Armenia-Repubblica Ceca: presidente parlamento Babloyan da domani a Praga (Agenzianova 21.08.18)

Erevan, 21 ago 10:00 – (Agenzia Nova) – Una delegazione guidata dal presidente del parlamento armeno Ara Babloyan partirà domani per Praga per una visita ufficiale che durerà sino al 24 agosto. Lo riferisce una nota del parlamento di Erevan. La delegazione include i deputati Tachat Vardapetyan, Armen Rustamyan e Hrachya Hakobyan. Durante la visita sono previsti incontri con il presidente del Senato ceco Milan Štech, con il presidente della Camera dei deputati Radek Vondracek, con il primo ministro Andrej Babis, nonché con i membri del gruppo di amicizia interparlamentare Repubblica Ceca-Armenia. (Res)

Armenia, in migliaia marciano per manifestare sostegno a premier (Askanews 17.08.18)

Erevan (Armenia), 17 ago. (askanews) – Migliaia di armeni hanno manifestato nella capitale Erevan a sostegno del primo ministro riformista Nikol Pashinyan, in occasione del centesimo giorno al potere di questo leader “anticorruzione” che affronta le antiche elite filorusse.

Maglietta blu e cappello, altoparlante in mano, Pashinyan ha sfilato alla testa di questo corteo per le strade di Erevan verso piazza della Repubblica, nel cuore della capitale. “Vorrei informarvi di quello che è stato fatto da quando sono stato eletto primo ministro, cento giorni fa”, ha detto Pashinian di fronte ai manifestanti.

Lo scorso aprile, questo ex deputato dell’opposizione ha mobilitato decine di migliaia di persone per una ventina di giorni contro l’ex presidente Serge Sarkissian e il suo Partito repubblicano al potere, accusati di non fare nulla per debellare corruzione e povertà. Il 23 aprile scorso, Serge Sarkissian ha rassegnato le dimissioni tra lo stupore generale e l’8 maggio Nikol Pachinian è stato eletto alla guida del governo dal parlamento.

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Armenia: contestazioni e sfide (Settimananews 16.08.18)

La Chiesa ortodossa d’Armenia, dopo il passaggio del potere politico dal nazionalista Serge Sarkissian al filo occidentale Nikol Pashinyan (8 maggio 2018), ha conosciuto aperti dissensi e manifestazioni pubbliche contro il catholicos, Karekin II, patriarca di tutti gli armeni.

Le tensioni, motivate dall’eccessiva vicinanza della Chiesa al potere nazionalista e dalla ricchezza non condivisa, rimandano a ragioni ulteriori. Come ha detto un autorevole osservatore: «Non mi pare che vi sia ancora una visione storicamente fondata e teoricamente equilibrata del rapporto tra Chiesa e stato nella realtà armena e nell’Armenia. L’enorme e, nel suo genere unico e, in gran parte felice, impatto della Chiesa sulla storia armena, mi pare che non sia ancora ben integrato, a parte la retorica, nello scenario di una statualità moderna, al passo dei tempi e rispettosa di una storia che non si può cancellare e ignorare».

Cambiamenti politici ed ecclesiali

Il cambiamento politico, sostenuto da una massiccia partecipazione alle manifestazioni di popolo nei mesi di aprile/maggio 2018, si è giocato fra nazionalismo oligarchico filo-russo e richieste di riforme economiche e democratiche.

La «rivoluzione di velluto», come è stata chiamata in assonanza con quella cecoslovacca di decenni fa, mira ad uscire dal post-sovietismo, con una forma di governance più vicina alla tradizione occidentale. Segnata da una tendenza laicista che ha fatto insorgere alcuni dei sostenitori di Pachinian davanti al suo incontro il catholicos.

