Cosa si cela dietro le accuse all’Armenia di molti parlamentari italiani? (Formiche.net 12.07.17)

Cosa si cela dietro le accuse all’Armenia di molti parlamentari italiani filo-Baku? Secondo il Ministero della Difesa della Repubblica dell’Azerbaijian lo scorso 4 luglio le forze armate dell’Armenia hanno colpito il villaggio di Alkhanli con mortai da 82 e 120 mm e lanciagranate pesanti. Il bilancio parla di una donna e una bambina morte.

Alcuni parlamentari italiani, tra cui il deputato piddino Khalid Chaouki, il senatore trentino della Lega Nord Sergio Divina e il senatore del M5S Vito Petrocelli, hanno accusato l’Armenia di “atti di vandalismo”, ma nessuno ha fatto cenno al fatto che nelle ultime settimane l’Azerbaijian ha continuato a violare gli accordi di cessate il fuoco trilaterale del 1994-1995. Cosa si cela dietro le dichiarazioni di fuoco contro Erevan? C’è il rischio che una serie di vicissitudini politiche fra due Paesi possano essere strumentalizzate dietro il peso di altri ben più consistenti interessi geopolitici?

Esiste una lobby della comunicazione che dà più peso specifico ad un fatto piuttosto che ad un altro? Risponde al vero il fatto che l’Armenia sta conducendo attacchi sistematici, deliberati e mirati alla popolazione civile come sottolineato da Hikmat Hajiyev, portavoce del Ministero degli Affari Esteri dell’Azerbaijian?

A fronte delle numerose analisi che pendevano oggettivamente dalla parte di Baku, è utile affrontare il nodo anche dall’altro punto di vista e provare a decifrare fatti e premesse. Il recente incidente nel villaggio di Azhariana di Alkhanli può essere considerato come risposta ad una provocazione azera?

“Prima di fare dichiarazioni, ognuno dovrebbe esplorare i fatti in modo completo, anziché rendere commenti ufficiali dell’Azerbaigian che sono così lontani dalla realtà” racconta Victoria Bagdassarian, Ambasciatrice armena in Italia, secondo cui il partito armeno non agisce mai come iniziatore dell’attacco, “ma sempre pronto se necessario e quando è costretto a prendere misure di ritorsione per calmare qualsiasi azione provocatoria dell’Azerbaijian ed esercitare il suo pieno diritto all’autodifesa”.

Come dimostrano le recenti dichiarazioni delle Co-Presidenze del Gruppo Minsk in seno all’ OSCE, quello è l’unico ente a livello internazionale che dispone del pieno mandato per la risoluzione dei conflitti Nagorno – Karabakh. Nella dichiarazione dello scorso 18 maggio infatti i Co-Presidenti hanno osservato che “secondo le informazioni raccolte da più fonti affidabili, il 15 maggio, le forze armate azerbaigiane hanno sparato un missile attraverso la linea di contatto, colpendo attrezzature militari”.

Inoltre lo scorso 4 luglio le forze armate azerbaigiane hanno utilizzato un sistema multiplo di lanciarazzi contro Nagorno-Karabakh. In risposta, l’esercito di difesa di Nagorno-Karabakh si è sentito obbligato a prendere misure per contrastare le azioni aggressive del partito azerbaigiano. Secondo Aldo Di Biagio, senatore di Ap-Ce, membro della Commissione diritti umani del Senato, a pochi giorni dall’acuirsi degli attriti lungo la linea di contattato con l’area del Nagorno-karabakh che è stato teatro di attacchi da entrambe le fazioni, “è opportuno chiarire la responsabilità del Governo di Baku e le tattiche di attacco perpetrate in aperta violazione del cessate il fuoco e che hanno legittimato la risposta militare armena, al di là della retorica e della mistificazione della realtà a cui purtroppo si continua ad assistere anche da parte di interlocutori italiani”.

Secondo l’ambasciatrice armena in Italia, al fine di comporre un mosaico equilibrato e completo, è utile ricordare che le posizioni Nagorno-Karabakh sono state attaccate dal luogo in cui si trova la popolazione civile dell’Azerbaijan. “Non è la prima volta che la leadership azerbaigiana utilizza la popolazione transfrontaliera come uno scudo umano per bombardare il territorio di Artsakh. Questo fatto è stato portato all’attenzione della comunità internazionale in numerose occasioni”.

E molte foto sono state pubblicate da Artsakh Defense Army: dimostrano che l’Azerbaijan pone le sue installazioni militari in insediamenti pacifici.

Una tesi corroborata dal fatto che, in occasione del Consiglio Permanente dell’Osce dello scorso 6 luglio, il rappresentante francese ha presentato una nuova dichiarazione a nome del gruppo OSCE Minsk in relazione alle recenti violazioni del cessate il fuoco nella linea di contatto Nagorno – Karabakh: si chiedeva di rinunciare a qualsiasi “azione ostile che avrebbe potuto comportare vittime civili inaccettabili”. E i co-presidenti hanno considerato l’incidente del 4 luglio come un’azione provocatoria che mina gli sforzi di pace e potrebbe provocare una rottura nei prossimi negoziati.

“Ricordiamo alle parti i loro obblighi derivanti dalle Convenzioni di Ginevra, ovvero astenersi da ogni azione ostile che potrebbe portare a vittime civili inaccettabili. Invitiamo le parti ad adottare misure immediate per attenuare la situazione e rispettare rigorosamente l’accordo di cessate il fuoco 1994/1995″, recita la dichiarazione.

“Ci rammarichiamo – conclude l’ambasciatrice – della perdita di qualsiasi vita civile indipendentemente dalla loro nazionalità. Finché l’Azerbaijian non riesce ad attuare i propri impegni internazionali, la stessa leadership dell’Azerbaijian ha piena responsabilità per tutte le vittime umane di quelle provocazioni”.

