una precedente chiesa che si dice fosse stata fatta edificare da Sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino, nel luogo dove si trovavano le rovine del tempio pagano
di Cerere. In quella chiesa nell’ VIII secolo, le monache di San Basilio, fuggite dall’Oriente in seguito alle conquiste dei musulmani, vi portarono le spoglie di San Gregorio di Armenia, fondando il complesso monastico che porta il nome del Santo.
La chiesa di San Gregorio Armeno è anche conosciuta come chiesa di Santa Patrizia, protettrice della città insieme a San Gennaro, in quanto in essa sono custodite le spoglie della Santa.
La struttura dell’edificio ha subito diverse ristrutturazioni nel corso dei secoli. Oggi si presenta con un’elegante facciata costituita da una cancellata a tre arcate. L’interno di impianto cinquecentesco è costituito da una navata unica e da cinque cappelle laterali ricche di decorazioni barocche davvero originali. Si possono ammirare tra gli altri, affreschi di Luca Giordano e di Dionisio Lazzari (altare maggiore). Molto bello è il soffitto a cassettoni.
Adiacente alla chiesa si può visitare lo splendido chiostro, opera dell’architetto Vincenzo della Monica. Qui ci si sente subito rapiti dalle numerose opere d’arte che esso contiene. Eleganti gruppi marmorei, affreschi e fontane in un giardino ben curato. Lungo i corridoi del portico sarà possibile visitare il salotto della Badessa, il coro delle monache, il refettorio, le grate, un piccolo museo contenente utensili un tempo adoperati dalle suore per le loro attività e l’antica Cappella intitolata a Santa Maria dell’Idria (l’ambiente più antico di tutto il complesso).

Vai al sito

Adieu, Charles (Rassegna 02.10.18)

Quotidianocontribuenti.com

di Patrizia Orofino

Chahnourth Varinag Aznavourian, in arte Charles Aznavour è passato a miglior vita ieri, all’età di 94 anni. Nacque a Parigi nel 1924 da genitori armeni, la madre scampò al genocidio armeno del 1915,  quel massacro che fu causa della, deportazione obbligata degli armeni, verso prigioni controllate dai turchi e la morte di 1.500.000 persone, uno sterminio degli inizi del novecento.

Un miracolo che i genitori di Aznavour riuscirono a salvarsi, per poi ritrovarsi da immigrati  a vivere in Francia; il padre faceva il cuoco, la madre  era figlia di commercianti armeni. Da ragazzino fu introdotto nel mondo teatrale e dello spettacolo proprio dai suoi genitori che, intravedevano in lui doti e talenti artistici da coltivare. Nel 1946 la meravigliosa Edit Piaf, lo nota e lo porta con lei per una tournèe in Francia e all’estero che, gli diede l’opportunità di farsi conoscere, ma anche di fare la sua prima vera esperienza di chansonnier della canzone francese.

Negli anni Cinquanta del Novecento, diviene una star. Numerose furono le sue esibizioni nei più famosi palcoscenici  di tutta Parigi e della Francia, prediligendo tuttavia l’Olympia. Le sue interpretazioni, nel corso della sua lunghissima carriera lasciavano il segno negli spettatori che andavano a sentire i suoi concerti; mai banali i suoi spettacoli, la buona musica e gli eccellenti testi scritti proprio da lui, gli permisero di entrare nel cuore di milioni di persone in tutto il mondo.

Il suo talento andava oltre la canzone d’amore. Fu uno dei primi ad intrerpretare nel 1972 una canzone dedicata agli omosessuali: “Che si dice”, infatti, attacca i preconcetti omofobi molto pesanti e presenti, all’epoca nella vita di coloro i quali non erano liberi di amare ufficialmente persone dello stesso sesso.

Il suo immenso talento camaleontico gli consentì di cantare in sette lingue: inglese, francese, italiano, spagnolo, tedesco, russo e napoletano (quest’ultima considerata una vera e propria lingua unica ed inimitabile). Vendette oltre 300 milioni di dischi in tutto il globo, il suo repertorio evergreen ancora oggi è riproposto da tanti artisti di nuova generazione. Ha duettato con la crème dei cantanti di fama mondiale come: Liza Minnelli, Compay Segundo, Cèline Dion, e con artisti italiani del calibro di: Mia Martini, Iva Zanicchi e Laura Pausini. Altrettanti omaggi, resi ad Aznavour da cantautori italiani che, da Modugno a Battiato, da Enrico Ruggieri a Gino Paoli, Renato Zero, Mina, Milva e tanti altri, hanno cantato in italiano le sue opere.

Canzoni come: “Ed io tra di voi”, ” L’Istrione”, ” Com’è triste Venezia”, ” La Boheme”, sono solo alcuni esempi di come il  cantautore gentiluomo, ha lasciato la sua arte ai posteri.

Ha conosciuto e vissuto la vita, ed i suoi valori più intimi, riportando tutto questo in poesia d’amore e di vita. In 94 anni di cose ne ha viste Aznavour, attraversando generazioni e tuttavia anticipandone spesso i suoi mutamenti sociali. La sua carriera ricca di percorsi, ci ha insegnato come l’arte arrivi all’animo più intimo e personale di un individuo; la sua vita personale, quella di un figlio di immigrati scampati ad un genocidio, ci riporta ai giorni nostri, a ciò che viviamo. Storie uguali di guerre, di dolore di violenza, cui gli immigrati cercano di sfuggire e che spesso, si ritrovano isolati perchè “diversi”.

La diversità il 22 Maggio del 1924 portò una ricchezza in più alla Francia ed al mondo, la nascita  di Charles Aznavour, esempio di un’opportunità di vita migliore, in un paese straniero;  quella della realizzazione di un sogno realizzato che, non poteva essere compiuto se quel paese straniero non avesse accolto i genitori di Aznavour.

Arrivederci e non addio maestro, perchè ogni qualvolta  che, riascolteremo una tua chanson, tu sarai lì a farcela rivivere interamente come sempre. Grazie straordinario chansonnier per averci regalato un pezzo della tua anima. 


Il rifugio svizzero di un cantante popolare in tutto il mondo (Swissinfo 02.10.18)

Charles Aznavour viveva in Svizzera dal 1972. Una scelta che non era motivata solo dalla pressione del fisco francese. “La Svizzera è un’oasi di pace”, aveva dichiarato a swissinfo.ch il cantante, i cui genitori erano fuggiti dal genocidio armeno un secolo fa.

“La Svizzera è un’oasi di pace. Tutto è più calmo, più pudico, anche i semafori rossi diventano più lentamente verdi e viceversa. È un paese che rispetto e amo molto. Ho fatto naturalizzare i miei figli”, dichiarò nel 2011 Charles Aznavour a Bernard Léchot, all’epoca giornalista di swissinfo.ch e tuttora musicista.

E il poeta delle parole e delle melodie aggiunse: “Io ho rinunciato per una questione di fedeltà. La Francia ha dato ai miei genitori la possibilità di avere una vita normale e crescere i loro figli. Non potevo tradire questo. Ho lasciato la Francia molto adirato, perché mi ha ferito molto. Ho subito un vero e proprio linciaggio”.

È nel 1972 che si trasferisce in Svizzera con la famiglia. Dapprima nel Vallese. Il “blocco aznavouriano”, secondo le sue parole al quotidiano La Tribune de Genève, trasloca in seguito nel cantone di Ginevra, sulle rive del lago Lemano, dal quale non stacca gli occhi nel 2012 cambia di nuovo casa e si trasferisce a Saint-Sulpice nel cantone di Vaud.

