Turchia: “i resti della spada” di Erdogan (L’Opinione 19.05.20)

Il 4 maggio scorso, durante un briefing sul coronavirus, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha usato l’espressione molto sprezzante, “i resti della spada”: “Non permettiamo ai resti della spada nel nostro Paese”, egli ha dichiarato, “di tentare di svolgere attività (terroristiche, ndr). Il loro numero è diminuito, ma molti esistono ancora”.

L’espressione “i resti della spada” (kılıç artığı in turco) è un insulto comunemente usato in Turchia che spesso si riferisce ai sopravvissuti ai massacri dei cristiani – che ebbero come obiettivo soprattutto armeni, greci e assiri – compiuti dall’Impero ottomano e poi perpetrati dal suo successore, la Turchia.

Essendo Erdoğan un capo di Stato, il fatto di usare pubblicamente l’insulto è allarmante sotto molti punti di vista. L’espressione non solo insulta le vittime e i sopravvissuti dei massacri, ma mette anche a repentaglio la sicurezza della comunità cristiana in calo in Turchia, spesso esposta a pressioni che includono aggressioni fisiche.

Per protesta, Garo Paylan, un deputato armeno del Parlamento turco, ha scritto su Facebook: “Nel suo discorso d’incitamento all’odio di ieri sera, Erdoğan ha usato ancora una volta l’espressione ‘i resti della spada’. L’espressione ‘i resti della spada’ è stata inventata per riferirsi agli orfani come mia nonna che è sopravvissuta al genocidio armeno (del 1915, ndr). Ogni volta che sentiamo quell’espressione, ci fa sanguinare le ferite”.

Altri attivisti e scrittori armeni hanno criticato Erdoğan sui social media. La giornalista Alin Ozinian ha scritto: “Per coloro che non lo sanno, l’espressione ‘i resti terroristi della spada’ significa ‘i terroristi’ armeni che sono sopravvissuti al genocidio e non potevano essere massacrati con la spada. Cosa significa ‘terrorista’? Beh, il significato cambia quotidianamente: potrebbe essere un giornalista, un rappresentante della società civile, uno scrittore, un medico o una madre di un bellissimo bambino. Non vogliono coloro che impugnano le spade”, ha continuato la Ozinian, “ma vogliono vergognarsi dei discendenti dei sopravvissuti di un popolo e di una cultura che sono stati massacrati con la spada”.

L’editorialista Ohannes Kılıçdağı ha scritto: “Si pensi a un Paese che usa attivamente un’espressione come ‘i resti della spada’ nella cultura politica e nel linguaggio. È usata dalle massime autorità. Ma quelle stesse autorità dello stesso Paese affermano che ‘non c’è stato alcun massacro nella nostra storia’. Se non c’è stato, allora da dove viene questa espressione? A chi si riferisce?”.

I crimini che Ankara cerca di nascondere incolpando le vittime sono in realtà fatti storici ben documentati. Nel 2019, ad esempio, gli storici Benny Morris e Dror Ze’evi hanno pubblicato il libro The Thirty-Year Genocide: Turkey’s Destruction of Its Christian Minorities, 1894-1924, che documenta i “massacri di massa perpetrati dall’Impero ottomano e in seguito dalla Repubblica turca contro le minoranze cristiane”. Secondo la loro ricerca: “Tra il 1894 e il 1924, tre ondate di violenza travolsero l’Anatolia, colpendo le minoranze cristiane della regione, che in precedenza avevano rappresentato il 20 per cento della popolazione. Nel 1924, gli armeni, gli assiri e i greci erano stati ridotti al 2 per cento”.

Durante il genocidio, le politiche di annientamento dei perpetratori prevedevano ”stragi premeditate, deportazioni omicide, conversioni forzate, stupri di massa e rapimenti brutali. E un’altra cosa era costante: il grido di battaglia del jihad”.

Come i cristiani, anche la comunità alevita è presa di mira in Turchia per essere “i resti della spada”. L’alleato di Erdoğan, Devlet Bahçeli, a capo del Partito del movimento nazionalista (Mhp), ad esempio, nel 2017, definì il giornalista Abdülkadir Selvi “un resto della spada” per riferirsi alle sue presunte origini alevite. Il giornalista filogovernativo Ahmet Taşgetiren ha poi spiegato l’espressione come segue: “Distruggete un’entità (una società, una comunità religiosa, un esercito) che vedete come ‘il nemico’. Ciò che rimane è un gruppo di persone che sono sopravvissute alla spada e si sono arrese a voi. Quelli sono i resti della spada”.

Selvi ha poi cercato di spiegare il motivo per cui lui non è un “resto della spada”: “Vorrei ricordare Bahçeli: mio nonno, Osman, era un figlio della patria che correva da un fronte all’altro e venne fatto prigioniero nella guerra ottomana-russa. Io sono un discendente dei turchi oghuz; i miei antenati Hasan e Hüseyin, divennero martiri in Yemen. Quest’onore mi basta”.

La spiegazione di Selvi dimostra ancora una volta che avere radici cristiane, alevite o qualsiasi altra radice non musulmana viene visto come un insulto o come un’offesa vergognosa da molti in Turchia. Invece di spiegare perché chiamare qualcuno “un resto della spada” sia inaccettabile, Selvi ha cercato di dimostrare le sue origini “purosangue” turche e la fede musulmana sunnita.

