Cultura, venerdì 23 maggio la presentazione del libro “Una famiglia armena” a Palazzo Gambacorti (Comune Pisa 22.05.25)

L’evento, organizzato dall’assessorato alla cultura del Comune di Pisa, fa parte della campagna nazionale di promozione della lettura “Il Maggio dei Libri 2025”

Data:

22/05/2025

  • Comunicato stampa
© Ufficio Stampa – Comune di Pisa

Descrizione

Venerdì 23 maggio, alle ore 17.30 nella Sala Baleari di Palazzo Gambacorti a Pisa si terrà la presentazione del libro “Una famiglia armena” di Laura Ephrikian. La presentazione del libro sarà introdotta dall’intervento dell’assessore alla cultura del Comune di Pisa Filippo Bedini, dal titolo: “Armeni: un genocidio dimenticato.” Sarà presente l’autrice, che nel libro autobiografico narra come, a causa del genocidio subito dal popolo armeno, le vicende familiari furono influenzate profondamente dalle vicende storiche. A dialogare con l’autrice, la giornalista Chiara Cini.

L’evento è stato organizzato dall’assessorato alla cultura del Comune di Pisa e fa parte della campagna nazionale di promozione della lettura “Il Maggio dei Libri 2025” a cui aderisce Pisa, riconosciuta dal Centro per il Libro e la Lettura come “Città che Legge”. L’intero mese di maggio è animato da un ricco cartellone di eventi letterari e presentazioni di libri nelle sedi comunali e presso la Biblioteca SMS.

Cresce l’interesse per l’Armenia, nuovi voli ed eventi in risposta alla domanda (GuidaViaggi 22.05.25)

Cresce l’interesse per l’Armenia. Prova ne è la nuova base WizzAir che, dall’autunno collegherà la capitale con otto nuove destinazioni, tra le quali Napoli (dal 15 ottobre) e Bari (dal 25 ottobre), che si aggiungono alle rotte già operative da Milano Malpensa, Roma Fiumicino e Venezia Marco Polo.

Il calendario di eventi

Intanto il Paese si prepara ad accogliere i viaggiatori con un calendario di eventi che celebrano la sua identità più autentica, tra antiche tradizioni e nuova creatività. Sarà un’estate – e un autunno – di musicasapori, cinema e feste, in risposta a chi cerca un viaggio oltre i percorsi convenzionali.

Dal cuore di Yerevan alle valli vinicole dell’Areni, passando per le montagne del Sud e i laghi d’alta quota, l’Armenia offre esperienze culturali e gastronomiche dove residenti e visitatori si mescolano in un’atmosfera di accoglienza e scoperta.

Tra gli eventi da non perdere, Yerevan Wine Days + Gastronomic Days (6-8 giugno), per l’occasione la capitale si trasforma in una festa dell’enogastronomia. Da una parte, un’enoteca a cielo aperto, dove produttori da tutta l’Armenia propongono i loro vini, accompagnati da street food, musica e performance. Nell’area food, chef locali e internazionali presentano show gastronomici, sessioni di cucina congiunte e masterclass.

Il 28 giugno c’è l’HayBuis Armenian Herb Festival, il festival delle erbe spontanee armene nel villaggio di Yenokavan, nella regione Tavush. Con il Kapan International Music Festival (4-14 luglio) la musica classica incontra le montagne del Sud: un appuntamento che porta artisti internazionali nella città di Kapan. Tutti gli eventi sono pubblicati su: armenia.travel/events.

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L’Ucraina tra l’Azerbaijan e la Russia (Osservatorio Balcani e Caucaso 22.05.25)

Nonostante i reiterati inviti, il presidente azero Ilham Aliyev ha disertato la tradizionale parata del 9 maggio a Mosca: un’assenza che lascia trapelare un certo nervosismo nei rapporti tra Azerbaijan e Russia, soprattutto sulla questione della guerra in Ucraina

22/05/2025 –  Marilisa Lorusso

Alla parata per il 9 maggio sulla Piazza Rossa a Mosca, delle ex repubbliche sovietiche – protagoniste al pari della sconfitta dei regimi nazi-fascisti –  si sono presentate poco più della metà, per la precisione otto, contro sette assenti.

Erano tutti presenti i 5 stan dell’Asia centrale (Kazakhstan, Uzbekistan, Kirghizistan, Turkmenistan, Tagikistan), mentre per quella che era l’Unione Sovietica europea, a parte la Russia c’erano solo il primo ministro armeno e il presidente bielorusso. Presenti i secessionisti di Abkhazia e Ossezia del Sud, assenti Ucraina, Georgia, Moldova (che hanno l’esercito russo sul proprio territorio), i tre Baltici, e dopo un esasperato negoziato, l’Azerbaijan.