Ambasciatore dell’Armenia in Svizzera

Lo scorso aprile ha fatto la sua ultima apparizione pubblica in Svizzera. A Ginevra, l’ambasciatore – in Svizzera e all’ONU – Charles Aznavour partecipa all’inaugurazione dei “Lampioni della memoria”, un memoriale dedicato agli armeni massacrati un secolo fa in Turchia e ai tanti svizzeri che si erano allora mobilitati in loro favore.

“L’ho trovata di una sublime bellezza. Più svizzera che armena, anche se è un giovane armeno che l’ha concepita. Non è un monumento ai morti, è un luogo formidabile: sembra una Rambla, dove ci si avventurerebbe per incontrare una futura sposa…”, aveva detto a swissinfo.ch nel 2011, in merito all’opera.

Un progetto che ha avuto grandi difficoltà a concretizzarsi, a causa delle pressioni del governo turco.

————-

Il genocidio armeno mette in luce la crisi attuale in Medio Oriente

Di Frédéric Burnand, Ginevra

I Lampioni della Memoria rendono omaggio agli armeni uccisi oltre un secolo fa in Turchia e agli svizzeri che si sono mobilitati in loro favore.

Qual è stato il suo legame tra le canzoni che ha scritto e la tragedia vissuta dagli armeni? “Ciò che mi ha avvicinato alle difficoltà delle persone è questo. Il dolore di vivere è lì. Troviamo tutto ciò negli armeni, ma anche negli spagnoli, negli ebrei, nei maghrebini, oggi, come ieri nei neri americani. Ho letto poesie di donne armene, anonime, sono molto vicine al mio modo di scrivere”, aveva risposto a Bernard Léchot.

Charles Aznavour è stato un cantautore popolare per eccellenza per la sua capacità di trovare le parole e le melodie per cantare la vita quotidiana, a volte drammatica, della gente comune.

Nell’intervista a swissinfo.ch del 2011, aveva dichiarato: “Ho appena scritto una canzone sulla Shoah. Ma è una canzone d’amore. Perché? Perché? Perché un giorno ho incontrato una persona che aveva incontrato sua moglie in un campo di concentramento. E che aveva dunque trovato l’amore nel campo di concentramento. La mia canzone è questo. L’amore è nato in un luogo che è un disastro, un orrore”.

Un’esaltazione della vita e un’empatia che ha coltivato con il suo amato pubblico: “Incontro regolarmente il mio pubblico al di fuori del palcoscenico: faccio la spesa da solo, non ho guardie del corpo, conduco una vita normale, in un’atmosfera amichevole. Siccome parlo diverse lingue, posso comunicare con persone provenienti da luoghi molto diversi. Incontrando questo pubblico tutti i giorni, si acquista una vicinanza che traspare quando si scrivono le canzoni anche per lui, il pubblico”.


Charles Aznavour che lasciò la Francia per la Svizzera (Caratteriliberi.it)

di Frédéric Burnand –
“La Svizzera è un’oasi di pace. Tutto è più calmo, più pudico, anche i semafori rossi diventano più lentamente verdi e viceversa. È un paese che rispetto e amo molto. Ho fatto naturalizzare i miei figli”, dichiarò nel 2011 Charles Aznavour a Bernard Léchot, all’epoca giornalista di swissinfo.ch e tuttora musicista.

E il poeta delle parole e delle melodie aggiunse: “Io ho rinunciato per una questione di fedeltà. La Francia ha dato ai miei genitori la possibilità di avere una vita normale e crescere i loro figli. Non potevo tradire questo. Ho lasciato la Francia molto adirato, perché mi ha ferito molto. Ho subito un vero e proprio linciaggio per essermi espresso su politica e immigrazione”.

È nel 1972 che si trasferisce in Svizzera con la famiglia. Dapprima nel Vallese. Il “blocco aznavouriano”, secondo le sue parole al quotidiano La Tribune de Genève, trasloca in seguito nel cantone di Ginevra, sulle rive del lago Lemano, dal quale non stacca gli occhi nel 2012 cambia di nuovo casa e si trasferisce a Saint-Sulpice nel cantone di Vaud.

Ambasciatore dell’Armenia in Svizzera:

Lo scorso aprile ha fatto la sua ultima apparizione pubblica in Svizzera. A Ginevra, l’ambasciatore – in Svizzera e all’ONU – Charles Aznavour partecipa all’inaugurazione dei “Lampioni della memoria”, un memoriale dedicato agli armeni massacrati un secolo fa in Turchia e ai tanti svizzeri che si erano allora mobilitati in loro favore.

“L’ho trovata di una sublime bellezza. Più svizzera che armena, anche se è un giovane armeno che l’ha concepita. Non è un monumento ai morti, è un luogo formidabile: sembra una Rambla, dove ci si avventurerebbe per incontrare una futura sposa…”, aveva detto a swissinfo.ch nel 2011, in merito all’opera.

Un progetto che ha avuto grandi difficoltà a concretizzarsi, a causa delle pressioni del governo turco.

Qual è stato il suo legame tra le canzoni che ha scritto e la tragedia vissuta dagli armeni? “Ciò che mi ha avvicinato alle difficoltà delle persone è questo. Il dolore di vivere è lì. Troviamo tutto ciò negli armeni, ma anche negli spagnoli, negli ebrei, nei maghrebini, oggi, come ieri nei neri americani. Ho letto poesie di donne armene, anonime, sono molto vicine al mio modo di scrivere”, aveva risposto a Bernard Léchot.

Charles Aznavour è stato un cantautore popolare per eccellenza per la sua capacità di trovare le parole e le melodie per cantare la vita quotidiana, a volte drammatica, della gente comune.

Nell’intervista a swissinfo.ch del 2011, aveva dichiarato: “Ho appena scritto una canzone sulla Shoah. Ma è una canzone d’amore. Perché? Perché? Perché un giorno ho incontrato una persona che aveva incontrato sua moglie in un campo di concentramento. E che aveva dunque trovato l’amore nel campo di concentramento. La mia canzone è questo. L’amore è nato in un luogo che è un disastro, un orrore”.

Un’esaltazione della vita e un’empatia che ha coltivato con il suo amato pubblico: “Incontro regolarmente il mio pubblico al di fuori del palcoscenico: faccio la spesa da solo, non ho guardie del corpo, conduco una vita normale, in un’atmosfera amichevole. Siccome parlo diverse lingue, posso comunicare con persone provenienti da luoghi molto diversi. Incontrando questo pubblico tutti i giorni, si acquista una vicinanza che traspare quando si scrivono le canzoni anche per lui, il pubblico”.

(Traduzione dal francese – fonte:  tvsvizzera.it)


Aznavour, l’ultimo chansonnier che aveva la passione per l’Italia (Messaggeroveneto.it)

«Io sono un istrione. E l’arte, l’arte sola è la vita per me. Se mi date un teatro e un ruolo adatto a me il genio si vedrà», cantava Shahnourh Varinag Aznavourian, per tutti Charles Aznavour, lo chansonnier francese di origine armena mancato ieri nel sonno all’età di 94 anni nella sua casa a Mouriès, in Provenza. La notizia della morte è stata data dal suo ufficio stampa. Aznavour era la Francia, quella dalla vocazione internazionale, quella dell’accoglienza che ne ha fatto un precursore della contaminazione musicale. «Mi sono interessato a tutti gli stili della musica – ebbe a dire a Le Monde – sono orgoglioso di essere stato in qualche modo il primo a farlo in Francia. Ecco perché ho avuto successo nei paesi del Maghreb, tra gli ebrei, i russi». In settant’anni di carriera “l’istrione”, probabilmente il cantante francese più famoso al mondo, scoperto da Edith Piaf, ha scritto oltre 1400 canzoni e ne ha incise più di 1200, in sette lingue (francese, inglese, italiano, spagnolo, tedesco e russo) e ha recitato in un’ottantina di film e telefilm. In Italia numerosi suoi pezzi, da “Come è triste Venezia” a “La Bohème” ne hanno fatto un’icona della musica. Un gigante nonostante arrivasse a fatica a un metro e sessantacinque d’altezza.

