Mattarella in visita in Armenia. Andrà anche da Sua Santità Karekin II (Farodiroma 29.07.18)

Prima visita di un presidente della Repubblica italiano in Armenia. Domani Mattarella vola a Yerevan, in un’area del mondo crocevia tra Asia ed Europa. Dopo le missioni in Georgia ed Azerbaijan, il Capo dello Stato andrà dunque in Armenia “per proseguire – scrive l’Agi – un percorso di apertura di credito nei rapporti tra Italia e repubbliche caucasiche. Attratti dalla Russia, amici dell’Europa, percorsi dalla nuova via della seta cinese, i tre Stati sono uno snodo fondamentale per gli equilibri futuri dell’economia e della geopolitica”.

Il presidente Mattarella arriverà a Yerevan lunedì mattina, accolto dal Presidente della Repubblica d’Armenia, Armen Sarkissian. Dopo un colloquio, nel pomeriggio i due presidenti faranno dichiarazioni alla stampa. Successivamente visiterà il Museo Matenadaran, dove si custodiscono quasi ventimila manoscritti in lingua armena, ma anche greca latina persiana ed ebraica.

Mattarella andrà anche a Etchmiadzin per un colloquio con Sua Santità Karekin II, Patriarca Supremo e Catholicos di tutti gli Armeni, che ha ricevuto due anni fa Papa Francesco, secondo Pontefice a recarsi in Armenia. Un gesto quello del nostro presidente che conferma la volontà di tenere aperto il dialogo con tutte le religioni durante le sue visite di Stato e, in questo caso, con una delle più antiche comunità cristiane. Pur facendo parte del Csto, Trattato di sicurezza collettiva che fa capo alla Comunità degli Stati Indipendenti, cioè all’ex Urss, l’Armenia coopera con la Nato e dopo il recente vertice di Bruxelles ha assicurato di voler proseguire a contribuire alle missioni in Afghanistan e Kossovo, ma ha spiegato che non intende aderire all’Alleanza atlantica.

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Il dramma degli armeni, tra canzoni e urla di morte (La Nazione 23.07.18)

San Miniato, 23 luglio 2018 – “Colonnello, lei vorrebbe che sua figlia sposasse un armeno? Sono tutti farmacisti, artisti, medici, intellettuali. Sono una elite che mette in pericolo la nostra nazione. Questo non è il tempo del dubbio è il tempo dell’azione”. E’ uno dei passaggi chiave de “La masseria delle allodole”, l’allestimento teatrale tratto dall’omonimo romanzo di Antonia Arslan, che ha caratterizzato l’edizione 2018 della festa del teatro di San Miniato (repliche fino al 25), realizzata dalla Fondazione Istituto Dramma Popolare, e che racconta il genocidio armeno messo in atto dai turchi all’alba della prima guerra mondiale.

Il dialogo tra il politico e il militare fa da sfondo allo spettacolo. Una narrazione imperniata sul dialogo tra due protagonisti di una delle principali vicende storiche del Novecento, un secolo che gronda sangue e le cui ferite prodotte dai conflitti restano aperte ancora oggi in un tempo di rigurgiti xenofobi e nazionalisti. Il regista Michele Sinisi deve averla pensata così questa masseria dove una numerosa e chiassosa famiglia armena si raduna per il pranzo della domenica: un luogo fisico e metafisico, dentro il quale raccontare a più voci, e con frequenti richiami al tempo di oggi, la vita di ogni giorno che si interseca con i drammi di un’epoca.

Tentativo ambizioso, ma per la verità non sempre riuscito, di fare un teatro di riflessione: sulla scena si racconta di come la politica, completamente svincolata dalla morale, diventa indifferente ai valori della civiltà (ecco perché improvvisamente e per alcuni minuti il monologo di uno degli attori si fa serrato, urlato, disperato e racconta il dramma dei migranti di oggi). In questa piece si racconta dell’assenza di limiti umani e della morte di Dio, di ciò che fa diventare il genocidio “utile a qualcosa” e di cui diventa iconografia del dolore il Cristo mutilato con disprezzo che dalla quinta domina via via la scena sotto la luce sinistra di un dolore e una disperazione che contagia anche gli aguzzini e non solo le vittime e non basta il finale (un po’ grossolano per la verità) consolatorio dell’enorme e carnevalesca allodola, uccello messaggero dell’alba qui vestito della bandiera armena che vola in cielo nonostante tutto e tutti. Il contenuto che voleva mettere Sinisi c’è, la rappresentazione teatrale in sé è forse rivedibile.

Ma al Dramma contava portare in scena una riflessione, un pensiero. Forse un pizzico di spiritualità in più non avrebbe guastato, ma nel complesso l’affresco contemporaneo e disordinato rende piena l’idea di quella tragedia rimossa tropo in fretta (e dai turchi negata) che ha aperto il ventesimo secolo, probabilmente il più sanguinoso di tutti

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La Russia all’Armenia: credito per armi pari a 200 milioni di dollari (Sputniknews 23.07.18)

La consegna di armi per il credito armeno-russo è prevista da un contratto di 200 milioni di dollari, completamente accettato, ha detto domenica ai giornalisti il ministro della difesa dell’Armenia David Tonojan.

“Consegnate le armi, non è escluso che di questo tipo non ci siano nemmeno nell’esercito russo”, ha detto il ministro all’agenzia Sputnik Armenia. Ha sottolineato, inoltre, che le relazioni armeno-russe amichevoli sono legate a molti trattati, tuttavia, non ha escluso la possibilità di una revisione di alcune disposizioni in caso di necessità.

