Armenia, il premier Pashinyan ha vinto le elezioni parlamentari anticipate (Rsssegna stampa 10.12.18)

Armenia, Osce: elezioni rispettano “libertà fondamentali  (Askanews 10.12.18)

Erevan, 10 dic. (askanews) – Gli osservatori internazionali hanno affermato che le elezioni parlamentari anticipate in Armenia, vinte dalla formazione del premier ad interim Nikol Pashinyan, rispettano le libertà fondamentali. “La generale assenza di illeciti elettorali, compresi la compravendita di voti e le pressioni sugli elettori, ha consentito una reale competizione” hanno affermato gli osservatori dell’ Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa che hanno monitorato il voto di ieri.


Armenia, il premier Pashinyan ha vinto le elezioni parlamentari anticipate (TPI 10.12.18)

Il 9 dicembre 2018 si sono tenute le elezioni parlamentari anticipate in Armenia. Le urne hanno premiato il partito dell’attuale premier Nikol Pashinyan.

My Step Alliance, che include il Partito di Pashinyan, ha ottenuto il 70,4 percento dei voti, secondo quanto riferito dalla Central Election Commission (CEC) che ha pubblicato i risultati sul suo sito internet.

I partiti di opposizione moderata – Prosperous Armenia e Bright Armenia – hanno superato la soglia di sbarramento del 5 per cento.

Il vincitore tuttavia non potrà avere più dei due terzi dei seggi: la Costituzione impone infatti la presenza di almeno tre partiti in Parlamento.

Più di 2,6 milioni di persone hanno preso parte alle votazioni del 9 dicembre, svoltesi sotto lo sguardo degli osservatori internazionali dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa.

“I cittadini armeni hanno eletto una maggioranza rivoluzionaria in parlamento”, ha detto Pashinyan ai giornalisti nel quartier generale del suo partito subito dopo la pubblicazione dei primi risultati…… Vai al sito


Armenia, l’ex giornalista Nikol Pachinian conquista la maggioranza assoluta in Parlamento (La Repubblica 10.12.18)

Ha vinto la sua scommessa, l’ex giornalista Nikol Pachinian, nominato premier dell’Armenia a furor di popolo la scorsa primavera. A novembre, Pachinian si è dimesso per indire elezioni politiche anticipate puntando a conquistare la maggioranza assoluta in Parlamento, senza cui non riuscirebbe a portare avanti il suo ambizioso programma di riforme. E ieri, con il 70,4 per cento delle preferenze, il partito da lui guidato, “Il Contratto civile”, ha trionfato. Al secondo posto arriva “Armenia Prospera”, guidata dall’imprenditore Gagik Tsarukian, mentre rimane molto indietro il Partito Repubblica, che è stato al potere negli ultimi 20 anni e che dovrebbe comunque superare la soglia di sbarramento del 5% per entrare all’Assemblea nazionale. Secondo la legge armena al vincitore non potrà comunque andare più dei due terzi dei seggi. La Costituzione impone infatti la presenza di almeno tre partiti in Parlamento.

Quarantatré anni, Pashinyan ha assunto la guida del governo nel maggio scorso, dopo le proteste popolari che portarono alle dimissioni di Serzh Sarkisian, veterano della politica armena. L’artefice della “vittoriosa rivoluzione armena”, come la chiamano i suoi sostenitori, parla spesso di amore e tolleranza, e confessa di essersi ispirato a Gandhi, Martin Luther King e Nelson Mandela. Fatto sta che con la sua rivolta pacifista Nikol Pachinian ha sedotto le nuove generazioni del suo Paese, quei giovani che non hanno conosciuto la repressione dell’era sovietica, che sono scesi senza paura nelle piazze e che in sole tre settimane hanno sconfitto una classe politica corrotta e incapace.

Con un eloquio pungente e un’esemplare dirittura morale, Pachinian si è sempre considerato “l’oppositore storico” alla nomenklatura di Erevan. Nato a Idjevan, cittadina del nord-est del Paese, e figlio di un insegnante di ginnastica, fu condannato dall’ex regime a 7 anni di carcere, di cui grazie a un’amnistia ne scontò solo 18 mesi. Dopo la sua vittoriosa “rivoluzione di velluto”, Pachinian ha immediatamente messo in atto il suo programma, promuovendo una campagna giudiziaria per ripulire dalla corruzione ogni settore della piccola repubblica caucasica, dall’amministrazione all’esercito, dalle dogane alla cerchia più vicina all’ex presidente Serge Sarkissian. In poche mesi, tra multe e sequestri il premier ha recuperato l’equivalente di 36 milioni di euro con cui risanare le casse di un Paese dove il 30 per cento dei suoi 3 milioni di abitanti  vive al di sotto della soglia della povertà. C’è chi si diceva preoccupato per lui, perché i suoi nemici sono forti e senza scrupoli. E soprattutto perché Pachinian è un bersaglio facile. Do oggi, lo è un po’ meno.