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Perché la musica popolare armena è la più bella del mondo (Linkiesta 12.07.17)

Schiacciata tra Est e Ovest, dominata da persiani, ottomani e sovietici, divisa in due parti e in mille città, la campagna armena conserva, nella sua cultura e nella sua geografia, lo spirito di un popolo. O almeno, così credevano i due musicisti armeni che l’hanno girata in lungo e in largo

Molto bene. Ma in Armenia? Come se la sono cavata in una nazione divisa tra est e ovest, contesa tra gli Stati liberali e gli imperi, formata da interventi persiani, ottomani, sovietici? Chi è il cantore dello spirito nazionale armeno? Come è ovvio, per un Paese di fatto diviso in due – Est/Ovest, ma anche città/campagna – con due lingue (intelleggibili l’una all’altra) e due culture, non ci fu solo un cantore. Ma, appunto, ce ne furono due.

Il primo fu Komitas Vardapet: prete, musicologo, gran viaggiatore. Parlava varie lingue (tra cui francese e tedesco) e girò per le campagne dell’Anatolia in cerca di musiche e motivi. Il suo sogno era di far conoscere anche in Europa la musica armena. Non compose molto, però trascrisse tantissimo: delle 3.000 canzoni popolari che trascrisse, circa 1.200 sono ancora in circolazione. E altri musicisti, forse più bravi di lui, come Tigran Hamasyan utilizzarono questo archivio per trarne nuove musiche, più raffinate ma anche più “armene”.

Il secondo, che invece si occupò dell’Armenia orientale, fu Grikor Suni. Personaggio molto meno pacifico del primo: rivoluzionario, socialista, nemico dello zar (era molto prima della Rivoluzione russa), mescolò all’interesse etnografico la celebrazione della forza operaia. E per questoil suo lavoro fu ostacolato, la sua memoria repressa, la sua eredità dispersa.

Era senza dubbio un intelligenza originale. Ad esempio, la canzone Alagyaz, venne composta cercando di ricalcare, con un tipo di notazione su uno spartito inventata da lui, la forma delle montagne Aragats. L’analogia è evidente ed esplicita:

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A ogni curva corrisponde una cima. A ogni cima, un cenno musicale. Suni cercò di tradurre, insomma, non solo lo spirito di un Paese in musica, ma anche la sua conformazione geografica (perché convinto che le due cose, in fondo, non fossero così staccate). Il risultato? Questo:

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Nagorno-Karabakh: annunciato incontro a Bruxelles fra ministri Esteri di Armenia e Azerbaigian (Agenzianova 11.07.17)

Erevan, 11 lug 10:10 – (Agenzia Nova) – I ministri degli Esteri di Armenia e Azerbaigian, rispettivamente, Edward Nalbandian e Elmar Mammadyarov si incontreranno oggi a Bruxelles. È quanto riferito dal portavoce del ministero armeno, Tigran Balayan, secondo cui l’iniziativa è stata organizzata dai copresidenti del Gruppo di Minsk dell’Osce (Francia, Russia e Stati Uniti) che monitora il cessate il fuoco nel Nagorno-Karabakh, l’area contesa fra i due paesi. La situazione nella regione ha subito una nuova fase di deterioramento nell’ultima settimana. Venerdì 7 luglio il ministero della Difesa azero ha riferito che, per prevenire nuovi atti di sabotaggio da parte delle Forze armate armene, sono state colpite delle postazioni militari e vendicare la morte dei civili uccisi lo scorso 4 luglio nel villaggio di Alkhanli, situato nel distretto azero di Fuzuli: in questa data, secondo Baku, le forze armate dell’Armenia hanno colpito il villaggio in questione usando dei mortai da 82 e 120 mm e lanciagranate pesanti. Come risultato di questa provocazione dell’Armenia, sono stati uccisi i residenti del villaggio Guliyeva Sakhiba Idris gizi (nata nel 1967) e Guliyeva Zakhra Elnur gizi (nata nel 2015). Guliyeva Servinaz Iltifat gizi (nata nel 1965). (Res)

La Turchia cancella dal Parlamento le parole ‘Kurdistan’ e ‘genocidio armeno’ (Dire 11.07.17)

ROMA – E’ stata approvata la proposta di bandire dal parlamento di Ankara l’uso dei termini quali “Kurdistan”, “province curde”, “Amed” – l’antico nome della città curda di Diyarbakir – nonché “genocidio armeno” e “massacro“.

I deputati che violeranno tale disposizione potranno essere multati o addirittura sospesi temporaneamente. La notizia è stata riportata dalle fonti di stampa curda e armena, tra cui ‘Kurdistan 24’, ‘Pan Armenian’ e ‘Armradio’.

Secondo i promotori della legge – il partito di maggioranza Akp, sostenuto da altre componenti – l’uso di “Kurdistan” o degli altri termini connessi violerebbe la Costituzione, che afferma “l’unità” dello stato turco.

Inoltre, per via delle azioni violente del gruppo armato Pkk, la bandiera – e l’appartenenza stessa alla minoranza curda – sono associati al terrorismo.

Il genocidio degli armeni è invece un episodio tragico avvenuto nel 1915, allorché l’impero Ottomano stabilì la sistematica uccisione della ricca minoranza etnica. Ankara negli anni ne ha sempre negato l’esistenza, sebbene numerosi storici ed esperti abbiano affermato il contrario, anche a fronte di documenti e testimonianze raccolte tra i sopravvissuti. I governi o gli organismi internazionali che hanno espresso parole di condanna per quella vicenda – in cui si stima persero la vita oltre un milione di persone – hanno messo a rischio i propri rapporti diplomatici con il governo anatolico.

Il dibattito sulla possibilità di imporre un veto all’uso di questi termini all’interno del Parlamento è iniziato a gennaio, quando il deputato del partito di opposizione Hdp, Sibel Yigitalp, impiegò appunto la parola “Kurdistan” in emiciclo, causando un’ondata di proteste.