Assente quindi Ilham Aliyev, il partner strategico azero. Dal febbraio 2022 Russia e Azerbaijan sono in regime di partnership strategica, firmato il giorno dopo il riconoscimento delle repubbliche separatiste del Donbass da parte di Mosca.

All’epoca Aliyev, primo leader a incontrare Putin nei drammatici giorni che hanno preceduto l’aggressione su larga scala in Ucraina, era rimasto in silenzio, nonostante il riconoscimento azero dell’integrità dell’Ucraina, e la presunta battaglia azera contro il neo-colonialismo degli ex imperi. In verità questa battaglia è declinata contro la Francia più che contro il proprio ex colonizzatore.

Negli ultimi anni però quel silenzio si è rotto più frequentemente, galvanizzato da un contesto diverso, e dalla piena riconquista del Karabakh.

Il Cremlino ha cercato di evitare in ogni modo l’assenza dell’Azerbaijan dalla parata del 9 maggio, inclusa una visita del Patriarca russo Cirillo a Baku il 3 maggio, che si era speso per la causa. “Prima di lasciare Mosca, ho avuto l’opportunità di incontrare Vladimir Vladimirovich”, ha dichiarato Cirillo a colloquio con la leadership azera. “Anche lui ha speso parole molto sincere nei vostri confronti. Mi ha chiesto di portarvi un invito per l’80° anniversario, affinché possiate visitare Mosca per celebrare questa data importante […] della Vittoria sul terribile nemico [nazifascista]”.

Il Capo della Chiesa ortodossa russa ha poi conferito l’Ordine di primo grado della Santa Principessa Olga della Chiesa ortodossa russa alla first lady azera Mehriban Aliyeva, in riconoscimento del suo contributo alla conservazione dei valori tradizionali nella società e alla promozione del dialogo interculturale e interreligioso.

Nonostante le pubbliche insistenze di Mosca, ribadite dal personale diplomatico e dal ministero degli Esteri, il 9 maggio Aliyev e la first lady sono rimasti in Azerbaijan, dove hanno celebrato il 102° anniversario della nascita del leader nazionale Heydar Aliyev, presidente dell’Azerbaijan fino al 2003 e padre dell’attuale, visitando la sua tomba a Baku.

Hanno poi visitato Shusha e Khojaly riconquistate con la seconda guerra del Karabakh, inaugurando diverse strutture chiave, tra cui una moschea a Dashalti, il Centro Benessere e Salute e un complesso residenziale a Shusha, la sottostazione “Khojaly”, un Centro di Controllo Digitale di Azerishig e un complesso zootecnico a Khanabad.

Il 10 maggio, Aliyev ha visitato il distretto di Aghdam per inaugurare un nuovo complesso ferroviario e terminal degli autobus. Questo snodo di trasporto integrato fa parte del progetto ferroviario Barda-Aghdam-Khankendi. Dopo l’inaugurazione, un simbolico treno passeggeri è partito dalla linea ferroviaria Barda-Aghdam, appena completata.

Non c’è occasione in cui Aliyev non rimarchi la grande vittoria azera, sottolineando che è stata una guerra legittima, in linea con il diritto internazionale perché ha riportato all’integrità territoriale dell’Azerbaijan.

La questione ucraina

Sono diversi i capitoli su cui Mosca e Baku sono ai ferri corti, pur mantenendo ufficialmente ottimi rapporti e procedendo con investimenti e scambi a volume sostenuto.

Alcuni di questi capitoli di scontro sono di natura bilaterale, altri sono di natura multilaterale. Fra questi la questione ucraina, che per Mosca è una spina nel fianco.

Aliyev ha recentemente dichiarato  : “In primo luogo, per quanto riguarda la nostra posizione sulla guerra tra Russia e Ucraina, abbiamo sempre sostenuto, sosteniamo e continueremo a sostenere l’integrità territoriale e la sovranità dell’Ucraina. Come Paese che ha sofferto a causa dell’occupazione e del deterioramento della propria integrità territoriale, comprendiamo appieno questa situazione”.

“Tutti dicono: ‘Vogliamo che la guerra cessi immediatamente’. Sì, lo vogliamo anche noi”, ha continuato il presidente azero. “Tuttavia la domanda chiave è come e se questo cessate il fuoco, o un potenziale cessate il fuoco temporaneo, sarà sostenibile. Come paese che ha avuto due guerre attive e un periodo intermedio, posso dirvi che il cessate il fuoco non ferma mai la guerra. Mai, e non si è fermato nel nostro caso. È solo un sollievo temporaneo per i paesi che vogliono riorganizzarsi, mobilitarsi e ricominciare. ”

Frizioni nell’area di conflitto, a distanza

Non sono solo parole. L’Azerbaijan ha sostenuto lo sforzo umanitario dell’Ucraina con numerosi interventi e spedizioni di materiale, da generatori di energia ad assistenza medica a vari beni sia per chi si trova al fronte, sia per i cittadini di Kyiv, sia per gli sfollati in Moldova.

