Armenia: al via i primi eventi del Vertice della francofonia (Agenzianova 07.10.18)

Erevan, 07 ott 11:11 – (Agenzia Nova) – È iniziato oggi a Erevan il Vertice della francofonia, un evento molto atteso che l’Armenia sta organizzando da oltre un anno. I lavori odierni sono affidati dal Consiglio permanente che si occupa di mettere al vaglio i documenti che verranno poi passati a ministri, capi di governo e di Stato dei paesi partecipanti. In quest’occasione è stato annunciato che sarà la Tunisia a ospitare il prossimo vertice, un appuntamento che si svolgerà in concomitanza con il 50mo anniversario dell’organizzazione. In giornata è atteso un intervento del segretario generale, Michaelle Jean, incentrato sulle attività economiche, diplomatiche e politiche dell’organizzazione durante la sessione del Consiglio permanente. Gli eventi più importanti legati al summit si terranno, tuttavia, nei prossimi giorni, in particolare l’11 e il 12 ottobre quando è atteso il summit con la partecipazione dei capi di Stato e di governo: per l’occasione è atteso in Armenia il presidente francese, Emmanuel Macron. (Res)

Il presidente della Confederazione Alain Berset parteciperà, l’11 e il 12 ottobre, al XVII vertice della francofonia nella capitale armena Erevan.

L’incontro di capi di Stato e di governo è il principale organo dell’Organizzazione internazionale della francofonia (OIF). A margine del vertice, Berset avrà una serie di colloqui bilaterali, si legge in un comunicato odierno del Dipartimento federale dell’Interno (DFI).

Il motto dell’evento è “Vivere insieme nella solidarietà, nella condivisione dei valori umanistici e nel rispetto della diversità: fonte di pace e prosperità per lo spazio linguistico francofono”.

All’ordine del giorno anche una risoluzione presentata dalla Svizzera sulla partecipazione culturale. Nel testo si trovano raccomandazioni su come gli Stati possano garantire l’accesso alla cultura al maggior numero di persone possibile. Altri temi importanti saranno la solidarietà fra i popoli e le culture nell’area francofona e la parità tra uomo e donna.

La Svizzera fa parte dell’OIF dal 1996. Quest’anno il padiglione elvetico mostra in che modo e dove la Confederazione si impegna in favore della parità di genere all’interno della francofonia.

L’ultimo omaggio a Charles Aznavour alla chiesa armena di Parigi (Askanews 06.10.18)

Parigi, 6 ott. (askanews) – Le esequie di Charles Aznavour, morto lunedì a 94 anni, sono state celebrate alla cattedrale armena Saint Jean Baptiste di Parigi, all’indomani della pubblica celebrazione officiata dal presidente francese Emmanuel Macron.

L’ultimo omaggio al grande cantante di origine armena è stato seguito da moltissimi parigini e da una folta rappresentanza della comunità armena: presente anche il primo ministro del paese, Nikol Pachinian: “E’ un giorno di lutto in Armenia e per tutti gli armeni”, ha detto.

“Ogni volta che cantava al palazzo dei Congressi prendevo i biglietti per dieci serate di seguito per non perdere nulla. E sua figlia gentilmente mi vedeva e mi diceva “sei qui anche stasera?” “Eh sì, sono qui perché ho scelto fra lo psichiatra e tuo padre e credo che tuo padre mi faccia molto bene” dice una signora.

E una delle giovani organizzatrici: “Ho lavorato all’organizzazione anche a titolo personale, perché era diciamo il rappresentante degli armeni, e io sono di origine armena; ci sosteniamo”.

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“In Francia poeti non muoiono mai”. L’addio commosso di Parigi a Charles Aznavour (Huffingtonpost 06.10.18)

“In Francia i poeti non muoiono mai”: omaggio nazionale a Parigi a Charles Aznavour, lo chansonnier francese figlio della diaspora armena scomparso lunedì all’età di 94 anni. “In Francia i poeti non muoiono mai”, ha detto il presidente Emmanuel Macron, nell’elogio funebre pronunciato dinanzi alle circa 2.000 persone giunte a salutare per un’ultima volta il grande della musica francese noto ai quattro angoli del pianeta.