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ARMENIA: Yerevan apre le porte ai rifugiati siriani (Eastjournal 11.07.17)

Stando alle dichiarazioni del Ministero degli Esteri armeno, a ottobre 2016 l’Armenia aveva già accolto più di 20.000 rifugiati dalla Siria. Il 4 ottobre dello scorso anno, infatti, il viceministro degli Esteri Ashot Hovakimian ha dichiarato davanti al Comitato esecutivo dell’UNHCR che la nazione è terza in Europa per numero di rifugiati siriani – molti dei quali di origine armena – in rapporto con la sua popolazione.

Prima dello scoppio della guerra, nella sola Aleppo vivevano più di 60.000 armeno-siriani e complessivamente nel Paese ve ne erano all’incirca 110.000: a partire dal 2011, tuttavia, in 90.000 hanno lasciato la Siria.

Siria e Armenia: storie simili?

I flussi migratori e le connessioni tra i due paesi spiegano almeno in parte l’intervento attivo di Yerevan nella crisi siriana, ma il coinvolgimento armeno è anche legato al destino simile e alle comuni difficoltà che – benché in circostanze assai differenti e a un secolo di distanza – avvicinano i due popoli. David Miliband, presidente e CEO dell’IRC (International Rescue Committee), afferma che “il numero di persone coinvolto nelle crisi umanitarie in tutto il mondo cresce ogni giorno. […] Al pari di quei pochi che intervennero coraggiosamente in difesa degli armeni cento anni fa – prosegue – siamo orgogliosi di intervenire oggi nel loro stesso spirito, supportando le organizzazioni che affrontano le sfide umanitarie più urgenti”.

Un contributo “positivo, crescente e duraturo”

L’IRC sta sviluppando un progetto per trasferire denaro ai rifugiati siriani, in collaborazione con l’Aurora Humanitarian Initiative. Con un contributo di 100.000 dollari da parte di quest’ultima, infatti, l’IRC ha istituito una campagna mirata a sostenere concretamente i rifugiati e i richiedenti asilo, abbattendo le barriere che – a livello subnazionale – impediscono una circolazione efficace del credito. L’Aurora Humanitarian Initiative, fondata a nome dei sopravvissuti del genocidio armeno, mira a dare la possibilità ai volontari di condividere obiettivi e di intervenire nell’ambito di progetti umanitari. A Yerevan, l’Aurora Humanitarian Initiative è rappresentata dalla fondazione IDeA, il cui obiettivo è quello di garantire un contributo “positivo, crescente e duraturo” dell’Armenia a livello globale – rafforzando al tempo stesso l’identità degli armeni nel mondo.

Mentre la campagna di sostegno creditizio ai rifugiati compie i primi passi, il Governo armeno ha deciso – nel maggio scorso – di attingere ai propri fondi di riserva, destinandoli all’intervento umanitario nella crisi siriana. Già nei primi mesi del 2017 erano state inviate in Siria 18 tonnellate di beni, ma nel mese di maggio il ministro della Difesa Vigen Sargsian ha promesso una nuova spedizione, dichiarandosi fiducioso nella collaborazione della Russia a tale scopo.

Difficoltà di integrazione e cooperazione internazionale

Nel giugno 2017, il Trust Fund dell’UE – istituito in risposta alla crisi siriana – ha deciso di varare nuovi programmi, per un totale di 275 milioni di euro. Con l’adozione di questa nuova strategia, il fondo ha superato il miliardo di dollari – una meta definita nel 2015 dal presidente della Commissione Europea Juncker. Tra le finalità del progetto spicca l’implementazione di servizi assistenziali ed educativi, cui si aggiungono obiettivi legati alla sanità, alla sicurezza e all’occupazione.

Il programma copre i Balcani occidentali, il Libano, la Giordania, la Turchia e l’Iraq. Infine, 3 milioni di dollari verranno destinati in modo specifico all’Armenia, con l’obiettivo principale di garantire un migliore accesso dei rifugiati ai servizi psicosociali e all’istruzione. Nonostante molti abbiano origini armene, infatti, spesso l’integrazione non è facile, soprattutto dal punto di vista lavorativo. L’alto tasso di disoccupazione  a livello nazionale contribuisce spesso a scoraggiare i nuovi arrivati, che si trovano a dover fronteggiare elevati costi della vita e bassi salari. Le difficoltà nel trovare casa, unite al senso di dipendenza dagli aiuti governativi e alla nostalgia della patria, rendono lungo e complesso il processo di integrazione. Tuttavia Yerevan non perde le speranze e continua ad accogliere: facendo leva sui nuovi programmi varati dalla comunità internazionale, il Governo incoraggia l’inserimento degli armeno-siriani puntando in primis sull’integrazione nella comunità locale di bambini e studenti.

Fonte: The Armenite

Antonia Arslan: «Le voci ritrovate degli Armeni uccisi» (Ilpiccolo 05.07.17)

La notte del 24 aprile 1915 è un momento della Storia che il popolo armeno – ma, dovremmo dire meglio, il mondo intero – non scorderà mai. Quella data segna infatti l’inizio del genocidio di un popolo che, dopo essere stato per secoli senza uno Stato e un preciso territorio, da alcuni decenni stava sognando il ricostituirsi della propria identità anche in senso politico, oltre che culturale. In quella notte, attraverso una capillare operazione di polizia, vengono arrestati a Costantinopoli i principali esponenti della comunità armena nell’impero ottomano. Tra loro, diversi scrittori, poeti e giornalisti, che verranno uccisi nei giorni successivi. A lungo i loro nomi sono stati dimenticati, rimossi come la realtà stessa del genocidio, il primo della Storia del Novecento, che anticipa tragicamente la Shoah del popolo ebraico.

Ora i profili di quegli autori riemergono dal passato in una raccolta di testi pubblicati dalle Edizioni Ares: “Benedici questa croce di spighe… Antologia di scrittori armeni vittime del Genocidio” (a cura della Congregazione armena mechitarista, Suren Gregorio Zovighian, Hamazasp Kechichian, pp. 240, euro 18,00). A firmare l'”invito alla lettura” che fa da introduzione al volume è Antonia Arslan. Già docente di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di Padova, di famiglia di origini armene, come narratrice si è occupata dell’identità e della Storia del popolo armeno già a partire dal suo romanzo d’esordio, “La masseria delle allodole” (Rizzoli 2004, premio Selezione Campiello).