Nel mese di giugno 2015 è stato firmato un accordo per fornire all’Armenia un prestito per l’esportazione di 200 milioni di dollari per l’acquisto di prodotti militari di fabbricazione russa. In conformità con l’accordo intergovernativo firmato il 24 ottobre 2017, la Russia fornirà alla parte armena un prestito di 100 milioni di dollari per finanziare la fornitura di prodotti militari.

La parte armena utilizza il prestito per finanziare fino al 90% del costo di ciascun contratto. Il pagamento anticipato deve essere di almeno il 10% del valore del contratto, il progetto di accordo specifica che il prestito è emesso con scadenza a 15 anni (dal 2023 al 2037). L’Armenia deve beneficiare di linee di credito dal 2018 al 2022.

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ARMENIA: Il rapporto tra donne e politica nell’era Pashinyan (Eastjournal 23.07.18)

L’avvocato Diana Gasparyan è stata recentemente nominata sindaco di Echmiadzin, cittadina situata nella provincia di Armavir, alle porte di Yerevan, nota soprattutto per essere il centro spirituale della Chiesa apostolica armena, in quanto sede del quartier generale del Catholicos e della cattedrale più antica del paese, fatta costruire da Gregorio l’Illuminatore nel IV secolo.

L’ex funzionaria del Ministero della Giustizia ha preso il posto di Karen Grigoryan, dimessosi lo scorso giugno dopo che il padre Manvel, deputato in parlamento tra le fila del Partito Repubblicano ed ex vice-ministro della Difesa, è stato arrestato dai Servizi di Sicurezza Nazionali per possesso illegale di armi da fuoco. Il nuovo sindaco guiderà Echmiadzin per i prossimi tre mesi, dopodiché si terranno nuove elezioni.

La nomina di Gasparyan costituisce un primato per la giovane repubblica: si tratta infatti del primo sindaco donna della storia dell’Armenia; paese dove fino ad ora alle donne era sempre stata preclusa la possibilità di ambire a ruoli di vertice in politicanti, in quanto figlie di una società fortemente stereotipizzata che le vedrebbe inadatte a ricoprire incarichi di comando. Eppure, negli ultimi anni il numero delle donne che scelgono di dedicarsi alla vita politica o alle questioni sociali appare in continua crescita, come testimonia il progressivo aumento dell’attivismo femminile a livello nazionale.

Tali attiviste hanno salutato con entusiasmo la recente salita al potere di Nikol Pashinyan, leader delle proteste di piazza che lo scorso aprile hanno portato alle dimissioni del primo ministro ed ex presidente Serzh Sargsyan, nelle quali proprio le donne hanno avuto un ruolo attivo, mosse da quella stessa voglia di cambiamento tanto cara al leader di Yelk.

Cambiamento che per le donne armene significa soprattutto modifica dei ruoli di genere e acquisizione di maggiori diritti, così come di una maggiore tutela e considerazione a livello sociale; obiettivi la cui realizzazione dovrà passare anche dall’ottenimento di una più larga rappresentanza a livello politico.

Abbiamo discusso di questi temi con Mary Matosyan, direttrice esecutiva del Centro di Supporto per le Donne di Yerevan:

Cosa rappresenta per un paese come l’Armenia, dove politica e società sono fortemente dominate dagli uomini, la nomina del primo sindaco donna? È stato dato un segnale di cambiamento?

Nelle ultime settimane sempre più donne sono state scelte per ricoprire incarichi governativi e non solo. Per esempio molti dei vice-ministri recentemente nominati sono donne; il nuovo Comandante dell’Aviazione è una donna, così come un certo numero di consiglieri. Inoltre la stessa first lady ha appena rilasciato dichiarazioni molto positive, promettendo di lavorare per la promozione dei diritti delle donne e per il loro empowerment. Ultimamente si sta parlando anche della nomina di una donna come sindaco di Yerevan. Tutti questi cambiamenti sono importanti poiché inviano il messaggio giusto alle donne armene, contribuendo a creare nuovi ruoli di genere e aprire un nuovo dibattito nel paese.

Qual è stato il ruolo delle donne nel movimento di protesta che ha recentemente portato il leader di Yelk Nikol Pashinyan dalla piazza alla guida del paese?

Il ruolo delle donne è stato abbastanza importante, sia prima che durante la rivoluzione. In Armenia, le donne sono sempre state in prima linea nei movimenti sociali. Su questo argomento sono stati scritti diversi articoli, ed è stato proprio grazie alla loro presenza e alla loro pressione se ora abbiamo sempre più nomine femminili per i ruoli di governo.

All’interno del nuovo governo Pashinyan su un totale di diciassette ministeri solo due sono guidati da donne; percentuale che riflette la composizione dell’attuale Parlamento, eletto, tuttavia, quando il “vecchio ordine” era ancora al potere. Vi aspettavate di più, in questo senso, dalla cosiddetta “Rivoluzione di Velluto”?

Sì, per noi è stata un’enorme delusione, tanto che sui social media Pashinyan ha ricevuto fin da subito severe critiche per questa decisione. Credo che sia stata proprio questa grande rabbia e reazione da parte della comunità femminile ad aver spinto la nuova leadership a decidere di assegnare alle donne un maggior numero di posizioni governative.

Cosa dobbiamo aspettarci dal prossimo futuro? Saremo in grado di vedere delle donne raggiungere ruoli di primo piano all’interno della politica e della società armena?

In questo momento il governo sta discutendo il Codice elettorale, e noi attiviste stiamo facendo forti pressioni per introdurre nuove quote rosa superiori al 25%. Stiamo incontrando molta resistenza, ma continuiamo a insistere, sperando in seguito alle prossime elezioni di vedere più donne in parlamento; e ci aspettiamo non solo maggiori nomine, ma anche nuove leggi e misure governative in favore dei diritti delle donne.