“Oggi, meno del mezzo percento della popolazione turca è cristiana – il risultato di una storia durante la quale i turchi hanno perseguitato i cristiani autoctoni della regione”, ha scritto lo storico Vasileios Meichanetsidis, molti turchi condividono con orgoglio questa storia, senza tentare di affrontarla onestamente o garantire il rispetto per le vittime. Infatti, etichettano erroneamente le vittime come perpetratori, elogiano i criminali e insultano la memoria delle vittime e dei loro discendenti”.

Pertanto, l’uso dell’espressione “i resti della spada” non rappresenta una negazione dei massacri o dei genocidi. Al contrario, dichiara l’orgoglio dei perpetratori. Significa: “Sì, abbiamo massacrato i cristiani e altri non musulmani perché se lo meritavano!”.

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Russia: Putin contrario a proposta di Bielorussia e Armenia su tariffa unica per gas (Agenzianova 19.05.20)

Mosca, 19 mag 17:56 – (Agenzia Nova) – Tariffe uniche per il gas per i paesi dell’Unione economica eurasiatica (Uee), Russia, Armenia, Bielorussia, Kazakhstan e Kirghizistan, richiedono un profondo livello di integrazione, che non è stato ancora raggiunto nell’Unione. Lo ha dichiarato nel corso del Consiglio economico supremo dell’Uee il presidente russo, Vladimir Putin. La proposta di introdurre tariffe uniformi è stata in precedenza espressa da Armenia e Bielorussia. “Per quanto riguarda la tariffa comune, proposta dai partner armeni e bielorussi per i servizi di trasporto e transito del gas, riteniamo che possa essere attuata solo in un mercato unico, con un budget unico, in presenza di un sistema fiscale unificato. Un livello così profondo di integrazione nella Uee non è stato ancora raggiunto”, ha affermato Putin. Il progetto di strategia di sviluppo della Uee per il 2025 è praticamente concordato, ad eccezione della voce relativa alle tariffe di trasporto del gas. “Esiste una formula che è sostenuta da tre paesi: Russia, Kazakistan e Kirghizistan. La sua essenza consiste nel fatto che la determinazione dei prezzi del gas possa essere effettuata in seguito, nei negoziati sulla formazione di un mercato comune. I nostri colleghi armeni e bielorussi non hanno ancora accettato questa formula”, ha ricordato il presidente. “Se si trovasse un accordo, allora non ci sarebbero altri ostacoli all’approvazione della strategia”, ha concluso il capo di Stato russo. (Rum)

Mkhitaryan: “La Roma è fantastica, vorrei restare” (Corriere dello Sport 18.05.20

ROMA –  Henrikh Mkhitaryan vuole restare alla Roma. Lo ammette in un’intervista rilasciata all’ambasciata italiana in Armenia, raccontando la sua esperienza in giallorosso e dei suoi primi mesi vissuti in Italia.

In una recente intervista hai parlato dei tuoi piani per restare Roma. Che livelli vuoi raggiungere, la Champions? 
“Dal primo giorno che sono arrivato a Roma mi sono trovato bene, con la squadra, la città, era tutto fantastico. Ovviamente sarebbe bello restare qua. L’obiettivo principale sarebbe la Champions, e ovviamente giocare e vincere dei titoli”.

Hai giocato in Ucraina, Germania e Inghilterra, ora sei in Italia. Cosa ti ha dato la Serie A?
“Paragonandola al calcio inglese, tedesco e ucraino, ha le sue particolarità. Alcuni la sottovalutano, ma è molto interessante giocare qui. Non è forse come 20 anni fa, ma sono sicuro che il campionato stia continuando a crescere e anche la scelta del prestito dell’anno scorso parla da sé. Sono molto felice di essere qui, giocare in Italia con questi tifosi è davvero incredibile. Avevo sentito molto sul fatto che i tifosi qui fossero pazzi in senso buono, ma non potevo credere che fosse davvero così. Sono molto soddisfatto di giocare per la Roma e di avere questi tifosi. Non è un segreto che il successo di ogni giocatore in campo dipenda anche dai suoi compagni e da una collaborazione efficace tra di loro”.

Raccontaci qualche aneddoto sui tuoi compagni. 
“Ovviamente una buona performance non si basa solo su di te, dipende anche da tutti gli altri perché non puoi vincere una partita da solo. Devi vincere con 11 giocatori più quelli in panchina, perché il calcio è uno sport di squadra. Non puoi pensare: “Ok, oggi gioco da solo, dipende tutto da me”. No, dipende da tutta la squadra. Cerco di fare del mio meglio per aiutare i compagni e loro fanno lo stesso per me. Dal primo giorno che sono arrivato sono rimasto impressionato da alcuni giocatori, dei livelli che non avevo visto in Germania, Inghilterra o Ucraina. Non farò i nomi ma dico che abbiamo dei grandi talenti, dei grandi calciatori che possono raggiungere livelli altissimi e spero che con le loro qualità potranno aiutare la Roma per raggiungere gli obiettivi”.