Aznavour ha partecipato a due edizioni di Sanremo, sempre fuori gara, nel 1981 con “Poi passa” e nel 1989 con “Momenti sì, momenti no”, ha duettato con grandi artiste italiane come Milva, Mia Martini e Laura Pausini, così come ha fatto con star internazionali come Nana Mouskouri, Liza Minnelli, Compay Segund e Céline Dion.

Molti interpreti della musica leggera italiana hanno inciso canzoni da lui scritte e cantate nei più grandi teatri del mondo, a cominciare dall’Olympia a Parigi dove era di casa: Domenico Modugno, Mina, Ornella Vanoni e Gino Paoli, solo per citarne alcuni. Nel 1971 lo chansonnier scomparso ieri vinse il Leone d’oro a Venezia per la canzone “Morire d’amore”, utilizzata come colonna sonora per l’edizione italiana dell’omonimo film diretto da André Cayatte. Nel 2009 la città di Firenze gli rese omaggio consegnandogli il Giglio d’argento «per la sua straordinaria carriera artistica tra cinema e musica, per l’impegno a sostegno del popolo armeno, della pace e della libertà». Memorabile il concerto del 23 luglio dello scorso anno all’Auditorium Parco della Musica di Roma per celebrare i 70 anni della sua straordinaria carriera. Sul palco a 90 anni passati, la classe di sempre e fu davvero un peccato, quest’estate, l’annullamento del concerto in programma a Palmanova, cancellato a causa di un infortunio.

Nato il 22 maggio 1924 a Parigi da genitori armeni immigrati dalla Turchia e dalla Georgia, sfuggiti al genocidio perpetrato all’Impero ottomano, Aznavour si è sempre battuto per la causa armena, con un’intensa attività diplomatica che nel 2009 lo portò anche a diventare l’ambasciatore del proprio Paese d’origine in Svizzera, dove negli anni Settanta siera trasferito per problemi con il fisco francese.

Per la stessa causa nel 1989 riunì a Milano una sessantina di artisti per registrare il brano da “Per te Armenia” in supporto del progetto “Fondazione Aznavour per l’Armenia” per aiutare i bambini orfani armeni.


Aznavour e la sua Armenia. Storia breve di un amore doloroso e mai tradito (AGI.it)

La casa di Charles Aznavour a Erevan ha la vista sul Monte Ararat, quello che segnò la fine del Diluvio Universale sostenendo il peso dell’Arca di Noè. Luogo caro agli ebrei, segnati nella storia del secolo scorso dal più grande genocidio della storia, così come lo erano stati gli armeni qualche anno prima della Soluzione Finale. Uno sterminio voluto da un gruppo di ufficiali nazionalisti turchi, che fecero fare il lavoro sporco ai curdi per non avere troppi imbarazzi: tipico di ogni impero multietnico come lo era quello ottomano. Secondo alcune stime i morti furono un milione e mezzo, ma è impossibile dare cifre certe.

Due identità in una sola anima

La storia personale di Aznavour iniziava proprio con quella orribile strage, e la fuga dei superstiti in ogni angolo d’Europa e del mondo. Proprio come gli ebrei. Lui non era ancora nato, ma sua madre gli trasmise in quel di Parigi dove si era rifugiata con il padre, armeno anche lui, due cose. La prima il senso dell’identità, per cui si possono avere due patrie ed essere fedeli a entrambi; la seconda il senso di una presenza cupa di violenza e dolore che pervade le esistenze.

Forse è per questo che lui, Aznavour, una piega amara nell’espressione l’ha sempre mantenuta, anche se per sua stessa ammissione la parte piacevole della vita non gli era per nulla estranea. Francese e armeno, tutta la vita senza concessioni alle facili argomentazioni dei sovranisti per cui sei una cosa o dei un’altra: l’animo umano è troppo stretto per comprendere due continenti.

Quando è bene sapere

Ora, non è che Aznavour abbia fatto una bandiera della sua doppia identità culturale. Parlava francese (e altre quattro lingue) ed in francese cantava. Ma soprattutto dopo il 1989, quando il crollo dell’Urss fece scoprire agli occidentali l’altra metà del mondo scongelando antiche culture e vecchie rivalità, sentì la voce dell’altra metà dell’Io che lo chiamava suadente come se stesse cantando “Devi sapere”: “La dignità devi salvare / malgrado il male che senti … ”. Sarà stata anche una canzone d’amore del 1962, ma sembrano le sensazioni di qualcuno a cui la Storia torna addosso, tutta in una volta con il suo peso schiacciante.

Le vicende dell’Armenia da quel momento diventano quasi un’ossessione, come se lui, scampato al massacro, cercasse di farsi perdonare da chi non era riuscito a mettersi in salvo.

La riscoperta dell’antica masseria

In realtà l’impegno risale a poco tempo prima: era il 1988 – piena era gorbacioviana, quando nessuno nemmeno immaginava cosa sarebbe successo di lì a pochi mesi – e la Repubblica Sovietica d’Armenia venne sconvolta da un terremoto. Venticinquemila morti, forse il doppio, intere città distrutte e Gorbaciov in persona che si deve umiliare a chiedere aiuto all’America di Ronald Reagan. Lui canta (in francese) “Pour toi Armenie”, e la fa interpretare a 90 suoi colleghi di ogni cultura e lingua. I proventi serviranno alla ricostruzione. Lui ha ritrovato la sua prima casa. Parafrasando un libro che ha fatto conoscere anche all’Italia il massacro degli armeni, la sua prima masseria.

Un ponte aereo privato

Il salto di qualità, comunque, viene spiccato quando l’Urss già non esiste più: l’Armenia è indipendente da appena un anno e si scatena la guerra con il vicino Azerbaigian, a causa di un’enclave in territorio azero chiamata Nagorno Karabakh. Di nuovo, come settant’anni prima, l’incubo della pulizia etnica. Lui, senza dire niente a nessuno, paga il biglietto per fuggire in Occidente a migliaia di persone. Un ponte aereo privato.

A Erevan non se lo dimenticano: lo nominò rappresentante permanente presso l’Unesco, poi ambasciatore in Svizzera (lui vi vie per alcuni anni; si dice anche a causa di problemi con il fisco francese, ma l’uomo è essere molto complicato, alle volte), poi “eroe nazionale”. Gli intitolano una piazza: è l’immagine dell’Armenia nel mondo e al tempo stesso quella di una identità nazionale che non ha bisogno del nazionalismo per affermarsi. Anche se la lingua prediletta resta sempre quella, il francese.

Undici fuggiaschi in tre stanze

Una lingua, per l’appunto, imparata da piccolo, armeno errante, sulle strade di Parigi vivendo la condizione psicologica (ancora una volta la Masseria delle Allodole di Antonia Arslan) di chi cerca “il caldo nido di una volta: non estranea, non ospite, ma passeggera in attesa di un treno di cui non conosco l’orario”.

Forse è anche per questo che, quando nella Parigi occupata dai nazisti inizia la caccia all’ebreo, nelle tre stanze della casa degli Aznavourian (il vero nome della famiglia Aznavour) vivevano madre, padre, due figli e 11 uomini e donne in fuga dall’Olocausto. Due popoli, un unico dolore. Anche se lui, verso la fine della vita, annoterà con mestizia: “Mi duole molto che Israele non abbia riconosciuto il genocidio degli Armeni: fu quello il modello a cui i nazisti si rifecero per la Soluzione Finale degli Ebrei”.