“Charles Aznavour è diventato naturalmente, unanimemente, uno dei volti della Francia”, ha detto il presidente, spiegando che “francesi si diventa anche attraverso la lingua. Grazie ad essa che Aznavour è diventato così francese e anche, come diceva, parigino”. Per “milioni di persone – ha continuato il capo dell’Eliseo – le sue canzoni furono un balsamo, un rimedio, un conforto”.

Alla cerimonia, nel cortile dell’Hotel des Invalides – il complesso militare tra i luoghi più prestigiosi e simbolici del Paese, a ridosso dell’immensa cupola napoleonica scintillante sotto al sole parigino – erano presenti, tra gli altri, il presidente armeno Nikl Pachinian, nonché i famigliari di Aznavour, a cominciare dalla moglie Ulla, con cui ha vissuto per mezzo secolo, i figli e altri membri della famiglia inizialmente opposti a una celebrazione pubblica.

Presenti anche ex presidenti come Francois Hollande e Nicolas Sarkozy, accompagnato dalla moglie Carla Bruni-Sarkozy, la leader del Rassemblement National (Ex Front National) Marine Le Pen, artisti come Jean-Paul Belmondo, Dany Boon, Eddy Mitchell, Mireille Mathieu, Grand Corps Malade, Enrico Macias.

La cerimonia aperta al pubblico nei limiti dello spazio disponibile è cominciata alle dieci del mattino, trasmessa in diretta su due maxi-schermi, uno all’esterno degli Invalides, per chi non fosse riuscito ad entrare ed un altro a migliaia di chilometri, Erevan, Armenia, dove Aznavour era amatissimo e popolarissimo. Domani i funerali in forma strettamente privata a Montfort-l’Amaury, piccolo comune ad ovest di Parigi. Cantante, paroliere, compositore (e anche attore), Aznavour riposerà nella tomba di famiglia, al fianco dei genitori e del figlio Patrick, scomparso ad appena 25 anni.

Al termine del discorso di Macron, è stato osservato un minuto di silenzio seguito dalla Marsigliese. Il feretro di Aznavour è stato portato via dal cortile d’onore dietro alle note di ‘Emmenez-moi’, ‘Portatemi via’, una dei suoi brani più celebri, cantato in coro dalle 2.000 persone presenti, in un momento di grande emozione e solennità.

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Immigrato Aznavour Orgoglio armeno (Avvenire 05.10.18)

Non pensavo che la notizia della morte di Charles Aznavour, il cantate/attore/attivista francese di origine armena, potesse colpirmi così tanto. Cerco di spiegarmene il perché, e di perché ne trovo più d’uno. Per cominciare sono figlio di immigrati italiani in Francia e ho vissuto spesso a Parigi e nella sua banlieue. I grandi nomi della cultura e dello spettacolo (e anche della politica!) erano e sono molto spesso quelli di figli di immigrati stranieri. Per esempio, pensando solo al mondo della canzone e dello spettacolo e certamente dimenticandone molti: Luis Mariano (Spagna); Rina Ketty (anni trenta, Italia); Yves Montand (Italia); Serge Reggiani (Italia); Lino Ventura (solo attore, Italia); Henri Salvador (Antille); Salvatore Adamo (Belgio-Italia); Dalida (Egitto-Italia), eccetera. Eccetera. Eccetera. Eccetera. Aznavour era di origine armena, e non se ne è mai dimenticato, come non se ne sono mai dimenticati gli altri artisti citati e tantissimi francesi di varie arti e mestieri, da Marie Curie a… Sarkozy, mai vergognandosene o nascondendolo. Se sono stati amati così tanto era anche perché la forza di assimilazione della cultura francese permetteva e rispettava la loro «doppia natura», e perché quella cultura ha sempre saputo di dovere tantissimo alla sua apertura «geografica» ed etnica. Aznavour rivendicava la sua origine e si comportava di conseguenza: in rapporto alla storia passata del suo popolo (e al genocidio degli armeni che provocò agli inizi dello scorso secolo la loro diaspora e ha molto ancora a che fare con i loro odierni tormenti); e si è fatto, suscitando l’ammirazione dei francesi, portavoce della storia armena a livello internazionale, anche politico. Aznavour è stato anche un grande cantautore, ma da ex critico di cinema mi piace ricordarlo come ottimo attore in tanti film e in particolare in: La fossa dei disperati di Franju, straziante storia di due giovani evasi da un manicomio; Tirate sul pianista, di Truffaut, da un disperato e bellissimo noir di David Goodis; I fantasmi del cappellaio di Chabrol, da uno dei più bei romanzi di Simenon. E infine in Ararat di Atom Egoyan, un regista canadese-armeno, un film in cui Aznavour era un regista d’origine armena che deve girare un film sul massacro degli armeni… Aznavour ha fatto anche tanta tv, nessun francese poteva dire di non conoscerlo, e di non dovergli qualcosa. Accadrà mai in Italia qualcosa di simile? Dicevano vecchi maestri: la differenza è che i francesi hanno fatto la rivoluzione borghese e noi no.