A differenza di altre rivoluzioni “colorate” e post-sovietiche, come quelle in Georgia e Ucraina, sostenute dall’Occidente e ostili alla Russia, quella armena della scorsa primavera aveva come unico obiettivo il rovesciamento di una classe politica avida e incapace. Non solo, una volta eletto Pachinian ha subito giurato che rimarrà fedele ai suoi impegni internazionali, e che rispetterà la sua alleanza con Mosca in seno alla Comunità degli Stati indipendenti e all’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva. Ma il nuovo premier ha anche spiegato, rischiando di contrariare Putin, che la politica estera del Paese sarà d’ora in poi concentrata esclusivamente sulle priorità nazionali.

Fatto sta che al momento Pachinian è sostenuto da gran parte degli armeni, molti dei quali lo incitano a proseguire la sua lotta. Ma per andare avanti all’ex cronista giudiziario servirebbe un appoggio esterno. E tra Russia e Occidente, il cammino che ha davanti a sé è stretto e pieno di ostacoli.


ARMENIA: Il leader della rivoluzione Nikol Pashinyan stravince le elezioni (Eastjournal 10.12.18)  

La rivoluzione è compiuta, o meglio, continua. Le elezioni parlamentari di domenica si sono infatti concluse con una vittoria schiacciante della coalizione guidata dal premier ad interim Nikol Pashinyan, uomo simbolo di quella cosiddetta Rivoluzione di velluto che lo scorso aprile ha ribaltato completamente lo scenario politico armeno; al quale spetta ora il duro compito di dare un nuovo futuro al paese.

Vittoria netta

Come previsto dai sondaggi, l’alleanza Il mio passo (Im kaylǝ), nata lo scorso agosto e formata dal partito Contratto Civile, guidato appunto da Pashinyan, e dal Partito della Missione, di Manuk Sukiasyan, è riuscita a imporsi nettamente sulle altre formazioni politiche, conquistando il 70,43% dei voti degli aventi diritto.

Un abisso più indietro invece gli altri partiti, con Armenia Prospera, di Gagik Tsarukyan (8,27%), ed Armenia Luminosa, di Edmon Marukyan (6,37%) che si sono aggiudicate rispettivamente la seconda e la terza piazza, riuscendo per pochi punti percentuali ad entrare in parlamento (la soglia di sbarramento era fissata al 5% per i singoli partiti e al 7% per le coalizioni).

Chi è rimasto fuori dall’Assemblea Nazionale, per soli tre punti decimali, è invece il Partito Repubblicano, fermatosi al 4,70% delle preferenze. I repubblicani, che detenevano la maggioranza dall’ormai lontano 1995, e che alle parlamentari del 2017 avevano guadagnato il 49,17% dei consensi, ottenendo ben 58 seggi in parlamento, pagano come previsto gli innumerevoli scandali legati alla corruzione emersi in seguito alla Rivoluzione di velluto, scoppiata proprio a causa della crescente impopolarità dell’ex partito di governo.

Fuori dal parlamento anche la Federazione Rivoluzionaria Armena (3,89%), prima presente con 7 seggi, e la coalizione Noi Alleanza di Aram Sargsyan, ex alleato politico di Pashinyan ai tempi di Yelk (2%), la quale disponeva di un seggio.

Da segnalare comunque la bassa affluenza alle urne, attestata al 48,63% (per un totale di circa 1.260.000 cittadini votanti), percentuale nettamente inferiore a quella dell’aprile 2017, quando andò a votare il 60,86% degli armeni aventi diritto; a dimostrazione di come gli ultimi sviluppi politici non siano stati sufficienti a curare la disaffezione di buona parte della popolazione nei confronti della politica.

Ora viene il difficile

Pashinyan, che nel corso del suo primo mandato da premier si era ritrovato a dover governare disponendo di soli 9 seggi in parlamento, ovvero quelli in dote all’alleanza Yelk, si trova ora ad avere un’ampia maggioranza all’interno dell’Assemblea Nazionale, cosa che gli dovrebbe consentire di lavorare ai propri provvedimenti senza gli impedimenti precedenti.

Come sembra avere ampiamente dimostrato il voto di domenica, le aspettative della popolazione armena nei confronti del leader de Il mio passo sono molto alte. Sta ora a Pashinyan dimostrare di essere in grado di tener fede alla parola data, trasformando l’Armenia in uno stato di diritto democratico, portando avanti la lotta alla corruzione e promuovendo le riforme necessarie a creare nuovi posti di lavoro e fare uscire il paese da quella crisi economica che negli ultimi anni ha generato oltre un milione di poveri (circa un terzo della popolazione totale).

Importante sarà inoltre vedere come il nuovo governo si muoverà in politica estera, altro settore chiave per il paese caucasico. Se da una parte Pashinyan è sempre stato un convinto sostenitore del processo di integrazione europea, tanto da arrivare a chiedere, quando ancora era all’opposizione, l’uscita dell’Armenia dall’Unione Economica Euroasiatica; dall’altra, una volta salito al governo, ha fatto capire di non voler mettere in discussione il rapporto d’amicizia con Mosca, alleato fondamentale di Yerevan a livello regionale nonché principale partner economico.