È probabile che si affrontino tempi non brevi di assestamento. Il nuovo governo ha bisogno del sostegno economico della diaspora armena, diffusa in 36 paesi, forte di una popolazione doppia rispetto ai tre milioni dei residenti e scoraggiata nei suoi investimenti dalla pervasiva corruzione degli oligarchi e dei responsabili politici. E la diaspora è legata alla madre patria soprattutto grazie alla tradizione ecclesiale, oltre che alla memoria del genocidio del 1915-1916, il «grande male» con oltre un milione e mezzo di morti da parte dei «giovani turchi».

Dal 6 al 14 luglio alcuni gruppi di manifestanti hanno preso d’assedio la sede del patriarcato a Echemiadzin, forti del sostegno popolare che indicava Karekin II come parte della “cricca” al potere. Pur essendo poche centinaia di persone, hanno lanciato slogans e impedito l’uscita del patriarca, arrivando ad uno scontro fisico, guardato con molta calcolata “indifferenza” da parte della polizia.

L’immediata riduzione allo stato laicale di p. G. Arakelian, già superiore del monastero di San Gayané e capopopolo degli insorti, non rimuove un malcontento più diffuso.

Genté riporta, in un articolo pubblicato sul sito Religioscope (13 luglio), il parere del politologo S. Danelian: «Molti armeni sono molto critici nei confronti del patriarca che sarebbe ricco e padrone di aziende e contro la Chiesa di oggi, a causa della sua prossimità al potere. Esso è corrotto, nepotista, sfruttatore della popolazione in combutta con gli oligarchi, i quali si comprano un posto in paradiso finanziando costruzioni di chiese. Non solo, il catholicos non critica la situazione e non si mette a fianco del popolo, ma sostiene sistematicamente il potere».

E la giornalista T. Yégavian aggiunge: «Karekin II è considerato come il patriarca dei ricchi, si mostra con grandi fortune. È integrato in un sistema oligarchico di rapina e il popolo lo sa. Esso considera la Chiesa armena una multinazionale di cui il patriarca è l’amministratore generale».

Il vescovo Bagrat Galstian, invece, commenta così: «La nostra Chiesa può aver fatto degli errori, ma essa è stata da sempre con il popolo e sotto Karekin II ha conosciuto dei progressi, in un contesto difficile in cui bisognava sviluppare e formare un clero che l’epoca sovietica aveva decimato. Molti armeni hanno ripreso contatto con la Chiesa negli ultimi due decenni per ragioni puramente spirituali».

La violenza verbale e la mancanza di correttezza degli oppositori portano l’impronta del passato regime da cui vorrebbero allontanarsi. Esse sono speculari alle accuse alla Chiesa di riprodurre in Armenia le forme di collateralismo della Chiesa russa con il potere di Putin. La tradizione comunista fa ancora scuola.

Chiesa “nazionale” e genocidio

Il cristianesimo è all’origine della nazione armena, il primo regno cristiano fondato nel 301, e la Chiesa ha assicurato la continuità del popolo nel momento in cui, fra il XIV e il XX secolo, è venuto meno lo stato. Solo la permanenza della struttura ecclesiale ha assicurato l’identità del popolo, diventando una vera «Chiesa nazione».

Se, negli anni ’80 del secolo scorso, ha moderato le spinte nazionaliste anti-russe, è diventata poi il baluardo delle rivendicazioni di indipendenza, soprattutto a partire dall’ancora irrisolta guerra del Nagorno-Karabakh, la zona a popolazione armena dell’Azerbaigian, militarmente conquistata. Una ferita che draga enormi risorse e che potrà essere risolta solo grazie a un qualche patronato russo sul governo azero e alla neutralità della Turchia. Da cui l’Armenia è divisa dall’insuperata memoria del «grande male», ostinatamente e insensatamente negato dalla potenza ottomana.

La Costituzione del 1995 ha sancito la laicità dello stato, ma l’attivismo proselitistico di alcune comunità neo-protestanti e il peso della tradizione ha via via motivato la ripresa di alcuni “privilegi” della Chiesa maggioritaria.