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Parigi: omaggio nazionale ad Aznavour ‘un poeta non muore mai’ (TG LA7)

Omaggio solenne e commovente insieme oggi a Parigi a Charles Aznavour, grande chansonnier ma anche attore, morto lunedì scorso a 94 anni. Centinaia di partecipanti tra personalità e gente comune erano presenti nel cortile des Invalides, luogo simbolo della Francia, dove è stata posta la bara avvolta dal tricolore francese, e dove la figlia Katia ha cantato ed eseguito alcune delle sue canzoni più amate. “Aznavour è stato un tesoro per la Francia ma anche per la causa armena” ha ricordato qualcuno con un cartello tra il  pubblico. Ai funerali erano presenti oltre alle alte personalità dello Stato, che il presidente e il primo ministro armeno per ricordare le origini di Aznavour, e le sue battaglie per  far conoscere la causa armena e le persecuzioni turche nei confronti degli armeni, fatto che ha spinto i genitori di Aznavour ad emigrare in Francia.
“Charles Aznavour ha reso la nostra vita più dolce, le sue canzoni erano un balsamo, una cura, un conforto. ha detto Macron nel suo discorso. “In Francia, i poeti non muoiono mai”, ha concluso. Al termine dell’intervento la bara è stata via sulle note della canzone “Portami via”.

 

Armenia: esperti annunciano possibilità di ridurre del 10 per cento le tariffe sul gas (Agenzianova 05.10.18)

Armenia: esperti annunciano possibilità di ridurre del 10 per cento le tariffe sul gas
Erevan, 05 ott 10:29 – (Agenzia Nova) – Le valutazioni effettuate dal gruppo di lavoro istituito dal primo ministro armeno, Nikol Pashinyan, hanno mostrato che le attuali tariffe del gas nel paese possono essere ridotte almeno del 10 per cento. Lo ha dichiarato il membro del gruppo di lavoro Eduard Arzumanyan, presentando oggi i risultati preliminari dello studio sui prezzi del gas naturale portato avanti negli ultimi due mesi. Stando alle informazioni riportate da “Armenpress”, il premier è stato aggiornato sulle conclusioni, e Arzumanyan avrebbe annunciato che sarebbe possibile anche un decremento delle tariffe elettriche. “Prima di tutto, il gruppo di lavoro ritiene che le tariffe stabilite nel 2015 a seguito delle proteste per il rincaro delle imposte per l’energia elettrica siano sbagliate. Così come le decisioni prese nel 2016 dalla Commissione regolatoria per i servizi pubblici, che hanno mantenuto invariate le perdite di Electric Networks of Armenia dal 2015 al 2016. (Res)

Addio a Charles Aznavour, la leggenda della canzone francese, amico degli ebrei e di Israele (Mosaico-cem.it 04.10.18)

di Roberto Zadik
Dopo la sua morte escono interessanti  rivelazioni sul leggendario cantautore francese di origine armena Charles Aznavour. A questo proposito il sito Times of Israel ha recentemente pubblicato un interessante approfondimento non solo sul suo stretto rapporto col mondo ebraico, la sua famiglia salvò diversi ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale, ma anche con Israele. La notizia era uscita nel 2016, quando il cantautore aveva raccontato a un ricercatore israeliano l’impegno dei suoi genitori armeni, nel salvare alcuni ebrei durante la Shoah.

Sempre dinamico, vitale e fantasioso fino al’ultimo, poliglotta e viaggiatore instancabile, a quanto pare questo gigante della canzone francese avrebbe dovuto esibirsi a luglio a Tel Aviv, dopo una serie di concerti di grande successo che aveva tenuto nella metropoli israeliana che era meta preferenziale nella sua scaletta concerti sempre molto attiva malgrado l’età.