Restando in tema di politica estera, la questione più spinosa che il nuovo governo si ritroverà ad affrontare rimane però quella del Nagorno-Karabakh. Pur senza mettere in discussione la sovranità de facto dell’Artsakh, ad agosto Pashinyan si era detto pronto ad avviare un dialogo pacifico con l’Azerbaigian, aprendo inoltre alla possibilità di reinsediare una parte degli sfollati azeri nella regione contesa, a patto però che tale provvedimento venga approvato dalla popolazione armena. Una mossa, questa, che se realmente attuata potrebbe finalmente dare una svolta a un contenzioso bloccato ormai da decenni.


Armenia: trionfa Nikol Pashinyan, confermato premier (Euronews 10.12.18)

L’Armenia conferma Nikol Pashinyan primo ministro. Il suo partito, Contratto Civile, ha annunciato la vittoria dell’alleanza, a sostegno del premier uscente, con il 70,4% dei voti.

Ex giornalista, è stato leader della Rivoluzione di velluto della primavera scorsa, che ha messo fine al decennio di dominio incontrastato di Serzh Sargsyan e del suo Partito repubblicano, che ora rischia di non entrare nemmeno in Parlamento.

Le proteste avevano portato Sargsyan alle dimissioni da primo ministro e alla nomina a maggio di Pashinyan che, con una manovra politica, aveva poi ottenuto lo scioglimento del Parlamento e la convocazione di elezioni anticipate.

Pashinyan, favorevole ad un riavvicinamento con l’Unione europea, ha tuttavia fatto sapere che non ha alcuna intenzione di rompere con l’alleato russo.


L’alleanza che appoggiava il primo ministro Nikol Pashinyan ha stravinto le elezioni in Armenia (Ilpost 10.12.18)

L’alleanza centrista del primo ministro armeno uscente, Nikol Pashinyan, ha stravinto le elezioni anticipate che si sono tenute domenica in Armenia, ottenendo più del 70 per cento dei voti. Pashinyan, che prima di fare il politico era un giornalista, è riuscito a sfruttare al meglio il grande consenso che aveva costruito dopo avere realizzato la cosiddetta “rivoluzione di velluto” con cui lo scorso maggio era stato destituito Serzh Sargsyan, presidente armeno dal 2008 considerato responsabile di avere trasformato il paese in un regime autoritario. L’affluenza alle elezioni di domenica è stata piuttosto bassa, poco meno del 50 per cento, mentre la forza politica che si è avvicinata di più all’alleanza che ha appoggiato Pashinyan, il partito moderato Armenia Prosperosa, ha ottenuto circa l’8 per cento dei voti

Un incontro per ricordare il terremoto in Armenia (Giornaledilecco.it 08.12.18)

Il prossimo 15 dicembre l’appuntamento per ricordare il terremoto del 1988 in Armenia è al Circolo Libero Pensiero di Rancio (Lecco). Alle 12.30 sarà possibile, su prenotazione, pranzare insieme e, alle 14.30, seguirà la proiezione di immagini e filmati dei gruppi delle organizzazioni sindacali, delle associazioni imprenditoriali e del volontariato, coordinate dalle istituzioni locali.

Filmati e impressioni da condividere

I coordinatori dei tre gruppi di lecchesi che si sono avvicendati nell’estate scorsa in Armenia, visitando la cittadina di Vanadzor, intendono promuovere un incontro pubblico aperto a tutti, proprio per consentire di trasmettere i sinceri ringraziamenti che sono pervenuti dai rappresentanti scolastici ed istituzionali armeni da cui sono stati accolti. Oggi, a trent’anni dai tragici eventi del 1988, oltre allo scopo turistico e di conoscenza, si è compiuto l’intento di riattivare contatti e relazioni, con la comunità di Vanadzor, ricevendo un’accoglienza ed un’ospitalità davvero inaspettata ed emozionante.

Il terremoto in Armenia

Trenta anni fa, il 7 dicembre 1988, avvenne un disastroso terremoto in Armenia, che allora era una delle 15 Repubbliche Sovietiche. Morirono oltre 50.000 persone. Il disastroso evento suscitò una grande emozione e solidarietà umana internazionale e vide protagonista la nostra città e la popolazione lecchese, che si mobilitò con le loro organizzazioni sindacali ed associazioni imprenditoriali e del volontariato coordinate dalle istituzioni locali. Un’ora di lavoro volontario consentì, in pochi mesi, di raccogliere circa 300 milioni di lire. Ad un anno di distanza dal terremoto, nel dicembre 1989, con quella somma, vennero costruite ed inaugurate due scuole elementari nei territori colpiti in Armenia.

