“Perduranza”: l’installazione dell’artista armeno Apo Yaghmourian alla Reggia di Caserta (Madeinpompei 04.07.25)

CASERTA. Mercoledì 2 luglio alla Reggia di Caserta è stata inaugurata l’installazione “Perduranza” di Apo Yaghmourian. L’artista armeno presenta la sua opera al Vestibolo superiore del Palazzo reale fino al 25 luglio 2025.

“Perduranza” è un progetto dell’associazione Talenti e Territori selezionato dal Comitato Scientifico del Museo nell’ambito del Bando di Valorizzazione partecipata. Un esperimento di arte collettiva in cui ogni partecipante è protagonista di un racconto che appartiene a tutti. Un mosaico di voci e storie, un abbraccio collettivo che celebra la diversità e il potere trasformativo della creatività.
Un basso vassoio circolare accoglie l’acqua attinta alla Fontana del Pastore nel Giardino Inglese. Al centro, una semisfera in tufo Piperno, materiale impiegato anche nella costruzione della Reggia. La semisfera si riflette nell’acqua, completando con l’illusione metà della sua parte e diventando così completa. La parte superiore del solido fa riferimento al tangibile, quindi al presente; quella inferiore suggerisce l’idea dell’intangibile, dunque al passato.
Esso rappresenta la continuità del tempo e della storia, mentre l’acqua funge da elemento di connessione tra passato presente.  Questa installazione ricorda ancora una volta in questo momento di grave crisi idrica, l’acqua quale patrimonio prezioso, risorsa indispensabile per tutti gli esseri viventi e per il nostro pianeta. L’installazione al Vestibolo superiore si completa con una performance dei bambini del Centro Infanzia Baby Birba di Castel Morrone.
Apo Yaghmourian è nato nel 1993 ad Amman, in Giordania, da genitori armeni. Ha frequentato l’Accademia di Belle Arti di Napoli, dove si è laureato in pittura nel 2022. Sin dalla giovane età, l’artista sperimentato danza, canto e teatro. Attualmente vive a Napoli.
L’arte di Apo Yaghmourian intreccia memoria e identità, indagando la crescita interiore attraverso la manipolazione materica. Connette storie personali sradicamenti collettivi. Le sue opere dialogano con lo spazio, amplificando la trasformazione e la poetica di oggetti ritrovati nel tempo. La sua ricerca profonda esplora il peso del passato come opportunità per riflettere sulle complessità culturali contemporanee.
L’associazione Talenti e Territori è affiancata in questo progetto dalla nascente residenza artistica Corte Marcosc’. I partner del progetto sono FLR Fondazione la Rocca, Dello Iacono Comunica e Centro Infanzia Baby Birba. La partecipazione all’iniziativa è inclusa nel biglietto/abbonamento al Museo.

Arresti e accuse di tentato golpe: è scontro aperto tra il governo e la Chiesa armena (Asianews 04.07.25)

In carcere due arcivesacovi (tra cui Galstanyan) dopo un’irruzione della polizia nel patriarcato di Ečmjadzin. Pašinyan accusa direttamente il katholicos Karekin II chiedendone la rimozione, il clero armeno risponde invocando la scomunica del premier. Secondo il governo dietro le “manovre” della Chiesa ci sarebbe Mosca, ma altre voci denunciano l’uso di marchiare ogni opposizione con “il timbro delle spie del Cremlino”. Sullo sfondo gli equilibri geopolitici e i negoziati con l’Azerbaigian.

Erevan (AsiaNews) – L’Armenia è profondamente scossa dalla denuncia avanzata dal premier Nikol Pašinyan di un tentativo di colpo di Stato a cui si sarebbero stati preparando alcuni vescovi e sacerdoti della Chiesa Apostolica armena, tradizionalmente molto filo-russa, con a capo i due arcivescovi Bagrat (Galstanyan) e Mikael (Adžpayan), arrestati insieme ad altre 15 persone. Il gruppo del “clero criminale oligarchico”, come viene definito dal primo ministro, avrebbe animato il movimento della “Lotta santa” contro il governo e le istituzioni del Paese, aprendo “un armadio pieno di cianfrusaglie”. Il premier ha accusato anche il patriarca degli armeni, il katholikos Karekin II, di essere il “primo mafioso” dell’Armenia, trasgredendo a tutti i comandamenti “cominciando da quello della castità”.

Il capo del governo ha chiesto di sostituire il patriarca, e il clero armeno ha risposto che Pašinyan “va scomunicato ed escluso dalla Chiesa insieme a sua moglie”. La polemica ha toccato livelli altissimi con l’arresto del miliardario russo-armeno Samvel Karapetyan, capo del gruppo commerciale ed edilizio Tašir, sostenitore di Karekin II e arrestato con l’accusa di aver lanciato appelli per sovvertire l’ordine costituito. Sono quindi state effettuate quasi cento perquisizioni, arrestando anche alcuni politici d’opposizione come il deputato del blocco Armenia, Artur Sarkisyan e uno dei dirigenti del partito Dašnaktsutyun, Igor Sarkisyan, insieme a un deputato dell’ex-Nagorno Karabakh armeno, David Galstyan.

I raid sono giunti fino al Santo Ečmjadzin, la sede del patriarcato armeno, confrontandosi con lo stesso Karekin II che cercava, insieme ai preti riuniti, di impedire l’arresto dell’arcivescovo Adžpayan, mentre la residenza di quest’ultimo a Gyumri veniva messa a soqquadro dagli agenti della sicurezza, e lui stesso si è poi consegnato nelle mani della polizia. Ora è stato messo in cella insieme al suo confratello Galstanyan, “per spiare le loro conversazioni” secondo le critiche delle opposizioni.