E con Israele a quanto pare egli ebbe un rapporto molto stretto. Lo scorso 26 ottobre era stato invitato nientemeno che dal Presidente Rivlin nella sua Residenza per ricevere il Premio Raoul Wallenberg, dal nome del celebre diplomatico svedese che salvò migliaia di ebrei.  Durante l’incontro i due parlarono lungamente di musica e della passione del Capo dello Stato ebraico per la sua musica e capolavori come “La Boheme”. Consegnandogli il prestigioso riconoscimento, Rivlin ha detto “la sua famiglia nascose gli ebrei perseguitati mentre Charles e sua sorella Aida li salvarono”.

Ringraziando sentitamente il presidente, Aznavour ha ricordato le proprie origini armene specificando nel suo discorso “noi e gli ebrei abbiamo tanti punti in comune. Nella musica, nelle arti, nei momenti felici e nelle difficoltà e nell’essere diventati gente importante nei Paesi che ci hanno accolto”.

Nato da origini armene a Parigi nel 1924 lui e la sua famiglia hanno nascosto e protetto diversi ebrei e partigiani rivelando altruismo e coraggio straordinari. Il Times of Israel nel suo omaggio ripercorre anche le tappe principali della carriera di questo cantautore. Uno degli artisti più famosi e apprezzati  nel mondo  assieme a Gilbert Becaud, Georges Brassens o  Edith Piaf con cui esordì aprendo un suo concerto quando anche lei era agli esordi,  per poi lanciarsi nella lunga e gloriosa carriera solistica dal 1956 con classici come “Sur Ma vie” (Sulla mia vita) e raggiungendo la fama grazie a film come “Tirate sul pianista” del grande Truffaut del 1960 e del quale era il protagonista. Una vera star salutata da varie celebrità alla sua morte come dal Primo Ministro Francese Valls che ha detto “nato da genitori armeni è stato uno dei più grandi esempi di brillantezza francese”.

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Niente Europa League, l’Arsenal lascia ​Mkhitaryan a casa. Un caso politico (AGI 04.10.18)

Il suo nome nella translitterazione anglosassone diventa Henrikh Hamleti Mkhitaryan ed è uno dei centrocampisti più forti del mondo. Gioca nell’Arsenal, uno dei club più gloriosi della Premier League, è arrivato a Londra durante la sessione di calciomercato invernale dell’anno scorso nell’ambito dell’affare che ha portato Alexis Sanchez al Manchester UTD. Ma l’annata dell’Arsenal non è delle migliori e la posizione in classifica permette quest’anno soltanto la partecipazione all’Europa League, che quasi certamente vivrà da protagonista.

Una guerra addormentata dal 1994, da quando Il 5 maggio a Bişkek, capitale del Kirghizistan, viene firmato tra i rispettivi ministri della difesa un accordo di cessate il fuoco. Accordo che chiaramente non ha reso la vita più semplice, violato molte volte da allora, che non può far dimenticare un conflitto che in soli due anni effettivi di guerriglia, dal 92 al 94, ha causato 30 mila morti, 80 mila feriti e diverse centinaia di migliaia di profughi costretti a lasciare le loro case per passare da una parte all’altra della barricata.

Mkhitaryan è un classe ’89 ed ha vissuto in Armenia fino al 2009, quando lascia il paese per aggregarsi agli ucraini del Metalurh Donec’k; ciò vuol dire che è nato e diventato adulto in perenne clima di guerra. Poi la vita, ma soprattutto la passione per il calcio e il suo enorme talento, gli hanno regalato una vita più serena, lo hanno portato a vestire maglie prestigiose, tre in particolare: Borussia Dortmund, Manchester UTD e ora Arsenal, ma il passato bussa nuovamente beffardo alla sua porta.

L’Arsenal finisce nel girone con gli azeri del Qarabag e, per la sua sicurezza, decide di non farlo nemmeno viaggiare con la squadra. Come riporta il sito di Sky Sport, l’allenatore del Qarabag, Gurban Gurbanov (azero), non la prende benissimo e commenta arrabbiato la mancata convocazione di Mkhitaryan da parte dei Gunners: “L’Arsenal potrebbe temere che davanti a 60 mila tifosi azeri Mkhitarian abbia troppa pressione addosso ed è per questo che non lo hanno portato con loro. Non è la prima volta che non viene in Azerbaijan. Fino ad ora, comunque molti sportivi armeni sono venuti qui: è scelta dell’Arsenal non averlo convocato”.