«Come una folgore improvvisa che taglia in due un paesaggio – afferma Antonia Arslan – come un terremoto inaspettato che apre voragini e scuote ogni cosa costruita dall’uomo, così siamo abituati a immaginare l’inizio del genocidio degli armeni. Oggi, attraverso il recupero delle opere degli scrittori assassinati, essi possono tornare a essere personaggi reali, protagonisti del racconto infinito di quella tragedia incombente che venne realizzata giorno dopo giorno, con l’astuzia di tenere i prigionieri all’oscuro del loro destino».

Nel libro ora pubblicato da Ares le voci degli autori armeni della generazione vittima del genocidio – decretato, ricordiamolo, dal partito dei Giovani Turchi – vengono offerte per la prima volta ai lettori italiani. Sono autori assai differenti fra loro. Diverse sono le date e i luoghi di nascita, la provenienza familiare, gli studi, le vocazioni e le carriere professionali: poeti e autori di romanzi e novelle, giornalisti, medici, farmacisti, uomini di Chiesa, politici. I loro nomi: Daniel Varujan, Siamantò, Rupen Sevag, Garabed der Sahaghian, Ardashes Harutiunian, Krikor Zohrab, Rupen Zartarian, Dikran Ciögürian, Tlgadintzì, Hrant, Yerukhan, Kegham Parseghian. Tutti accomunati, scrive Antonia Arslan, «dall’amore per una patria divisa, drammaticamente minacciata, con forti differenze sociali al suo interno, eppure unita da un maestoso, articolatissimo linguaggio dalle antiche radici indoeuropee, da un alfabeto unico e originale e da una superba tradizione culturale, che si sviluppa con grande ricchezza a partire dal IV secolo d.C.».

Professoressa Arslan, quali sono i tratti caratteristici di questi autori?

«Diverse sono le personalità, ma in comune hanno una sorprendente apertura alla cultura europea, in particolare francese, ma anche italiana, persino quella più recente: un narratore come Hrant, ad esempio, legge in tempo reale le ultime opere di Edmondo De Amicis e di Matilde Serao, a cui si ispira da vicino per la composizione dei suoi racconti. C’è poi il senso profondo di un’identità di popolo ormai senza uno Stato territoriale da diversi secoli, precisamente dal 1375, quando cadde il Regno armeno di Cilicia. Ma tutti hanno un forte radicamento nella tradizione culturale armena».

Come mai questa attenzione all’Italia e alla sua letteratura?

«Perché nel secondo Ottocento gli armeni vivono una nuova primavera culturale, che si apre alla fiducia nella possibilità di creare una nuova entità nazionale. E così vedono nel Risorgimento italiano un modello a cui ispirarsi, pur nelle sostanziali differenze tra le due situazioni: da una parte, gli italiani, una nazione divisa in più Stati; dall’altra, gli armeni, un popolo inglobato in un impero, quello ottomano, che non consente una piena affermazione della loro specificità di popolo. Di fatto gli armeni non aspiravano all’indipendenza, ma a spazi di autonomia che consentissero adeguate possibilità di espressione. In ogni caso, si spiegano così l’ammirazione per un personaggio come Giuseppe Garibaldi o per uno scrittore come Antonio Fogazzaro».

Nell’antologia ora pubblicata troviamo soltanto autori uomini. Come mai?

«Donne armene che scrivevano in quegli anni c’erano, eccome. Ma la maggior parte delle scrittrici si sono salvate dal genocidio, mentre gli scrittori no. Questo perché gli uomini furono sterminati subito, le donne, invece, deportate. Qualcuna di loro riuscì a fuggire, spesso in modo rocambolesco. Come Zabel Yessayan, che scappò per i tetti, riuscendo a fuggire prima in Bulgaria e poi in Unione Sovietica, dove però, accusata di “nazionalismo” e arrestata nel 1937, morirà in quello stesso anno in circostanze oscure».

Che cosa si è perso con la sparizione di un’intera generazione di scrittori e intellettuali armeni vittime del genocidio?

«È venuto meno un formidabile ponte tra Oriente e Occidente, la possibilità di continuare quel dialogo tra culture diverse che gli armeni da sempre avevano coltivato».

Come descriverebbe il carattere del popolo armeno?

«Nell’antichità gli armeni erano contadini, poi diventarono artigiani e commercianti. Una volta mi è capitato di definire il loro carattere come “mite e fantasticante”: sono sempre stati persone dolci ed educate, caratterizzate da una certa ingenuità, intesa come spontaneità di cuore. Sono elementi che, insieme a un’attitudine fantasticante e sensuale, ritroviamo anche nei testi letterari antologizzati in questo volume. Inoltre gli armeni hanno un forte senso della famiglia, una famiglia allargata che comprende gli anziani e i vicini. Non una famiglia patriarcale, però, perché le donne non hanno mai subìto la figura del “padre padrone”. All’inizio del Novecento erano moltissime le donne armene che si diplomavano nelle scuole superiori, segno di un’emancipazione femminile che testimoniava l’alta considerazione in cui erano tenute nella società».

Un’ultima domanda, che riguarda Antonia Arslan: qual è il suo rapporto con Trieste?

«Un rapporto molto intenso, forse proprio perché anche Trieste, come il popolo delle mie origini, ha questa caratteristica di fare da ponte tra culture diverse. Venivo a Trieste fin da bambina ospite di due mie prozie suore. Ricordo il bellissimo giardino del loro istituto, che per me era una sorta di paradiso terrestre, perché le zie mi lasciavano fare quello che volevo. Poi mi portavano a passeggio per la città, che allora aveva per me il fascino dell’ignoto. Peciò per me da allora Trieste è rimasta sinonimo di libertà, evasione, avventura».