La situazione più divertente nella quale ti sei trovato in Italia? Anche gli italiani come gli armeni hanno un grande senso dell’umorismo…
“Gli italiani con la loro mentalità sono molto simili agli armeni ed è una cosa buona per me perché mi trovo molto bene con loro e mi rende la vita più facile. Di cose divertenti ne sono accadute, la prima è stata mentre stavo prendendo il volo, il 2 settembre, per viaggiare da Londra a Roma. Ero seduto in aereo e l’assistente di volo è venuto da me e mi ha chiesto: “Hai già firmato con la Roma?” e io gli ho risposto: “Beh, come vedi sto andando a Roma a vedere se firmare o meno”. Quando sono sceso dall’aereo c’erano tantissimi giornalisti e ho chiesto all’ufficio stampa della Roma: “Non ho ancora firmato, perché c’è tutta questa gente con le telecamere che si aspetta che dica qualcosa sulla Roma?”. E mi ha risposto che l’Italia va pazza per il calcio, quindi sarei dovuto essere pronto per queste cose. Forse ora la storia non è così divertente ma comunque ti dice molto: ero in una situazione in cui io stesso non sapevo se avrei firmato o meno con la Roma, ma tutti già lo davano per scontato”.

In che modo la tua famiglia ti sprona ad essere più motivato?
“Anche prima di sposarmi avevo la famiglia che mi motivava, mia madre mia sorella, ma anche mio cugino, i miei amici. Io gioco a calcio per me stesso ma voglio che anche loro siano felici. Se gioco bene significa che staranno bene anche loro. Il livello successivo è stato quando mi sono sposato ed è nato mio figlio. Ogni volta che vado agli allenamenti penso a loro. Sfortunatamente non ho ancora giocato una partita dalla sua nascita, ma spero che presto ci saranno altre gare. Durante gli allenamenti penso sempre a loro, penso ad allenarmi e a giocare con più impegno”.

Impossibile evitare l’argomento della buona cucina…
“Quando ho iniziato ad assaggiare il cibo qui, in tanti ristoranti ho pensato: “Oh mio Dio”. In tutto l’anno che ho passato qui ho provato un sacco di cose e tutto ciò che ho assaggiato è stato fantastico. Certamente anche questo può spronarti, perché ti dici che ti sei allenato e hai giocato e poi puoi goderti la vita in Italia”.

Qual è il tuo prossimo obiettivo nel calcio a livello personale? 
“Ho già ottenuto molto, ma per me quello è il passato. Voglio di più per l’anno prossimo, non mi restano molti anni in carriera ma sono sicuro che sto facendo del mio meglio per raggiungere i miei obiettivi. Alla fine dalla tua carriera tutti penseranno a cosa hai fatto per le squadre, cosa hai vinto, come hai giocato… Quindi per me è molto importante lasciare un ricordo positivo: vincere qualcosa, un titolo, fare qualcosa di buono per la squadra”.

C’è qualche gergo particolare per il calcio italiano? 
“L’italiano è una lingua splendida e quando ero giovane avevo l’obiettivo di impararla, ora ho questa opportunità. Grazie a Dio sto andando bene, anche gli altri sono soddisfatti del mio italiano e ho già fatto delle interviste. In più è molto più facile parlare con i compagni perché non ti servono frasi lunghe, dici solo un paio di parole. Non è facile, ma credo che il modo in cui mi sono dedicato allo studio dell’italiano sia ottimo, anche grazie alle persone che mi hanno aiutato”.

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Mkhitaryan: “La Roma è fantastica, sarebbe bello restare” (VIDEO)

Il trequartista è stato intervistato dall’Ambasciata italiana in Armenia, ecco le sue parole.

In una recente intervista hai parlato dei tuoi piani per restare Roma. Che livelli vuoi raggiungere, la Champions? 
Dal primo giorno che sono arrivato a Roma mi sono trovato bene, con al squadra, la città, era tutto fantastico. Ovviamente sarebbe bello restare qua. L’obiettivo principale sarebbe la Champions, e ovviamente giocare e vincere dei titoli.

Hai giocato in Ucraina, Germania e Inghilterra, ora sei in Italia. Cosa ti ha dato la Serie A?
Paragonandola al calcio inglese, tedesco e ucraino, ha le sue particolarità. Alcuni la sottovalutano, ma è molto interessante giocare qui. Non è forse come 20 anni fa, ma sono sicuro che il campionato stia continuando a crescere e anche la scelta del prestito dell’anno scorso parla da sé. Sono molto felice di essere qui, giocare in Italia con questi tifosi è davvero incredibile. Avevo sentito molto sul fatto che i tifosi qui fossero pazzi in senso buono, ma non potevo credere che fosse davvero così. Sono molto soddisfatto di giocare per la Roma e di avere questi tifosi. Non è un segreto che il successo di ogni giocatore in campo dipenda anche dai suoi compagni e da una collaborazione efficace tra di loro.

Raccontaci qualche aneddoto sui tuoi compagni. 
Ovviamente una buona performance non si basa solo su di te, dipende anche da tutti gli altri perché non puoi vincere una partita da solo. Devi vincere con 11 giocatori più quelli in panchina, perché il calcio è uno sport di squadra. Non puoi pensare: “Ok, oggi gioco da solo, dipende tutto da me”. No, dipende da tutta la squadra. Cerco di fare del mio meglio per aiutare i compagni e loro fanno lo stesso per me. Dal primo giorno che sono arrivato sono rimasto impressionato da alcuni giocatori, dei livelli che non avevo visto in Germania, Inghilterra o Ucraina. Non farò i nomi ma dico che abbiamo dei grandi talenti, dei grandi calciatori che possono raggiungere livelli altissimi e spero che con le loro qualità potranno aiutare la Roma per raggiungere gli obiettivi.