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Armenia: lavoro e chirurgia plastica (Osservatorio Balcani e Caucaso 23.07.18)

Molte donne in Armenia se vogliono ambire ad un posto di lavoro non possono sottrarsi alla chirurgia estetica. E anche le richieste di prestazioni sessuali in cambio di un’occupazione non mancano. Un reportage

23/07/2018 –  Armine Avetisyan

(Pubblicato originariamente da OC Media il 21 giugno 2018)

Le strade di Yerevan sono fiancheggiate da saloni di bellezza dove, per cifre piuttosto modiche, vengono effettuati interventi estetici. “Faccio interventi per ingrandire le labbra o trucco permanente per il contorno labbra, rimuovo anche piccole rughe intorno alla bocca o sulla fronte. Ho moltissimi clienti che vengono a visitarmi regolarmente”, racconta Shushan, estetista. Stando a lei, alcune delle sue clienti abituali non la visitano per loro libera scelta. “Ho alcune clienti che sono obbligate a venire a sottoporsi ad alcuni interventi un paio di volte all’anno; devono sempre mantenere un bell’aspetto – è una richiesta dei loro capi. Per loro un intervento facciale è un po’ come comprare una nuova maglietta. Dicono che nulla che sia consumato e logoro, viene accettato nella loro azienda, né vestiti né facce”.

Se hai 25 anni, allora sei già troppo vecchia

La 31enne Alina stava cercando lavoro già da un po’ di tempo. Dopo essersi laureata, è andata in Europa a lavorare per un progetto di volontariato in Polonia. Tornata a casa, ha fatto fatica a trovare lavoro. Spiega di non essere riuscita a trovare lavoro facilmente perché considerata “troppo vecchia”.

“Sono una traduttrice, conosco diverse lingue, ma è difficile per me trovare un lavoro di questo tipo nella mia città, così ho deciso di provare a cercare un posto da commessa in un negozio dove sapevo esserci un posto vacante. Il direttore non voleva nemmeno sapere chi fossi, che tipo di preparazione avevo, mi ha soltanto guardata e mi ha chiesto quanti anni avessi. Gli ho risposto 27. Mi ha detto ‘Scusa, ma sei troppo vecchia, non sei adatta a questo lavoro'”, racconta Alina.

Oggi Alina lavora in un’istituzione che si occupa di educazione e sottolinea che i suoi amici sono molto gelosi di lei dato che, nonostante l’età, è riuscita a trovare lavoro.

“Una mia amica di 33 anni non riesce a trovare lavoro da nessuna parte. Tutti quanti le rispondono che è troppo vecchia e non abbastanza carina. Le vengono offerti soltanto posti per fare le pulizie”, continua Alina.

Essere donne è molto complicato in Armenia, ci sono pochi posti vacanti sul mercato del lavoro per le donne che hanno superato i venti, e 25, 27 anni rappresentano davvero il limite. Oltre a questo, una donna è considerata inutile da moltissimi datori di lavoro. “Sono venuta da Vanadzor, una città nel nord dell’Armenia, a Yerevan in cerca di lavoro, credendo che sarei riuscita a trovare qualcosa qui; ma non sono riuscita a trovare nulla che c’entrasse con quello che facevo a casa – sono un’economista. Sono arrivata qui e mi sono messa subito a cercare un lavoro, ho realizzato che è stato completamente inutile venire a Yerevan”, racconta la 38enne Lusine che non essendo riuscita a trovare un posto in un ufficio, ha iniziato a cercare lavoro nei negozi. “Sono andata in diversi negozi, ma mi hanno detto ‘Scusa, possiamo offrirti solo un lavoro per fare le pulizie’”.

Cerchiamo un’addetta alle vendite che sembri una top model

“Ho un piccolo chiosco in cui vendo borse, al momento sto cercando un’addetta alle vendite che sia alta, con i capelli lunghi e le labbra sottili e che abbia al massimo 25 anni. Ho piacere del fatto che una donna così lavori nel mio negozio. Una donna di questo tipo attrae anche i clienti”, dice Arayik, un residente di Yerevan che ancora però non ha trovato l’addetta alle vendite adatta a lui.

Ara Ghazaryan, un’esperta di diritto internazionale per la Camera degli Avvocati dell’Armenia, dice che stando alla legislazione sul lavoro, non vi è una chiara regolamentazone che proibisca la discriminazione in base al genere, all’aspetto fisico o all’età. L’esperta sottolinea che gli unici riferimenti legali che possono essere citati sono quelli della Costituzione armena, secondo cui ognuno è uguale di fronte alla legge e ogni discriminazione è proibita. “Subiamo tutti i giorni la discriminazione di genere. C’è solo un punto del Codice del Lavoro in cui la discriminazione risulta proibita e, sfortunatamente, non abbiamo una legge specifica per combattere la discriminazione, anche solo una legge sarebbe qualcosa di estremamente necessario in Armenia oggi.”

Secondo Ghazaryan, non solo non c’è alcun tipo di meccanismo all’interno della legge che permetta di combattere le discriminazioni legate al sesso, ma le donne cercano in tutti i modi di evitare che circolino voci legate ai problemi con i loro datori di lavoro. “Una donna fa richiesta per un lavoro. Viene rifiutata per qualche ragione o semplicemente lei stessa si rifiuta di spiegare la motivazione del rifiuto. Spesso i datori di lavoro mettono in luce il fatto di avere il diritto di decidere chi assumere, anche quando questo significa dichiarare di cercare donne giovani ed attraenti”, dice Ghazaryan.