La Chiesa, già definita come “nazionale”, ha ottenuto un ruolo di garanzia nei confronti dei poteri laici (i giuramenti si fanno sul vangelo), la presenza nelle scuole con un proprio insegnamento e la cura pastorale delle forze armate.

Le minoranze confessionali sono guardate con crescente sospetto, alimentate dalle tensioni politico-militari.

La Chiesa ortodossa armena ha due sedi di riferimento: quella della nazione, Echmiadzin, e quella di Antelias in Libano. A causa dell’occupazione russa e dell’obbedienza ai poteri comunisti, le comunità della diaspora si sono organizzate attorno ad Antelias (Beirut, Libano) dove presiede il catholicos Aram I e dove vive una minoranza di 140.000 armeni. Dopo l’indipendenza, le due sedi si sono molto avvicinate e Antelias riconosce la primazia di Echmiadzin.

Le buone relazioni non sono prive di qualche frizione. Karekin II chiede di allargare la sua autorità non solo sulle 10 diocesi del paese, ma anche sulle 40 della diaspora. Il clero autoctono non ha, tuttavia, le forze e la preparazione per le sfide della diaspora.

Il diacono francese P. Sukiasyan – ripreso dall’articolo di R. Genté – fa rilevare: «La diaspora, ormai alla quarta generazione dopo il genocidio si è acculturata. Alcuni sono passati ad altra fede o si proclamano atei. La diaspora è diversa per natura, nata e cresciuta in paesi con costumi sociali e politici diversi da quelli dell’Armenia post-sovietica. Molti non parlano neppure più l’armeno, rendendo meno evidente l’adesione alla Chiesa apostolica. Questa deve rendersi conto che l’identità e la fede non sono più legate l’una all’altra come nel passato».

Le ragioni della diaspora

Un esempio della complessità della diaspora è quello della minoranza armena in Turchia.

Il 22 febbraio 2018 l’assemblea del Consiglio spirituale supremo del Catholicosato di Echmiadzin è intervenuta per riavviare il processo elettorale in ordine alla sostituzione del patriarca armeno di Costantinopoli, Mesrob II Mutafyan. Affetto da grave malattia neurologica, è stato provvisoriamente sostituito da un locum tenens (facente funzione), Karekin Bekdijan, che ha avviato la complessa procedura nel 2016. Il 9 febbraio 2018 le autorità turche intervengono per bloccare il procedimento e condizionano pesantemente l’elezione a locum tenens del vicario generale precedente, Aram Ateshian, che ha perorato la propria causa presso il governo.

Intervengono una settantina di intellettuali armeni di Turchia: «Speriamo e chiediamo che sia posta fine all’amministrazione della sede patriarcale di un vicario e che la sede vacante sia fornita di un titolare (locum tenens) degno e legittimo, grazie a un voto pubblico, in conformità alle nostre tradizioni e ai nostri diritti di cittadini».

Erdoğan, presidente turco, adotta il ruolo del sultano ottomano intervenendo con disinvoltura negli affari delle minoranze religiose. A lui il patriarca Aram I di Cilicia (Antelas), a 103 anni dal genocidio, ricorda la necessità di riconsegnare alla Chiesa armena turca migliaia di chiese, monasteri, scuole e centri confiscati un secolo fa e il riconoscimento del genocidio perpetrato.

Oppressi in Turchia, devastati dalla guerra in Siria, minoranza in Libano e stretti in un territorio da Georgia, Azerbaigian, Turchia e Iran, gli armeni hanno sempre trovato sostegno nella sede papale di Roma, unica istituzione internazionale a farsi carico della difesa degli armeni durante il genocidio, all’inizio del ’900.

Il 5 aprile 2018, assieme a Karikin II e ad Aram I e alla presenza del presidente della Repubblica armena, S. Sargsyan, il papa ha benedetto una statua di bronzo di san Gregorio di Narek, il riferimento culturale e religioso più importante della tradizione armena. Il 12 aprile 2015 lo aveva insignito del titolo di dottore della Chiesa universale. Poeta, monaco, filosofo, mistico e santo, Gregorio di Narek è il Dante della tradizione armena.