La situazione più divertente nella quale ti sei trovato in Italia? Anche gli italiani come gli armeni hanno un grande senso dell’umorismo…
Gli italiani con la loro mentalità sono molto simili agli armeni ed è una cosa buona per me perché mi trovo molto bene con loro e mi rende la vita più facile. Di cose divertenti ne sono accadute, la prima è stata mentre stavo prendendo il volo, il 2 settembre, per viaggiare da Londra a Roma. Ero seduto in aereo e l’assistente di volo è venuto da me e mi ha chiesto: “Hai già firmato con la Roma?” e io gli ho risposto: “Beh, come vedi sto andando a Roma a vedere se firmare o meno”. Quando sono sceso dall’aereo c’erano tantissimi giornalisti e ho chiesto all’ufficio stampa della Roma: “Non ho ancora firmato, perché c’è tutta questa gente con le telecamere che si aspetta che dica qualcosa sulla Roma?”. E mi ha risposto che l’Italia va pazza per il calcio, quindi sarei dovuto essere pronto per queste cose. Forse ora la storia non è così divertente ma comunque ti dice molto: ero in una situazione in cui io stesso non sapevo se avrei firmato o meno con la Roma, ma tutti già lo davano per scontato.

In che modo la tua famiglia ti sprona ad essere più motivato?
Anche prima di sposarmi avevo la famiglia che mi motivava, mia madre mia sorella, ma anche mio cugino, i miei amici. Io gioco a calcio per me stesso ma voglio che anche loro siano felici. Se gioco bene significa che staranno bene anche loro. Il livello successivo è stato quando mi sono sposato ed è nato mio figlio. Ogni volta che vado agli allenamenti penso a loro. Sfortunatamente non ho ancora giocato una partita dalla sua nascita, ma spero che presto ci saranno altre gare. Durante gli allenamenti penso sempre a loro, penso ad allenarmi e a giocare con più impegno.

Impossibile evitare l’argomento della buona cucina…
Quando ho iniziato ad assaggiare il cibo qui, in tanti ristoranti ho pensato: “Oh mio Dio”. In tutto l’anno che ho passato qui ho provato un sacco di cose e tutto ciò che ho assaggiato è stato fantastico. Certamente anche questo può spronarti, perché ti dici che ti sei allenato e hai giocato e poi puoi goderti la vita in Italia.

Qual è il tuo prossimo obiettivo nel calcio a livello personale? 
Ho già ottenuto molto, ma per me quello è il passato. Voglio di più per l’anno prossimo, non mi restano molti anni in carriera ma sono sicuro che sto facendo del mio meglio per raggiungere i miei obiettivi. Alla fine dalla tua carriera tutti penseranno a cosa hai fatto per le squadre, cosa hai vinto, come hai giocato… Quindi per me è molto importante lasciare un ricordo positivo: vincere qualcosa, un titolo, fare qualcosa di buono per la squadra.

C’è qualche gergo particolare per il calcio italiano? 
L’italiano è una lingua splendida e quando ero giovane avevo l’obiettivo di impararla, ora ho questa opportunità. Grazie a Dio sto andando bene, anche gli altri sono soddisfatti del mio italiano e ho già fatto delle interviste. In più è molto più facile parlare con i compagni perché non ti servono frasi lunghe, dici solo un paio di parole. Non è facile, ma credo che il modo in cui mi sono dedicato allo studio dell’italiano sia ottimo, anche grazie alle persone che mi hanno aiutato.

Serj Tankian pubblichera un Ep di musica scritta per i System of a Down (Radiofreccia.it 15.05.20)

Il frontman dei SOAD ha intenzione di pubblicare a suo nome alcune canzoni pensate per la band

Anche se i System Of A Down sono ormai discograficamente congelati da molti anni, il cantante della band Serj Tankian ha intenzione di pubblicare un EP di musica inizialmente pensata per la band. A rivelarlo è l’artista di origini armene in un’intervista con SPIN nella quale ha parlato di un EP di canzoni rock, recentemente Tankian si è dedicato anche a musica folk del suo paese, che vorrebbe far uscire a suo nome:

“Inizialmente avevo queste canzoni in mente per un disco dei System, se mai fossimo riusciti a farne di nuovo uno. Ma, visto che non possiamo davvero guardarci negli occhi e metterci d’accordo su come andare in quella direzione, ho deciso di finirle per conto mio e pubblicarle come EP”.

“Elasticity”

Sul perché queste canzoni siano così vicine alla musica dei SOAD, Tankian ha detto. ” Ho sempre avuto delle tracce rock sparse fatte in varie occasioni. Un giorno il progetto giusto, l’idea giusta per poterle pubblicare arriveranno. Hanno tutte le tastiere, che è un po’ diverso dalle canzoni fatte da una band di quattro persone come i System, nonostante anche noi abbiamo fatto uso di synth. C’è del materiale che è davvero duro, pesante, c’è qualcosa di divertente e anche una canzone dedicata a mio figlio. Hanno a che fare con la diversità di espressione: politica e non politica. Immagino ci sia sempre stato qualcosa di mio in tutto. Penso che chiamerà il disco ‘Elasticity’ solo perché avrei voluto farlo con i System ma non è successo. Per me non è ‘Toxicity’ ma lo è, ecco perché probabilmente lo chiamerò così. Non l’ho ancora finito ma è così che vorrei chiamarlo. Probabilmente lo pubblicherò nei prossimi mesi dell’anno”.