In Ucraina sia l’ambasciata che il consolato azeri sono stati danneggiati dal fuoco russo. L’ambasciata ha subito danni per effetto dell’esplosione  in un vicino palazzo residenziale nella capitale, e sono comparse crepe nei muri, esplosi i vetri delle finestre. Anche l’edificio del Consolato onorario dell’Azerbaijan a Kharkiv è stato danneggiato  .

L’Azerbaijan ha poi fatto rientrare alcuni cittadini azeri spediti illegalmente a combattere in Ucraina per l’esercito russo. Lo scorso settembre Baku ha inviato una nota verbale al ministero degli Esteri russo in merito a Nihad Rzayev, Elkhan Shirinov e Vugar Maharramov detenuti in Cecenia per attraversamento illegale del confine e trasferiti con forza nella zona di guerra.

La prassi russa di fare dei prigionieri carne da cannone è ampiamente documentata, ma arruolare forzatamente nel proprio esercito cittadini che sono di un altro paese e che hanno obblighi militari verso il proprio paese è una misura totalmente differente.

E l’Azerbaijan non ha chiuso un occhio in merito. I cittadini azeri sono stati pertanto allontanati dalla zona di guerra e l’Azerbaijan ne ha ottenuto il rimpatrio  .

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Al Candiani la conferenza “L’Armenia di oggi”: l’intervento della presidente del Consiglio comunale Damiano (Comune venezia 21.05.25)

l Centro Culturale Candiani ha ospitato questo pomeriggio la conferenza “L’Armenia di oggi”, appuntamento inserito nel palinsesto di iniziative nell’ambito delle celebrazioni della Giornata del ricordo del genocidio armeno. Promosso dall’Associazione Civica Lido e Pellestrina, in collaborazione con il Circolo Veneto, l’incontro si è aperto con l’intervento della presidente del Consiglio comunale, Ermelinda Damiano.

“Nel 2022, a completamento degli importanti percorsi della Memoria che il Comune di Venezia promuove e coordina da molti anni – ha ricordato Damiano – si è deciso di concerto con la Comunità Armena d’Italia, Ca’ Foscari e l’Associazione civica Lido Pellestrina di istituire nella nostra Città una Giornata in ricordo del Genocidio Armeno attraverso una serie di iniziative che costituiscono un momento di riflessione rivolto alla cittadinanza, in particolare alle nuove generazioni, su quello che possiamo definire il primo Genocidio del XX secolo. Negli anni il programma si è arricchito di iniziative e abbiamo visto nascere nuove collaborazioni anche in terraferma. L’appuntamento di oggi ne è un esempio virtuoso e ringrazio per questo il Circolo Veneto per aver accolto, supportato e promosso insieme a noi questa iniziativa che diventa un’ulteriore momento di conoscenza e approfondimento che lega il passato al presente”.

Nel corso della conferenza, introdotta dalla presidente dell’Associazione Civica Lido e Pellestrina, Germana Daneluzzi, è stato ribadito il profondo legame tra Venezia e il popolo armeno. Riflessione condivisa tra i relatori che si sono alternati nel corso del dibattito, tra questi il presidente Unione Armeni d’Italia, Baykar Sivazliyan, e i docenti di Lingua e Letteratura armena del Dipartimento di Studi sull’Asia e sull’Africa Mediterranea dell’Università Cà Foscari Venezia: Aldo Ferrari e Sona Haroutyunian.

“Ricordo che il popolo armeno vede nella nostra Città una presenza antica, profonda e significativa sin dai tempi della Serenissima, testimoniata da luoghi importanti come l’Isola di San Lazzaro e la Chiesa di Santa Croce ma anche dalla presenza di armeni a Venezia” ha confermato Damiano, ringraziando il presidente del Circolo Veneto Cesare Campa per il momento di dibattito. “Il percorso armeno – ha concluso la presidente del Consiglio comunale – rappresenta un modo per ripercorrere e commemorare il dramma che ha vissuto questo popolo ma soprattutto per suggellare il millenario legame con la nostra città, valorizzando la straordinaria storia, cultura e vitalità degli armeni. Da Venezia, lanciamo ancora una volta un forte messaggio di pace, libertà, rispetto e dialogo tra i popoli, in un contesto storico molto complesso che vede oltre 56 conflitti armati nel mondo. Un messaggio più attuale che mai”.

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I ribelli del Mussa Dagh (Gariwo 21.05.25)

I famosi quaranta giorni sul monte Mussa Dagh (letteralmente la montagna di Mosè) sono il reale avvenimento storico da cui Fulvia Degl’Innocenti si lascia ispirare per raccontare la storia di come cinquemila armeni riuscirono a salvarsi miracolosamente: non fu merito dell’eroismo di un singolo, ma il risultato dell’unione e della forza di un popolo che ha saputo resistere alla minaccia turca. Ogni membro della comunità a suo modo, con le proprie doti e capacità, è stato determinante per evitare che sette villaggi armeni cadessero vittima delle atrocità, già toccate agli abitanti di diverse regioni sotto il controllo dell’impero ottomano: testimonianze e racconti parlano di violenze, esecuzioni pubbliche, deportazioni e marce della morte. 