Le polemiche hanno assunto anche caratteri surreali, con accuse a Pašinyan di essere un circonciso, non si sa se ebreo o islamico, e il premier ha dichiarato di essere pronto a mostrare anatomicamente la falsità dell’affermazione a Karekin II stesso, invitandolo a casa sua per verificare. Sono stati poi pubblicati diversi piani di colpo di Stato secondo le perquisizioni, con accuse al Cremlino di essere dietro i vescovi e i loro seguaci, per destabilizzare la situazione politica in Armenia, che con il governo di Pašinyan si sposta sempre più verso l’Europa, allontanandosi da Mosca.

I cospiratori avrebbero avuto l’intenzione di formare gruppi da 25 persone, e i comandanti di queste unità non dovevano conoscersi tra di loro. Le azioni da compiere erano l’interruzione delle connessioni internet del sistema bancario, organizzare incidenti stradali per paralizzare il traffico intorno alle caserme e alle questure, istigare a proteste di piazza fino a riuscire a rovesciare il governo. È stata pubblicata anche la composizione del nuovo governo che avrebbe dovuto prendere il potere dopo questa specie di “rivoluzione”, composto da politici e uomini d’affari chiaramente filo-russi e putiniani per ragioni politiche ed economiche.

Le voci critiche, come quella della giornalista Aza Babyan, ritengono che questa persecuzione contro la Chiesa armena e gli uomini ad essa vicina sia tipica della politica di Pašinyan, “che reagisce a qualunque espressione delle opposizioni con il timbro delle spie del Cremlino”. Il premier starebbe preparando le elezioni amministrative del prossimo anno, che potrebbero essere decisive per il futuro dell’Armenia, soprattutto nelle regioni di confine con l’Azerbaigian come quelle di Tavuš e Gyumri, sedi dei due vescovi arrestati. La vittoria della linea del governo di superare i conflitti e smettere di “sognare l’Armenia del passato” potrebbe infine portare alla definitiva conclusione della pace con l’Azerbaigian, che continua a rimanere in sospeso, e aprire un futuro di pace per l’Armenia e l’intera regione.

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Roma – Due mostre per raccontare l’arte armena (Assadakah 04.07.25)

Letizia Leonardi (Assadakah News) – È un momento significativo per l’arte armena contemporanea nella capitale italiana. Due mostre per raccontare l’arte armena contemporanea: Armen Eloyan in chiusura e una collettiva in arrivo. La mostra personale di Armen Eloyan, si chiuderà domani ma una collettiva di artisti armeni in arrivo sarà inaugurata a metà luglio a Palazzo Valentini.

È agli sgoccioli quindi la mostra “Couples” del celebre artista Armen Eloyan, ospitata presso la Tim Van Laere Gallery (Palazzo Donarelli Ricci, Via Giulia 98). L’esposizione, aperta il 10 maggio, si conclude sabato 5 luglio e al momento non è prevista alcuna proroga.

Nato in Armenia, cresciuto in Europa e fortemente influenzato dalla cultura visiva americana, Eloyan ha saputo fondere fumetto, pittura e linguaggio astratto in un’opera originale e disturbante. Le sue figure grottesche, spesso ispirate al mondo dei cartoni animati (come Krazy Kat di George Herriman), si presentano come parodie deformate dell’esistenza umana, riflettendo alienazione, assurdità e violenza latente della modernità.

L’artista, influenzato da maestri come Philip Guston, Willem de Kooning e Paul McCarthy, utilizza un registro visiv in cui linguaggio, simboli e identità si frantumano. Eloyan porta così lo spettatore a confrontarsi con un universo opaco, dove ciò che appare leggibile è in realtà ambiguo, e dove le certezze culturali si dissolvono in un linguaggio visivo tanto giocoso quanto brutale.

Ma l’arte armena a Roma non si ferma qui. Dal 14 al 24 luglio 2025, nella cornice della Biennale Internazionale d’Arte della Riviera Romana, Palazzo Valentini (Via IV Novembre 119a) ospiterà una mostra collettiva che vedrà protagonisti 24 artisti e scultori armeni provenienti da Armenia, Stati Uniti, Inghilterra, Germania e Cipro.

Un evento che testimonia la vitalità e la dimensione globale della produzione artistica armena contemporanea, capace di unire radici profonde e linguaggi sperimentali. L’inaugurazione è fissata per lunedì 14 luglio alle ore 17:30. L’ingresso è gratuito e l’esposizione rappresenta un’occasione preziosa per entrare in contatto con la pluralità di espressioni, tecniche e sensibilità che oggi animano la diaspora e la scena artistica armena.

Queste due iniziative, pur molto diverse per forma e contenuto, offrono uno sguardo complementare sull’identità visiva armena nel mondo contemporaneo. Se Eloyan mette in scena la disgregazione del significato e dell’identità con un linguaggio visivo corrosivo e ironico, la collettiva a Palazzo Valentini restituirà invece un panorama più ampio e diversificato, in cui convivono pittura, scultura e nuovi media.

Roma, ancora una volta, si conferma crocevia privilegiato per le culture in dialogo. E l’Armenia, con la forza della sua arte, si fa sentire.

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Genocidio armeno: prima il Vaticano agiva, ora volta le spalle (Assadkah 02.07.25)

Letizia Leonardi (Assadakah News) – A distanza di oltre un secolo, le carte vaticane svelano uno sforzo diplomatico tanto disperato quanto ignorato. Mentre il mondo taceva, Benedetto XV e il suo delegato a Costantinopoli, nel 1915, cercavano di fermare, con le sole armi della parola e della coscienza, l’annientamento di un intero popolo. Questa storia, poco conosciuta anche in ambito cattolico, racconta il coraggio e il limite della diplomazia umanitaria in tempo di guerra. E parla al nostro presente più di quanto sembri.