Lo stop dei System Of A Down

Pur continuando a suonare insieme dal vivo, si sarebbero dovuti esibire anche il prossimo mese a Milano con i Korn, i System Of A Down sono discograficamente fermi al 2005, anno in cui pubblicarono ben due album: “Mezmerize” “Hypnotize”. Le divergenze artistiche e le tensioni tra tutti i membri, specialmente ta Tankian e il chitarrista Daron Malakian, hanno fatto diventare sempre più complicata di un nuovo lavoro con la firma dei SOAD. Tankian aveva scritto nel 2018 che la responsabilità era di Malakian, colpevole di voler imporre la sua visione artistica, di voler avere il controllo totale sulla band e anche più soldi. Pochi mesi fa, il cantante della band si è dichiarato favorevole a pubblicare degli inediti dei System Of A down, esprimendo però dubbi che gli altri membri potessero essere d’accordo.

Hayastane

Da sempre impegnato sul fronte politico e specialmente a supporto del popolo Armeno, Tankian ha pubblicato poche settimane fa un nuovo brano in occasione della giornata che ricorda il genocidi degli Armeni. Il brano, che si chiama ‘Hayastane’, è stato scritto con il polistrumentista Mako Seyranyan e con i versi del Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan. Gli incassi del brano sono stati devoluti alla fondazione armena My Step Foundation, un’associazione benefica che cerca di portare avanti molte iniziative all’interno del territorio armeno per aiutare le persone bisognose, come anche tutti quelli colpiti dalla crisi causata dal coronavirus.

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Erdogan: le “lobby”armena e greca cospirano contro i turchi anche nel tempo della pandemia (Agenziafides 15.05.20)

Ankara (Agenzia Fides) – Il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan continua a utilizzare i periodici interventi dedicati alla crisi da Covid-19 per denunciare forze e attori geopolitici che a suo giudizio, in questa situazione di emergenza, perseguono piani per indebolire la Turchia. Nel suo intervento di domenica 11 maggio, tra le realtà prese di mira da Erdogan come ispiratrici di ostilità anti-turca sono comparse anche quelle che lui ha definito come “lobby armena” e “lobby greca”. «Siamo decisi a rafforzare l’Alleanza della Repubblica» ha detto il Presidente turco «considerando come dettagli trascurabili tutte le cose che non sono la Nazione e il Paese. Le parti che sono scontente e che puntano a sabotare con i loro attacchi i propositi della Turchia, non riusciranno a fermare questa marcia sacra. Noi – ha aggiunto il capo di Stato turco – non lasceremo spazio al FETÖ (acronimo con cui gli organi turchi filo-governativi indicano la rete di Hizmet del predicatore musulmano Fethullah Gulen , indicato dal governo turco come il grande regista del tentato golpe del 15 luglio 2016, ndr), il PKK o alle lobby armene e greche, o ai centri ostili con base nei Paesi del Golfo. Noi continueremo a deludere coloro che pensano di metterci all’angolo, di bloccarci e incatenarci distruggendo la nostra economia per mezzo delle istituzioni finanziarie straniere».
La domenica precedente, durante un analogo incontro di aggiornamento sulle misure prese per fermare il contagio da coronavirus, Erdogan aveva dichiarato che le autorità turche bloccheranno le azioni dei terroristi «scampati alla spada» ma ancora attivi nel Paese. L’espressione “scampati alla spada”, di ascendenza biblica, nella versione turca (kiliç artiği) viene ancora comunemente utilizzata come un insulto riferito ai sopravvissuti dei massacri pianificati che alla fine dell’impero ottomano colpirono greci, cristiani siriaci e soprattutto armeni. «Nel suo discorso disgustoso» ha scritto sul suo profilo facebook Garo Paylan, deputato armeno nel Parlamento turco «Erdogan ha usato ancora una volta l’espressione «gli scampati alla spada». Quella definizione è stata formulata per riferirsi agli rfdano come mia nonna, sopravvissuti al Genocidio armeno [1915]. Ogni volta che sentiamo quella frase, le ferite tornano a sanguinare». (GV) (Agenzia Fides 15/5/2020)

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Turchia: il silenzio della pietra (Osservatorio Balcani e Caucaso 13.05.20)

In questi anni solo la letteratura è stata in grado di scavare nell’antro rimosso della nazione turca. Lo fa anche Filiz Özdem, nel suo Il Silenzio della Pietra, indagando nell’animo di una donna, Sude

13/05/2020 –  Francesco Marilungo

Chiuso dentro un silenzio duro come una roccia, c’è un segreto, un arcano che riguarda l’esistenza di Sude. Quel silenzio duro e inaccessibile va lavorato ai fianchi, scavato a forza di parole, di metafore, di immagini, di domande. Al fondo, nel cuore di quella pietra c’è l’anello della catena che non tiene, lo scartamento improvviso della storia che rende possibile il presente così com’è adesso. Dentro quella pietra di silenzio di Sude, una giovane stilista turca che vive a Istanbul, c’è scritto: io sono armena.