L’onore del passato va di pari passo al sostegno circa il riconoscimento del «grande male». Papa Francesco ha parlato espressamente di genocidio il 24 aprile 2015 (la data della memoria) e ha confermato il giudizio durante il viaggio in Armenia nel giugno 2016.

Una nuova visione di Chiesa

Tornando alle tensioni nei confronti di Karekin II, P. Sukiasyan, annota: il patriarca «ha una concezione personale e piramidale dell’autorità nella Chiesa. Non comprende la diversità dei vari universi mentali in cui vivono gli armeni sia nel paese come nella diaspora. Vuole rafforzare la centralizzazione mentre la diaspora vuole una governance decentralizzata e collegiale. Un’autorità condivisa fra sinodo dei vescovi e responsabili laici. Risolvere queste divergenze di approcci è la grande sfida degli anni a venire».

Sulla stessa lunghezza d’onda, l’autorevole esperto citato all’inizio dell’articolo: «Ci sono nel clero, attorno al catholicos, figure religiose egregie. Spero che il patriarca possa raccoglierli e riunirli attorno a sé con maggiore efficacia. Forse nel passato recente c’è stato più un accatastamento di figure che un vero coordinamento e una sinergia di forze. Non è troppo tardi per porvi rimedio».

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Alla scoperta della Valle degli Armeni, escursione notturna a Brancaleone (Lacnews24.it 13.08.18)

Exploring BranKaleone è il titolo dell’escursione esplorativa sensoriale di questo appuntamento estivo nella cittadina di Brancaleone (RC). La Pro loco ed il Gruppo di promozione territoriale Kalabria Experience (foto Pro loco) hanno organizzato questa uscita che reduce dall’ottimo successo ottenuto l’anno scorso ha come obbiettivo la nascita di un itinerario che ripercorra le strade antiche utilizzate fino al secolo scorso. Un trekking facile e dal contenuto magico che si inserisce negli itinerari proposti e classici alla scoperta del territorio della Valle degli Armeni di cui Brancaleone, Staiti, Bruzzano Zeffirio e Ferruzzano ne fanno parte.

Il tour notturno

L’esplorazione notturna offre la capacità percettiva dei rumori della natura, lontano dalla movida estiva e nel buio della notte che in questo borgo abbandonato, rende tutto fantastico. Attraverso un itinerario narrato, i vicoli del borgo rivivranno storie, misteri e leggende, con un tocco di misticismo dovuto alle vicissitudini di questo luogo ammantato di straordinario fascino. L’escursione sarà un modo per vivere un’esperienza unica e irripetibile che oltre ad arricchire il programma estivo promosso dall’associazione va a sostenere il progetto “Renaissance Brancaleone vetus” a cui si sta lavorando per il recupero e la fruizione di questo luogo che ricordiamo essere un parco archeologico urbano.

Il programma

Ore 21 raduno nella frazione Paese Nuovo (di fronte alla Chiesa)

Ore 21:30 partenza a piedi e arrivo al borgo (circa 50min) soste incluse.

Punto ristoro allestito per i partecipanti nella piazzetta della chiesa del borgo. Visita alle chiese grotte, chiesa matrice, silos granai e vicoli del borgo antico. Reading presso la piazzetta con vicende e vicissitudini legate alle leggende del borgo.

Ore 01:00 partenza da Brancaleone vetus per il rientro

Ore 01:30 circa arrivo alle automobili

Il programma potrebbe subire delle modifiche al percorso. (quota di iscrizione con prenotazione obbligatoria 5 euro. Prenotazione: 3470844564).

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CAUCASO. Russia e Armenia ai ferri corti (Agcnews 10.08.18)

Mosca e Yerevan sono praticamente ai ferri corti. Sarebbe infatti incrinata la loro alleanza politico militare ala luce delle aperture fatte dal nuovo presidente Nikol Pashinyan alla Nato e all’occidente in genere. 