Alle loro spalle, il grande e imponente Mussa Dagh, massiccio montuoso di cui conoscono ogni pendio e parete rocciosa, e che avrebbe offerto loro la possibilità di accamparsi e sfruttarne la conformazione per pianificare una difesa strategica. I ribelli del Mussa Dagh è un racconto di coraggio e attaccamento alla vita, un esempio di resistenza di un popolo che, con orgoglio, ha voluto esistere come comunità, lingua e nazione.

1915, villaggio rurale di Yoghon Olouk, nell’Anatolia occidentale: qui abita il giovane Narek, insieme alla famiglia composta da altri quattro, tra fratelli e sorelle. Non avendo la possibilità di mandare a scuola tutti i figli, la famiglia decide che Narek, il maggiore, sarebbe stato il “prescelto”, colui che si sarebbe costruito un futuro diverso da quello destinato ad una famiglia di contadini, come la loro.
Si trasferisce ad Antiochia e comincia la sua brillante carriera scolastica, ma dopo solo pochi mesi inizia a cambiare qualcosa. I compagni di classe diventano più schivi e diffidenti, mettendo in atto piccoli episodi di scherno e prevaricazione. Narek è confuso, non capisce cosa sta succedendo e si confronta con il cugino maggiore Avedis; non si capacita della crescente ostilità che serpeggia nella popolazione turca contro la comunità armena. «Gli armeni sono sotto il mirino dei Giovani Turchi, il movimento politico che è al potere. Ci accusano di essere dei traditori perchè sul fronte russo ci sarebbero, secondo loro, truppe armene a fianco del nemico. Io però penso che sia solo una scusa. Un riaprirsi di vecchie ostilità» spiega Avedis «l’impero ottomano aveva già preso di mira noi armeni nel 1895. I massacri andarono avanti per due anni, partendo dall’Anatolia per poi diffondersi nel resto del Paese. Villaggi bruciati, decine di migliaia di morti, tra cui anche donne e bambini. I musulmani non hanno mai tollerato la presenza nel loro territorio di un popolo cristiano». La necessità di credere che i tempi fossero cambiati e che l’avvento di telegrafi, stampa e rappresentanti di potenze straniere in Turchia potessero evitare che si verificassero nuovi massacri, non sono sufficienti a prevedere e impedire quello che poi (a fatica e a distanza di molti anni) verrà riconosciuto come l’inizio di un effettivo genocidio.

In un clima di crescente ostilità, Narek viene espulso dalla scuola ed è costretto a tornare al villaggio; sono giornate lente e monotone per il giovane, abituato alla vita di città, tra studi e pomeriggi trascorsi a dipingere, sognando un giorno la carriera artistica. Ma anche a Yoghon Olouk non tardano ad arrivare i racconti dell’orrore turco: uomini strappati dalle loro case, donne e bambini costretti a marciare senza cibo né acqua, con il solo scopo di portarli alla morte per stenti.

I capifamiglia di tutti i villaggi dell’area si radunano e la decisione è pressoché unanime: l’unica soluzione possibile è l’immediata evacuazione verso le pendici del Mussa Dagh.
E’ il primo agosto quando partono in vista delle montagne, dove si insediano realizzando un vero e proprio villaggio nascosto: ogni famiglia costruisce una piccola baracca di legno e rudimentali murature; viene strutturata una cucina comune, dove le donne preparano da mangiare per tutti; si organizzano turni di guardia e di combattenti armati, pronti a fronteggiare eventuali attacchi nemici.

Restano asserragliati tra le montagne per circa quaranta giorni, difendendosi dalle incursioni turche e dalla penuria di acqua e cibo. Contano dei feriti, a volte anche dei morti; ma ognuno dà il proprio prezioso contributo. Narek e i suoi amici fremono per poter far parte del gruppo di combattenti: un “giocare alla guerra” che da passatempo scherzato sulle sponde del fiume, diventa una vera e propria resistenza, in cui si rischia davvero la vita. Anche i più piccoli partecipano, con una nuova versione del “telefono senza fili”, dove a viaggiare sono i messaggi trasmessi dai combattenti al fronte, attraverso la fitta boscaglia, fino al villaggio.

La luce della speranza arriva dal mare, con l’avvistamento di una nave alleata francese: nel giro di pochi giorni, viene attuata la fuga degli armeni nascosti che, sotto il frastuono dei colpi di cannone contro l’ultimo disperato attacco dei turchi, porta il giovane Narek a salpare verso l’Egitto, salutando una terra, la sua terra, che non avrebbe rivisto mai più.