Una scelta presa evidentemente quasi come un insulto ed è vero, non è la prima volta che il centrocampista rinuncia a trasferte in terra azera, era già successo quando vestiva i colori del Borussia Dortmund. Ma la scelta della società londinese è irrevocabile ed è stata presa già all’indomani dei sorteggi: “La sicurezza generale e quella di tutti i nostri giocatori è sempre una priorità assoluta per noi”, aveva dichiarato per bocca di un loro portavoce a fine agosto.

Sulla carta l’Arsenal dovrebbe svolgere il compitino in scioltezza anche senza l’apporto tecnico di Mkhitarian, ma un problema sorge all’orizzonte: la finale di Europa League quest’anno si giocherà proprio a Baku, capitale dell’Azerbaijan e l’Arsenal certamente è tra le squadre favorite per arrivarci; cosa succederà allora? Il clima in tal caso si sospetta potrebbe essere decisamente più caldo per Mkhitarian, il centrocampista armeno che non riesce in nessun modo a dribblare il proprio passato.


Mkhitaryan e non solo: i casi dei giocatori “fermati” dalla politica  (gianlucadimarzio.com)

Il caso di Mkhitaryan, non convocato per questioni politiche, non è l’unico nel mondo del calcio: le storie di Jahanbakhsh, Sukur, Naki e Eigendorf altre testimonianze di vicende oltre il mondo del pallone

È possibile non giocare a calcio per motivazioni politiche? Eccome. La vicenda di Mkhitaryan è solo l’ultima di una serie di casi di questo tipo: l’Arsenal si è infatti trovato costretto a lasciare a casa uno dei suoi giocatori più rappresentativi, per una questione che esula da questioni tecniche, tattiche o di calciomercato. Lui, armeno e capitano della sua Nazionale, non è stato convocato per la trasferta di Europa League in Azerbaijan, dove si troveranno di fronte il Qarabag. Gli azeri sono da anni in guerra contro l’Armenia per il controllo di una piccolissima porzione di territorio, il Nagorno-Karabakh. In due anni, dal 1992 al 1994, quella linea di terra è diventata teatro di guerra, con 30mila morti e oltre 80mila feriti: a nulla è servito l’armistizio firmato proprio nel ‘94, dal momento che le azioni di guerriglia sono continuate fino a oggi, di fatto senza tregua. Così, è arrivata la scelta di non convocare Mkhitaryan per questioni di sicurezza, e la reazione dell’allenatore del Qarabag, Gurbanov, è stata molto dura: “Molti sportivi armeni sono venuti qui: non convocarlo è una scelta dell’Arsenal, forse temono possa subire troppa pressione da parte dei nostri tifosi, ma allo stadio…”.

Da una non convocazione all’altra. Simile a quello del centrocampista dei Gunners è il caso di Alireza Jahanbakhsh, ora in forza al Brighton, qualche anno fa dell’AZ Alkmaar. Era il 19 ottobre 2016, e l’allenatore degli olandesi, van den Brom, decise di non convocare l’iraniano, allora ventitreenne. Perché? Sempre in Europa League la sua squadra avrebbe giocato contro gli israeliani del Maccabi Tel Aviv. E non era cosa ignota che esistesse (e tutt’ora esiste) un aspro conflitto tra Iran e Israele. A differenza di Mkhitaryan, però, la scelta di non scendere in campo per la partita che si sarebbe giocata in Olanda fu direttamente di Jahanbakhsh: giocare contro una squadra israeliana avrebbe significato per lui, iraniano, riconoscere Israele come una nazione.

Il senso di appartenenza verso le proprie origini sembra collegare tutte queste storie, anche quando si tratta di giocatori non più in attività. È singolare la vicenda di Hakan Sukur, vecchia ma tutt’altro che ignota conoscenza del calcio italiano. L’attaccante, che ha militato tra le file di Torino, Inter e Parma, ha concluso la sua carriera in Turchia, nel Galatasaray. Un ritorno in patria, per il classe ‘79, che terminata la sua carriera da calciatore si è buttato in politica, nello schieramento di Erdogan. Con l’attuale leader anatolico, inizialmente i rapporti furono ottimi: la popolarità di Sukur gli permise di ottenere in breve tempo un posto in parlamento, ma lo strappo si consumò quando Fethullah Gulen, famoso predicatore turco, venne dichiarato nemico di Stato. Sukur, seguace di Gulen, si schierò contro il provvedimento, e dopo beni sequestrati, conti congelati, e addirittura l’incarcerazione per un anno del padre, si ritrovò costretto a fuggire dalla Turchia nel 2015, per trasferirsi in California, a Palo Alto, dove è ora proprietario di una famosa caffetteria. Su di lui pende ancora un mandato di cattura, è un rifugiato politico americano ma, almeno, “ho conservato la mia dignità”, ha dichiarato al New York Times.