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Osce. Conclusa la presidenza di turno italiana. Sottoscritto documento per la libertà di stampa (Notiziegeoolitiche.ner 08.12.18)

Con il vertice di Milano si è chiusa la presidenza di turno dell’Italia dell’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa ideata per la promozione della pace, del dialogo politico, della giustizia e della cooperazione e che conta 57 paesi membri.
Per la prima volta l’Osce si è espressa ufficialmente per la libertà di stampa: come ha spiegato il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi, “Per la prima volta dopo 26 anni l’Osce ha trovato consenso unanime per adottare un documento che riguarda i giornalisti: per la libertà, il pluralismo e la sicurezza dei giornalisti che per la loro attività corrono rischi di carattere persecutorio”. “Questa – ha affermato in occasione della conferenza stampa di chiusura del summit – può sembrare una decisione scontata, ma in 26 anni non era mai accaduto. Da oggi è stata adottata all’unanimità”.
Il capo della Farnesina ha anche detto che durante la presidenza di turno italiana “l’Osce ha contribuito a mantenere aperto il dialogo tra tutti i partecipanti: siedono attorno a questo tavolo tanti paesi che possono avere punti di vista anche molto diversi”. E l’esempio più evidente, oltre al documento che tutela i giornalisti e la libertà di stampa, è il passo fatto da Armenia ed Azerbaijan per la chiusura del conflitto del Nagorno Karabakh.
“Sul fronte politico militare – ha aggiunto Moavero Milanesi – abbiamo lavorato per la sicurezza del Mediterraneo”, tema portato al centro del dibattito politico internazionale: “Ci sono guerre in aree vicine al Mediterraneo e situazioni complesse: aver dato alla dimensione mediterranea una sua valenza è stato importante”.
Il testimone ora passa alla Slovacchia.

L’Osce comprende 57 Stati partecipanti dell’Europa, dell’Asia centrale e del Nord America:
Albania
Andorra
Armenia
Austria
Azerbaigian
Belarus
Belgio
Bosnia Erzegovina
Bulgaria
Canada
Cipro
Croazia
Danimarca
Estonia
Federazione Russa
Finlandia
Francia
Georgia
Germania
Grecia
Irlanda
Islanda
Italia
Kazakistan
Kirghizistan
L’ex Repubblica Jugoslava di Macedonia
Lettonia
Liechtenstein
Lituania
Lussemburgo
Malta
Moldova
Monaco
Mongolia
Montenegro
Norvegia
Paesi Bassi
Polonia
Portogallo
Regno Unito
Repubblica Ceca
Romania
San Marino
Santa Sede
Serbia
Slovacchia
Slovenia
Spagna
Stati Uniti
Svezia
Svizzera
Tagikistan
Turchia
Turkmenistan
Ucraina
Ungheria
Uzbekistan

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Armenia, al voto domenica per sancire la “rivoluzione” di Pshinyan (Askanews 07.12.18)

Erevan (Armenia), 7 dic. (askanews) – L’Armenia va alle urne domenica per le elezioni anticipate dopo le proteste di maggio che hanno causato la caduta del premier Serzh Sarkisian e l’affermazione del leader riformista Nikol Pashinyan. Quest’ultimo auspica di saldare la sua posizione di supremazia grazie al voto.

La politica riformista dell’ex giornalista 43enne, infatti, è rimasta ferma per mesi a causa dell’ostruzionismo del partito di maggioranza di Sarkisian. Dopo mesi di manovre politiche e di ulteriori proteste di piazza il mese scorso il Parlamento è stato sciolto.

Secondo i sondaggi il partito di Pashinyan otterrà la maggioranza nella nuova legislatura, posizione che gli consentirà di avviare la sua “rivoluzione economica”. “Trasformeremo l’Armenia in un Paese industriale, high-tech, orientato all’export”, ha detto ribadendo che il voto dovrà rispettare il livello degli standard internazionali.

Il premier uscente, che secondo gli esperti sarà riconfermato al suo ruolo, ha dichiarato di voler combattere la corruzione e la povertà dilagante. Sul fronte della politica estera Pashinyan ha sottolineato la necessità di “rafforzare ulteriormente l’alleanza con la Russia e allo stesso tempo aumentare la cooperazione con gli Stati Uniti e l’Unione europea”.

Nelle elezioni di domenica si scontreranno nove partiti divisi in due blocchi elettorali, che si spartiranno i 101 seggi. Le urne apriranno alle 5:00 del mattino ora italiana e chiuderanno alle 17:00. I risultati si conosceranno lunedì.

Armenia: 30 anni dopo il devastante terremoto (Euronews 07.12.18)

All’inizio del servizio vedete degli uomini che suonano il duduk, uno strumento tipico armeno, nel giorno del 30esimo anniversario del terremoto che ha devastato l’Armenia del nord.

Il 7 dicembre 1988, una violenta scossa di 6,8 gradi della scala Richter ha provocato più di 25.000 morti, decine di migliaia di feriti, devastando il 40 percento del Paese.

Mentre l’Urss si stava sgretolando, la solidarietà è arrivata anche dagli altri Paesi dell’Unione.

“Eravamo talmente impegnati che non c’era tempo per piangere – dice un russo di mezza età che all’epoca era un giovane volontario – Specialmente nei primi 10 giorni, era importante salvare: anche una sola persona era importante”.

Il terremoto di Spitak, come viene chiamato dal nome della città dell’epicentro, è stato uno dei terremoti più devastanti del XX secolo, da cui l’Armenia non si è mai completamente ripresa. Anche perché dopo pochi anni dall’indipendenza è iniziata la guerra con l’Azerbaijan. Che dura da 20 anni.