Richieste di prestazioni sessuali in cambio di un posto di lavoro

La ventinovenne Ani ha recentemente risposto ad un annuncio online per un posto di segretaria con un limite di età di 25 anni e per il quale veniva offerta un salario di 410 dollari al mese. Ha detto di aver chiamato il numero e di aver ammesso di avere pochi anni di più, ma di aver lavorato già nel settore, chiedendo che le venisse data una chance. “Sono andata ad un incontro con il direttore. Mi ha esaminata dalla testa ai piedi e mi ha anche chiesto di girarmi. E’ stato lì a pensare per qualche minuto e alla fine mi ha detto che nonostante la mia età “più vecchia”, ho ancora un bell’aspetto e che potrebbe funzionare. Ma ha posto diverse condizioni: avrei dovuto rifarmi la bocca ed essere pronta a “libere comunicazioni” al di fuori degli orari di lavoro. Ha detto di essere solito uscire molto in giro e di volere una segretaria pronta a socializzare apertamente con lui anche la sera e alcune volte con dei baci. Sono scappata via subito da quel posto”, racconta Ani.

“Sono laureata in pedagogia. Sono una linguista. Dopo tre anni continuo a non trovare alcun lavoro e così, alla fine, ho deciso di fare la cameriera in un caffè non avendo altre possibilità. Una settimana dopo aver iniziato, il manager del caffè mi ha chiamata nel suo ufficio. Mi ha detto che sarei potuta diventare una manager anche io, ma che me lo sarei dovuta guadagnare – mi ha chiesto di fare sesso con lui in cambio. La mia faccia è diventata completamente rossa e volevo solo morire di vergogna. Essere una cameriera non significa essere una prostituta”, dice Gayane (non è il suo vero nome).

“Approfittando delle donne in condizioni vulnerabili i datori di lavoro uomini talvolta chiedono loro relazioni intime. Questo è piuttosto comune in Armenia. Ma fino a quando non c’è una legge che possa regolare questo tema e fino a quando le cose continuano ad essere così complicate per le donne, queste si vergognano di parlare di tali tematiche e raramente denunciano questi casi”, afferma Ara Ghazaryan. Ci sono 46700 donne disoccupate in Armenia, queste costituiscono i 2/3 del totale dei disoccupati. A causa della domanda di donne che abbiano un bell’aspetto, da parte dei datori di lavoro, i saloni di bellezza e le cliniche di chirurgia plastica sono diventate estremamente popolari nel paese. Nonostante non ci siano statistiche ufficiali, tutti i giorni vengono fatti moltissimi interventi di chirurgia plastica e dozzine di giovani donne si rifanno le labbra, le natiche e il seno. Per trovare un lavoro, le donne sono obbligate a cambiare il loro aspetto.

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Armenia: fonti stampa, cancelliere tedesco Merkel potrebbe visitare il paese il prossimo 24 agosto (Agenzianova 22.07.18)

Erevan, 22 lug 14:09 – (Agenzia Nova) – Secondo indiscrezioni dei media armeni, il cancelliere tedesco Angela Merkel dovrebbe effettuare una visita in Armenia il prossimo 24 agosto. Lo riferisce l’agenzia di stampa “Armenpress”, che specifica altresì di non aver ottenuto conferme dall’ufficio del cancelliere di Berlino. “Siamo soliti annunciare gli appuntamenti e i viaggi del cancelliere Merkel il venerdì precedente”, ha riferito un portavoce dell’esecutivo tedesco ad “Armenpress”. La visita di Merkel in Armenia rientrerebbe nell’ambito di un tour nei paesi del Caucaso: il 23 agosto il cancelliere si recherebbe in Georgia, mentre il 25 in Azerbaigian. (Res)

Duduk armeni, Corni russi, Vizzutti, Tofanelli e Richardson in Jazz (met.provincia.fi.it 22.07.18)

Lunedì 23 luglio, alle ore 21.00, nel cuore della città gigliata, in Piazza Signoria, sull’Arengario di Palazzo Vecchio, si esibirà la Russian Horn Orchestra diretta dal M° Sergey Polyanichko.
La formazione russa, costitutita da 20 musicisti professionisti di San Pietroburgo, è esempio di perfetta unione tra artigianato e arte. L’artigiano Goloveshko ha costruito I 106 strumenti che, grazie all’abilità tecniche ed espressive dei cornisti, ricreeranno I timbri e I colori di un grandioso organo a canne, capace di stupire il pubblico per versatilità e unicità sonore.
Il programma di questa notte di mezz’estate si aprirà con l’omaggio all’Italia e alla sua canzone d’autore. L’orchestra intonerà la celebre canzone napoletana di Luigi Denza, Funiculì funiculà, scritta nel 1880 per l’inaugurazione della funicolare del Vesuvio.
Dall’Italia alla Russia con l’esecuzione di due pagine della loro tradizione nazionale: la Marcia del Reggimento Preobrajensky scritta da Pietro il Grande per celebrare una delle formazioni militari più antiche ed elitarie dell’esercito imperiale russo; la Preghiera di Peter Ilic Tchaikovsky tratta dalla Suite per Orchestra op. 61 e costruita sul tema mozartiano del celebre mottetto Ave verum Corpus K 618.
Per il 150esimo anniversario della morte del compositore gourmet pesarese Gioachino Rossini la Russian Horn Orchestra ci regala una delle sue più note pagine sinfoniche, l’Ouverture da Guillaume Tell, ultimo lavoro teatrale di Rossini, scritto nel 1836. L’ouverture riassume tutta la trama della creazione operistica, dal paesaggio svizzero tra le Alpi e il Lago di Lucerna, all’eroe arciere svizzero Guillaume Tell, alla vittoria finale degli elvetici sugli austriaci, nella celebre Cavalcata-Galop di chiusura.
L’Ave Maria di Giulio Caccini lascia il testimone allo special guest della serata, il solista Vahan Harutyunyan col suo Duduk, magistrale interprete della Musica sacra armena della tradizione russa.
Il concerto nel centro storico, realizzato in collaborazione con la russa Dellzell Foundation, si chiude con l’esecuzione della Badinerie della Suite orchestrale n. 2 in Si minore BWV 1067 di Johann Sebastian Bach, famosissimo, gioioso e leggero movimento di danza.
Segue, alle re 22.00, presso la Buoneria del Fosso Macinante, il Welcome Party del Festival. Titolo della notte musicale ‘Buoneria in Jazz’. L’Italian Brass Week House Jazz Band – costituita da Massimiliano Calderai al piano, Marco Benedetti al contrabbasso e Stefano Rapicavoli alla batteria – accompagnerà e duetterà con le trombe soliste internazionali del Festival: l’italiano Andrea Tofanelli e gl statunitensi Allen Vizzutti e Rex Richardson. Acrobazie e virtuosismi su standard jazz americani e latino americani saranno I piatti della serata alla Buoneria.
Entrambi gli eventi sono ad ingresso libero.
Per info: segreteria@italianbrass.com – www.italianbrass.com