Non è una verità come le altre; scoprire di essere armeni in Turchia vuol dire fare i conti con il doppio, il perturbante che alloggia dentro sé stessi. Sude riconosce questo doppio dentro di sé, o più che altro lo sente parlare il linguaggio della paura (il titolo originale del libro tradotto alla lettera sarebbe: La paura è la mia padrona – Korku benim sahibim). È una paura che confonde i pensieri, che li avvolge in metafore spesso accartocciate, in elenchi che giustappongono, in immagini che sembrano alludere a qualcosa che si trova oltre. La scrittura, la voce di Sude, va e viene su vari livelli temporali, torna nel passato, nella casa dei nonni, poi di nuovo rincontra il presente e ne spreme tutta l’angoscia. Un’angoscia che spinge a cercare, a chiedere, a rifiutare il silenzio di pietra che la famiglia ha scelto di imporre su quel passato inconfessabile: essere armeni; sopravvissuti al genocidio, convertiti, “travestiti”, in un certo senso, da turchi per tutte le generazioni a venire.

Come molti storici e studiosi hanno sottolineato, ci sono due grandi rimossi che sorreggono l’impalcatura della narrazione nazionale turca: la questione curda e il genocidio armeno. Quelli sono i due tasselli di silenzio che reggono tutto il mosaico nazionale: tolti quei due il disegno crolla. Dagli anni ’90 la questione armena, degli armeni convertitisi per sfuggire alle deportazioni soprattutto, ha assunto una certa rilevanza nella letteratura turca: citiamo solamente – perché disponibili in italiano – La bastarda di Istanbul di Elif Shafak (BUR, 2012) e Heranush, mia nonna di Fethiye Çetin (Alet, 2011). In questi ultimi anni la letteratura è stata capace di scavare nella memoria per andare a visitare quell’antro rimosso, quell’oscuro capitolo. Sullo stesso filone si colloca dunque questo Il silenzio della pietra uscito in Turchia nel 2007. Oltre a questo libro l’autrice ha firmato numerosi libri per bambini e guide di viaggio, nonché le traduzioni in turco di molti importanti scrittori italiani fra cui Calvino, Pasolini, Rodari.

Lo pubblica in Italia la barese Stilo Editrice, all’interno della interessante collana Limina, dedicata agli spazi di confine e di conflitto dell’Europa, ai bordi, geografici e storici.

La scrittura di questo breve libro ha la persistenza della goccia che vuole scavare la roccia, è ricca di immagini, densa, segue il filo di un ragionare emotivo che si muove negli spazi temporali capricciosamente. La ricerca della propria identità culturale e religiosa confina anche, pericolosamente, con la ricerca della propria identità psicologica, relazionale, erotica. Il mistero che la famiglia di Sude cela, somiglia al mistero che ognuno cela in sé, a quel cuore di pietra che si solidifica attorno a una ferita, al trauma, al dolore di qualcosa che non si è riusciti a spiegare o non si è voluto accettare, né perdonare.

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Il patriarca Bartolomeo, il rabbino, alcuni armeni accusati di sostenere ‘l’arci-terrorista’ Fethullah Gülen (Asianews 12.05.20)

Istanbul (AsiaNews) – Il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo; il rabbino capo di Istanbul, Isahak Kahleva; alcuni membri della comunità armena sono additati come collaboratori del movimento di Fethullah Gülen, l’imam che vive rifugiato negli Stati Uniti dal 1999, inviso al governo di Recep Tayyip Erdogan.

L’accusa è contenuta in un’edizione speciale di 176 pagine della rivista turca islamista   “Gerçek Hayat”, che appartiene al gruppo editoriale del quotidiano filogovernativo  “Yeni Safak”,  di proprietà della famiglia a cui appartiene il genero del presidente turco.

Nell’ inserto dell’edizione speciale, intitolato “Feto”, si sviluppa la lunga storia del movimento di Fethullah Gülen, definito “arci-terrorista”, e si prendono di mira le minoranze religiose in Turchia e i  loro capi, accusati perfino di avere sostenuto il fallito colpo di stato del 16 Luglio del 2016 contro il presidente Erdogan.

Oltre al patriarca Bartolomeo e al rabbino Isahak Kahleva, nella pubblicazione vengono menzionati e presi di mira anche il papa Giovanni Paolo II, l’ex patriarca armeno di Turchia Snork Kaloustian, nonché Hillary Clinton e politici turchi già defunti, come Ismet Inonu, Bulent Ecevit, Suleyman Demirel.

Immediate le reazioni del Fanar e della comunità ebraica di Istanbul. Nel suo comunicato, il Patriarcato ecumenico afferma che le informazioni riportate nella rivista, che hanno come bersaglio i leader e i membri delle minoranze religiose, “sono del tutto false e tendenziose”.

“La diffusione di queste notizie – continua il comunicato patriarcale – provocano irrequietezze e disagi tra cristiani, ebrei e musulmani e sono particolarmente gravi e irresponsabili, perché minano l’unità del nostro popolo”.

Purtroppo, continua il comunicato del Fanar, “informazioni del genere sono estremamente pericolose e potrebbero essere causa di pericolosi atti di razzismo e intolleranza. Lo stesso patriarca ecumenico Bartolomeo si sente molto amareggiato e risentito per le accuse che gli sono state rivolte, malgrado il suo impegno profuso per il bene del nostro Paese”.

“Pertanto – conclude il comunicato – siamo convinti che le competenti autorità turche faranno il dovuto”.