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Spitak ’88, il terremoto che distrusse l’Armenia (Sputnik 07.12.18)

Trent’anni fa in Armenia quattrocento centri abitati vennero rasi al suolo dal terremoto più devastante del dopoguerra. Il mondo intero non restò a guardare e l’Italia, ferita pochi anni prima dai terremoti in Friuli ed Irpinia, prestò il suo aiuto alla popolazione armena, che ne beneficia ancora oggi.

Il 7 dicembre 1988 alle 11:41 del mattino la terra tremò come mai successo prima nel nord dell’Armenia. L’epicentro del terremoto, di magnitudine 6,8, fu localizzato nella città di Spitak, che venne completamente rasa al suolo in meno di 30 secondi.

In totale furono 21 le città del nord dell’Armenia colpite dai danni provocati dal sisma, il cui bilancio in termini di vite umane è tuttora impressionante: 25 mila vittime accertate, 140 mila invalidi, più di mezzo milione di sfollati.

Nikolay Tarakanov, generale dell’esercito sovietico a capo delle operazioni di soccorso, commentò così la scena che si trovò di fronte ai suoi occhi:

“Spitak fu persino più terribile di Chernobyl. A Chernobyl ti prendevi la tua dose di radiazioni e fatti tuoi. Del resto la radiazione è un nemico invisibile. Qui invece c’erano corpi dilaniati, urla da sotto le rovine. Il nostro compito principale non fu solo quello di aiutare a estrarre dalle macerie i superstiti, ma anche dare una degna sepoltura ai morti”

Il giorno della catastrofe l’allora segretario generale del PCUS, Mikhail Gorbachev, era in visita negli Stati Uniti: appresa la notiza, con un gesto mai visto prima, rivolse un appello alla comunità internazionale, chiedendo supporto nelle operazioni di soccorso e ricostruzione.

Nelle settimane successive al sisma arrivarono aiuti da più di 111 paesi del mondo, tra cui l’Italia, che inviò in Armenia una missione sotto l’egida del Dipartimento di Protezione Civile, nato dopo il terremoto dell’Irpinia del 1980.

Grazie all’intervento italiano, nel 1989 venne costruito un centro abitativo chiamato “Villaggio Italia”, con 204 case dotate di tutti i comfort di base per accogliere altrettante famiglie sfollate.

Nel 1991 ad Ashotsk, villaggio di montagna situato all’altitudine di 2000 metri, 50 km a nord dall’epicentro del terremoto, la Caritas costruì l’ ospedale “Redemptoris Mater”, funzionante tuttora e gestito dalla Fondazione San Camillo.

Natale 2018, rassegna “Zampogne del mondo” l’8 e il 9 dicembre a Erice (Sky tg24 07.12.18)

Parteciperanno il Zampognantica Duo dal Molise, Le Zampogne di Daltrocanto dalla Campania, Pasatrés dalla Spagna, Tonatsuyts dall’Armenia, Zornicadalla Polonia, Dudelsckmusik Vereno dall’Austria

Ritorna domani la rassegna internazionale di musiche e strumenti popolari, “Zampogne dal mondo”, giunta alla sua quarta edizione. Si svolgerà, ad Erice, in provincia di Trapani, dall’8 al 9 dicembre e parteciperanno il Zampognantica Duo dal Molise, Le Zampogne di Daltrocanto dalla Campania, Pasatrés dalla Spagna, Tonatsuyts dall’Armenia, Zornicadalla Polonia, Dudelsckmusik Vereno dall’Austria.

Gli eventi della rassegna

Sabato gli zampognari suoneranno per le strade e i vicoli del borgo medievale. Domenica esibizioni itineranti e alle 18 concerto con tutti i gruppi nella Chiesa di San Martino. “Zampogne dal Mondo” è un’iniziativa del Comune di Erice e della Fondazione Erice Arte. La prima edizione si era svolta nel 1965. Nel 1999 ci era stata un’interruzione che era durata 15 anni. Dal 2015 le zampogne hanno ripreso, ogni anno, a fare la loro comparsa tra le suggestive strade del borgo

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Nagorno-Karabakh: incontro fra presidente azerbaigiano Aliyev e premier armeno Pashinyan a margine summit Csi (Agenzianova 07.12.18)

Baku, 07 dic 12:45 – (Agenzia Nova) – Il presidente azerbaigiano, Ilham Aliyev, e il premier armeno, Nikol Pashinyan, si sono incontrati a margine del summit informale della Comunità degli Stati indipendenti (Csi) a San Pietroburgo. Lo ha riferito Hikmet Hajiyev, direttore del dipartimento affari esteri dell’amministrazione presidenziale azerbaigiana, all’agenzia di stampa “Trend”. “Durante la conversazione c’è stato un dibattito sui negoziati attivi sulla risoluzione del conflitto armeno-azerbaigiano del Nagorno-Karabakh e sulla necessità di garantire il cessate il fuoco. Va tenuto presente che questi due fattori sono strettamente interconnessi e devono essere continuati per completarsi a vicenda”, ha detto Hajiyev secondo cui al momento si registra “una relativa serenità lungo la linea di contatto tra le truppe e il confine di stato”. Questo status, afferma il rappresentante dell’amministrazione presidenziale azerbaigiana, “crea una buona base per negoziati sostanziali e intensi sulla risoluzione del conflitto. Questo non significherà mai il congelamento del conflitto o il mantenimento di uno status quo inaccettabile. La nostra posizione rigorosa è che lo status quo basato sull’occupazione dovrebbe essere modificato”. I copresidenti del Gruppo di Minsk dell’Osce hanno ripetutamente sottolineato l’importanza di cambiare lo status quo a livello di capi di Stato, ha ricordato Hajiyev. “Come risultato dei negoziati sulla risoluzione del conflitto, l’integrità territoriale e la sovranità entro i confini internazionalmente riconosciuti dell’Azerbaigian dovrebbero essere ripristinati”, ha concluso il rappresentante dell’amministrazione presidenziale. (segue) (Res)