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Il genocidio degli armeni e la «Masseria delle allodole» (Rassegna 22.07.18)

La cena è servita. La festa, i sorrisi, le canzoni, gli auguri, le foto, le danze, una certa allegria disinvolta, una complicità capricciosa, i riti di una vecchia famiglia patriarcale, come di un tempo sospeso sull’abisso che cerca le giuste cadenze per andare avanti. Poi la tragedia è servita. Ruvida e violenta, come una ghigliottina che cala improvvisa e si abbatte con fragore di urla. Un buco nero che tutto inghiotte e cancella. Una delle ferite più aguzze che ha squarciato le coltri del Novecento, si imprime con dilaniante sconquasso nel corpo drammatico della tradizionale Festa del Teatro di San Miniato (siamo alla 72esima puntata).

La ferita, ancora aperta, andata in scena l’altra sera in piazza del Duomo, è il genocidio degli armeni, un secolo fa, una verità non restituita che aspetta giustizia, sempre caparbiamente negata dai turchi. Ma non è tanto la tragedia in sé, raccontata da Antonia Arslan nel romanzo La masseria delle allodole, apocalittico trapasso dalla pacificata, secolare convivenza di etnie diverse alla delirante deriva nazionalista impressa dal nuovo governo democratico dei Giovani Turchi, a interessare il regista Michele Sinisi (che insieme a Francesco Maria Asselta ha curato la riduzione). Per la Arslan la masseria fu un gesto simbolico, il riappropriarsi a posteriori di una indentità, traumaticamente recisa al tempo del massacro.

Per Sinisi la masseria, con tutte le storie, le gioie e i dolori, sussurri e grida, che ci stanno dentro e rimbombano fuori, è un contenitore di riflessi (e riflessioni) che si proiettano inquieti sul mondo di oggi, un canovaccio da «sperimentare» anche poeticamente, un mosaico di espressioni drammaturgiche che rimbalzano dal teatrino brechtiano all’avanspettacolo epistolare, dal kammerspiel alla ballata popolare, dallo studio televisivo al set cinematografico, dalla liturgia del corpo eucarestia al materialismo del corpo feticcio, dal posto delle fragole alle fragole e sangue.

In un susseguirsi di scene madri che tolgono il respiro e affollano l’udito, cullati dalle canzonette di Aznavour e dai vocalismi di Antony and the Johnsons, l’eco dei «fatti» si mescola, nella coralità dell’impianto scenico di Federico Biancalani, con l’esasperata amplificazione tecnologica, fra schermi e microfoni.
Finché la vicenda precipita, inghiottita in un mare di grucce, effetto domino con gli occhiali, le scarpe, i capelli «esposti» ad Auschwitz, la masseria della Shoah. Repliche fino al 25 luglio.

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Il genocidio degli armeni raccontato in piazza Duomo (Il Tirreno 22.07.18)

SAN MINIATO. Per i fratelli Taviani, che lo girarono nel 2007, “La masseria delle allodole” fu un film necessario. L’occasione, attraverso le pagine del romanzo di Antonia Arslan, di esplorare le ferite, per meglio dire le piaghe, che incidono il corpo del “secolo breve”: il Novecento.

Per Michele Sinisi, regista dello spettacolo prodotto dall’Istituto del Dramma Popolare insieme a Elsinor e Arca Azzurra, e che con quel titolo (in ricordo anche di Vittorio Taviani recentemente scomparso) ha debuttato l’altra sera nella cornice di piazza del Duomo, a chiusura della Festa del Teatro di San Miniato numero 72, a noi è parso essere piuttosto un originale, sensibile grimaldello per aprire porte e scardinare finestre sugli scenari che agitano il mondo di oggi: in un inquietante parallelismo di coincidenze ideologiche, avventurismi bellicosi, repressioni e violenze, estremismi e intolleranze.

Le pagine della Arslan, che attraversano le atrocità del genocidio del popolo armeno perpetrato dai turchi un secolo fa, e vissuto in prima persona dalla famiglia dell’autrice, non cadono nel vuoto. Sono specchi del presente, riflessi e riflessioni, materia viva da trattare “modernamente”, anche in fase di sceneggiatura e di montaggio, in ottica scenografica, non come un residuato televisivo, un format didascalico carico di naturalismo a rapido effetto e facile presa.