La comunità ebraica turca di Istanbul è intervenuta con un post sul suo account di Twitter, affermando: “Condanniamo la discriminazione e la provocazione causate da queste pubblicazioni, con accuse prive di fondamento contro il nostro rabbino capo. Queste pubblicazioni di odio stanno danneggiando la Turchia. Da parte nostra, speriamo in un immediato ripristino della verità contro queste pubblicazioni di odio – attraverso la corretta informazione e le vie legali – in quanto influenzano la nostra Turchia, di cui siamo parte integrante”.

Atti e campagne di disinformazione sono avvenuti assai di frequente nella storia della Turchia, sia ottomana che repubblicana. Secondo Mihail Vassiliadis, direttore dello storico giornale turco in lingua greca, “Apgevmatini”, sta emergendo però un fatto nuovo: per la prima volta le minoranze non musulmane si sono espresse e hanno protestato in modo aperto, facendo capire che non accetteranno dei soprusi come in passato.

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Nagorno Karabakh, diatriba infinita. Le precisazioni dell’ex ambasciatore d’Italia in Armenia, Scapini (unmondoditaliani.com 11.05.20)

Nagorno-Karabakh, una regione senza sbocco sul mare, sita strategicamente nel Caucaso meridionale, l’antica, millenaria provincia armena di Artsakh è al centro di una annosa diatriba di natura politico-militare ed economico-culturale tra Repubblica Armena e Repubblica dell’Azerbaigian. Elezioni contestate, quelle che si sono svolte di recente, in piena pandemia Covid, e che hanno visto il trionfo del leader di Libera patria, Harutyunyan. L’articolo pubblicato da Un Mondo d’Italiani, a firma di Domenico Letizia, (LEGGI QUI L’ARTICOLO COMPLETO) ha suscitato l’intervento di Bruno Scapini, già Ambasciatore d’Italia, Presidente Onorario e Consulente Generale Ass.ne Italo-armena per il Commercio e l’Industria. Scapini si è detto indignato per la “faziosità” dell’articolo, riferendo di aver letto con “orrore negli occhi” la notizia delle  elezioni nel Nagorno Karabakh.

Nagorno Karabakh, diatriba infinita e travagliata

“Non è mia intenzione – precisa Scapini – in questa sede rispolverare libri di Storia, né la memoria anche recente di fatti occorsi alla travagliata esistenza della Repubblica di Armenia, ma il senso etico, oltre che quello della spassionata obiettività, mi spinge a denunciare il contenuto di quell’articolo scritto in totale dispregio di qualsiasi verità. Presentare fatti in una prospettiva distorta, quasi di svendita ideologica al nemico, travisando la realtà e capovolgendo gli indici dei valori umani e democratici, non è buon giornalismo, mi creda!  E’ quello che traspare dalle righe dell’articolista un atteggiamento negazionista della verità. Sappiamo bene il tipo di regime che regna a Baku e la sua deprecabile azione di propaganda che svolge all’estero (anche nel nostro Paese!).”

Osservare la storia

“Può forse trascinare dalla propria parte qualche lettore sprovveduto – prosegue l’ex ambasciatore –  ma non certo ingannare chi conoscendo fatti e situazioni si pone nella prospettiva di osservare la Storia secondo criteri a-valutativi di stretta adesione alla concreta realtà storica e fattuale. Suggerirei all’articolista, pertanto, un approfondito esame su quanto risulta sul Nagorno Karabakh nella normativa ex-sovietica sulla secessione degli Stati e delle entità sub-statuali, come anche uno studio sul Diritto Internazionale e sulla condotta degli Stati su territori su cui esercita la sovranità dopo un conflitto bellico, e infine una riflessione sui grandi principi UNIVERSALI delle Nazioni Unite (più che chiamare in causa quelli a finalità eminentemente politica e regionale della CSCE) tra i quali quello dell’auto-determinazione dei popoli.”

Liberi dalla schiavitù

Scapini aggiunge che quello dell’auto-determinazione è “un principio grandioso che dovrebbe veramente prevalere nella coscienza dei singoli e dei Governi, quale irrinunciabile conquista dell’Umanità tutta! Gli uomini hanno lottato per secoli per ottenerlo! Ed è proprio grazie a questo principio delle Nazioni Unite che il mondo del dopo-guerra si è liberato della schiavitù imposta dal colonialismo delle Nazioni e continua ancor oggi a liberarsi, dove può, dalla oppressione delle tante dittature ancora esistenti. Dunque, una riflessione è d’uopo da parte del Suo Giornale. Un consiglio che mi permetto di suggerire avendo conosciuto certe realtà sia come ex Capo del Dipartimento degli Italiani nel Mondo, sia come ex Ambasciatore d’Italia in Armenia. Con distinti saluti, Bruno Scapini”

Nagorno Karabakh, diatriba infinita e possibilità di replica

Nagorno Karabakh, diatriba infinita e motivata da interessi economici innanzitutto. La ragione, come sappiamo, non sta mai tutta da una parte e che le valutazioni dell’articolista trovano riscontro in diverse notizie stampa. Un Mondo d’Italiani non si schiera dall’una o dall’altra parte, ma offre la possibilità di replica perché è questo il fondamento della democrazia. Pubblicheremo le diverse visioni e le opinioni più svariate sulla questione, di modo che il lettore possa farsi una opinione propria dopo aver letto entrambe le posizione. Quello che è considerato il giardino nero, per la ricchezza di petrolio resta una terra nevralgica nella scacchiera politica internazionale.