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Se l’Occidente vuole sconfiggere il terrorismo, deve imparare dagli armeni (Tempi.it 05.07.17)

Il paese di Artsakh esiste staccato dalla parte occidentale del mondo. Quel poco che sappiamo di Artsakh dai media tradizionale (sempre di dubbia autenticità) riguarda solo la “guerra” tra i nativi armeni di Artsakh e l’Azerbaijan. Non viene mai scritto nulla sulla vita quotidiana di Artsakh, decisamente diversa dalle suggestioni che provengono dai media riguardo a una situazione di caos e guerra costante.

Al contrario, non c’è alcuna guerra in atto e la gente vive come noi in America, prendendo il caffè alla mattina prima di andare al lavoro per sostenere la propria famiglia. Ci sono maestosi edifici governativi, diversi alimentari e negozi di abbigliamento, ristoranti e trasporti pubblici. Il livello del crimine è basso e ho capito facendo ritorno ogni sera a piedi al mio appartamento che le strade di Stepanakert (capitale del Nagorno Karabakh, ndr) sono più sicure di quelle di New York. Anche quando è tardi, i bambini giocano nella piazza di Stepanakert e i genitori si sentono abbastanza sicuri per guardarli solo a distanza.

È vero che restano ancora delle tensioni tra Artsakh e Azerbaijan, ma gli armeni non indietreggiano davanti al male, piuttosto rimangono forti e resistono con coraggio. Sono onesti, gran lavoratori, attenti alla famiglia e generosi, anche nei confronti degli stranieri come me che conoscono solo la parola “Barev!” della loro lingua. Come popolo sono determinati ad accrescere e proteggere la loro cultura e la loro storia, sempre avendo chiaro in mente che cosa significa essere un uomo e una donna di Artsakh.

L’Occidente non ha guadagnato nulla dall’aver voltato le spalle al popolo armeno. Come americana, trovo questa ignoranza particolarmente deplorevole, visto che abbiamo legami storici con gli armeni. Nel 1915, mentre il genocidio armeno prendeva piede in Turchia, la Near East Relief veniva fondata in Syracuse, New York (non lontano dalla mia città d’origine) con l’obiettivo di proteggere e offrire riparo ai rifugiati armeni. La fondazione e i suoi volontari sono stati cruciali nell’assicurare la sopravvivenza del popolo armeno e i nostri sforzi in questo senso offrono un’idea di ciò che rende grandi noi americani, la consapevolezza cioè che ogni persona umana ha ugualmente diritto alla vita ed è libero di scegliere la sua strada verso la felicità.

Crediamo anche che quando questi diritti umani basilari vengono calpestati, abbiamo l’obbligo di proteggerli, non solo a parole ma anche con i fatti. Eppure abbiamo dimenticato questi atti eroici e la Near East Relief non ha più un’idea chiara su cosa significa essere americani. Un esempio simile di virtù americane dovrebbe essere vicino ai nostri cuori, invece l’abbiamo spazzato via dalla nostra memoria. Questo oblio non è un caso, ma è diventato la normalità di una cultura e di un’identità americane che sono più confuse che mai.

È ripetendo certe azioni che il carattere di un uomo si forma. Ripentendo gesti generosi, un uomo diventa generoso. Allo stesso modo, la storia incoraggia le abitudini di una comunità di persone. In Artsakh genitori e figli restano legati per tradizione e questo obbliga i genitori a sapere come facilitare questo tipo di legami. Le loro tradizioni portano a buone abitudini come l’essere bravi genitori e così facilitano la crescita di brave persone. Gli armeni di Artsakh praticano ancora le loro tradizioni millenarie. Conoscono i propri monumenti storici, soprattutto chiese cristiane, e sono sempre pronti a condividere informazioni sulla loro collocazione, data di costruzione e importanza culturale. Sono orgogliosi quando parlano dei loro re antichi e delle loro grandi imprese. Conoscono la loro storia e quindi sanno chi sono. La loro storia li rende uniti e coerenti come comunità.

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In Occidente invece siamo divisi, perché ci mancano le radici. I popoli occidentali provengono da diversi retroterra e hanno opinioni le più diverse, ma ci deve essere qualcosa di più profondo che ci unisce. Il popolo di Artsakh affonda le radici nella sua storia e queste radici lo tiene insieme, a prescindere dalle differenze esistenti tra singoli armeni. Questa unità li rende forti, anche davanti ai grandi mali che minacciano la loro distruzione.

Ora l’Occidente affronta i suoi stessi mali. I recenti attacchi terroristici di Manchester e Londra che ci hanno scioccati e spaventati sono un’ulteriore prova di questo. Mentre fatichiamo a trattare con e rispondere a questi atti insondabili, ritengo che possiamo imparare molto dagli armeni. Hanno la forza e la saggezza di agire prendendo le mosse dalla loro cultura e storia. Quando devono combattere il male, guardano al bene presente nel loro passato e con quella conoscenza si rivolgono a difendere il futuro. Penso che l’Occidente abbia perso di vista sia la sua cultura che la sua storia. Io amo gli ideali sui quali è stata costruita l’America, ma sono orripilata dall’opinione prevalente tra gli americani che cerca di smantellare e distruggere ciò che un tempo ci ha resi orgogliosi. Dimenticando ciò in cui un tempo credevamo abbiamo anche perso la volontà di combattere, perché laddove manca una convinzione vera non può esserci un’azione chiara.

Se vogliamo veramente fronteggiare la minaccia al mondo occidentale dobbiamo voltarci verso il nostro passato e riunirci nella nostra storia comune. Non siamo così diversi dai nostri predecessori e di certo non siamo superiori. Come umani siamo tutti capaci di successi, così come di fallimenti. Ciò che di buono abbiamo in Occidente è stato costruito dai nostri predecessori e quel bene lo dobbiamo difendere per i nostri figli. Gli armeni capiscono bene questo ragionamento, avendo perso così tante persone del loro popolo, insieme a territori storici e siti culturali. Dovendo vivere a Stepanakert per i prossimi tre mesi, so che imparerò molto da queste persone e spero che comunicando la loro bontà e il loro coraggio, potrò ispirare l’Occidente ad investire su ciò che gli è proprio.