Sinisi osa. Espande l’intreccio, tonifica l’impianto, rischia l’eccesso, la moltiplicazione dei piani e delle interferenze, coniuga il realismo con il simbolismo, e coraggiosamente inquina la tavolozza. Che procede coralmente come una “grande abbuffata”, anche concretamente trattata, tra ricette, frutta, verdura e grigliata.

L’inizio è narrativo. La grande casa armena, dove la convivenza con i turchi è scandita nel tempo dal rispetto reciproco, è in festa. Si balla, si canta, si chiacchiera, si scherza, si gioca, si amoreggia, la cucina è pronta, la tavola è imbandita, niente lascia trapelare il dramma che di lì a poco si abbatterà come un maglio distruttivo.

Si discute di tutto, scienza, poesia, religione, amore, sesso, ornitologia. È il teatro della vita. Vissuta su un set cinematografico, con quella “giraffa” che accompagna i dialoghi, li amplifica, e quelle riprese incollate sui volti che rimbalzano in presa diretta sullo schermo. Moderni selfie.

Poi le traiettorie si incrinano. La festa è finita. La danza si spegne in una silenziosa pantomima di anime morte. La violenza che si scatena come un calvario riflesso nel corpo del Cristo in croce, è una nuova partitura di cui non si conoscono i confini. E i profili.

Giustamente Sinisi del genocidio armeno, della deportazione, degli stupri, delle atrocità, delle torture, del massacro di uomini inerti, fa decantare la distanza che insorge nell’attualità di un manipolo di agenti

in assetto antisommossa che sperpera fiumi di selvaggia violenza. Alla fine sarà l’allodola, leggendaria creatura, a uscire viva dal pestaggio, a farsi materno rifugio, a materializzarsi come mascotte di una nuova vita.


A san Miniato va in scena la tragedia de “Il grande male” degli Armeni (AciStampa 22.07.18)

Ci sono tragedie che non possono mai concludersi, che rimangono a scavare solchi profondi di dolore nonostante gli anni, i decenni, i secoli. Sono ancora oggi vita quotidiana  la tragedia del popolo armeno, il suo genocidio spietato, il Grande Male, come per triste tradizione viene chiamato, e, insieme, la sua storia millenaria e la sua fede, la “resistenza” di questa entità inscindibile: il popolo e la sua fede.

Esistono opere d’arte che, pur nella trasfigurazione lirica, perpetuano questa presenza, la rendono viva, contemporanea. E’ questo il caso del romanzo di Antonia Arslan “La masseria delle allodole”, pubblicato nel 2004 e già diventato un classico. Trasposto in chiave cinematografica,  nel commovente film diretto dai fratelli Taviani, ora e’ stato adattato per una messa in scena teatrale, altrettanto emozionante e poetica.

Per la regia di Michele Sinisi, dunque, con lo scenografo Federico Biancalani e con il drammaturgo Francesco Maria Asselta, con una decina di interpreti, tra cui Marco Cacciola e Stefano Braschi, “La masseria delle allodole” va in scena in questi giorni nell’ambito della annuale Festa del Teatro/Fondazione Istituto Dramma Popolare di San Miniato, una manifestazione che ha alle spalle una tradizione consolidata di valore e di successo, che ha come coordinate-guida la ricerca spirituale della parola e dell’atto teatrale, insieme al dialogo interreligioso.

Un’occasione in più per tornare a quel romanzo così importante, in cui la Storia insanguinata -il genocidio degli Armeni perpetrato dai turchi durante la Prima Guerra mondiale – prende corpo nella vicenda di una famiglia, ricostruita dall’autrice sul filo di ricordi dolci e dolorosi allo stesso tempo, a volte allontanati dalla stessa memoria per non doverne sopportare il peso.

La Masseria è il luogo della vita felice, il rifugio, il sogno perduto per sempre eppure scintillante di una luce eterna. Qui, proprio nella pacifica e remota masseria, dove la famiglia al centro della narrazione passa i momenti di svago, di villeggiatura, al riparo dal caldo e dai travagli quotidiani, irrompono un giorno i soldati turchi che uccidono, seviziano,   deportano.

L’orrore arriva fino al cuore dei luoghi della pace, dei ricordi, nel tempo delle lunghe chiacchierate a tavola o nel giardino ricco di, piante e di frutta. Imbratta e devasta la bellezza, fa calare una nube oscura su ogni cosa, su ogni essere vivente. Il mito della Grande Turchia, processato dai Giovani Turchi, ingoia la vitalità mite della gente armena, al profumo dei gelsomini, così tenacemente risuscitato dalla forza dei ricordi della Arslan, si perse nell’amore del sangue versato,  nelle macerie in cui quasi si estinse la famiglia di Yerwant, vissuta e prosperità “nella piccola città”, dalle fattezze fiabesche dell’Anatolia perduta.

Lo spettacolo in scena a San Miniato rappresenta il pranzo, l’ultimo, della famiglia riunita in campagna, rievocandone gli umori, i litigi, i rapporti, i sogni, i progetti, e parallelamente il dialogo tra alcuni rappresentanti del, potere turco, che progettano a tavolino il genocidio, cercando di darne una “giustificazione”, una motivazione, in realtà presentando il volto oscuro della voglia di distruzione, di predominio,  di sopraffazione, di avidità.

La fine della rappresentazione coincide con la fine della storia, con la distruzione fisica, in un silenzio allucinato, di ogni cosa, tranne un flebile canto di allodole,  ormai consapevoli  he ogni essere vivente puo’ cedere al male, che “esiste quando Dio non c’è”. Nelle note di scena il regista Sinisi spiega che “nella seconda parte, durante la strage, l’intero gruppo di attori giocherà tragicamente a far crollare tutto ciò  he si sarà costruito in scena nella, prima parte intorno al tavolo, durante quella vita bella nella masseria. Senza parole, l’intera struttura della prima parte collasserà. Gli unici suoni saranno quelli  che un’allodola in scena ricorderà dopo la strage, avvenuta sotto gli occhi di tutti, come del resto avviene a noi tutti i giorni. Seduti nelle nostre poltrone”.