Nel giugno del 1915, mentre l’Impero ottomano avviava la deportazione e lo sterminio della popolazione armena, l’arcivescovo Angelo Maria Dolci, delegato apostolico a Costantinopoli, iniziava a ricevere notizie sempre più tragiche dalle regioni interne dell’Impero. I primi telegrammi alla Santa Sede parlavano di armeni in fuga e “voci di massacri”. Poi arrivarono le prove: famiglie costrette a lasciare le proprie case, intere città svuotate, religiosi assassinati, popolazioni decimate.

Il 22 giugno, Dolci apprese che anche ad Adana era in corso un’operazione sistematica per “sradicare la componente armena e cristiana” della provincia. E solo pochi giorni dopo, veniva informato del massacro di 700 cattolici, tra cui l’arcivescovo armeno-cattolico Ignatius Maloyan. La persecuzione non risparmiava nemmeno quei cristiani, i cattolici armeni, notoriamente fedeli alla Sublime Porta.

Nonostante l’assenza di ogni forma di ribellione da parte loro, anche i cattolici venivano deportati o eliminati. A nulla valse, in quel momento, la supplica di Dolci al Gran Visir Said Halim. “Le potenze cristiane hanno il dovere di intervenire”, scrisse al cardinal Gotti il 19 luglio. Il 20 agosto, in una lettera al cardinal Gasparri, Dolci descrisse la scena come “uno spettacolo barbaro che mi spezza il cuore e mi riempie di orrore”. Ma soprattutto, lo tormentava l’impotenza.

Alla fine di agosto, 1.500 armeni cattolici di Angora furono arrestati, tra cui il vescovo e 17 sacerdoti. Solo le pressioni congiunte del delegato apostolico e delle ambasciate di Germania, Austria e Bulgaria evitarono una strage. Ma le donne e i bambini, sebbene risparmiati da marce forzate, vennero deportati nei campi del deserto siriano stipati in vagoni bestiame.

Questi piccoli spiragli di salvezza generarono tensioni con gli armeni ortodossi, che si sentivano esclusi. Alcuni passarono perfino alla Chiesa cattolica, generando imbarazzo a Roma. Benedetto XV, in una visione sorprendentemente “ecumenica” per l’epoca, ricordò a Dolci: “Io sono padre di tutti i cristiani, anche di quelli che non mi accettano come tale”.

Quando fu chiaro che l’azione del delegato non bastava, il Papa prese in mano la situazione. Scrisse al kaiser Guglielmo II e all’imperatore Francesco Giuseppe, chiedendo loro di intercedere presso l’alleato turco. Poi scrisse personalmente al sultano Mehmet V. La sua lettera, carica di compassione, chiedeva clemenza e giustizia: “Non lasciate che gli innocenti ricevano la stessa pena dei colpevoli”.

La risposta arrivò solo il 19 novembre: fredda, retorica, negazionista. Secondo il sultano, le deportazioni erano la legittima risposta a un complotto, e il governo non poteva distinguere tra ribelli e pacifici. Dolci, inizialmente fiducioso, si rese conto presto dell’inganno. Le promesse di protezione e di amnistia vennero disattese. Le persecuzioni continuarono.

Alla fine del 1915, il bilancio era agghiacciante: un milione di armeni gregoriani uccisi, migliaia di sacerdoti, vescovi e religiosi assassinati, undici diocesi cancellate. I turchi non risparmiarono neppure le diocesi cattoliche. Dolci scrisse a monsignor Eugenio Pacelli, futuro Pio XII: “Per difendere gli armeni, ho perso il favore di Cesare… Intendo con queste parole il Ministro dell’Interno Talaat Pascha, Gran Maestro della Massoneria d’Oriente”.

Il 6 dicembre 1915, Benedetto XV dichiarò pubblicamente davanti al Concistoro che “lo sventurato popolo armeno va incontro a un quasi totale annientamento”. Aveva ragione. Sei mesi dopo, un rapporto del patriarcato armeno-cattolico lo confermava. Il genocidio proseguiva sotto gli occhi del mondo cristiano.

Il tentativo di Benedetto XV di fermare il genocidio armeno fu, sul piano pratico, un fallimento. Ma rappresentò uno straordinario atto di coscienza e di coraggio morale. In un’epoca in cui le potenze occidentali tacevano o guardavano altrove, la voce del Papa, e con lui quella di monsignor Dolci, si alzò forte, chiara e insistente per denunciare lo sterminio di un intero popolo cristiano.

Oggi, però, colpisce un paradosso inquietante: mentre all’epoca la Santa Sede si mobilitava per tentare di salvare gli armeni, oggi sembra ignorare o minimizzare la loro memoria e il loro ruolo storico. Il primo popolo cristiano della storia, che nel 301 d.C. adottò ufficialmente il cristianesimo come religione di Stato, è oggi marginalizzato, non solo nella geopolitica internazionale, ma anche nei contesti ecclesiali.

La recente esclusione di un esperto di genocidio armeno, come Georges Ruyssen, da una conferenza organizzata in una chiesa cattolica a Roma, il silenzio sugli anniversari e sulle iniziative di memoria, e la disponibilità di alcuni ambienti ecclesiastici a ospitare rappresentanti dell’Azerbaijan che negano apertamente i fatti storici e diffondono versioni revisioniste del conflitto, sono segnali preoccupanti.