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Il volto accademico della propaganda azera in Italia (Assadakah 21.05.25)

Letizia Leonardi (Assadakah News) – Negli ultimi anni, un fenomeno silenzioso ma pervasivo si è insinuato nelle aule universitarie e nelle colonne dell’informazione italiana: una narrativa filo-azera costruita con precisione e veicolata da accademici, pubblicisti e think tank ben inseriti nei circuiti istituzionali. Non si tratta solo di opinioni controverse o di analisi di parte: parliamo di una strategia strutturata, spesso mascherata da ricerca accademica, che ripropone parola per parola i messaggi del regime di Baku.

Convegni, riviste giuridiche, collaborazioni internazionali e perfino eventi ospitati in sedi ecclesiastiche di prestigio sono oggi teatro di una battaglia invisibile: quella per riscrivere la storia del Caucaso e legittimare l’azione azera, a scapito della memoria armena e della verità storica. Un’indagine tra le pieghe del mondo universitario italiano svela nomi, connessioni, responsabilità.

E solleva una domanda urgente: quando la cattedra diventa cassa di risonanza della propaganda, chi tutela il valore della conoscenza? Negli ultimi anni si è consolidata in Italia una fitta rete di contatti, pubblicazioni e convegni che, pur presentandosi come iniziative accademiche o culturali, replicano in modo quasi speculare la propaganda ufficiale dell’Azerbaijan. Un fenomeno che si è intensificato soprattutto dopo la guerra del 2020 nel Nagorno-Karabakh, ma le cui radici affondano più lontano, nel terreno fertile della caviar diplomacy, la diplomazia delle lusinghe e delle relazioni dorate.

Non si tratta più solo di comunicati ufficiali e ambasciate: la penetrazione si è fatta sistemica, sottile, accademicamente travestita. In questo quadro emerge Pietro Longo, professore associato dell’Università di Napoli L’Orientale, che è arrivato a ricoprire il ruolo di direttore di ricerca del Topchubashov Center, think tank con sede a Baku noto per la sua vicinanza al regime di Ilham Aliyev. Longo ha partecipato a numerose iniziative pubbliche e conferenze organizzate in Azerbaijan e finanziate da istituzioni locali, spesso senza esplicitare la natura politica degli enti ospitanti.

Nel panorama dei sostenitori più assidui della narrativa azera si inserisce anche Emanuele Schibotto, editorialista ed esperto di geopolitica, che ha collaborato con la rivista “Il Nodo di Gordio” e che, nel tempo, ha costruito un discorso centrato sulla “modernizzazione” azera, evitando sistematicamente ogni riferimento alla censura, alla repressione del dissenso e al problema dei prigionieri di guerra armeni detenuti illegalmente.

Alcune riviste accademiche italiane hanno pubblicato testi a senso unico, in cui l’Azerbaijan è dipinto come paese modello. Nel 2022, la rivista giuridica dell’Università Roma Tre ha ospitato un articolo che negava la storicità della presenza armena nel Nagorno-Karabakh, attribuendo i monasteri medievali armeni a un’ipotetica “Albania caucasica”, una teoria cara alla propaganda azera e priva di riscontri seri nella comunità accademica internazionale.

L’operazione culturale si estende anche all’organizzazione di convegni: a Roma, Milano, Napoli, sono state ospitate conferenze che, sotto l’apparente neutralità accademica, hanno di fatto offerto una piattaforma alla visione revisionista dell’Azerbaijan. In questi eventi, a volte patrocinati da enti universitari, non viene mai dato spazio alla controparte armena. L’obiettivo è chiaro: riscrivere la storia, legittimare l’occupazione e presentare l’Azerbaijan come paese aperto, tollerante, persino cristiano, facendo leva su resti archeologici albanesi che Baku ora presenta come propria eredità cristiana.

Accanto ai nomi più noti, emergono anche figure come Valentina Chabert e Daniel Pommier Vincelli, che rappresentano un tassello fondamentale nella tessitura di questa rete accademica filo-azera in Italia.

Valentina Chabert, dottoranda presso l’Università La Sapienza e caporedattrice della rivista italiana Opinio Juris – Law & Politics Review , è stata criticata per aver sostenuto il controverso concetto di Azerbaijan occidentale, riferito al territorio della Repubblica d’Armenia in occasione di eventi organizzati dall’Azerbaijan. La sua presenza non è mai casuale: si inserisce infatti in un circuito che mira a legittimare la narrativa ufficiale azera attraverso una veste di rigore accademico. Partecipazioni come il Forum “Karabakh” e altre iniziative che, sotto il velo di un dialogo culturale, nascondono la volontà di riscrivere la storia del Caucaso, minimizzando o negando la presenza armena nella regione.