Il romanzo, torniamo a sottolineare, ha un valore, oltre che intrinsecamente letterario, di testimonianza dolente e un  j’accuse potente che molto ha contribuito, in questi anni, a far scuotere le coscienze in tutto il  mondo nei confronti di quelle stragi che in molti modi, ma soprattutto con il silenzio, si è tentato di cancellare, di negare, e ancora si continua a farlo.

Antonia Arslan, “La masseria delle allodole”, Rizzoli editore, pp.233


Alla Festa del Teatro di San Miniato va in scena “La masseria delle allodole” (Vaticanews 21.07.18)

Si è aperta a San Miniato, in provincia di Pisa, la 72.esima edizione della Festa del Teatro. L’iniziativa è promossa ogni anno dalla Fondazione Istituto Dramma Popolare di San Miniato grazie al sostegno di numerose realtà locali come la diocesi, il Comune e la Fondazione Cassa di Risparmio

Adriana Masotti – Città del Vaticano

Il romanzo “La masseria delle allodole” di Antonia Arslan, dal quale i fratelli Paolo e Vittorio Taviani trassero nel 2007 un film di successo, sul genocidio degli armeni, vede rappresentata in questi giorni la sua prima versione teatrale. A proporla è la Fondazione Istituto Dramma Popolare di San Miniato nell’ambito della Festa del Teatro di San Miniato che si concluderà il 25 luglio prossimo. La regia è di Michele Sinisi, con lo scenografo Federico Biancalani e con il drammaturgo Francesco Maria Asselta. Una decina gli interpreti tra cui Stefano Braschi e Marco Cacciola.

Il genocidio armeno simbolo del male

“La masseria delle allodole” racconta uno degli eventi più drammatici del ‘900: il genocidio degli armeni da parte dei turchi durante la prima guerra mondiale, ricostruito sul filo dei ricordi familiari e consegnato alla memoria collettiva in un intreccio di storia e poesia.
Molte le ragioni che hanno portato alla scelta di questo lavoro per l’edizione di quest’anno del Festival. “La ragione principale – spiega ai nostri microfoni il presidente dell’Istituto Dramma Popolare, Marzio Gabbanini – è che il dramma popolare intende rimanere in linea con la sua missione. E la sua missione è quella di affrontare problemi di attualità, di affrontare tutte quelle questioni che pongono interrogativi sul nostro esistere. C’ è parso dunque il momento di riprendere il discorso già affrontato dai nostri celeberrimi concittadini, i fratelli Taviani, su una realtà, il genocidio degli armeni, che è stata a lungo sottaciuta, e di affrontarlo anche in forma teatrale. Tutti gli spettacoli del Festival hanno avuto negli anni lo stesso filo conduttore: bisogna costruire ponti, fare inclusione, accoglienza, dialogare tra le religioni. Questo è il messaggio: rispettare tutti,  proprio perché anche oggi si assiste a forme di persecuzione e di violenza sulle minoranze, soprattutto per motivi religiosi”. (Ascolta l’intervista a Marzio Gabbanini, sulla Festa del Teatro di San Miniato)

Un doveroso omaggio ai fratelli Taviani

San Miniato è la città dei fratelli Taviani, nel marzo scorso la morte di Vittorio, il più anziano: anche questo è uno dei motivi della scelta di mettere in scena “La masseria delle allodole”.
“Sì, noi abbiamo voluto omaggiare i fratelli Taviani di cui siamo orgogliosi e siamo molto addolorati che Vittorio, il fratello maggiore, sia morto. Loro hanno affrontato la tematica del genocidio degli armeni e hanno fatto un film celeberrimo, e noi abbiamo deciso di portarlo in teatro. Noi siamo il teatro dello spirito, il teatro del cielo, non siamo un teatro confessionale e non abbiamo nemmeno la pretesa di dare risposta a questi interrogativi. La nostra missione è di far riflettere su questi problemi”.  Il Teatro popolare, prosegue Gabbanini, “è un teatro che si deve rappresentare sui sagrati delle chiese, nelle piazze, nelle fabbriche, dove la gente si incontra, senza rinunciare alla qualità degli spettacoli e io credo che anche quest’anno ci si sta riuscendo”.

La versione teatrale del regista Sinisi

Portando in scena questo testo nell’ambito del Festival di San Miniato, Michele Sinisi racconta la struggente nostalgia per una terra e una felicità perdute.
Diversi i linguaggi narrativi utilizzati: “Nel mio teatro le parole sono presenti – spiega il regista – l’azione verbale è presente ma condivide sulla scena lo stesso ruolo con altri segni che appartengono ad altre possibilità comunicative: segni pittorici, scultorei, musicali, strumentali… Tutto questo concorre nel mio modo di far teatro a costruire un corpo narrativo che è contemporaneo e popolare nell’accezione per cui noi oggi nella comunicazione ormai strutturalmente adoperiamo segni ed elementi tecnici che ci permettono di comunicare anche a distanza ma che formano anche la consapevolezza degli altri”. (Ascolta l’intervista a Michele Sinisi su “La masseria dell’allodole” a San Miniato)