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Armenia destinazione dell’anima, ecco cosa vedere (Thewaymagazine 03.07.17)

Il paese euroasiatico sta emergendo come nuova meta del viaggiatore moderno. Perché offre storia, lusso divertente e autenticità.

L’Armenia, il Paese euroasiatico nel Caucaso meridionale, è una delle mete emergenti per il turismo attento all’autenticità. Perché nell’ex territorio sovietico sovente si respira quell’eredità culturale secolare che abbraccia origini e incontri diversi.

La nuova guida dell'Armenia edita da Morellini Editore.

La nuova guida dell’Armenia edita da Morellini Editore.

Ma è proprio l’Armenia che con la sua natura e le caratteristiche città in bilico tra antico e moderno e soprattutto ancora ignote ai più, sta attirando un nuovo turismo. Grazie a un rinnovato impegno di promozione turistica, l’Armenia sta diventando una delle “nuove destinazioni” di un turismo scelto e consapevole, un bel passo avanti per una nazione che tutti conoscono per tragedie umanitarie, di cui molti però ignorano le bellezze.

Un territorio affascinante tutto da scoprire, dai paesaggi montani agli antichi monasteri, dalla “Stonehenge” del Caucaso alla prelibata gastronomia. Un rifugio dell’anima autentico e prezioso scrigno custode di antiche tradizioni.

La guida più aggiornata a una delle nuove mete scoperte dagli italiani è quella di Mauro Morellini che vi mostriamo accanto. Fa parte della collana Insider di Morellini Editore, e per l’Armenia il celebre giornalista-viaggiatore svela anche il Nagorno Karabakh (chiamato oggi dai locali e dagli armeni Artsakh), una regione tuttora contesa tra Armenia e Azerbaijan, custode di tesori come il Monastero di Dadivank e il sito archeologico di Tigranakert, fino alla stessa capitale Step’anakert.

La sua capitale Yerevan è ora una metropoli cosmopolita, dall’intensa vita notturna ma anche di tanti eventi all’aria aperta: Republic Square è una delle più belle piazze novecentesche, il Museo del Manoscritto contiene tesori imperdibili, e le fabbriche di cognac propongono liquori tra i migliori del mondo. E, in lontananza, il profilo della mitica Ararat, la montagna sacra dove l’arca di Noè, dopo 40 giorni tra le acque, finalmente toccò terra, e da dove si dipartirono i progenitori delle varie stirpi umane.

Armenia Marriott Hotel Yerevan nel cuore della capitale.

Armenia Marriott Hotel Yerevan nel cuore della capitale.

All’Armenia Marriott Yerevan si trascorre una vera vacanza da sogno in un edificio storico nella piazza centrale della capitale. Il grandioso palazzo si trova all’inizio della zona della vita serale. Si respira il fascino degli alberghi di grande lusso del passato.

Culla del cristianesimo, il territorio armeno si sviluppa quasi sempre sopra i 1000 metri e ospita monasteri medievali abbarbicati sulla cima delle montagne, alcuni dei quali dichiarati Patrimonio dell’Umanità UNESCO: Sevanavank, Sanahin e, fra tutti, i complesso di Tatev, raggiunto in cima ai monti dalla più lunga teleferica del mondo (una traversata di 12 minuti a 320 metri d’altezza).

L'Hyatt Palace di Jermuk, in montagna.

L’Hyatt Palace di Jermuk, in montagna.

A Jermuk c’è tutta la natura che un viaggiatore è desideroso di incontrare: montagne incontaminate, sorgenti termali calde e una grande varietà di possibilità per sport invernali. All’Hyatt Palace locale il piatto forte, manco a dirlo, è la nuovissima SPA.

A oltre 2000 metri a Karahundj si trova un osservatorio preistorico precedente di secoli a Stonehenge mentre nell’antico Cimitero di Noratus, si trovano oltre 900 Khachkar, le antiche croci istoriate in pietra caratteristiche dell’Armenia. Numerose e molto varie le attrazioni naturali, dal Lago di Sevan alla zona termale di Jermuk.

A Dzoraget il Tufenkian Avan Dzoraget Hotel è un castello medioevale vicino al fiume (foto d’apertura) a circa 160 km a Nord di Yerevan, tra la strada che collega Armenia e Georgia. L’esterno dell’albergo è in basalto. La cultura armena pervade l’albergo già nel cortile con la scultura di un Toro le cui zampe e fianchi sono adornati con immagini tratte dalle leggende e dagli scritti armeni che decorano i muri dell’ingresso ad arco, il vestibolo arcato ed ogni parte dell’albergo. Qui si esplora il paesaggio, si visitano i numerosi monasteri dei paesi vicini e si degusta la cucina armena e georgiana. Le camere hanno salotti spaziosi arredati con eleganti e lussuosi manufatti (spesso in ferro e basalto locale). Gli armadi di noce o a muro hanno grucce fatte a mano in ferro battuto. I letti sono decorati da testate in ferro battuto, i pavimenti sono coperti dai  famosi tappeti fatti a mano Tufenkian.

La tipica gara con arco e freccia è organizzata in modo tradizionale (si vincono conigli e quaglie) mentre per i più attivi sono possibili escursioni a cavallo e battute di pesca guidata.

Il Multi Grand Pharaon Hotel di Abovyan.

Il Multi Grand Pharaon Hotel di Abovyan.

Spostandosi appena fuori dalla capitale invece, si ha la possibilità di assaporare la vena festaiola di questo popolo. Al Multi Grand Pharaon Hotel di Abovyan si respira un’aria opulenta e grande fermento specialmente durante le feste nazionali. La qualità del servizio e la vicinanza con la capitale fanno di questa poco nota destinazione un’ideale ritiro per chi vuole davvero sperimentare il lusso nella provincia armena. Ci sono attrazioni nel grand hotel degne di un’intera vacanza.