E sempre in Turchia non sta vivendo vita facile Deniz Naki, tedesco di nascita ma curdo di origini. È cresciuto nel Bayer Leverkusen, ma l’attaccamento familiare alla sua terra lo ha portato dopo qualche anno di attività a trasferirsi in Anatolia. Anche lui è inviso a Erdogan, che qualche anno fa lo fece condannare per 10 mesi a causa delle aperte critiche contro il leader politico e delle sue parole di difesa nei confronti del partito comunista curdo. Nel 2014 decise di lasciare il Genclerbirligi, squadra di Ankara, dopo un’aggressione subita per le vie della città e da tre anni ha scelto di giocare in terza categoria, nell’Amed S.K., squadra curda di cui è diventato in brevissimo tempo una bandiera. Nel gennaio 2018, Naki è rimasto vittima di un attentato da cui è uscito illeso: diversi colpi di pistola sono stati sparati sulla sua macchina, con lui alla guida. L’attaccante ventinovenne è stato molto fortunato: non a tutti è capitato così.

La storia di Lutz Eigendorf è terribile. È il racconto di un ragazzo, prima ancora che un calciatore, che a 27 anni ha cercato di guardare al di là del muro. Un atto di libertà, se si pensa che il “muro” era in realtà il Muro, quello di Berlino, in pieno periodo di Guerra Fredda. Il centrocampista era nato nel 1956 nella Germania dell’Est (aveva giocato anche nella sua Nazionale), e come tanti suoi coetanei sognava un’Europa non divisa, lontana dal regime di restrizioni che l’URSS aveva imposto nei territori sotto la propria influenza. Tentò la fuga, per un futuro anche extra calcistico migliore: ma i suoi sogni furono stroncati per diretta opera della STASI, che lo uccise durante il suo tentativo. Nemmeno il calcio e la sua popolarità poterono salvarlo.

Armenia: tra rivoluzione di velluto e limiti da non superare (Lindro 03.10.18)

L’ Armenia è un piccolo Stato del Caucaso meridionale, invaso dalle truppe bolsceviche ed inglobato nell’Unione Sovietica nei primi anni venti, è divenuto indipendente nel 1991, dopo la dissoluzione dell’impero sovietico. Poco meno di tre milioni i residenti nel Paese e molti altri gli armeni della diaspora o semplicemente migranti economici: in Russia, negli Stati Uniti, ma anche in Ucraina e in Francia.

Nel mese di aprile una serie di proteste per le strade della capitale Yerevan e nelle principali città armene ha spinto alle dimissione il primo ministro Serzh Sargsyan, sostituito qualche giorno dopo da Nikol Pashinyan. Una piccola rivoluzione, non violenta, definita di velluto, che potrebbe in realtà non avere alcuna conseguenza e non produrre alcun cambiamento, ma che ha creato più di qualche turbamento nell’area, in quanto ha mostrato che anche un uomo di potere come Sargsyan può essere allontanato da movimenti di piazza, quando il bicchiere è colmo.

Sargsyan è stato il Presidente della Repubblica di Armenia per due mandati, dal 2008 al 2018. L’Armenia era allora una repubblica semipresidenziale, con poteri largamente nelle mani del Presidente, eletto direttamente dal popolo per un massimo di due mandati.

Pashinian è un ex giornalista ed editore, vicino politicamente per un certo periodo all’ex presidente Levon Ter-Petrosyan, fu condannato a sette anni di prigione perché accusato di essere tra gli organizzatori delle proteste che seguirono le elezione presidenziali del 2008. Rilasciato nel 2011, dopo un’amnistia, divenne parlamentare nel 2012.