Non si tratta di semplice diplomazia o opportunismo. È una questione di verità e giustizia, di fedeltà alla memoria di un martirio cristiano che Benedetto XV ebbe il coraggio di riconoscere e denunciare, pur in una situazione politica e militare estremamente complessa. Oggi, di fronte a nuove tensioni nella regione, questo silenzio rischia di tradursi in un’altra forma di abbandono.

Il passato insegna che il silenzio e l’indifferenza hanno un costo altissimo. La responsabilità morale grava non solo su chi commette le atrocità, ma anche su chi sceglie di non parlarne. La storia del genocidio armeno e dell’impegno vaticano allora, a confronto con l’attuale reticenza e strumentalizzazione, dovrebbe essere un monito severo per tutti noi.

(Foto Wikipedia)

ARMENIA: Tra identità costituzionale e integrazione europea (East Journal 02.07.25)

Nell’ultimo decennio l’Armenia ha sviluppato una identità costituzionale e di stato di diritto dal basso. Ne ha parlato a Trento Anna Khvorostiankina, professore alla Eurasia International University di Yerevan.

L’Armenia è parte della politica di vicinato europea ma non ha ricevuto promesse di adesione né finora fatto domanda. Il paese caucasico non ha confini diretti con l’Ue, e si trova in un contesto geopolitico ben difficile – stretta tra il confine sigillato con la Turchia, le ostilità con l’Azerbaigian, e i confini con Iran (anch’esso in posizione geopolitica complessa ) e Georgia (unico stato confinante con cui ha relazioni amichevoli. Il percorso di integrazione europea della Georgia potrebbe avere riflessi anche sull’Armenia, ma l’attuale svolta autoritaria a Tbilisi accresce le incertezze. L’influenza della Russia in Armenia resta molto rilevante.

In tale situazione, non è per condizionalità europea che l’Armenia ha sviluppato una identità costituzionale basata sullo stato di diritto, secondo Khvorostiankina Si tratta invece di un processo domestico radicato nell’evoluzione sociale.

Dalle elezioni del 2008 alla cooperazione limitata con l’Ue

Punto di svolta sono state le elezioni rubate del 2008, che hanno causato proteste di piazza. Al tempo, l’Ue ha reagito solo in sordina. L’anno successivo, nel 2009, l’Ue lanciava il Partenariato Orientale, con una dichiarazione sui “valori comuni”.

Nel 2010 terminano i negoziati per un accordo d’associazione, ma sotto pressione di Mosca nel 2013 l’Armenia finisce per aderire invece all’Unione Economica Euroasiatica (EEU): un progetto senza valori comuni o supremazia del diritto, e senza capacità istituzionali. La Russia utilizza varie leve: le garanzie di sicurezza militare (poi dimostratesi inconsistenti), l’energia (Mosca è fornitore monopolista e proprietario delle infrastrutture), e l’emigrazione (la diaspora armena che lavora in Russia). L’Armenia si trova in una condizione di dipendenza e vulnerabilità rispetto a Mosca, una sovranità limitata.

La reazione europea è di shock. Si apre allora un periodo di pausa nelle relazioni euro-armene. L’accordo di partenariato poi verrà firmato nel 2017, ma senza la parte commerciale, poiché l’adesione a una unione doganale come quella euroasiatica è incompatibile con il libero scambio pan-europeo. Yerevan si pone in una situazione intermedia tra il “trio associato” (Ucraina, Moldova, Georgia) e gli altri stati post-sovietici che non hanno accordi internazionali con l’Ue.

Democratizzazione e sconfitta militare

Il secondo momento di cambiamento avviene nel 2018, con la transizione pacifica da un regime oligarchico-autoritario a una democrazia elettorale. La “rivoluzione di velluto” armena non ha agenda geopolitica ma si pone questioni puramente interne. E’ un cambiamento positivo per le relazioni euro-armene. L’Ue aumenta le proprie attività in Armenia, offre sostegno alle riforme istituzionali e legislative e formazione ai nuovi quadri dirigenziali.

Con l’accordo di associazione, l’Armenia si è impegnata ad avvicinare la propria legislazione al diritto europeo, seppur in assenza di una prospettiva d’adesione. Il nuovo governo riformista vuole procedere su questa strada, ma le riforme legislative vengono sabotate nella loro attuazione, anche da una magistratura ancora legata al vecchio regime oligarchio. E’ il caso del processo all’ex presidente Kocharyan: la “rivoluzione di velluto” aveva promesso di accertare le responsabilità per gli eventi del 2008, ma il processo fallisce a causa dei legami tra il potere giudiziario e il vecchio regime.

Infine nel 2020, con la sconfitta militare nel conflitto del Nagorno Karabakh, vi è l’ultima inversione di tendenza. Da una parte, la società armena resta molto delusa dalla reazione europea al conflitto e dalla sua incapacità di intervenire come mediatore. Si nota la discrepanza tra aspettative e realtà. La “potenza normativa” europea non è vista come abbastanza vicina in un conflitto tra un paese autoritario e uno che cerca di conformarsi ai valori europei. Dall’altra parte, l’Ue riesce comunque a essere presente come attore umanitario e di sviluppo, ripristinando una certa fiducia.

A fine 2024 l’Armenia inizia a negoziare la liberalizzazione dei visti – un processo di condizionalità rigorosa – mentre prosegue la cooperazione settoriale, ad esempio con un accordo sullo spazio aereo.

Da ultimo, il Parlamento armeno ha adottato una laconica legge di iniziativa popolare – per la prima volta nella sua storia – secondo cui “l’Armenia avvia il processo di adesione all’Unione europea“. Il solo articolo non indica tempistiche o istituzioni responsabili, che restano da definire. Ma indica chiaramente il perché: la volontà di rafforzare le istituzioni democratiche, la sicurezza, e lo stato di diritto. Tale processo può favorire le riforme e lo sviluppo dello stato di diritto.