The Promise: una pellicola che vede protagonisti Oscar Isaac, Charlotte Le Bon e Christian Bale (Dailynews24.it 02.07.17)

The Promise è un film del 2016 diretto dal premio oscar Terry George, la pellicola racconta la storia di un triangolo amoroso tra un giornalista americano residente a Parigi, uno studente di medicina armeno e la bella Ana, a fare da sfondo vi è però la tragedia del genocidio armeno.

Il film è stato ampiamente criticato, soprattutto per il tema trattato, ovvero, il genocidio armeno, difatti, già alla presentazione al Toronto International Film Festival gli venne dato il voto minimo.

I tre protagonisti di questa pellicola sono Oscar Isaac, reduce da ” Star Wars: Il risveglio della Forza“, Christian Bale, attore ormai più che affermato e vincitore di un premio oscar e Charlotte Le Bon già notata in “Anthropoid” e “The Walk“.

La trama della pellicola gira intorno a questo trio amoroso che vede coinvolti: Michael Boghosian (Oscar Isaac), il quale arriva come studente di medicina determinato a portare i progressi medici a Siroun, il suo villaggio d’infanzia, Chris Myers (Christian Bale) fotografo e giornalista giunto in Turchia non solo per il suo lavoro e Ana (Charlotte Le Bon), un’artista armena che Myers ha accompagnato da Parigi dopo la morte improvvisa del padre. Quando Michael nota Ana, le loro radici armene prendono il sopravvento e tra i due si crea un’attrazione che porta alla rivalità i due uomini innamorati della donna. Intorno a questo triangolo di passione però si scatena la seconda guerra mondiale che vede gli armeni vittime di una grande catastrofe, i tre protagonisti dovranno trovare un modo per sopravvivere nonostante i loro conflitti.

Il trailer mostra un film che va dritto al cuore, emozionante e drammatico con una storia d’amore che riesce in un certo senso ad alleggerire il momento storico, purtroppo per l’italia ancora non si sa se e quando verrà rilasciato.

L’approccio multi-direzionale dell’Armenia. Intervista all’ambasciatrice Bagdassarian (Notiziegeopolitiche.net 30.06.17)

di Giuliano Bifolchi

L’Armenia si presenta oggi come un paese dinamico e politicamente moderno, che interagisce con la Russia ma che ha saputo costruire per i rapporti commerciali e di dialogo un approccio multi-direzionale rivlto all’Unione Eropea e ad altre realtà. Gli investimenti sono favoriti da Zone economiche agevolate, ma anche dal “Generalized system of preferences” che aprono il paese membro dell’Uee al mondo.
Popolo che ha conosciuto i terribili drammi della storia, gli armeni si stanno distinguendo nella solidarietà e nell’accoglienza dei profughi siriani, “22mila”, ci spiega l’ambasciatrice a Roma Victoria Bagdassarian, dato che fa dell’Armenia “il terzo destinatario in Europa di rifugiati pro capite”.