In Armenia un centro di formazione nato sul modello di Ifoa (Reggionline 06.12.18)

Il direttore Umberto Lombardoni ha ricevuto la visita di Hasmik Sahakyan, che guida la International Accountancy Training Centre Educational Fund (Iatc)

In Armenia un centro di formazione nato sul modello di Ifoa

Hasmik Sahakyan e Umberto Lonardoni di Ifoa

REGGIO EMILIA – Nel 1998, nell’ambito di un progetto finanziato dal programma Tacis dell’Unione Europea,  Ifoa esportò in Armenia il proprio modello di formazione e di business school. Nasceva così a Yerevan Iatc, International Accountancy Training Centre Educational Fund, sotto la direzione di Hasmik Sahakyan. Il 3 dicembre scorso, dopo diversi anni, Sahakyan è tornata a Reggio Emilia in visita ad Ifoa.

«In questi anni – ha raccontato  – Iatc ha sviluppato moltissime attività strategiche per formare giovani laureati, donne disoccupate e specializzare persone che già lavorano. Questa visita mi ha permesso di avere spunti e idee innovative da applicare al contesto del mio paese e di ipotizzare lo sviluppo di attività di scambio per future collaborazioni. Ifoa rimane un esempio molto concreto di come la formazione delle persone e le attività di supporto alle aziende siano fondamentali per dare energia al mercato del lavoro: è un’organizzazione unica nel suo genere, in tutta Europa».

Per Umberto Lonardoni, direttore di Ifoa «quella dell’ Armenia è una best practice, un esempio positivo di trasferimento di know how che ha avuto successo grazie anche al grande impegno profuso da Hasmik Sahakyan in tutti questi anni».

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Nagorno-Karabakh. Osce: incontro dei ministri di Armenia e Azerbaijan mediato da Moavero Milanesi (Notiziegeopolitiche.it 06.12.18)

Si è svolto a Milano, in occasione del vertice Osce, lo storico incontro sul tema Nagorno-Karabakh fra i ministri degli Esteri di Armenia, Zohrab Mnatsakanyan, e di Azerbaijan, Elmar Mammadyarov, mediato dalla presidenza di turno italiana, nella fattispecie da Enzo Moavero Milanesi.
Da oltre vent’anni le truppe azerbaigiane combattono contro quelle armene per riconquistare il controllo sull’altopiano del Karabakh e sugli altri sette distretti azeri, occupati dalle forze armene con la guerra svoltasi tra il 1992 ed il 1994 e mai smilitarizzate, nonostante quattro risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (n. 822, 853, 874 e 884 del 1993) richiedano ad Erevan di ritirare le proprie truppe per consentire l’instaurarsi di un clima che possa favorire lo svolgimento delle trattative di pace. Per tentare di contenere le violenze e di arrivare alla pace è stato costituito nel 1992 il Gruppo di Minsk, organismo messo insieme dall’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa), guidato da una co-presidenza attualmente composta da Francia, Russia e Stati Uniti d’America. Fanno inoltre parte del gruppo rappresentanti di Bielorussia, Germania, Italia, Portogallo, Paesi Bassi, Svezia, Finlandia e Turchia, oltre a Armenia ed Azerbaigian.
Nella nota emessa dalla Farnesina in merito all’incontro di oggi si legge la dichiarazione del ministro Moavero Milanesi: “Siamo lieti che il Consiglio ministeriale dell’Osce a Milano sia stato l’occasione per una dichiarazione congiunta di Armenia e Azerbaijan, in vista della soluzione di uno dei cosiddetti conflitti protratti in Europa”. “Questi – ha continuato il ministro – sono i risultati concreti che dimostrano l’importanza dell’OSCE come foro di dialogo”.
Nel corso delle recenti visite in entrambi i Paesi e di successivi incontri, il ministro Moavero Milanesi aveva più volte discusso con i ministri degli Esteri di Armenia ed Azerbaijan l’opportunità di cogliere l’occasione della riunione Osce, oggi in corso a Milano, per compiere passi avanti nel rilancio del dialogo volto a favorire una soluzione pacifica e consensuale della vertenza relativa al Nagorno Karabakh.
Nel comunicato congiunto, favorito dal clima positivo instaurato a Milano e facilitato anche dall’azione dei co-presidenti del Gruppo di Minsk, Armenia e Azerbaijan hanno convenuto in particolare di impegnarsi a ridurre la tensione tra loro e a incontrarsi nuovamente nei prossimi mesi per stabilire ulteriori passi concreti.