La “Rivoluzione di velluto” in Armenia ha portato infatti al potere un ex giornalista di 42 anni e politico dell’opposizione, Nikol Pashinyan appunto, che dopo una rapida ascesa di tre settimane, a maggio è diventato primo Ministro.

All’epoca Mosca scelse di non attaccare il neo premier che non sembrava avere grosse velleità in politica estera. Vladimir Putin fu il primo leader straniero a congratularsi con Pashinyan l’8 maggio, dopo il voto parlamentare che lo fece diventare premier. E Pashinyan, nel suo primo faccia a faccia con Putin a Sochi, sei giorni dopo, a margine della riunione dell’Unione economica eurasiatica ha ringraziato Putin e ha rassicurato il Cremlino sull’immutabilità dell’alleanza strategica armeno-russa.

Pashinyan disse a Putin che «l’alleanza strategica tra Armenia e Russia non richiedeva alcuna discussione (…) vi è un consenso su questo tema in Armenia. Credo che nessuno nel nostro paese abbia messo o metterà in dubbio l’importanza strategica delle relazioni armeno-russe». La Russia mantiene, infatti, una base militare in Armenia.

Subito dopo però, Pashinyan ha iniziato la sua epurazione mirata al cambiamento sistemico interno puntando l’attenzione proprio sulla lotta alla corruzione pubblica: ha puntato contro i due ex presidenti, Robert Kocharyan e Serzh Sargsyan, e l’influente sindaco di Yerevan Taron Margaryan, tutti e due vicini a Mosca, per poi passare ad accusare il segretario generale in carica della Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva, Csto, Yuri Khachaturov per il suo passato incarico di capo di Stato Maggiore dell’Armenia sotto Sargsyan, riporta Asia Times. 

Da questo momento, Mosca si è ribellata. Il 31 luglio, il ministro degli Esteri Sergei Lavrov ha detto che Mosca era “preoccupata” perché la nuova leadership armena stava facendo mosse politiche contro gli ex leader: «Gli eventi degli ultimi giorni (…) contraddicono le recenti dichiarazioni della nuova leadership armena che non intendeva perseguire i suoi predecessori per motivi politici (…) Mosca, come alleata di Erevan, ha sempre avuto un interesse per la stabilità dello Stato armeno, e quindi ciò che sta accadendo ci deve preoccupare», ha detto Lavrov, rivelando che Mosca aveva ripetutamente espresso le sue preoccupazioni a Yerevan e si aspettava una risposta “costruttiva”.  

Nel frattempo, Pashinyan iniziò a fare aperture alla Nato, chiedendo l’intervento dell’Occidente nel conflitto che la vede contrapposta all’Azerbaijan nel conflitto del Nagorno-Karabakh. Fino ad ora Mosca considera il Caucaso meridionale sua sfera di influenza. 

Il 2 agosto, il Kommersant ha descritto che le mosse di Pashinyan  come «un cuneo nelle relazioni di Mosca con Yerevan e possono mettere i due paesi ai ferri corti».  

In una dichiarazione fatta l’8 agosto, il portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha detto che l’esercitazione della Nato in Georgia mirava a «fare pressione soprattutto su Ossezia del Sud, Abkhazia e Russia e può solo portare ad una “escalation delle tensioni”». Zakharova ha deplorato poi che «i paesi vicini della Georgia sono coinvolti in queste esercitazioni con vari pretesti», facendo riferimento alla partecipazione armena.

Il 6 agosto, il primo Ministro russo Dmitry Medvedev aveva detto che l’adesione della Georgia alla Nato avrebbe potuto innescare “un terribile conflitto” e portare a conseguenze catastrofiche.

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Armenia chiede assistenza alla Banca Mondiale per riportare i capitali esportati (Sputniknews 10.08.18)

l governo armeno a nome del vice premier Ararat Mirzoyan ha chiesto all’amministrazione della Banca Mondiale assistenza per riportare nel Paese i capitali illegalmente esportati.