Non è possibile promuovere lo stato di diritto dall’esterno, conclude Khvorostiankina, e la condizionalità non è uno strumento adeguato. Serve una domanda dal basso da parte della società, come dimostra il caso armeno, o l’attuazione e la sostenibilità delle riforme resteranno in dubbio.

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La presidente del Consiglio comunale Damiano riceve al Municipio di Mestre il giovane artista armeno Taron Manukyan (Comune Venezia 02.07.25)

La presidente del Consiglio comunale Ermelinda Damiano ha ricevuto questo pomeriggio, al Municipio di Mestre, il giovane artista armeno Taron Manukyan. L’accoglienza dell’artista a Venezia è frutto di una sinergia con l’Istituzione Fondazione Bevilacqua La Masa.

L’iniziativa si inserisce nel più ampio contesto delle manifestazioni promosse in occasione della Giornata del Ricordo del Genocidio Armeno. “La Presidenza del Consiglio comunale, che promuove e coordina iniziative di rilevanza istituzionale promosse in occasione della Giornata dedicata al Ricordo del Genocidio Armeno, ha ricevuto con favore questa proposta di accoglienza, che contribuisce ad alimentare lo storico legame culturale tra la comunità armena e la città di Venezia, grazie allo scambio e cooperazione tra nuove generazioni” è il commento della presidente del Consiglio comunale Damiano.

Durante la sua permanenza a Venezia, Taron Manukyan elaborerà un progetto che riflette sull’idea del movimento costante della vita, in contrasto con la staticità senza tempo della città. Una volta rientrato in Armenia, il lavoro si tradurrà in opere che faranno parte della sua mostra personale prevista per novembre 2025.

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Consiglio Veneto approva quattro Risoluzioni: navigazione, fisco, genocidio Armeni e Ucraina (Padovanews 01.07.25)

Il Consiglio regionale del Veneto, dopo aver nominato il Sindaco unico di Infrastrutture Venete (Michele Devivo), ha approvato oggi quattro Risoluzioni in tema di sicurezza della navigazione, deducibilità fiscale dei veicoli usati dagli agenti di commercio, riconoscimento del genocidio degli armeni da parte della Turchia, e cessate il fuoco in Ucraina.

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Storia della montagna dove cinquemila armeni trovarono la salvezza e dei sette villaggi che si ribellano alla catastrofe. I quaranta giorni del Mussa Dagh (Idolomiti 01.07.25)

Il grande romanzo di Franz Werfel racconta la vicenda, basata su fatti reali, di sette villaggi armeni che dal luglio 1915 all’inizio di settembre resistettero agli assalti turchi sul massiccio del Mussa Dagh, a sud del golfo di Alessandretta, per essere infine salvati da alcune navi da guerra francesi

Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

“Per qualche piccola imprecisione del divino ordine dell’universo, per la bonaria corruttibilità di qualche cherubino affezionato alla terra natale, pareva che nelle contrade del Mussa Dagh si fosse rinserrato un residuo, un riflesso, un ultimo sapore di Paradiso”.

 

Così Franz Werfel descrive il massiccio del Mussa Dagh, che si erge fra la baia di Antiochia e il golfo di Alessandretta. Qui, come in altre regioni dell’Impero ottomano, fino alla Prima guerra mondiale il popolo armeno viveva in pace con i vicini musulmani. Una vita condotta per secoli secondo tradizioni antichissime, scandita sul ritmo delle stagioni.

 

Tutto cambia con lo scoppio della Grande guerra. Il governo ultranazionalista dei “Giovani Turchi” insegue il progetto di turchizzare l’intero territorio anatolico, e per questo stabilisce di deportare l’etnia armena, presente fin dal VII secolo a.C. Le deportazioni ufficialmente prevedono un reinsediamento degli Armeni in Siria; in realtà l’obiettivo è l’eliminazione di un’etnia che non può essere assimilata.

Considerato il prototipo dei genocidi del Novecento, quello degli Armeni si consuma a partire dalla primavera del 1915, quando, dopo arresti di massa della popolazione, hanno inizio le marce forzate che conducono al deserto di Deir el-Zor, nel cuore della Siria. Pochissimi saranno quelli che raggiungeranno vivi la meta.

 

Franz Werfel (1890–1945) ritratto nel 1927 da Georg Fayer

 

Questo è il contesto storico da cui prende le mosse il grandioso romanzo di Franz Werfel, scrittore e drammaturgo austriaco di origine ebraica che, al pari di milioni di Armeni, sperimenterà a propria volta l’esperienza drammatica dell’esilio dopo l’annessione dell’Austria alla Germania, nel 1938.

 

Scritto febbrilmente a partire dal 1929, dopo un soggiorno a Damasco in cui aveva avuto la possibilità di ascoltare molte storie di sopravvissuti al genocidio, e pubblicato nel 1933, I quaranta giorni del Mussa Dagh racconta la storia di sette villaggi armeni che si ribellano alla catastrofe, trovando sulle balze del Mussa Dagh temporaneo rifugio.

 

Il romanzo, strutturato su tre libri, è incentrato inizialmente sulla figura di Gabriele Bagradian, facoltoso armeno che vive a Parigi e che nel 1914, a seguito della morte del fratello, ritorna, in compagnia della moglie e del figlio tredicenne Stefano, nella proprietà di famiglia situata nel villaggio di Yoghonoluk, ai piedi del Mussa Dagh.

Impossibilitato a partire a causa dello scoppio della guerra, Gabriele assiste al progressivo precipitare degli eventi. Suo malgrado diventa guida per la popolazione dei sette villaggi che convince a trasferirsi sul massiccio, dove, anche grazie alle sue competenze militari di ex ufficiale dell’esercito ottomano, organizza una tenace resistenza.