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Ministero degli Esteri italiano felice della dichiarazione di Armenia e Azerbaigian (Sputniknews 06.12.18)

Il Ministero degli Esteri italiano è felice che l’Armenia e l’Azerbaigian abbiano adottato una dichiarazione sul Karabak a Milano.

La dichiarazione congiunta di Armenia e Azerbaigian sul Nagorno-Karabakh dimostra l’importanza dell’OSCE come piattaforma per il dialogo, ha detto il capo del Ministero degli Esteri italiano, alla presidenza dell’organizzazione quest’anno.

“Siamo lieti che il Consiglio dei Ministri dell’OSCE a Milano abbia fornito l’opportunità per una dichiarazione congiunta dell’Armenia e dell’Azerbaigian per risolvere una delle crisi più lunghe in Europa. Questi sono risultati concreti che dimostrano l’importanza dell’OSCE come forum di dialogo”, ha dichiarato Enzo Moavero Milanesi, la cui dichiarazione è citata dal Ministero degli Esteri italiano.

Il ministero ha sottolineato che in precedenza, nel corso delle visite in entrambi i paesi, il capo del ministero degli Esteri italiano ha discusso con i colleghi di Armenia e Azerbaigian “della possibilità di utilizzare l’incontro a Milano per raggiungere un progresso nel riavvio del dialogo, per contribuire a una soluzione pacifica per risolvere la controversa questione del Nagorno-Karabakh”.

Il conflitto in Karabakh è iniziato nel febbraio 1988, quando la regione autonoma del Nagorno-Karabakh ha annunciato l’allontanamento dall’Azerbaigian. Nel settembre 1991, nel centro di Nkao Stepanakert, è stata annunciata la creazione della Repubblica del Nagorno-Karabakh. Le autorità dell’Azerbaigian nel corso del successivo conflitto militare hanno perso il controllo del Nagorno-Karabakh. Dal 1992 sono in corso i negoziati per una soluzione pacifica del conflitto nell’ambito del gruppo di Minsk dell’OSCE. L’Azerbaigian insiste sulla necessità di mantenere la sua integrità territoriale, l’Armenia protegge gli interessi della repubblica non riconosciuta, la Repubblica autonoma non è parte ai negoziati.

 

Azerbaijan: eravamo vicini di casa (Osservatorio Balcani e Caucaso 06.12.18)

Era una fredda notte d’inverno il 28 febbraio del 1988 quando qualcuno ha bussato alla porta di Gular, a Sumgayit, grande città industriale a nord della capitale dell’Azerbaijan, Baku. La donna era a casa da sola, con i suoi figli. Quando ha aperto la porta si è trovata davanti i suoi vicini armeni, le loro facce pallide, le mani tremolanti.

“Anya, Sveta, Aida e i loro bambini. Mi chiesero ‘Possiamo stare qui questa notte? Solo una notte, partiremo domattina presto’. Ero spaventata anch’io. Ho chiesto cosa stesse accadendo ma non sapevano esattamente neppure loro. Solo che ‘stanno cercando le famiglie armene’”.

Il 28 e il 29 febbraio del 1988 in un’ondata di violenza a Sumgayit vennero uccise 26 persone appartenenti alla comunità armena e 6 azerbaigiani, come riportarono i media internazionali. Il massacro avvenne nel contesto della crescente tensione tra Armenia e Azerbaijan, allora entrambe repubbliche sovietiche, in merito al Nagorno Karabakh, una regione dell’Azerbaijan la cui popolazione armena aveva chiesto l’annessione da parte della vicina Repubblica socialista sovietica dell’Armenia.

Gli scontri a Sumgayit hanno portato alla fuga di quasi tutti gli appartenenti alla comunità armena della città, circa 14.000 persone e a migliaia d’altri nel resto dell’Azerbaijan. Lo riporta nel suo libro “Black Garden: Armenia and Azerbaijan through Peace and War” Thomas de Waal, esperto di Caucaso presso il think tank Carnegie Europe, con sede a Londra. Nonostante le opinioni su cosa abbia causato effettivamente la violenza variano, quei giorni resero evidente che la coesistenza pacifica tra questi due popoli in Azerbaijan era terminata.

Al tempo, comunque, quanto stava avvenendo era difficile da comprendere per molti. Vi furono molti a Sumgayit che aiutarono a proteggere dalle violenze i loro vicini, i loro amici, i loro conoscenti. Gular, oggi settantenne, è una di loro.

“Erano nostri vicini”, afferma riferendosi a tre donne armene ed ai loro bambini a cui diede rifugio quella notte del 1988. “Avevamo cresciuto i nostri figli insieme, abbiamo riso e pianto insieme, ma soprattutto questa gente non ci aveva mai fatto nulla di male”.

Mentre ci si inoltrava nella notte, nessuna di loro dormiva, continua Gular (il cui cognome non è stato inserito per garantirne la sicurezza).