“Non è un segreto che nelle società corrotte, i fondi accumulati attraverso la corruzione, l’appropriazione indebita di denaro pubblico ed altri mezzi illeciti vengono spesso portati fuori dal Paese e trasferiti in altri Stati per trovare un rifugio relativamente più tranquillo e sicuro. Per porre fine a questa pratica criminale e recuperare la ricchezza pubblica saccheggiata, la Banca Mondiale e l’UNODC (Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine) hanno creato lo strumento Stolen Asset Recovery Initiative (Iniziativa per la restituzione dei beni rubati”),” — ha scritto oggi il vice premier armeno sulla sua pagina Facebook.

Mirzoyan ha detto che, per avviare il processo di identificazione e rimpatrio dei fondi depredati e trasferiti all’estero, ha scritto una lettera alla Banca Mondiale per ottenere consulenza e assistenza tecnica nel quadro dello strumento “Stolen Asset Recovery Initiative.”

“Il genocidio armeno? I filosofi hanno le mani sporche di sangue” (Il Giornale.it 09.08.18)

Dicono che sia la nuova Hannah Arendt. Quando glielo dico, non si scompone. Al contrario, rilancia. «Alla Arendt contesto il fatto di non essere andata alla radice del problema del genocidio». E quale sarebbe questa radice? «Il protagorismo di Cartesio».

Questa me la spiega dopo. «No. Gliela spiego subito. Con un esempio». Prego. «Ricorderà il caso di Bruce Jenner, campione olimpico di decathlon, che un giorno ha detto al mondo di sentirsi donna. Io, francamente, mi sono sentita offesa. Cosa significa sentirsi donna’ per Jenner? Ha mai avuto delle mestruazioni? Ecco: oggi conta solo quello che pensi, non quello che sei. Se pensi di essere una donna, allora lo sei. Ma pensare una cosa non è essere quella cosa, perché l’uomo ecco il protagorismo non è misura di tutte le cose». Siobhan Nash-Marshall insegna filosofia al Manhattanville College di New York, parla perfettamente in italiano d’altronde, si è perfezionata, accademicamente, all’Università di Padova e alla Cattolica di Milano è tradotta in Italia (da Vita e Pensiero, La ricettività dell’intelletto), il suo ultimo libro, The Sins of the Fathers. Turkish Denialism and the Armenian Genocide (The Crossroad Publishing Company, pagg. 250, $24.95; prossimamente in Italia per Guerini), il primo di una trilogia dedicata al «Tradimento della Filosofia», è stato accostato, per ampiezza d’intenti, alla Banalità del male della Arendt. Fermo la Nash-Marshall a Padova, è ospite di Antonia Arslan, la scrittrice de La masseria delle allodole, di cui sta traducendo, in inglese, Il libro di Mush. A leggere commenti e rassegna stampa, The Sins of the Fathers è il massimo contributo filosofico sul genocidio armeno, che diventa, agli occhi dell’autrice, l’emblema della crisi del pensiero occidentale.

Sin dalla prima pagina lei è perentoria: «la filosofia ha avuto un ruolo cruciale nel genocidio armeno e nel negazionismo turco la filosofia ha le mani sporche di sangue». Cosa significa?

«Illuminismo cartesiano. Ecco cosa significa. Dividere il mondo della ragione da quello materiale, il mondo dell’esperienza da quello del pensiero. Penso dunque sono. L’approccio di Cartesio è devastante congiunto all’Illuminismo e alla Rivoluzione francese, quando la filosofia cessa di essere amore della sapienza ma progetto demiurgico per cambiare il mondo. Fichte, Herder, Bentham, Hegel, Marx: il pensiero dell’Ottocento ad eccezione di Antonio Rosmini ha come scopo precipuo quello di rendere perfetto il mondo. Il genocidio, allora, è giustificato, terribilmente, da una specifica visione del mondo».

E questo come si lega al genocidio armeno?