 

Una donna armena inginocchiata accanto al corpo di una bambina morta durante le deportazioni in Siria

 

In oltre novecento pagine di grande letteratura, Werfel ci conduce in seguito attraverso le vicende vissute dalle cinquemila persone che seguono Bagradian in questa eroica quanto disperata ricerca di salvezza, entra nell’animo di diversi personaggi, li segue nelle loro scelte, nelle azioni, nei sentimenti: dal momento di lasciare i villaggi alle battaglie che dovranno affrontare contro li milizie turche inviate per annientarli, dalla dura vita sulla montagna ai momenti più critici, quando la speranza di salvezza vacilla. Eroi e vili, uomini di cultura e semplici, personaggi che sprofonderanno nell’abisso e altri che saranno in grado di riscattarsi: la narrazione li abbraccia in pagine che raggiungono vette di intensità come solo la grande letteratura sa fare.

 

Intorno, il Mussa Dagh, l’immensa montagna divenuta rifugio, ma che rischia di diventare anche trappola mortale. Questo accade, per esempio, quando i difensori decidono di usare il fuoco contro le truppe turche causando un grandioso incendio che risparmia l’accampamento solo grazie al vento che spira contro i nemici.

 

“E di ora in ora l’incendio cresceva e si propagava […]. Si estinse solo davanti alle balze nude della parete scoscesa sotto il Bastione sud e in una insenatura di roccia, che protesse la Sella Nord. Il verde rigoglio di quell’alpe benedetta dalle sorgenti, quella meraviglia della costa siriaca trionfò ancora una volta con bandiere fiammeggianti per giorni e giorni, fino a che di tutto non rimase che un immenso campo d’ostacoli, cosparso di brace carbonizzata”.

 

Ma Werfel non si limita a raccontare vicende personali. Indossati i panni dello storico, presenta al lettore il contesto, le scelte dei politici, i tentativi falliti di chi, come il pastore protestante tedesco Johannes Lepsius, tentò di opporsi ai disegni genocidari del governo turco. Emblematico il capitolo Intermezzo degli dei, in cui Werfel ricostruisce l’incontro, realmente avvenuto, fra il pastore e l’onnipotente ministro della guerra turco Enver Pascià.

 

“Le sue stimabili intenzioni m’interessano – dice Enver in tono di considerazione, – ma naturalmente devo respingerle. […] Se io concedo ad uno straniero di recare aiuto agli armeni, creo con ciò un precedente, che riconosce l’intromissione di personalità straniere e quindi di potenze estere. […] No, mio signor Lepsius, questo è impossibile, io non posso concedere che degli stranieri benefichino questa gente. Gli armeni debbono vedere soltanto in noi i loro benefattori”.

Il pastore cadde sulla sedia. Tutto è perduto! Fallito! Ogni altra parola è superflua. Almeno quell’uomo fosse malvagio, pensa con desiderio, almeno fosse Satana. Ma non è malvagio e non è Satana, è simpatico come un fanciullo, quel grande inesorabile assassino di moltitudini.

 

Civili armeni in marcia forzata sorvegliati da soldati turchi

 

Quaranta giorni dura la resistenza armena sul Mussa Dagh, dalla fine di luglio ai primi di settembre. Poi tutto sembra precipitare: l’esaurimento delle scorte di cibo, la pressione del nemico, la stanchezza e la disperazione sono sul punto di vincere. E quando un secondo incendio distrugge l’accampamento pare giunta davvero la fine. Ma dalla catastrofe germoglia la speranza: il fuoco viene avvistato da un incrociatore francese che naviga non lontano dalla costa e che soccorre i difensori.

 

Un romanzo corale da tornare a rileggere a centodieci anni dal primo genocidio del Novecento, in cui la montagna di Mosè è protagonista salvifica e ci ricorda quanto stretto sia il legame fra uomo e ambiente. In un tempo in cui la guerra e il nazionalismo sembrano aver sostituito la pace e il dialogo, I quaranta giorni del Mussa Dagh ci ricorda quanto è stato e interroga il nostro presente senza memoria.

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L’Armenia verso la liberalizzazione dei visti con l’Ue (ma sempre all’ombra di Mosca) (Eunews 01.07.25)

L’Alta rappresentante Kaja Kallas ha lodato i progressi di Yerevan nel suo avvicinamento al club europeo e nella pacificazione con l’Azerbaigian. Ma ha anche messo in guardia il governo armeno dalle minacce poste dalla Russia

Bruxelles – L’Ue e l’Armenia “non sono mai state così vicine”. È il messaggio di speranza consegnato dall’Alta rappresentante Kaja Kallas a Yerevan, dove ha condotto una visita di due giorni conclusasi oggi. Il Paese caucasico sta cercando di abbandonare l’orbita russa e di entrare in quella europea, ma il cammino da fare è ancora lungo. E passa per la normalizzazione dei rapporti col vicino Azerbaigian dopo decenni di guerra, nonché per la difesa dalle “minacce ibride” russe.

Parlando accanto al suo omologo armeno Ararat Mirzoyan, il capo della diplomazia a dodici stelle ha annunciato ieri (30 giugno) che la Commissione europea ha “adottato la sua proposta per il piano d’azione per la liberalizzazione dei visti” coi Ventisette, un primo passo simbolico per continuare ad accorciare le distanze tra Yerevan e Bruxelles.

Un passo richiesto a gran voce dallo stesso premier armeno Nikol Pashinyan, il cui governo a gennaio ha iniziato a muoversi nella direzione dell’adesione all’Ueottenendo lo scorso marzo il via libera del Parlamento nazionale. Nei prossimi mesi la popolazione dovrebbe esprimersi sulla questione tramite referendum.