“Anya mi diceva della folla per strada e si preoccupava per i propri figli. Sveta provava a capire da suo marito dove potessero andare. Ed io ero tanto spaventata quanto i miei vicini. È stato così stressante!”.

“È così che trascorremmo quella notte. Tutti in silenzio, in una piccola stanza. Ce ne stavamo seduti per terra, abbracciando le nostre ginocchia, così fino al mattino. Dissi loro che potevano stare quanto volevano ma mi risposero che prima o poi dovevano andarsene”.

Il cortile delle case dove risiedeva Gular – Chai Khana

Circa alle 5 del mattino “ci siamo abbracciati, abbiamo pianto e se ne sono andati”.

E, semplicemente, scomparvero. Da allora Gular non ha più saputo niente dei suoi vicini armeni. Suo figlio li ha anche cercati on-line, tramite Facebook, ma senza alcun risultato.

Ricordi dei suoi vicini rimangono tra i suoi oggetti personali. Conserva ancora un vaso in cristallo, dono di Aida. E vestiti che Aida, sarta, confezionò gratuitamente per lei, per suo figlio e per altri scolari del quartiere.

“Non ha mai voluto che la pagassimo. E noi le portavano regali dalla nostra regione [Nagorno Karabakh]. Non ho mai buttato nessun vestito che Aida ha cucito per me. È come se fossero stati confezionati ieri….”.

In quei giorni, aggiunge: “Non potevamo immaginare che si sarebbe scatenato un conflitto così duro”.

Kamo, figlio di Aida, era appassionato di fotografia e Gular conserva ancora foto scattate da lui che raffigurano momenti di vita insieme, prima della guerra.

“Ha immortalato i nostri giorni migliori, le vacanze, le feste di compleanno. Ai tempi non era facile avere una macchina fotografica. Come possiamo dimenticarci di questi momenti? Li abbiamo vissuti assieme”.

Le relazioni tra la famiglia di Gular e i loro vicini armeni riflettono il melting pot del loro quartiere, sino ai tardi anni ’80. Allora le differenze tra russi, ebrei, ucraini, azerbaigiani e armeni non contavano, afferma Gular.

“Era raro chiedere a qualcuno ‘Di dove sei?’. Ricordo che nel nostro stesso edificio abitavano altre tre famiglie armene e molte altre russe. Non sapevamo le differenze, eravamo tutti vicini”.

I suoi bambini spesso andavano nell’appartamento di Aida e del marito Artush per guardare l’unica televisione a colori dell’intero vicinato. “Nessuno ha mai detto loro ‘Non sedere qui’. Ai giorni nostri è raro trovare una pazienza come quella nei confronti dei figli degli altri”.

Durante la festa azera per celebrare la primavera, il Novruz, i suoi bambini e i loro amici armeni “coloravano e cuocevano assieme le uova, mentre chiacchieravano tra loro”, continua.

“I dolci di Sveta erano fantastici; era bravissima nel cucinarli. Sono stati ospiti al nostro matrimonio ed eravamo fianco a fianco, in mutuo sostegno, ai funerali”.

Gular cerca ancora di trovare un senso per la scomparsa di quella comunità. Ritiene che il conflitto aveva ragioni politiche e non fu responsabilità dei cittadini ordinari di Armenia e Azerbaijan.

“Dico sempre che Dio ha maledetto i responsabili di questa guerra! Ciò che abbiamo perso sono i nostri vicini e la nostra gioventù. Abbiamo perso il senso di comunità e l’amicizia”, continua.

La stessa Gular si è poi trasferita in un altro quartiere di Sumgayit. A volte però torna nel suo vecchio quartiere, dove vivevano insieme ai loro vicini armeni.

“Vado e guardo alle finestre ed ai poggioli. Sono altre persone a guardar fuori da quelle finestre che in passato erano le mie, quelle di Aida, di Sveta, di Anya. Sono solo pochi i vecchi vicini che rimangono qui da visitare”.

“Tutto è accaduto così rapidamente che non abbiamo nemmeno saputo chi è entrato al posto loro nell’appartamento. Lo hanno scambiato o venduto? O è stato occupato da altri? Non lo so…”

Dopo aver chiacchierato per un po’ Gular si è improvvisamente azzittita.

“Viviamo in tempi in cui io ho paura anche solo a dire che avevamo dei buoni vicini. La situazione è molto dura da accettare”.

La guerra ha bloccato tutti quegli scambi tra persone e luoghi che prima si davano per scontati.

Gular, il cui fratello è stato ucciso nei combattimenti, non può più recarsi in visita nel luogo dove è nata, Jabrayil, in Karabakh che ora si trova oltre il fronte armato con l’Armenia.

Nonostante gli orrori del conflitto Gular però continua ad essere convinta che in quella notte di febbraio del 1988 ha fatto la cosa giusta. Nella guerra, sottolinea, la maggior parte delle persone ordinarie sono innocenti.

“A volte mi dicono ‘gli armeni hanno occupato la tua regione di nascita, come fai ad avere nostalgia dei tuoi vicini armeni’?”. Gular scuote al testa. La sua risposta è semplice ma profonda: “Non è colpa loro”.

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