Daniel Pommier Vincelli, professore associato di Relazioni Internazionali presso l’Università ADA in Azerbaijan, autore di importanti pubblicazioni sulla storia e le relazioni internazionali azere, contribuisce a una rappresentazione del Paese spesso orientata verso una visione positiva e propositiva, che trascura sistematicamente i numerosi rapporti e documenti internazionali che denunciano violazioni dei diritti umani e distruzione del patrimonio armeno. Le sue opere, pur rigorose nella forma, finiscono per rafforzare il discorso politico di Baku, agendo come una sorta di megafono accademico della “diplomazia del caviale”.

In questo intreccio di nomi, eventi e pubblicazioni, si delinea una strategia precisa: l’accademia, invece di essere il luogo della ricerca libera e critica, rischia di trasformarsi in un palcoscenico dove si recitano copioni scritti altrove, con conseguenze profonde per la credibilità del sapere e per il rispetto della memoria storica.

Nel frattempo, chi solleva critiche viene spesso tacciato di “militanza” o accusato di appartenere a una presunta lobby armena. Ma le fonti indipendenti raccontano un’altra storia: rapporti dell’ONU, di Human Rights Watch, di Amnesty International, documentano casi di distruzione deliberata del patrimonio armeno, atti di pulizia etnica e prigionia illegale di civili.

Il rischio, per l’Italia, non è solo quello di essere complice involontaria di una campagna di disinformazione. È quello, più grave, di perdere credibilità accademica, di trasformare l’università in cassa di risonanza di interessi stranieri, di svendere l’integrità del dibattito culturale in cambio di finanziamenti o visibilità.

In un’epoca in cui la guerra si combatte anche con le parole, con le mappe riscritte e con le identità cancellate, l’indifferenza può diventare corresponsabilità. Tacere, oggi, equivale ad arrendersi.

Tbilisi festeggia il Vardaton, celebrando il poeta dalle mille lingue (Osservatorio Balcani e Caucaso 21.05.25)

Domenica 18 maggio, si è tenuta come consueto la festa annuale dedicata al trovatore e poeta armeno del XVIII secolo, Sayat Nova, vero nome Harutyun Sayatyan, nella Maiden di Tbilisi, nel centro storico della città.

Coabitata da armeni, azerbaijani e yazidi, tra i vari, la Maiden è stata un luogo ideale per ricordare e rendere omaggio a questa icona multiculturale. Sebbene sia venerato soprattutto in Armenia, Sayat Nova nacque a Tbilisi e scrisse ed eseguì poesie e canzoni nella tradizione ashiq, diffusa in tutta la regione, in lingua armena, azerbaijana, georgiana e persiana.

Sebbene sia stato ucciso nell’attuale Armenia, è sepolto nella chiesa armena di San Gevorg a Meidan, a Tbilisi.

La Festa delle Rose, o Vardaton, come è conosciuta, fu istituita nel 1914 e, sebbene attragga solo un piccolo numero di persone ogni anno, principalmente armene, mette in risalto la natura multiculturale della Vecchia Tbilisi. A marzo, la comunità azerbaijana ha celebrato la sua annuale festa del Novruz a pochi minuti di distanza da Meidan, vicino alle terme sulfuree del quartiere.

* Testo 2025, Fotografie 2016 © Onnik James Krikorian

Ad Aliyev mancava solo la scusa delle “radici cristiane” per massacrare gli armeni (Tempi 21.05.25)

È una vergogna, rimando ancora la trattazione del film dedicato a Komitas, il genio musicale del cristianesimo del Novecento: armeno e perciò universale. Ma la realtà mi prende per la gola qui vicino al lago di Sevan, in attesa di probabile (non sono un allegrone, mi rendo conto) deportazione ad opera degli azeri. E questo trasloco forzato – di noi molokani e dei miei e vostri fratelli d’anima armeni – è diventato più probabile dopo un convegno purtroppo propagandistico che l’Università pontificia, la nobilissima Gregoriana, ha proposto con la collaborazione esclusiva (ed escludente) dell’Azerbaigian sull’antica comunità di Albània, che fiorì nelle terre più o meno corrispondenti all’attuale superficie dello Stato governato da Ilham Aliyev. Il popolo si convertì al cristianesimo nei primi secoli del primo millennio grazie alla predicazione di sant’Eliseo.
L’Albània rappresenta per molti versi ancora oggi un mistero. Ma che sia esistita, lasciando tracce della propria fede (prima di rin…

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Armenia, tensioni in aumento (Osservatorio Balcani e Caucaso 20.05.25)

Un’analisi della situazione attuale in Armenia, tra i tentativi di Yerevan di smarcarsi da Mosca e i preparativi per le elezioni del 2026, alle quali il premier Nikol Pashinyan cercherà di rinnovare il proprio mandato. Per il momento, però, i sondaggi non sembrano a suo favore

20/05/2025 –  Onnik James Krikorian

Si intensificano le tensioni in Armenia in vista delle elezioni politiche del 2026. Il primo ministro Nikol Pashinyan si muove in un contesto turbolento, alle prese con le polemiche sulla politica estera del paese, con un calo di consensi e con un’opposizione rinvigorita che, invece di proporre una propria politica credibile, cerca di sfruttare ogni mossa sbagliata del premier.