 

Morte Charles Aznavour, le reazioni: da Macron al Presidente armeno, fino a Pausini e Ranieri (Rassegna 2 – 01.10.18)

Repubblica

Tante personalità hanno espresso cordoglio per la scomparsa del grande chansonnier francese. Brigitte Bardot: “Era il nostro Asso immortale, Asso fra i poeti, della canzone francese, della popolarità”

Cordoglio per la morte di Charles Aznavour è stato espresso dalle istituzioni francesi e armene, come dal mondo della musica e del cinema. Il presidente francese Emmanuel Macron ha commemorato su Twitter la scomparsa del cantautore francese definendolo “profondamente francese, attaccato visceralmente alle sue radici armene, riconosciuto in tutto il mondo, Charles Aznavour ha accompagnato le gioie e i dolori di tre generazioni. I suoi capolavori, il suo timbro, il suo splendore unico sopravvivranno per lungo tempo”, ha concluso il capo dell’Eliseo. Per il primo ministro armeno Nikol Pachinian, la morte di Aznavour è una “perdita enorme per il mondo intero”. Pachinian lo ha definito “uno dei figli straordinari del popolo armeno”.  “Il grande Charles è andato via”, scrive su Facebook l’ex presidente Nicolas Sarkozy, aggiungendo: “Ci lascia le sue parole, le sue melodie, la sua voce: quella di un genio assoluto, di un poeta della canzone francese”. “Da Erevan fino a Parigi, ha cantato in tutte le città del mondo, per l’amore e la libertà”, gli fa eco François Hollande.

Profondamente commossa per la scomparsa la cantante Mireille Mathieu invoca “funerali di stato” per il “patriarca”. Cordoglio espresso anche da Brigitte Bardot che ha dato il suo addio a Charles Aznavour definendolo “il nostro Asso degli ambasciatori del talento nel mondo. Era il nostro Asso immortale, Asso fra i poeti, della canzone francese, della popolarità. Rimarrà il nostro Aznavour per sempre”.Laura Pausini ha scritto sui social di aver “avuto il grande onore di incontrarlo e di cantare con lui Parigi in agosto. Charles era anche l’idolo di mio padre Fabrizio e un giorno racconterò come si sono incontrati, è stato commovente. Il mio pensiero è per la sua bella e grande famiglia che durante questi 94 anni della sua vita lo ha accompagnato con la sua musica in tutto il mondo”.

Per Massimo Ranieri “con Charles Aznavour se ne va l’ultimo grande vecchio, un papà, il più grande, non esiste un altro gigante così. La notizia della sua morte mi ha destabilizzato. Non c’è più nessuno che ci guidi. È sempre stato un faro per me. I giovani neanche conoscono la grandezza dell’arte di Aznavour, non hanno tempo, vivono attaccati ai cellulari. Io ho sempre guardato a lui come modello come chansonnier, mentre come cantante mi ispiravo a Sinatra e al grande nero, Ray Charles. Aznavour era un talento, oltre che nella musica, anche al cinema, a teatro, come ballerino e scrittore. Mi sono sempre ispirato a lui. Tutti vorremo essere così, lui lo era veramente. Il brano L’istrione fotografa in un attimo una straordinaria carriera”.

Rita Pavone ha scritto su Twitter: “Ebbi la gioia di conoscerlo e frequentarlo durante il mio bellissimo periodo francese negli anni Settanta. Che sia un viaggio sereno, grande Charles”.

Anche Andrea Bocelli ha voluto ricordate con un tweet l’artista: “Charles, hai stupito sempre con la tua arte e la tua brillante ironia. Qualche giorno fa, per il mio compleanno, mi avevi detto: ’60 anni, sei giovane Andrea! Anche io ho avuto 60anni… ma circa 30, anzi 34 anni fa. Spero di vederti presto!’. In realtà eri il più giovane di tutti e, nonostante una carriera lunga quasi un secolo, eri pronto a partire in concerto ovunque e in qualunque momento. Il mio affetto e la mia stima nei tuoi confronti resteranno sempre intatti e la tua passione per questo lavoro saranno per me un esempio continuo. ‘Se vuoi essere amato dal pubblico, devi amare il pubblico’, questo dicevi, e infatti hai indubbiamente infuso in questa arte una quantità incredibile d’amore”.


Morto Charles Aznavour, il padre degli chansonnier (Il Gazzettino)

Charles Aznavour è morto. Il cantante francese di origini armene, monumento della canzone francese, aveva 94 anni. Nato a Parigi nel 1924 da immigrati di origine armena, Shahnour Vaghinagh Aznavourian, in arte Charles Aznavour, debuttò a teatro come attore di prosa. Nel dopoguerra, grazie a Edith Piaf che lo portò in tournée in Francia e negli Stati Uniti, si mise in luce come cantautore.

Ma il riconoscimento mondiale arrivò nel 1956 all’Olympia di Parigi con la canzone Sur ma vie: uno strepitoso successo che gli permise di entrare nella storia degli chansonnier francesi. Il fatto che Aznavour cantasse in sette lingue gli consentì di esibirsi in tutto il mondo divenendo ovunque famosissimo. Si esibì alla Carnegie Hall e nei maggiori teatri del mondo, duettando con star internazionali come Nana Mouskouri, Liza Minnelli, Sumiva Moreno, Compay Segundo, Céline Dion e, in Italia, con Mia Martini e Laura Pausini.

In Italia per quasi tutte le versioni italiane delle sue canzoni collaborò con il paroliere Giorgio Calabrese. Il suo ultimo concerto nel nostro Paese risale a giugno scorso. All’estero le sue canzoni sono state spesso reinterpretate da numerosi artisti come Elton John, Bob Dylan, Sting, Placido Domingo, Céline Dion, Julio Iglesias, Edith Piaf, Liza Minnelli, Sammy Davis Jr, Ray Charles, Elvis Costello e moltissimi altri. Il suo impegno come cantautore non impedì di battersi da sempre per la causa armena, con un’intensa attività diplomatica che gli è valsa la nomina di Ambasciatore d’Armenia in Svizzera.​


Aznavour, l’ultima intervista a Verona  «Sono un artigiano, sono Aznavour e basta»   (L’Arena)              

È morto a 94 anni Charles Aznavour, ultimo dei giganti della canzone francese, padre degli chansonnier.Qui lo celebriamo con l’intervista che concesse a TeleArena in occasione del concerto in Arena del 14 settembre 2016 per celebrare i suoi 70 di carriera. Mostrando ancora una straordinaria lucidità, unite a un’umiltà sconfinata nonostante la sua fama e il suo valore. (Vai all’intervista)


Morto Charles Aznavour. Il re della canzone francese, aveva 94 anni (Panorama)

Aveva 94 anni Charles Aznavour. Tra le sue canzoni più famose, La Mère (La mamma), She (Tous les visages de l’amour), l’Istrione. Esordì sul teatro mondiale grazie ad Edith Piaf e nella carriera ha duettato con star come Liza Minnelli, Céline Dion, Mia Martini e Laura Pausini

E’ morto, a 94 anni, Charles Aznavour. Nato a Parigi nel 1924 da immigrati di origine armena, debuttò a teatro come attore di prosa. Nel dopoguerra, grazie a Edith Piaf che lo portò in tournée in Francia e negli Stati Uniti, si mise in luce come cantautore. Il riconoscimento mondiale arrivò nel 1956 all’Olympia di Parigi con la canzone Sur ma vie: un successo che lo catapultò nella storia degli chansonnier francesi. Tra le sue canzoni più famose, La Mère (La mamma), She (Tous les visages de l’amour), La Boheme, L’Istrione.