Un gesto d’amore senza uno scopo è la vera rivoluzione

Il nostro lavoro su “La masseria delle allodole”, spiega Sinisi, si focalizza su una continua azione scenica sviluppata in un pranzo durante il quale si parla di scienza, di poesia, di amore, di Dio, di musica e di contrasti generazionali. È la vita nella sua semplicità e bellezza. A questa prima parte segue l’irruzione dei turchi. E qui assoluto protagonista è il male, la cattiveria più brutale di cui l’essere umano può essere capace. Ma confrontarsi con il male può servire ad allontanarci dal compierlo ancora? “Io credo – afferma il regista – che questo possa essere utile nella misura in cui però si capisce che quel male, quell’esperienza, quella possibilità è interna a ciascuno di noi”. Il punto è comprendere che l’innocenza come quella legata ai nostri primi anni di vita, risulta la vera cifra vincente di tutte le storie. “Nel rapporto con la nostalgia e nel ricordo delle cose che non sono più, nello sfuggevole piacere di qualcosa che è stato il bene- conclude Sinisi – c’è un continuo rinnovare quell’esperienza di un amore e un darsi agli altri senza interesse, senza uno scopo. E penso che questo sia il vero gesto rivoluzionario in questo momento della nostra storia”.

Osce: rappresentante speciale Presidenza italiana Severino a “Nova”, in Armenia volontà di ottenere risultati concreti su lotta a corruzione (Agenzianova 20.07.18)

Roma, 20 lug 15:00 – (Agenzia Nova) – In Armenia traspare la volontà di trasformare la rivoluzione culturale in una rivoluzione normativa, con la consapevolezza che si deve passare…

Il rappresentante speciale della presidenza italiana dell’Organizzazione per la cooperazione e la sicurezza in Europa (Osce) ha citato i…

Tale impressione, ha proseguito Severino, è stata confermata dall’incontro avuto con il ministro della Giustizia armeno, Artak Zeynalyan,…

In questo senso, come rilevato dal rappresentante speciale della Presidenza italiana dell’Osce, anche il nostro paese ha vissuto in passato…

Nel corso dell’incontro con il premier Pashinyan è emersa la necessità che lo scambio culturale avvenga anche attraverso i magistrati italiani,…

In questo contesto, ha ribadito Severino, il sequestro dei proventi derivanti dal reato di corruzione è stato un obiettivo “che l’Italia…

A seguito degli incontri avvenuti in Armenia, ha proseguito Severino, l’idea sarebbe di creare un piano molto articolato, sul modello di…

La Presidenza italiana dell’Osce vuole sensibilizzare, ha sottolineato Severino, tutti i governi e i paesi aderenti all’organizzazione verso… (Frm) © Agenzia Nova – Riproduzione riservata

International Contemporary Art Exhibition: Armenia 2018. Soundlines of Contemporary Art (Arte.go.it 20.07.18)

In occasione del centesimo anniversario della nascita della Repubblica armena, Yerevan apre le porte all’arte contemporanea con la mostra “International Contemporary Art Exhibition: Armenia 2018. Soundlines of Contemporary Art” che coinvolge tutta la capitale attraverso l’esposizione di oltre cinquanta artisti in sette sedi.

Si tratta della prima manifestazione di arte contemporanea a Yerevan che unisce tutti i mezzi espressivi – pittura, scultura, fotografia, video, installazione – e che mette in dialogo un gran numero di artisti provenienti da ogni parte del mondo, invitati a realizzare le opere in situ e contestualmente a tenere dei workshop con gli studenti delle accademie. L’obiettivo è infatti coinvolgere il più possibile il territorio, renderlo partecipe del dibattito artistico ed evidenziarne la vocazione allo scambio culturale. Per questo motivo si estende alla città con una diffusione capillare nei maggiori luoghi dediti alla cultura: Armenian Center for Contemporary Experimental Art, Aram Kachaturian Museum, Cafesijan Center for the Arts, Hayart Cultural Center, Artists’ Union of Armenia, A. Spendiaryan Opera and Ballet National Academic Theater, Armenian General Benevolent Union.

La mostra pone al centro dell’attenzione concetti chiave come l’interazione culturale, l’identità, la mobilità, la circolazione del pensiero, il confine come soglia reale e mentale che divide e consente allo stesso tempo lo scambio e il dialogo culturale. Questi importanti temi sono ripresi anche nel titolo “Soundlines of Contemporary Art” in cui il legame e la metafora con il suono sottolinea il potere della voce dell’arte. In maniera analoga a quanto avviene in un’orchestra in cui il suono del duduk, armeno, si integra perfettamente con gli altri strumenti, la rassegna intende rispecchiare una fusione culturale nella storia contemporanea e la scena globale in cui artisti armeni dialogano con quelli di altri Paesi.

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Accompagna la mostra un catalogo in due volumi, edito da Manfredi Edizioni con testi in inglese del Presidente della Repubblica Armena, del Ministro della Cultura Armeno, dei curatori Mazdak Faiznia e Marina Hakobyan e di Shaula International LLC. Il volume I è dedicato a “Soundlines of Contemporary Art” e il volume II al “Progetto Open Sounds of Contemporary Art”.

“Soundlines of Contemporary Art”, curata da Mazdak Faiznia e Marina Hakobyan e ideata e organizzata da Shaula International LLC, sotto l’alto patronato della Presidenza della Repubblica d’Armenia, gode dei patrocini del Governo Canadese, del Ministero della Cultura Armeno, del Ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo, del progetto di promozione culturale della Farnesina Vivere All’italiana, dell’Ambasciata Italiana in Armenia, ed è supportata dal Ministero Affari Esteri Armeno, dalla Delegazione EU in Armenia e dalla Armenian General Benevolent Union (AGBU).
Ufficio Stampa per l’Italia: IBC Irma Bianchi Communication

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