Nagorno Karabakh, diatriba infinita per una guerra congelata

Una diatriba infinita, quella di Nagorno Karabakh, una guerra congelata, un tempo sospeso nella storia. Ricordiamo infine che l’articolista che ha firmato il pezzo contestato, Domenico Letizia, è giornalista (scrive per il quotidiano “L’Opinione”, per il mensile Il “Previdente“, il quotidiano “Nuovo Corriere Nazionale“, il quotidiano “Cronache di Napoli“, il quotidiano economico finanziario “Money.it”,  componete di Redazione della Rivista “Notizie Geopolitiche”, del mensile “Periodico Italiano Magazine” e della Rivista di Geopolitica e Affari Internazionali “Atlantis”)

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Papa Francesco al telefono con il Primo Ministro di Armenia (Acistampa 09.05.20)

Papa Francesco al telefono con il Primo Ministro di Armenia

L’8 maggio, Papa Francesco ha avuto una conversazione telefonica con il primo ministro di Armenia Nikol Pashinyan. Il Primo Ministro ha ringraziato la Santa Sede e Papa Francesco per gli sforzi fatti per alleviare l’impatto socio-economico del COVID 19 e per aver fornito assistenza ai gruppi vulnerabili. Il primo ministro ha presentato al Papa il modo in cui il governo sta affrontando il tema della pandemia.

Secondo un comunicato del governo armeno, “entrambe le parti hanno espresso l’importanza di promuovere una cultura della pace tra i popoli del mondo, e di mantenere la pace e portare avanti i passi per il disarmo”.

Il premier ha sottolineato di aver apprezzato il richiamo per un cessate il fuoco globale, lanciato dal segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres e rilanciato da Papa Francesco. Al proposito, il primo ministro ha riaffermato “l’impegno dell’Armenia per una pacifica sistemazione del conflitto in Nagorno Karabch” .

Papa Francesco ha notato anche con grande soddisfazione le relazioni fraterne e i solidi legami tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa Apostolica Armena. I due interlocutori hanno anche sottolineato il ruolo giocato dalla comunità cattolica armena nella vita del popolo armeno, ed entrambi si sono detti pronti a rafforzare le relazioni.

Papa Francesco ha visitato l’Armenia dal 24 al 26 giugno 2016.

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Il Premier Pashinyan chiama Papa Francesco: pieno sostegno al “cessate il fuoco globale” (Agenzia Fides 09.05.20)

Erevan (Agenzia Fides) – Pieno e inequivocabile sostegno «all’appello fatto dal Santo Padre per un cessate il fuoco immediato in tutti gli angoli della terra e per l’unità, mentre il mondo è esposto a una minaccia senza precedenti». È questo il messaggio chiave che il Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan ha voluto comunicare a Papa Francesco, in una conversazione telefonica avuta con il Vescovo di Roma nella giornata di venerdì 8 maggio. A dare la notizia del colloquio telefonico con il Papa è stato lo stesso Premier armeno, attraverso il suo profilo twitter. Mezzi d’informazione armeni, come armenpress, nei loro resoconti hanno aggiunto che Pashinyan ha anche ringraziato il Pontefice per le iniziative della Chiesa cattolica volte a mitigare le conseguenze economiche devastanti della pandemia da coronavirus, a vantaggio soprattutto delle fasce più vulnerabili della popolazione. Secondo tali fonti, il Premier Pashinyan ha ribadito l’impegno dell’Armenia per una soluzione pacifica del conflitto sul Nagorno Karabakh (la regione a maggioranza armena sottoposta all’Azerbaigian), mentre il Papa avrebbe «riaffermato la sua posizione sulla questione del Genocidio Armeno».
Il contrasto perdurante tra Armenia e Azerbaigian sul Nagorno Karabakh (vedi Fides 7/4/2016) è uno dei tanti “conflitti a bassa intensità” disseminati per il mondo. La questione delle tensioni etnico-politiche intorno a quella regione è riesplosa al momento della dissoluzione dell’Unione Sovietica. Nel Nagorno Karabakh a maggioranza armena, nel settembre 1991, il Soviet locale, utilizzando la legislazione sovietica dell’epoca, aveva dichiarato la nascita di una nuova Repubblica, dopo che l’Azerbaigian aveva deciso di fuoriuscire dall’Urss. Seguirono un referendum e le elezioni, ma nel gennaio dell’anno seguente la reazione militare azera accese il conflitto che provocò 30mila morti e si concluse con un accordo di cessate il fuoco nel 1993, da allora continuamente violato da attacchi e scaramucce di confine.
A inizio aprile del 2016 si sono registrati tra le forze azere e quelle delle autorità separatiste armene gli scontri più gravi avvenuti nella regione dalla metà degli anni Novanta. Quegli scontri hanno provocato diverse decine di morti, fino ad una tregua firmata martedì 5 aprile 2016. Nella regione è ancora tecnicamente in vigore lo stato di guerra. Le zone di confine tra il Nagorno-Karabakh e l’Azerbaigian rimangono militarizzate in un regime di “cessate il fuoco” spesso violato da entrambe le parti (GV) (Agenzia Fides 9/5/2020)

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