Grazie alla sua capacità di cantare in 7 lingue, si esibì nei maggiori teatri del mondo, duettando con star internazionali come Liza Minnelli, Compay Segundo, Céline Dion e, in Italia, con Mia Martini e Laura Pausini. In Italia per quasi tutte le versioni italiane delle sue canzoni collaborò con il paroliere Giorgio Calabrese. Le sue canzoni sono state reinterpretate da artisti come Elton John, Bob Dylan, Sting, Placido Domingo, Julio Iglesias, Edith Piaf, Sammy Davis Jr


Musica in lutto: è morto Charles Aznavour, la voce di Francia (Euronews)

Addio a Charles Aznavour, il “Frank Sinatra di Francia”. Il cantautore si è spento nella sua casa nelle Alpilles, in Provenza, all’età di 94 anni.

Un’intera vita consacrata alla musica: salì per la prima volta sul palco all’età di 9 anni. E fino all’ultimo ha voluto esibirsi davanti al suo pubblico. Il 26 ottobre era previsto un concerto a Bruxelles e poi a novembre ancora una tournée in Francia. Perché, aveva dichiarato più volte, smettere di cantare avrebbe siginificato morire.

Dopo un tour in Giappone, una caduta e la conseguente frattura al braccio lo avevano costretto quest’estate ad annullare i concerti, compresa l’unica data italiana del 23 giugno a Palmanova, in Friuli.

In un’intervista con ironia aveva immaginato la sua orazione funebre: “Vorrei che fosse breve, che non durasse due ore… E che la gente presente fosse felice, felice di essere viva”, aveva detto.

La vita di “Aznavoice”

Di origini armene, Aznavour nasce il 22 maggio del 1924 da genitori artisti: suo padre era stato un baritono, sua madre un’attrice, che era riuscita a scampare al genocidio. A soli nove anni Aznavour è già immerso nel mondo artistico parigino.

L’incontro che gli cambierà la vita avviene nel 1946, quando il suo cammino si incrocia con quello di Édith Piaf, che accompagnerà nelle tournée in Francia e negli Stati Uniti.

Scrive e interpreta successi come La mamma, Et pourtant (1963), For me formidable (1964), Que c’est triste Venise (1964), La Boheme (1965) e Emmenez-moi (1967). Aznavour si esibisce sui piu importanti palcoscenici internazionali. Canta in sette lingue, persino in napoletano.

Ma grande è anche il suo impegno civile. Dopo il terremoto del 1988 nella sua Armenia, che contò oltre 25mila vittime, Aznavour si spende nella raccolta di fondi per i sopravvissuti e incide con 89 artisti un disco per beneficienza, che vende milioni di copie.

Nel 1994 porta tonnellate di aiuti alimentari e medicine ai rifugiati del conflitto del Nagorno Karabakh, donando più di tre milioni di franchi francesi, circa 500mila euro, per costruire un ospedale.

Nel 1997 il presidente Jacques Chirac gli conferisce la Legion d’Onore, per aver dato lustro alla Francia nel mondo. Nel 2006 presenzia alle commemorazioni del genocidio armeno del 1915. Al memoriale di Erevan canta l’Ave Maria, davanti al papa Giovanni Paolo II.

Nel 2008 Aznavour ottiene la cittadinanza armena, e nel 2009 diventa ambasciatore dell’Armenia in Svizzera e rappresentante permanente del Paese presso la sede Onu a Ginevra.

Molti cantanti e interpreti di fama internazionale hanno voluto duettare insieme a lui. Tra loro Julio Iglesias, che di Aznavour disse: “È forse il più grande artista pop del continente europeo“.


Addio a Aznavour, l’istrione che fece piangere Wojtyla (Famiglia Cristiana)

Si è spento a 94 anni il grande cantante francese di origini armene. Una vita intensissima illuminata anche da una profonda fede. Come quella volta nel 2001 in cui Giovanni Paolo II venne in visita nella sua terra natale…

Certo, dispiace sempre quando un grande artista ci lascia. Ma non si può dire che Charles Aznavour, scomparso a 94 anni, non abbia avuto una vita ricca sotto ogni punto di vista. Nato da genitori armeni scampati al genocidio dei turchi, sopravvissuto all’occupazione nazista di Parigi durante la quale la sua famiglia diede rifugio a decine di ebrei, scoperto da Edith Piaf, amico di Marlene Dietrich, autore di circa 1400 canzoni molte delle quali tradotte in italiano, sei figli avuti da tre matrimoni (l’ultimo, però, è durato oltre cinquant’anni), ha composto musica e fatto concerti fino all’ultimo. Era infatti reduce da un tour in Giappone.

E dire che da ragazzo tutti lo prendevano in giro dicendo che era basso e brutto e che quella voce che avrebbe incantato il mondo intero non era un granché. Ma lui ha sempre creduto in sé stesso, come canterà in una delle sue canzoni più celebri: “Io sono un istrione, ma la genialità è nata insieme a me. Nel teatro che vuoi dove un altro cadrà, io mi surclasserò“.

Ambasciatore dell’Onu per l’Armenia, nel 2001, quando Giovanni Paolo II visitò il Paese, Aznavour cantò per lui l’Ave Maria di Gounod, facendo commuovere il Papa fino alle lacrime. E quando anni nel 2016 Papa Francesco definì “genocidio” quanto avvenne nella sua terra all’inizio del Novecento, Aznavour gli scrisse una lunga lettera per ringraziarlo del suo coraggio.

Le sue canzoni sono nell’immaginario di tutti, fino a diventare paradigmatiche. Un esempio su tutti? Ed io tra di voi, vero manifesto di tutti gli amanti traditi: “Ed io tra di voi se non parlo mai, ho già visto tutto quanto…”.

In Italia lo abbiamo visto l’ultima volta l’anno scorso a Roma. Aveva cantato per la millesima volta “devi saper lasciar la vita. Ma l’amo troppo ancor e dirle addio non so”. Ora quel momento è arrivato. Arrivederci, magnifico istrione.

È morto Charles Aznavour: «Esaltava l’identità francese con il cuore sempre in Armenia» (Cds 01.10.18)

«Charles Aznavour è stato un immenso interprete che ha incarnato la Francia restando profondamente legato al suo Paese del cuore che era l’Armenia. Ha rappresentato la Francia legata alle migrazioni e alle tragedie della Storia. Era il simbolo di tutto questo, anche se lo si sentiva nella personalità e nelle sue prese di posizione, mentre nelle canzoni non traspariva immediatamente». Aurélie Filippetti, ministra della Cultura dal 2012 al 2014, nata in Lorena in una famiglia originaria di Gualdo Tadino (Perugia), ha conosciuto e apprezzato Aznavour, condividendo con lui un’identità plurale fatta di amore per la Francia e di radici mai dimenticate.

Che cosa ama nelle canzoni di Aznavour?
«C’è una parte tragica, sempre in sottofondo, che lascia intendere una specie di nostalgia, forse legata alla sua storia personale, e che non era mai esplicitata nelle canzoni».

Forse è questa profondità ad averlo reso universale?
«Credo di sì, non ci sono in Francia artisti internazionali quanto lui. Lo possiamo paragonare solo a Édith Piaf, la sua poesia era universale».