Tra la prima elezione di Sargsyan nel 2008 e l’assegnazione della carica di primo ministro, nel 2018, a Pashinyan corrono dieci anni ed importanti cambiamenti: l’Armenia, assecondando i desideri di Mosca, entra nel 2015 nell’Unione economica eurasiatica e contemporaneamente, dopo un referendum costituzionale, si trasforma da repubblica semipresidenziale in repubblica parlamentare, con passaggio di poteri dal presidente al primo ministro e primo ministro, appena qualche giorno dopo la fine del mandato presidenziale, viene eletto proprio Serzh Sargsyan. Le opposizioni non ci stanno e cominciano le proteste di piazza che si concludono con le dimissioni di Sargsyan e la nomina di Pashinyan e con l’apparente, inusuale, disinteresse di Mosca per le vicende.

In realtà, Pashinian non sarebbe mai divenuto primo ministro se la Russia non avesse avuto rassicurazioni che non ci sarebbe stati cambiamenti radicali e che l’asse non si sarebbe spostato verso l’Unione Europea. Già a maggio, infatti, nel corso del primo incontro ufficiale a Mosca, Pashinyan si era affrettato a precisare ai giornalisti presenti che «le relazioni strategiche tra Armenia e Russia non richiedono discussioni. Penso che nessuno nel nostro paese abbia o possa mettere in dubbio l’importanza strategica delle relazioni armeno-russe». Pashinian ha sicuramente intenzione di continuare a cooperare con la Russia e lo ha ribadito anche nel corso dell’ultimo incontro di settembre, vorrebbe farlo però come partner alla pari e non sarà facilissimo, considerando che in passato governo e potere politico in senso lato a Yerevan hanno sempre agito per compiacere Mosca.

Quasi tutti i Paesi, in passato assoggettati al sistema sovietico, rimangono ancora oggi confinati all’interno di un sistema in cui gli affari privati spesso sono nascosti da ragion di Stato ed in cui la straripante corruzione rende qualsiasi sforzo compiuto verso lo sviluppo economico ed il benessere diffuso, uno sforzo vano. Anche in Armenia, la ragione principale che ha spinto migliaia di cittadini nuovamente in strada, nei mesi passati, è da ricondurre alla dilagante corruzione e all’arroganza della politica. Riuscire a far emergere il meglio della società armena, lottare contro la corruzione e le oligarchie senza tagliare i legami con Mosca sarà abbastanza complicato. Il primo caso che ha creato qualche frizione tra Mosca e il nuovo potere di Yerevan riguarda l’ex Presidente Robert Kocharian e l’ex vice ministro della Difesa Yuri Khachaturov, arrestati perché accusati di aver violato l’ordine costituzionale in occasione della repressione seguita alle proteste dopo le elezione del 2008 e che costò la vita a 10 manifestanti: sia il Presidente russo che il Ministro degli esteri Lavrov hanno infatti sollevato la questione, anche se con toni e modalità differenti, lasciando trapelare preoccupazione per la campagna anticorruzione che ha toccato gli ex leader politici.

Le relazioni tra Armenia e Russia sono sicuramente rilevanti, ma il legame con Mosca va ben oltre gli aspetti puramente economici. E’ sicuramente vero che l’Armenia esporta il 19 per cento dei propri prodotti in Russia, ma è anche vero che l’intera Unione Europea ne importa più del 25 per cento e il solo Canada il 12 per cento. E’ vero altresì che l’Armenia dipende dalla Russia per questione energetiche, aspetto del resto evidenziato dal Presidente russo anche nel corso dell’ultimo incontro di qualche giorno fa con Pashinian, quando ha sottolineato che se l’Armenia si approvvigiona di gas naturale a prezzi stracciati, lo deve proprio alla vicinanza a Mosca. Ma la Russia non è solo un importante partner economico, Mosca fino ad ora è stato un alleato di Yerevan, nel verso senso della parola. L’Armenia ha infatti un altro piccolo problema, si chiama Nagorno Karabakh, la regione a maggioranza armena assegnata negli anni ’20 da Stalin all’Azerbaijan. Subito dopo il crollo dell’impero sovietico, il Nagorno Karabakh dichiarò l’indipendenza  e la violenta reazione degli azeri diede avvio alla guerra che si concluse con un accordo nel 1994, dopo una lunga lista di violenze, morti, rifugiati ed operazioni con un forte tanfo di pulizia etnica da entrambe le parti. L’Armenia aveva conquistato circa il 10% di territorio azero, che non ha mai voluto restituire, nonostante le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, tutte rimaste inascoltate e che richiedevano «il ritiro dei soldati armeni dalle aree occupate appartenenti all’Azerbaijan». Nella complicata vicende del Nagorno Karabakh, l’appoggio russo e’ sempre stato fondamentale per l’Armenia ed oggi, i diecimila soldati russi, distaccati presso la base militare di Gyumri, sono un modo per la Russia per controllare i propri interessi nella regione, ma sicuramente un solido appoggio all’Armenia ed un deterrente per eventuali decisioni non concordate degli ingombranti vicini, Azerbaijan e Turchia.