La posta in gioco è alta e il prossimo anno determinerà non solo il futuro del governo di Pashinyan, ma anche l’evoluzione della giovane e ancora imperfetta democrazia armena.

Il periodo immediatamente precedente alle elezioni amministrative di marzo è stato “caratterizzato da indagini penali, manovre politiche e accuse di corruzione – tattiche a cui probabilmente assisteremo sempre più spesso in vista delle elezioni del 2026”, conclude lo Stockholm Centre for Eastern European Studies. “I tentativi del governo di reprimere le forze di opposizione locale rispecchiano una sua preoccupazione più profonda per l’emergere di veri oppositori a qualsiasi livello”.

Gli sforzi di Pashinyan per normalizzare le relazioni con l’Azerbaijan e con la Turchia con ogni probabilità resteranno in primo piano. Gli oppositori del premier lo accusano di voler tradire gli interessi nazionali, accuse che trovano terreno fertile in un contesto caratterizzato da una recrudescenza della retorica nazionalista e dal disagio dell’opinione pubblica per i rapporti sempre più tesi tra Yerevan e Mosca.

Alcuni recenti sondaggi dimostrano che l’entusiasmo per la tanto lodata virata di Pashinyan verso Occidente è in calo, una virata che potrebbe infatti rivelarsi meramente simbolica. Sembra che l’opinione pubblica sia più incline al pragmatismo che alle narrazioni ideologiche.

Nel frattempo, Pashinyan appare sempre più frustrato, lasciandosi andare a improvvisi scatti d’ira e minacce, come accaduto durante una recente seduta del parlamento. Il premier ha perso la calma, scagliandosi contro i deputati dell’opposizione che hanno accusato il suo partito di corruzione.

Indipendentemente dal fatto che si sia trattato di uno sfogo impulsivo o di un avvertimento deliberato, questo episodio ha rafforzato la percezione, sempre più diffusa, che Pashinyan sia sottoposto a enormi pressioni.

Ad aggravare la situazione, l’aggressione ad un blogger, sostenitore dell’opposizione, da parte di alcuni funzionari filogovernativi di Yerevan, ma anche l’annuncio del governo di voler limitare la libertà di stampa se i mezzi di informazione non riuscissero ad autoregolamentarsi. Crescono le preoccupazioni per la possibilità che le iniziali speranze di riforme democratiche del 2018 sotto la guida di Pashinyan fossero premature. Sono in molti a sostenere che il paese stia retrocedendo.

Un recente sondaggio di MPG/Gallup International, condotto dal 29 aprile al 2 maggio, delinea un quadro cupo sulle prospettive elettorali del partito di governo “Contratto civile”. Solo l’11-11,5% degli intervistati sosterrebbe l’attuale governo se le elezioni si tenessero questo mese.

D’altra parte, circa il 12% appoggia i partiti di opposizione vicini ai due ex presidenti dell’Armenia, Robert Kocharyan e Serzh Sargsyan. Altri partiti minori potrebbero raccogliere attorno al 5% complessivamente. La percentuale di chi è indeciso o intende votare scheda bianca si aggira invece attorno al 28%, oltre il 6% non ha voluto rispondere al sondaggio, mentre oltre il 18% ha detto di avere difficoltà a rispondere, un 5% circa si è detto contrario a tutto e tutti. 

Dal punto di vista geopolitico, l’opinione pubblica armena resta perplessa sul pieno allineamento alle posizioni dell’Occidente. Nonostante gli sforzi di Pashinyan per allontanare Yerevan da Mosca, il 60% degli intervistati vorrebbe ancora che la Russia fosse coinvolta nei negoziati con l’Azerbaijan.

Intanto, il sostegno all’integrazione europea dell’Armenia è sceso dal 51% a gennaio al 37% a maggio. Molti armeni restano cauti sulla possibilità di tagliare i ponti con Mosca, considerando la costante dipendenza del paese dall’energia e dal commercio russi.

Una dipendenza evidenziata dalla decisione di Pashinyan di partecipare alla parata per il Giorno della Vittoria lo scorso 9 maggio a Mosca, nonostante gli avvertimenti dell’UE. Pur avendo probabilmente irritato Bruxelles con questa mossa, se avesse disertato l’evento Pashinyan avrebbe rischiato ulteriori ricadute economiche e diplomatiche nelle relazioni con la Russia. L’Armenia resta intrappolata in una delicata operazione di bilanciamento che potrebbe rivelarsi difficile da gestire a lungo.