Lo ha incontrato quando era ministra?
«Sì, ho avuto la fortuna di conoscerlo e me lo ricordo come un uomo davvero impegnato. Al di là delle canzoni, teneva moltissimo alle cause che gli stavano a cuore, in particolare quella legata agli armeni. Ma poi mi parlò anche della sua voglia di aiutare i giovani artisti a crescere».

Come se lo ricorda da un punto di vista personale?
«Me lo avevano descritto come un uomo talvolta difficile, un po’ caratteriale. Invece mi sono trovata davanti una persona di straordinaria gentilezza. La sua personalità mi aveva molto toccata».

Senza mai sconfinare nella militanza politica, Aznavour ha affrontato certi temi con coraggio. Nel 1972 pubblica «Comme ils disent», una canzone sull’omosessualità nella Francia di Pompidou, quando era punita dal Codice penale e considerata una malattia mentale.
«È stato uno dei primi ad affrontare questo argomento, un fatto eccezionale per l’epoca, e Aznavour non era omosessuale».

Da ministra lei ha voluto attribuire la Legion d’Onore a Bob Dylan, provocando qualche polemica poi ripresa quando Dylan ha vinto il Premio Nobel per la Letteratura. Come giudica i testi di Aznavour? Hanno anche loro dignità letteraria?
«Credo che Aznavour sia uno dei quattro o cinque più grandi cantanti francesi di sempre non solo per la musica o la sua voce straordinaria, che pure all’inizio era molto criticata, ma per la scelta delle parole».

Sono giorni questi in cui si parla continuamente di identità nazionale. Aznavour è nato in Francia, diceva che il suo Paese era la Francia, ma questo non gli impediva di amare anche l’Armenia. «Sono come il caffè latte — disse una volta —, una volta mescolato non si può separare l’uno dall’altro». Era moderno anche in questo?
«Proprio così, era la prova che non esiste un problema di lealtà. Era profondamente francese, lo rivendicava e sapeva di essere una bandiera del nostro Paese nel mondo, e allo stesso tempo non ha rinunciato alla sua parte armena e questo non dava fastidio a nessuno. Incarnava bene il popolo francese nella ricchezza delle sue origini».

È un atteggiamento che sente di avere anche lei, nata in Francia in una famiglia di immigrati italiani?
«Certamente. Noi non siamo stati vittime di un genocidio come gli armeni, ma sento che è possibile avere un’identità composita, essere profondamente francese mantenendo un legame con le origini, nel mio caso italiane. Vicino a Lione ho avuto l’occasione di inaugurare un centro nazionale per la memoria armena. È una parte importante della storia della Francia, e Aznavour ha saputo esprimerlo alla perfezione».

Morto Aznavour, un grande della Francia e un padre per l’Armenia (Rassegna 01.10.18)

Il Messaggero

È morto un mito vivente, Charles Aznavour, nome d’arte di Chahnourh Varinagh Aznavourian. Era figlio di sopravvissuti al genocidio armeno, trasferiti in Francia negli anni Trenta. La notizia della sua scomparsa è stata data dal suo addetto stampa. Aznavour aveva 94 anni, ma fino a poco tempo fa continuava a cantare e a fare tournè. L’ultima volta che si è esibito a Roma è stato all’auditorium, l’anno scorso, con un concerto memorabile e pieno di ricordi, salutato da una bandiera armena che qualcuno aveva voluto lasciare sul palcoscenico, accanto al microfono, in segno di omaggio.

Già, perchè Aznavour oltre ad avere dato lustro alla Francia, incidendo più di 300 milioni di dischi nel mondo, e per il quale è stato insignito della Legion d’Onore, è stato anche un grande benefattore per il popolo armeno che non ha mai smesso di appoggiare, anche a distanza, facendosi spesso interprete del bisogno di riconoscimento della verità sul genocidio armeno, battendosi contro il negazionismo turco. Nella città di Gyumri, in Armenia, quasi ai confini con la Georgia, dove un tremendo terremoto nel 1988 rase al suolo case, scuole, ponti, edifici causando oltre 25 mila morti, c’è una grande statua di pietra grigia che lo ricorda.

Per gli armeni Aznavour è un padre della patria, non solo per i continui aiuti che ha elargito al paese dei suoi avi, ma per avere diffuso nel mondo la musica e la cultura del Caucaso. Melodie struggenti trasformate e rese più occidentali nelle celebri canzoni dell’artista. La maggior parte parlano d’amore e di come questo sentimento riesca a muovere le corde più profonde dell’anima.

Aznavour iniziò la sua carriera artistica da ragazzino, già con questo nome d’arte. La sua fortuna si deve a Edith Piaf che nell’immediato dopoguerra lo scoprì e decise di portarlo con sé in tournè all’estero. Pochi anni dopo era già una star. Memorabili i suoi successi a partire da Tu t’laisses aller (1960), il faut savoir (1961), For me formidable (1964) La Boheme (1965), Desormais (1969). In Italia ha partecipato fuori gara a Sanremo, nel 1981 e poi successivamente nel 1989. In quello stesso anno incide Pour Toi Armenie, una canzone per aiutare i bambini armeni colpiti dal terremoto.

Ha collaborato con Ornella Vanoni, Gino Paoli, Domenico Modugno, Mia Martini, Massimo Ranieri, Franco Battiato, Renato Zero, Gigliola Cinquetti.  Durante la visita di Sanbb Giovanni Paolo II in Armenia, nel settembre 2001, Aznavour volle cantare per lui al memoriale del genocidio, intonando l’Ave Maria di Gounot. Papa Wojtyla si commosse fino alle lacrime e lo ringraziò per avergli ravvivato il ricordo di un milione e mezzo di vittime, sterminate dai turchi agli inizi del secolo.


E’ morto Charles Aznavour, ultimo grande chansonnier (ANSA)

Il cantante francese di origini armene aveva 94 anni. Massimo Ranieri all’ANSA: “Era l’ultimo grande vecchio, il nostro papà, il più grande. Non esiste un altro gigante così”.

E’ morto Charles Aznavour. Il cantante francese di origini armene (il suo vero nome è Shahnour Vaghinagh Aznavourian), l’ultimo degli chansonnier aveva 94 anni.
Scoperto da Edith Piaf, che lo portò in tournée in Francia e negli Stati Uniti, si mise in luce nel dopoguerra come cantautore.
Ma il riconoscimento mondiale arrivò nel 1956 all’Olympia di Parigi con la canzone Sur ma vie: uno strepitoso successo che gli permise di entrare nella storia come monumento della canzone francese.

Il fatto che cantasse in sette lingue gli consentì di esibirsi in tutto il mondo divenendo ovunque famosissimo. Come attore si impose all’attenzione della critica e del pubblico a partire dalla sua interpretazione in ‘La tête contre les murs’ (La fossa dei disperati) nel1958. Compose la colonna sonora di diversi film da lui interpretati. Anche Stanley Kubrik utilizzò una canzone di Aznavour (composta con Georges Garvarentz) ‘Old Fashioned Way’ in ‘Eyes wide shut’

Suo il brano ‘She’ utilizzato come colonna sonora (nella versione rifatta da Elvis Costello) del film ‘Notting Hill’

Aznavour è morto nella notte nella sua casa delle Alpilles, nel sud della Francia, e ora l’intero Paese piange il suo ultimo immenso chansonnier, la cui carriera è stata così lunga da sembrare quasi eterna o immortale.

Un record, quello del cantante francese legatissimo alle sue origini armene, che salì per la prima volta su un palco all’età di 9 anni fino all’ultimo concerto, il 19 settembre scorso, a Osaka, In Giappone.