L’ Armenia sa bene che se riesce a mantenere le posizioni e non ha mai ceduto il territorio conquistato lo deve soprattutto alla Russia ed i politici armeni sono ben consci del fatto che basta poco perché l’ago della bilancia si sposti da una parte piuttosto che dall’altra: un paio di anni fa la vendita di armi russe all’Azerbaijan ha fatto squillare qualche campanellino, con la conseguente, inusuale, contestazione del ministro degli esteri Sergey Lavrov in visita nel Paese.

L’appoggio russo  e’ sempre stato importante per l’Armenia, la rivoluzione di Pashinyan è assolutamente ‘incolore’ e la vicinanza al Cremlino, sia da parte del governo che della maggioranza degli armeni non e’ in dubbio, del resto i diecimila soldati russi della base di Gyumri sono un ottimo deterrente e non solo per le mire degli ingombranti vicini.

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Armenia: elezioni anticipate, opposizione accetta compromesso con premier Pashinyan ma manca l’intesa coi repubblicani (Agenzia Stampa 03.10.18)

Armenia: elezioni anticipate, opposizione accetta compromesso con premier Pashinyan ma manca l’intesa coi repubblicani (6)
Erevan, 03 ott 16:32 – (Agenzia Nova) – “Oggi abbiamo dimostrato che le elezioni anticipate sono una richiesta pan-armena. Coloro che si opporranno dichiareranno guerra al proprio popolo”, ha affermato il primo ministro, parlando ai suoi sostenitori in Piazza della Repubblica ad Erevan. Il presidente Sarkissian, di ritorno dalla sua visita negli Stati Uniti in questo momento, ha avuto una conversazione telefonica con il premier e con il presidente del parlamento, Ara Babloyan, chiedendo a tutti un atteggiamento moderato, che consenta di superare la crisi nel modo più efficiente possibile e nel rispetto della Costituzione. Il contesto politico in Armenia attualmente resta fluido: il premier Pashinyan sembra poter contare ancora sul sostegno della popolazione che già gli aveva garantito il suo appoggio durante la “Rivoluzione di velluto”; d’altro canto i repubblicani hanno tirato le fila della politica armena praticamente sin dall’indipendenza dall’Unione sovietica. Per questo motivo, quindi, resta difficile al momento delineare quale sarà lo scenario più probabile. Il paese dovrà arrivare a elezioni anticipate, ma il punto focale resta quando: entro fine anno, come proposto dal premier, o nel 2019, la soluzione preferita dal Pra. (Res)

Armenia: elezioni anticipate, opposizione accetta compromesso con premier Pashinyan ma manca l’intesa coi repubblicani (Agenzianova 03.10.18)

Erevan, 03 ott 16:32 – (Agenzia Nova) – I negoziati sulle elezioni anticipate che si sono svolti ad Erevan a partire da ieri sera hanno portato al raggiungimento di un compromesso tra il primo ministro, Nikol Pashinyan, e la maggior parte delle forze politiche in parlamento, con l’eccezione del Partito repubblicano d’Armenia (Pra). Principale fautore del controverso disegno di legge che emenda il regolamento interno del parlamento, il Pra resta l’unica forza politica a opporsi alla volontà espressa da Pashinyan di indire elezioni anticipate entro fine anno. Le discussioni che questa mattina erano state definite “infruttuose” da Edmon Marukyan, esponente del blocco Yelk (Via d’Uscita) sotto la guida del premier, si sono concluse con svariate forze d’opposizione (Armenia Prospera, la Federazione Rivoluzionaria Armena e il blocco Tsarukyan) che hanno assicurato che non presenteranno un candidato per la carica di primo ministro, qualora Pashinyan dovesse decidere di dimettersi per accelerare il processo che condurrebbe alle elezioni anticipate. (segue) (Res)