«Dai primi decenni dell’Ottocento, dopo la rivendicazione dell’indipendenza della Grecia, l’Impero Ottomano ha come problema, come incubo dominante, la costruzione di una identità propria, turca. L’Armenia è un ostacolo alla creazione del vatan, della patria. Se il vatan esiste, l’Armenia deve essere annientata. Bisogna considerare che i Giovani Turchi, responsabili del genocidio armeno, sono indottrinati dalla filosofia ottocentesca. Credono di avere diritto anche loro a costruire un mondo a immagine e somiglianza della propria idea».

Quando inizia il genocidio?

«I primi stermini cominciano dal 1908, ma tutto ha inizio nel 1878, in seguito al Congresso di Berlino che rettifica la pace di Santo Stefano siglata dalla Russia, vincitrice sull’Impero Ottomano. I Balcani entrano sotto orbita russa ed europea, l’Armenia ottiene alcune concessioni e la promessa di riforme mai attuate. Le testimonianze del console inglese Fitzmaurice, che recensisce i massacri ai danni degli armeni orditi dal sultano Abdul Hamid II, e svariate lettere, dal 1878 al 1915, ai governi francesi e inglesi, dimostrano che l’Europa era a conoscenza di ciò che stava accadendo al popolo armeno. Ma per realpolitik non fece nulla. Soltanto Benedetto XV tentò di evitare il genocidio».

Contro gli armeni si è agito con accanimento: perché davano così fastidio?

«Se vogliamo essere mistici, le direi: perché l’Armenia è stata la prima nazione cristiana. Le ragioni storiche, però, risalgono al 1717, quando il doge di Venezia cede l’isola di San Lazzaro agli armeni, e l’abate Mechitar vi redige la prima grammatica dell’armeno parlato, volgare. Comincia da lì un profondo lavoro sull’educazione che porterà l’Armenia, nei primi anni del ‘900, ad avere una alfabetizzazione pressoché completa, risultato all’epoca non ancora raggiunto nel resto dell’Occidente. Questa grande fioritura culturale fa sì che nel 1915 l’80% circa dell’economia ottomana fosse in mano cristiana. Questo infastidiva i Giovani Turchi».

Lei scrive, studiando i censimenti, che «circa 3,7 milioni di cristiani, il 74% della popolazione dell’Anatolia e delle provincie orientali, sono state eliminate uccise, o deportate in quegli anni», tra il 1914 e il 1927. Cosa sappiamo riguardo ai numeri del genocidio?

«Cosa sappiamo riguardo ai morti nei Gulag stalinisti? Cosa sappiamo dei morti durante la marcia di Mao? Pressoché nulla. Censimenti e statistiche fanno parte della lotta politica: possiamo solo supporre delle cifre. Il censimento in Turchia, poi, avveniva per fede religiosa: tra musulmani e cristiani. La vera domanda, piuttosto, è: chi sono davvero i turchi? In cosa si riconoscono? In quale identità culturale? La verità è che la Turchia, ieri come oggi, è un mosaico».

Hitler prese a modello l’efficienza turca nel gestire il genocidio armeno, replicando il metodo…

«Va detto che la politica antiarmena, in Germania, comincia nel tardo Ottocento, quando una massiccia pubblicistica mostra l’armeno come l’ebreo d’Oriente, come il virus. La Germania aveva mire espansionistiche verso l’Impero Ottomano e interesse nel dileggiare gli armeni. Quanto a Hitler, certo, vede nel genocidio armeno una possibilità realizzata. Se i Turchi ce l’avevano fatta, anche Hitler, allora, avrebbe potuto compiere gli stessi orrori senza particolari pericoli. Le analogie sono agghiaccianti: anche nel nazismo, ad esempio, ha un peso il motivo biologico già cavalcato dai Giovani Turchi, in era di darwinismo rampante.