Anche se lui avrebbe voluto cantare fino ai 100 anni. Era previsto per il 26 ottobre a Bruxelles il suo prossimo concerto

“Profondamente francese, legato visceralmente alle sue radici armene, riconosciuto nel mondo intero, Charles Aznavour ha accompagnato gioie e dolori di tre generazioni. I suoi capolavori, il suo timbro di voce, il suo successo unico sopravviveranno a lungo”, scrive il presidente Francese Emmanuel Macron in un tweet, aggiungendo: “Avevo invitato (Aznavour) nella mia missione a Erevan per il summit della francofonia, dove avrebbe dovuto cantare. Condivideremo con il popolo armeno il lutto del popolo francese”.

Massimo Ranieri all’ANSA commenta a caldo la scomparsa del maestro Aznavour: “Era l’ultimo grande vecchio, il nostro papà, il più grande. Non esiste un altro gigante così”.


Charles Aznavour, le canzoni simbolo del re della chanson francese (Sky)

È morto a 94 anni uno dei più grandi chansonnier francesi della storia. I suoi brani d’amore, tradotti in molte lingue, hanno avuto successo in tutto il mondo. Ecco alcuni dei capolavori della sua carriera, lunga 70 anni e portata avanti sui palchi fino all’ultimo

Charles Aznavour, morto a Parigi all’età di 94 anni, è stato uno dei chansonnier francesi più famosi al mondo. Ma il cantante di origini armene è stato anche interprete e attore teatrale. Durante la sua lunghissima carriera, durata ben 70 anni, ha scritto oltre 1300 canzoni, tradotte e cantate in diverse lingue, vendendo 300 milioni di dischi nel mondo, al pari di alcuni dei suoi più importanti colleghi in ambito rock. Aznavour è famoso per le sue canzoni d’amore, ma anche per essere un attivista per il riconoscimento del genoicidio armeno in Turchia, per cui si è battuto fino all’ultimo. Ecco alcuni dei suoi brani più simbolici… continua  a leggere


È morto Charles Aznavour, uno dei più amati e grandi chansonnier francesi (La Repubblica)

Il destino ha voluto che diventasse il più grande chansonnier di Francia, il crooner che incarnava la canzone popolare d’Oltralpe come forse nessun altro aveva saputo fare prima di lui. E questo nonostante Charles Aznavour, morto oggi a 94 anni nella sua casa delle Alpilles, nel sud della Francia, dove si era ritirato dopo avere cancellato i concerti della scorsa estate a causa di una caduta, fosse di origini armene e con le tradizioni del suo paese avesse sempre mantenuto un legame fortissimo. Nonostante poi da bambino gli fosse stata diagnosticata una paralisi che bloccava alcune corde vocali anche se questo, invece di limitarne la crescita artistica gli ha donato il caratteristico, e riconoscibile, timbro roco.

Famoso in Francia Aznavour lo è però diventato soltanto molto più tardi, essendo all’inizio poco accettato un compositore con origini armene. Le sue canzoni restarono al bando alla radio francese dalla fine degli anni Quaranta e per tutti gli anni Cinquanta. Le cose non andarono meglio in America, come egli scoprì durante un viaggio nel 1948. Il fatto è che le sue canzoni d’amore audaci, originali e sincere, abbinate a uno stile di canto limitato ma anche molto espressivo, in quegli anni disorientavano ancora il pubblico.

Shahnour Varenagh Aznavourian, questo il vero nome di Charles Aznavour, nacque a Parigi dove la sua famiglia si era trasferita per sfuggire ai massacri e alle deportazioni di quello che sarebbe stato definito il genocidio armeno perpetrato dai turchi dell’Impero Ottomano ai danni degli armeni tra il 1915 e il 1916. Dal padre cantante (la madre era un’attrice e a tempo perso sarta) Aznavour ereditò la passione per il canto, in un primo tempo ostacolata dal problema alle corde vocali.

Dopo aver mosso i primi passi a teatro a 9 anni, nella piece Un bon petite diable, da adolescente Aznavour ha affiancato nei tour alcune compagnie teatrali cominciando a scrivere i testi per le canzoni musicate da Pierre Roche e pian piano ha cominciato a interpretare da solo i brani scritti in coppia con Roche. Una mano importante, per superare le paure legate al suo handicap fisico, gli arrivò da Edith Piaf per la quale aveva cominciato a lavorare come autista. Ovviamente la Piaf cominciò poi anche a cantare le sue canzoni.

Il successo arrivò nel 1956 a Casablanca, dove la reazione del pubblico al suo ingresso sul palco durante uno spettacolo di arte varia fu così forte che Aznavour diventò l’headliner. Così nel 1958 arrivarono il primo contratto discografico e il debutto in un ruolo drammatico al cinema, oltre alla scrittura di colonne sonore. Quindi i film con Cocteau e Truffaut gli aprirono la strada in America con il primo concerto alla Carnegie Hall e il suo primo disco completamente americano con il titolo The World of Charles Aznavour per l’etichetta fondata da Frank Sinatra, la Reprise Records.

Il suo modo di cantare è stato paragonato a quello di Maurice Chevalier e di Frank Sinatra, anche se lui ha sempre pensato a se stesso più come ad un autore che come ad un interprete e cantante. La verità è che Aznavour è rimasto popolare per almeno quattro decenni, ha sempre cantato l’amore nelle sue diverse forme, come raccontano i brani Apres l’amour, J’ai perdu la tete, J’en deduis que je t’aime e Bon anniversaire. Fino all’amore gay che Aznavour ha voluto cantare con la canzone Comme ils disent.

Aznavour è stato sposato tre volte e ha avuto sei figli ed è sempre rimasto in contatto con le sue radici armene tanto da essere stato nominato ambasciatore armeno in Svizzera, dove risiedeva a Saint-Sulpice. Ha sempre continuato a coltivare la sua passione per la politica e il suo impegno per i diritti umani: “Continuo a cantare e a scrivere canzoni perché per me andare in pensione significherebbe imboccare la porta verso la morte” ci aveva detto in un incontro in occasione di un suo concerto a Roma pochi giorni dopo il suo novantesimo compleanno, “io però non ne ho ancora nessuna voglia”.


Morto il cantante Charles Aznavour, aveva 94 anni (CDS)

Come è triste Venezia, Lei, Io sono un istrione, Quel che non si fa più, Amore, Devi sapere (Il faut savoir)». Charles Aznavourian, morto ieri a Alpilles, nel sud della Francia all’età di 94 anni, è stato il cantautore francese più applaudito nel mondo. Era nato a Parigi il 2 marzo 1924 da una coppia di immigrati armeni. Nella sua carriera ha venduto 300 milioni di dischi incisi in 7 lingue e recitato in oltre 60 film fra cui «Morire d’amore», Leone d’oro a Venezia. Forte il suo legame con l’Italia. Il padre Micha fu salvato da una delle maggiori stragi che vennero inflitte al popolo armeno da una nave italiana. E fu proprio il coraggio del comandante a sottrarre l’uomo agli inseguitori. In omaggio all’Italia la sorella maggiore dell’artista fu chiamata Aida. Questa fu una delle ragioni che portarono Aznavour a pubblicare ed eseguire dal vivo o suoi capolavori nella nostra lingua. Il suo immenso repertorio è dominato da una sottile e struggente melanconia, che raggiunge i massimi livelli in «E io fra di voi», la canzone di un uomo che coglie i segni del tradimento da parte della donna amata che si svolge sotto i suoi occhi. La dirompente sofferenza del tradito è espressa con una intensità che ha pochi eguali. L’altro vertice espressivo viene raggiunto in «Quello che si dice», ovvero la triste esistenza solitaria di un omosessuale, che, smessi i lustrini e i belletti del palco, torna ogni alba a casa a curare la vecchia madre. Diceva: «Credo che questa canzone abbia giovato alla causa degli omosessuali, all’epoca ancora oggetto di scherno e discriminazione».