Seppur divisi, alcuni deputati dell’opposizione hanno rilanciato la proposta di impeachment di Pashinyan in vista delle elezioni, anche se le probabilità di successo dell’iniziativa restano basse  . Allo stesso tempo, prevale lo scetticismo sulla vittoria di Pashinyan alle politiche del 2026.

Alen Simonyan, presidente dell’Assemblea nazionale armena, è invece ottimista sulla possibilità che il partito “Contratto civile” ottenga oltre il 50% dei voti alle prossime elezioni. Ad ogni modo, è difficile che Pashinyan mantenga il potere assoluto a meno che non vengano introdotte alcune modifiche legislative  .

La sua tanto lodata “agenda di pace” con l’Azerbaijan sta diventando un importante tema elettorale. A marzo, Yerevan e Baku hanno annunciato di aver completato il testo di un accordo di pace atteso da tempo.

Tuttavia, l’Azerbaijan resta fermo sulla sua posizione, affermando che nessun accordo potrà essere siglato fino a quando l’Armenia non modificherà la propria Costituzione e non accetterà di sciogliere il Gruppo di Minsk dell’OSCE. L’UE e gli USA spingono per trovare una soluzione, sperando così di garantire un corridoio commerciale attraverso il Caucaso verso l’Asia centrale, bypassando la Russia.

L’opinione pubblica armena resta scettica: dall’ultimo sondaggio MPG emerge che l’86% degli armeni vorrebbe che il testo dell’accordo di pace venisse reso pubblico prima della firma. Pashinyan ha promesso di farlo, ma solo quando la firma sarà imminente.

Nel frattempo, permane un clima di confusione e divisioni. Se il consenso per l’attuale premier si aggira attorno all’11,5%, i tradizionali partiti di opposizione sono messi ancora peggio: solo l’8% degli armeni sostiene i partiti vicini a Kocharyan e meno del 4% quelli legati a Sargsyan.

In questo contesto, in cui il paese appare sempre più disilluso verso l’intera classe politica, potrebbero emergere nuove forze, estranee all’establishment post-sovietico, e colmare il vuoto.

“È possibile portare in piazza i cittadini, ma è molto difficile tenerli lì con dichiarazioni irrealistiche e appelli patriottici al posto di programmi politici”, ha recentemente commentato il politologo Arman Grigoryan. Nel paese aleggia lo spettro dell’instabilità, come ha avvertito anche il Servizio di intelligence estero nel suo primo rapporto annuale pubblicato a gennaio.

Secondo alcuni alti funzionari, la Russia starebbe conducendo una guerra ibrida sin dall’ascesa al potere di Pashinyan nel 2018. Mosca respinge tali accuse, ma lo spazio mediatico è ormai saturo di narrazioni contrapposte, sia interne che esterne, e i meccanismi per diffonderle esistono già da tempo. La posta in gioco è più alta che mai, soprattutto per quanto riguarda la sicurezza e la stabilità.

Se l’accordo di pace con l’Azerbaijan non dovesse concretizzarsi e se l’opposizione dovesse guadagnare nuovi consensi alle elezioni, l’Armenia potrebbe sprofondare in una crisi di incertezza politica.

Le prossime elezioni saranno quindi un banco di prova non solo per Pashinyan, ma anche per la capacità del paese di tracciare la propria strada restando immune da influenze e ingerenze esterne nel prossimo futuro.

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“Una famiglia armena”, memoria in Comune (Quinewspisa 19.05.25)

Laura Ephrikian a Pisa per raccontare la sua storia tra identità, memoria e il dramma dimenticato del genocidio armeno.

PISA — Si terrà venerdì 23 Maggio alle 17.30 nella Sala delle Baleari di Palazzo Gambacorti un evento speciale dedicato all’Armenia e al suo popolo. L’iniziativa, promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Pisa, vedrà protagonista Laura Ephrikian, attrice e scrittrice, che porterà a Pisa la sua testimonianza attraverso il libro autobiografico Una famiglia armena.

Ad aprire l’incontro sarà l’assessore Filippo Bedini con un intervento dal titolo “Armeni: un genocidio sconosciuto”, dedicato a una delle pagine più tragiche e ancora poco conosciute del Novecento: lo sterminio degli armeni da parte dell’Impero Ottomano. A seguire, il dialogo tra Ephrikian e la giornalista Chiara Cini approfondirà il racconto personale e familiare dell’autrice, segnata dalla storia del nonno Akob, sopravvissuto al genocidio e rifugiato a Venezia.

Un’occasione di riflessione e memoria condivisa, resa possibile anche grazie al contributo di Donatella Lauro, Mariana Carbè, Amelia Pozzi e del Centro Culturale Calabrese Ausonia, presieduto da Giovanni Nicolò Adilardi

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