A suo avviso il negazionismo turco esemplifica l’epoca della post-verità…

«Per Erdogan negare il genocidio armeno è essenziale all’identità turca: dovesse riconoscere la realtà dei fatti, sarebbe la fine del suo governo e la disgregazione della Turchia. Non contano i fatti, ma le intenzioni, il mondo concreto non ha rilevanza: ecco l’illuminismo cartesiano! Il problema, piuttosto, è l’Europa, sono gli Stati Uniti, a cui non importa più di vivere in una situazione contraria alla verità».

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Alla ricerca dell’Arca perduta: a Echmiadzin, in Armenia, in un’antica chiesa c’è un pezzo della barca di Noè (Turimoitalianonews.it 09.08.18)

Giovanni Bosi, Echmiadzin / Armenia

Avete mai visto la leggendaria Arca di Noè? Un frammento di quella che può essere ben più di un simbolo o di un racconto biblico, è conservato in Armenia nella cattedrale madre di Echmiadzin, oggi Patrimonio dell’Unesco. Siamo andati a vederlo: quando ci si trova al cospetto dei frammenti di legno ritenuti essere parte della grande imbarcazione costruita da Noè su indicazione divina per sfuggire al Diluvio universale, non mancano suggestioni e interrogativi….

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Armenia: premier Pashinyan, sistema pubblica amministrazione sovradimensionato (Agenzianova 09.08.18)

Armenia: premier Pashinyan, sistema pubblica amministrazione sovradimensionato
Erevan, 09 ago 16:43 – (Agenzia Nova) – Il sistema della pubblica amministrazione in Armenia è sovradimensionato. Lo ha detto il premier armeno, Nikol Pashinyan, citato dall’agenzia di stampa “Armenpress”. “Penso che questo sia ovvio a tutti e, a causa di ciò, il lavoro in molti casi è inefficiente”, ha detto Pashinyan durante la sessione odierna del Consiglio dei ministri. “Chiedo ai membri del governo di essere pronti in quanto proporremo molte soluzioni e riforme serie. Alla fine, i cittadini armeni dovrebbero essere consapevoli di ciò che ogni dram (valuta armena), ogni somma viene spesa”, ha osservato il premier. (Res)

Tuffi, Europei 2018: dalla piattaforma sincro maschile vince la Russia di Minibaev e Bondar. Bronzo all’Armenia! (Oasport 09.08.18)

Il programma degli Europei di tuffi ha visto nel primo pomeriggio la finale della piattaforma sincro maschile da 10 metri: l’Italia si è ritirata a causa dell’infortunio di Mattia Placidi, e così nella lotta per il titolo si sono cimentate soltanto cinque coppie. Per il podio si sono infatti sfidate Bielorussia, Russia, Gran Bretagna, Germania ed Armenia.

Dopo i tuffi obbligatori Russia, Gran Bretagna e Bielorussia scavano un piccolo solco riuscendo a scavalcare quota 100 punti, mentre Germania ed Armenia appaiono già staccate. Come sempre però è nelle quattro serie di liberi che si decide la gara e così la Russia di Aleksandr Bondar e Viktor Minibaev allunga, ampliando il gap sulla Gran Bretagna di Matthew Dixon e Noah Williams. Alle loro spalle è da applausi la performance dell’Armenia di Vladimir Harutyunyan e Lev Sargsyan, che, complici coefficienti alti, recuperano il ritardo accumulato nei liberi riportandosi in corsa per il terzo gradino dl podio.

La quarta rotazione è quella decisiva per l’oro, con la Russia che saluta definitivamente la Germania, mentre il bronzo si decide nella quinta serie: la Bielorussia di Artsiom Barouski e Vadim Kaptur sbaglia, la Germania di Timo Barthel e Florian Fandler è già lontana e così l’Armenia si issa sul terzo gradino del podio. L’ultimo tuffo serve per la consacrazione: i russi chiudono a quota 423.12, la Gran Bretagna segue a quota 399.90 e l’Armenia sfiora il colpaccio attestandosi a 396.84. Staccatissime Germania, quarta con 360.66, e Bielorussia, quinta a quota 354.15.