Cresciuto alla scuola Charles Trenet, adorava cantare le vite sul viale del tramonto, gli amori corrosi dagli anni e dalla noia, il rimpianto per le grandi occasioni perdute. Diceva: «Canto l’amore ma anche il suo contrario. L’amore non è solo quello che va bene, ma anche quello logorato». Le versioni italiane sono state firmate da Bardotti, Mogol, Calabrese, Lorenzo Raggi.. L’altra faccia di Aznavour è quella del combattente per la libertà del popolo armeno. La tragedia di quelle genti, delle quali si sentiva parte, è sempre stata in cima ai suoi pensieri. L’aiuto materiale e morale dato sul quel fronte da Aznavour è immenso e difficile da calcolare.
Nel 1989 chiamò una cinquantina di cantanti italiani per registrare nel grande auditorio della Fonit Cetra di via Meda a Milano il brano «Per te Armenia» a favore del progetto «Fondazione Aznavour per l’Armenia» colpita da un gravissimo terremoto. Vi presero parte fra gli altri Nilla Pizzi Lorella Cuccarini, Enzo Jannacci, Tullio de Piscopo, Sergio Endrigo Dori Ghezzi, Toni Dallara Pierangelo Bertoli, Memo Remigi , Orietta Berti, Gino Paoli e Gigliola Cinquetti, Scialpi, Mino Reitano, Franco Simone. E al coro s’era aggregata anche Maria Pia Fanfani, che vestiva l’alta uniforme della Croce Rossa.

Commovente il testo tradotto da Andrea Lo Vecchio: «Dio lo vedrà, provvederà per te Armenia…La maledetta sorte tua ti ha spazzato via e così sia. Tu Armenia rivivrai e la fiamma che è in te più forte si alzerà e griderà che viva sei». Sorprendente la sua capacità di calcare il palco con successo fino alla della fine. Il segreto? Era riuscito ad adattare il suo spettacolo ai suoi limiti. Così per surrogare una vocalità ormai scarsa, Aznavour sfoderava la classe del grande uomo di palcoscenico, una teatralità e una gestualità che sottolineava ogni parola dei suoi versi, la saggezza disincantata di chi conosce a fondo la vita, le donne, la gioia, il dolore, l’ansia, la noia. Usava le rughe, l’età, i capelli bianchi per caricare d’enfasi drammatica un gran numero di canzoni legate proprio al tema degli anni che passano impietosi, alla difficoltà di invecchiare con dignità, al rimpianto di quella giovinezza fuggita. A un certo punto aveva lasciato la Francia per Stati Uniti. Motivo? «Mi rifiuto di pagare in tasse più del 50% di quanto incasso». Dopo aver ottenuto la Legion d’Onore nel suo paese si era trasferito in Svizzera come ambasciatore ufficiale dell’Armenia. Se ne va dunque un magico poeta insuperabile nel cantare di sogni infranti, amori sterili («Noi non abbiamo bambini»), vite coniugali vissute nell’incomprensione, emozioni di un attimo. Aznavour era molto pessimista sul futuro della canzone d’autore francese: «Morirà con Becaud, Ferrè e il sottoscritto, visto che ai giovani non mi pare interessi troppo».


Addio allʼistrione Charles Aznavour, re degli chansonnier francesi (TGCOM24)

Charles Aznavour, uno dei più amati cantanti francesi, è morto all’età di 94 anni. Era stato scoperto da Edith Piaf nel dopoguerra ed era stato insignito anche della Legione d’Onore. In settant’anni di carriera ha scritto oltre 1.300 canzoni e venduto più di 300 milioni di dischi e il fatto che cantasse in sette lingue gli consentì di esibirsi in tutto il mondo divenendo oNato a Parigi nel 1924 da immigrati di origine armena, prima debuttò a teatro come attore di prosa, e solo nel dopoguerra, grazie a Edith Piaf che lo portò in tournée in Francia e negli Stati Uniti, si mise in luce come cantautore. Lo strepitoso successo nel 1956 all’Olympia di Parigi con la canzone “Sur ma vie” gli permise di entrare nella storia degli chansonnier francesi.

Successivamente si esibì alla Carnegie Hall e nei maggiori teatri del mondo, duettando con star internazionali come Nana Mouskouri, Liza Minnelli, Sumiva Moreno, Compay Segundo, Céline Dion e, in Italia, con Mia Martini e Laura Pausini. Nel nostro Paese per quasi tutte le versioni italiane delle sue canzoni collaborò con il paroliere Giorgio Calabrese.

All’estero le sue canzoni sono state spesso reinterpretate da numerosi artisti come Elton John, Bob Dylan, Sting, Placido Domingo, Céline Dion, Julio Iglesias, Edith Piaf, Liza Minnelli, Sammy Davis Jr, Ray Charles, Elvis Costello e moltissimi altri.

Oltre all’attività di cantante ha portato avanti la carriera di attore, partecipando a oltre 60 film tra cui “Tirate sul pianista” di François Truffaut e “Ararat” (2002), sulla questione armena, per la quale si è sempre battuto grazie a una fitta attività diplomatica, diventando ambasciatore dell’Armenia in Svizzera, dove si esiliò negli anni Settanta per problemi con il fisco.

AVREBBE VOLUTO CANTARE FINO A 100 ANNI – Il suo ultimo concerto è stato il 19 settembre scorso, a Osaka, In Giappone. Il prossimo era previsto per il 26 ottobre a Bruxelles. Quando compì 90 anni dichiarò: “Ho smesso di festeggiare i miei compleanni a cinquant’anni e ho deciso che ricomincerò solo quando ne compirò 100. D’altronde l’aria in Francia è buona e le mie origini caucasiche mi fanno credere che vivrò fino a 120 anni. Al compimento di un secolo smetterò di cantare, ma non di scrivere canzoni”.vunque famosissimo.


Morto Charles Aznavour. Il re della canzone francese, aveva 94 anni (Panorama)

Aveva 94 anni Charles Aznavour. Tra le sue canzoni più famose, La Mère (La mamma), She (Tous les visages de l’amour), l’Istrione. Esordì sul teatro mondiale grazie ad Edith Piaf e nella carriera ha duettato con star come Liza Minnelli, Céline Dion, Mia Martini e Laura Pausini

E’ morto, a 94 anni, Charles Aznavour. Nato a Parigi nel 1924 da immigrati di origine armena, debuttò a teatro come attore di prosa. Nel dopoguerra, grazie a Edith Piaf che lo portò in tournée in Francia e negli Stati Uniti, si mise in luce come cantautore. Il riconoscimento mondiale arrivò nel 1956 all’Olympia di Parigi con la canzone Sur ma vie: un successo che lo catapultò nella storia degli chansonnier francesi. Tra le sue canzoni più famose, La Mère (La mamma), She (Tous les visages de l’amour), La Boheme, L’Istrione.

Grazie alla sua capacità di cantare in 7 lingue, si esibì nei maggiori teatri del mondo, duettando con star internazionali come Liza Minnelli, Compay Segundo, Céline Dion e, in Italia, con Mia Martini e Laura Pausini. In Italia per quasi tutte le versioni italiane delle sue canzoni collaborò con il paroliere Giorgio Calabrese. Le sue canzoni sono state reinterpretate da artisti come Elton John, Bob Dylan, Sting, Placido Domingo, Julio Iglesias, Edith Piaf, Sammy Davis Jr


>>Continua a leggere