 

L’Ue e l’Armenia non sono mai state così vicine, avete lanciato il processo di adesione all’Ue, e diamo il benvenuto alla vostra intenzione di approfondire la nostra partnership“, si è congratulata Kallas. L’Alta rappresentante ha svelato anche l’imminente lancio di un nuovo partenariato e l’avvio del piano di resilienza e crescita per il 2024-2027 da circa 270 milioni di euro (messo sul tavolo nell’aprile 2024), nonché la partecipazione dell’Armenia alle missioni Ue nel mondo.

Il supporto di Bruxelles alla fragile democrazia caucasica comprende anche, tra le altre cose, il finanziamento dei media indipendenti, il sostegno agli sfollati del Nagorno-Karabakh – una provincia separatista dell’Azerbaigian a maggioranza armena, al centro di un conflitto decennale con Baku conclusosi nell’autunno 2023 con la riconquista dell’exclave armena da parte dell’esercito azero – e la cooperazione militare coi Ventisette.

Ma il percorso di Yerevan verso l’ingresso in Ue è ancora lungo, accidentato e tutto in salita. C’è molto da fare a livello domestico per allineare l’Armenia all’acquis communautaire, il corpo giuridico dell’Unione cui tutti i Paesi candidati devono conformarsi in qualunque ambito, dall’energia al commercio passando per lo Stato di diritto.

Nikol Pashinyan
Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan (foto: Leon Nea/Afp)

Poi c’è la politica estera e di sicurezza. Sul Paese guidato da Pashinyan pendono almeno due grosse spade di Damocle, rappresentate dai rapporti con l’Azerbaigian e con la Russia. A detta di Mirzoyan, i colloqui per la normalizzazione con Baku stanno procedendo. L’obiettivo è la firma di un trattato di pace il prima possibile, magari entro la fine dell’anno.

Bruxelles “sostiene” il processo, ha ribadito Kallas, che deve basarsi sul “rispetto della sovranità, dell’integrità territoriale e dell’inviolabilità dei confini”. Lo sostiene anche, o forse soprattutto, “dal punto di vista dei progetti di connettività verso l’Asia Centrale“, cioè quelli recentemente messi nero su bianco dall’esecutivo comunitario con la Strategia per il Mar Nero che vede coinvolte, appunto, sia Baku sia Yerevan.

Potrebbero essere ancora più problematici, invece, i legami con Mosca. La Federazione è l’alleato storico dell’Armenia (un’ex repubblica sovietica ancora dipendente dalla Russia soprattutto per le esportazioni e per l’approvvigionamento energetico), ma da tempo Pashinyan sta cercando di sganciare Yerevan dal Cremlino e di collocarla nell’orbita occidentale.

Vladimir Putin
Il presidente russo Vladimir Putin (foto: Vyacheslav Prokofyev/Sputnik via Afp)

Soprattutto dopo che l’esercito russo non è intervenuto in Nagorno-Karabakh al fianco dei separatisti armeni, come avrebbe dovuto fare in base agli obblighi del trattato di difesa collettiva (Csto) di cui fanno parte diversi ex membri dell’Urss. Dal febbraio 2024, il Paese caucasico ha di fatto congelato la propria partecipazione nell’alleanza militare, annunciando di volerla abbandonare al più presto.

Anche per questo, Kallas ha esortato il suo omologo a non abbassare la guardia e tenere d’occhio le “minacce ibride” poste dall’ingombrante vicino russo, incluse la disinformazione e le ingerenze del Cremlino nell’intera regione, come visto nei processi elettorali e politici in diversi Paesi dalla Georgia alla Moldova e fino alla Romania.

Mirzoyan ha recepito il messaggio, ingiungendo a Mosca di tenersi alla larga dalle vicende domestiche dell’Armenia. A partire dall’arresto dell’arcivescovo Bagrat Galstanyan, figura di spicco della Chiesa apostolica armena e leader dell’opposizione antigovernativa, per il suo presunto coinvolgimento in un tentativo di colpo di Stato che Yerevan non esclude possa essere sostenuto proprio dal Cremlino.

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Settimana della Cultura Armena al Teatro Marrucino (Unich 01.07.25)

Sei giorni di eventi con la Scuola di Recitazione, l’Università “G. d’Annunzio” e la NUACA di Yerevan

Dall’8 al 13 luglio, il Teatro Marrucino di Chieti ospiterà la Settimana della Cultura Armena, una rassegna di eventi, organizzata per il tramite della Scuola di Recitazione e con il patrocinio dell’Ambasciata della Repubblica d’Armenia, che celebra la tradizione, la storia e l’identità del popolo armeno attraverso un ricco calendario di eventi artistici, musicali e teatrali.
Si tratta di un’occasione unica per esplorare la ricchezza culturale dell’Armenia, grazie alla preziosa collaborazione con l’Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara e con la National University of Architecture and Construction of Armenia (NUACA), che rende possibile la partecipazione di una delegazione di dieci studenti e cinque docenti provenienti da Yerevan che prenderanno parte attivamente alla rassegna proponendo numerose attività.

Ulteriori informazioni nel comunicato stampa allegato

 


 

A Chieti la “Settimana della cultura armena”

Settimana della Cultura Armena al Teatro Marrucino: sei giorni di eventi con la Scuola di Recitazione, l’Università “G. d’Annunzio” e la NUACA di Yerevan. Appuntamento da martedì 8 luglio a domenica 13 luglio con spettacoli, concerti, conferenze e letture

Dall’8 al 13 luglio, il Teatro Marrucino di Chieti ospiterà la Settimana della Cultura Armena, una rassegna di eventi, organizzata per il tramite della Scuola di Recitazione e con il patrocinio dell’Ambasciata della Repubblica d’Armenia, che celebra la tradizione, la storia e l’identità del popolo armeno attraverso un ricco calendario di eventi artistici, musicali e teatrali. Si tratta di un’occasione unica per esplorare la ricchezza culturale dell’Armenia, grazie alla preziosa collaborazione con l’Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara e con la National University of Architecture and Construction of Armenia (NUACA), che rende possibile la partecipazione di una delegazione di dieci studenti e cinque docenti provenienti da Yerevan che prenderanno parte attivamente alla rassegna proponendo numerose attività.

La rassegna vedrà la partecipazione degli allievi della Scuola di Recitazione del Teatro Marrucino che, attraverso i corsi “Favolando” (per bambini da 6 a 12 anni), “Innamoramento al Teatro” (da 13 a 18 anni), “Teatro che Passione” (da 18 anni in su) e il corso di Lettura Espressiva, porteranno in scena performance teatrali e letture, condensando l’esperienza e lo studio dell’Anno Accademico 2024/2025.

La manifestazione prenderà il via martedì 8 luglio alle ore 19.00 con una cerimonia di apertura, seguita da un concerto di musica folkloristica armena, proposto dagli studenti della NUACA. La serata vedrà anche l’inaugurazione della mostra di bambole tradizionali armene e si concluderà con lo spettacolo teatrale “Il quaderno”, con gli allievi della Scuola di Recitazione, tratto dall’omonima opera della scrittrice Sonya Orfalian.

Nel corso della settimana, gli ospiti avranno l’opportunità di partecipare a numerose conferenze, tra cui approfondimenti sul genocidio armeno o sulla storia dell’architettura armena, tenuti dai docenti della NUACA (Proff. Armen Minassian, Armen Abroyan) e della “d’Annunzio” (Proff. Filippo Angelucci e Vasco La Salvia). I visitatori potranno anche imparare a creare bambole tradizionali armene in laboratori pratici tenuti dalla Prof.ssa Irina Vanyan, scoprire la musica di Komitas e partecipare attivamente agli eventi.

Un momento particolarmente significativo sarà l’omaggio a William Saroyan, che venerdì 11 luglio racconterà il legame indissolubile tra il celebre scrittore armeno vincitore di un Premio Pulitzer e la sua terra d’origine attraverso passi scelti dalla M° Giuliana Antenucci, coordinatrice e docente dei corsi di recitazione del Teatro Marrucino, che cura la regia di tutti gli spettacoli teatrali della rassegna.

La Settimana si concluderà domenica 13 luglio con una performance teatrale inedita che coinvolgerà contemporaneamente gli allievi della Scuola di Recitazione del Teatro Marrucino e gli studenti universitari della NUACA, coordinati e diretti da Giuliana Antenucci ed il Prof. Narek Minassian (NUACA), rendendo tangibile l’importante ponte culturale tra i due Paesi e lo spirito di collaborazione che caratterizza l’evento.

 

“La partecipazione all’evento promosso dalla Deputazione Teatrale nasce da una collaborazione che, per l’Università “G. d’Annunzio” ha un valore particolarmente significativo: quella con la NUACA, con cui da anni condividiamo un percorso fatto di progetti, scambi accademici e relazioni umane nell’ambito del Programma Erasmus” sottolinea il Prorettore Vicario dell’Università “G. d’Annunzio”Prof. Carmine Catenacci“L’iniziativa si inserisce nel progetto attualmente attivo nell’ambito dell’International Credit Mobility – Key Action 171, rivolto a Paesi partner extra UE, che sostiene principalmente la mobilità in entrata verso l’Europa e offre a studenti e docenti provenienti da università non europee la concreta opportunità di vivere un’esperienza accademica e culturale all’interno del nostro Ateneo e del nostro territorio. L’obiettivo è favorire l’incontro tra persone, conoscenze e culture diverse, stimolando la crescita professionale, linguistica e personale di chi partecipa. Un intento che si riflette pienamente nello spirito dell’evento teatrale, pensato anche come momento di dialogo, scambio e condivisione tra comunità universitarie e locali. Quando abbiamo proposto questa collaborazione alla NUACA, abbiamo ricevuto una risposta entusiasta e siamo certi che l’impegno e la professionalità dei partecipanti armeni porteranno un prezioso contributo all’iniziativa. Grazie al progetto e ai fondi Erasmus, sarà possibile finanziare la partecipazione di 10 studenti e 5 docenti provenienti da Yerevan, coprendo i costi di viaggio, soggiorno e tutte le spese legate alla mobilità”.

 

Questa collaborazione tra Italia e Armenia, infatti, rappresenta una straordinaria opportunità di scambio e approfondimento culturale, promuovendo una maggiore comprensione reciproca ed un arricchimento delle rispettive tradizioni grazie ad un programma che, attraverso l’arte e la cultura, ha l’obiettivo di rafforzare il legame tra i due popoli, celebrando la memoria e la bellezza del patrimonio armeno.

Un appuntamento che unisce persone, storie e tradizioni, offrendo un ponte di scambio tra Italia e Armenia. Una settimana di eventi aperti a tutti, in cui il Teatro Marrucino diventa spazio vivo di dialogo e scoperta. Tutta la cittadinanza è invitata a prendere parte a questo viaggio tra memoria, identità e bellezza condivisa.

L’ingresso agli eventi della Settimana della Cultura Armena è libero e gratuito fino ad esaurimento posti.

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Settimana della Cultura Armena presso il Teatro Marrucino a Chieti dall’8 al 13 luglio 2025. (Abruzzo Oggi)