– Ambasciatrice Bagdassarian, anche alla luce del prestigioso incontro “Armenia 25 anni: sfide e prospettive” tenutosi lo scorso 16 maggio al Senato della Repubblica, quali sono i risultati e progressi raggiunti e quali quelli mancati per arrivare ad una maggiore crescita sociale, politica ed economica?
Per meglio comprendere cosa è stato raggiunto in questi 25 anni è necessario avere un’idea da dove siamo partiti 25 anni fa. Nel 1991 la popolazione dell’Armenia sovietica votava per la sua indipendenza e per avere il diritto a governarsi. Dal crollo dell’Unione Sovietica, l’Armenia ha dovuto misurarsi con la guerra imposta dall’Azerbaijan alle genti del Nagorno Karabakh, con gli oltre mezzo milione di rifugiati, armeni dell’Artsakh in fuga dalle città azere di Baku, Sumgait, Kirovabad per sfuggire ai massacri, con il blocco imposto dalla Turchia e dall’Azerbaijan e con un terremoto devastante che, nel 1988, ha fatto oltre 25.000 vittime e ha raso al suolo intere città. Ha affrontato un’economia disastrata, istituzioni statali disfunzionali e non solo.
Eppure l’Armenia oggi è uno stato moderno, con istituzioni statali stabili, una società dal vivace spirito democratico, un’economia in sviluppo e un settore bancario solido.
Ovviamente non abbiamo risolto tutti i problemi ma il governo ha come obiettivo principale il miglioramento delle condizioni socio-economiche della popolazione armena e ha da tempo intrapreso un intenso programma di riforme economiche e politiche
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– Oggi l’Armenia è una repubblica parlamentare a seguito di un referendum contestato dalle opposizioni: il paese sembra spaccato tra un’élite al governo ed un’opposizione che arriva anche ad eccessi come i disordini del luglio scorso. Il premier Karapetyan vuole portare il cambiamento, ma come risponde la popolazione?
L’Armenia è passata da un governo semi-presidenziale al più avanzato – in termini di democrazia – sistema parlamentare che diventerà pienamente efficace a partire dal 2018, quando si concluderà il mandato del presidente in carica. L’opposizione armena, come qualsiasi opposizione in qualsiasi paese democratico, è critica nei confronti di quanto viene proposto e attuato dal governo. Allo stesso tempo però, per la prima volta, i rappresentanti del governo armeno e l’opposizione hanno lavorato fianco a fianco e sono giunti a un accordo sul pacchetto di misure per migliorare la nuova legge elettorale, il processo elettorale stesso e, infine, per aumentare il ruolo dell’opposizione nel Parlamento. Sfortunatamente c’è ancora qualcuno convinto che i cambiamenti si possano ottenere con la forza.
Lei ha ricordato i fatti di Yerevan del luglio 2016 quando un gruppo di uomini armati si barricarono all’interno di una stazione di polizia, prendendo in ostaggio alcuni poliziotti. Più che parlare di eccessi però, lo definerei un atto di violenza, risolto solo grazie alla prudenza e alla fermezza delle autorità e degli organismi preposti all’applicazione della legge che portarono avanti negoziati serrati per convincere gli assalitori ad arrendersi, evitando così conseguenze peggiori.
La popolazione è consapevole del cambiamento in corso. Oggi molte speranze sono riposte nel primo ministro Karapetyan che ha portato una positiva aria di rinnovamento. Certo, in questo breve lasso di tempo non è stato possibile attuare riforme radicali ma sono stati già realizzati cambiamenti significativi. Come l’ottimizzazione della governance attraverso modifiche strutturali, la semplificazione e la comprensibilità delle normative per i comuni cittadini, il rapporto quotidiano con gli imprenditori, gli sforzi per migliorare il clima degli investimenti, la riforma delle politica tributaria e molto altro ancora
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– L’Armenia ha notevole bisogno di aprirsi verso l’estero e di attrarre investimenti stranieri. Di recente lo stesso ministro dello Sviluppo economico e degli Investimenti Suren Karayan ha “aperto le porte” al Qatar gettando le basi verso il mercato degli investitori del Golfo. Ma quali sono le prospettive ed i vantaggi che lo Stato armeno offre all’uomo d’affari ed alla compagnia estera? Spesso sentiamo parlare di Zone economiche speciali, ma quali sono, dove si trovano e quali reali vantaggi offrono?
In un mondo che cambia velocemente, bisogna tenere assolutamente conto di quelle che sono le nuove realtà e le nuove domande. L’Armenia non è un’eccezione e, come altre nazioni, si sta impegnando a fondo per attrarre investimenti stranieri e per promuovere scambi commerciali.
Oggi l’Armenia sta lavorando costantemente in tutte le direzioni e ha fatto dei grandi passi avanti nel già ottimo bilaterale con l’Italia. Come aveva annunciato durante la sua visita in Armenia dall’allora ministro degli Esteri Gentiloni, il 7 giugno ha avuto luogo la prima sessione del Comitato Intergovernativo bilaterale, che coinvolgendo sette ministeri da ambo le parti, ha dato un’ulteriore spinta e concretezza al rafforzamento della nostra cooperazione economica e commerciale e al potenziamento dei canali diretti di comunicazione tra i rispettivi enti statali in diversi settori. Sempre il 7 giugno e sempre alla Farnesina, si è svolta una Country Presentation che ha riunito circa 180 imprese provenienti dall’Armenia e dall’Italia e che ha illustrato le potenzialità dell’Armenia, sia dal punto di vista commerciale che industriale.
Molti sono i benefici che l’Armenia offre e che di cui gli investitori stranieri possono beneficiare.
Dal “Generalized system of preferences” (GSP) con Canada, Svizzera, Giappone, Norvegia e Stati Uniti, al “Generalized system of preferences plus” (GSP+) con l’Ue, che implica tariffe doganali zero o fortemente ridotte per taluni beni di origine armena esportati in questi paesi.
L’Armenia ha accordi di libero scambio con la maggior parte dei paesi CSI, cioè con oltre 250 milioni di abitanti. In aggiunta, l’Armenia è un membro dell’Unione Economica Eurasiatica (UEE) e ha ottenuto un accesso semplificato al mercato unico di 180 milioni di persone dell’Uee, con diritto di importazione di materie prime provenienti dagli Stati membri dell’Uee senza dazi doganali, senza formalità doganali durante i mutui scambi tra gli Stati membri dell’Uee; il tutto porta a una riduzione dei costi finanziari per le imprese, nessun ostacolo tariffario o altre misure di protezione commerciale tra i paesi membri dell’Uee.
Gli investitori in Armenia possono beneficiare di incentivi, quali l’importazione senza dazi doganali di beni, attrezzature e materie prime provenienti dai paesi dell’Uee, senza formalità doganali, e senza dazi doganali. Altri incentivi sono l’importazione di attrezzature e materie prime provenienti da paesi non appartenenti all’Uee, nonché la proroga dell’IVA fino a 3 anni per l’importazione di beni e attrezzature nell’ambito di progetti di investimento congiunti decisi dal governo armeno, privilegi fiscali sui profitti per i grandi esportatori e nuovi posti di lavoro, esenzioni fiscali nel settore agroalimentare, attività economiche prive di imposta nelle zone di frontiera dell’Armenia, Zone Economiche Agevolate completamente esentate dall’IVA, dall’imposta sui profitti, dall’imposta sulle proprietà e dai dazi doganali.
Per farla breve, per le aziende è un’opportunità di operare nelle Zone Economiche Agevolate con aliquote fiscali pari allo 0%.
Al momento in Armenia esistono due tipi di Zone Economiche Agevolati funzionanti: la “ALLIANCE FEZ e la “MERIDIAN FEZ”.
La prima, istituita nel 2013, è orientata alla produzione di tecnologie altamente innovative (elettronica, ingegneria di precisione, farmaceutica e biotecnologia, tecnologie dell’informazione, energia alternativa, progettazione industriale, telecomunicazioni, ecc.). La seconda, fondata nel 2015, è specializzata nel settore dei gioielli, dei metalli e delle pietre preziose e fornisce una piattaforma unica con condizioni e infrastrutture speciali per i produttori di gioielleria, taglio di diamanti e orologeria.
Una terza Zona Economica Agevolata è in via di di costituzione. Sono infatti in corso negoziati per l’istituzione di una Zona Economica Agevolata con l’Iran. La proposta è stata approvata durante la recente riunione dei capi dei governi dell’Unione Economica Eurasiatica e si sta lavorando per raggiungere l’obiettivo in breve tempo e senza intoppi
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– L’Armenia è legata a doppio filo alla Russia. Ritiene che le tensioni fra la Russia e l’occidente si riversino indirettamente anche sull’Armenia?
È vero che l’Armenia mantiene rapporti particolari con la Federazione Russa. Le nostre relazioni si basano sui legami tradizionali e d’amicizia che hanno caratterizzato la nostra storia comune. Oggi queste relazioni si sono trasformate in relazioni strategiche che comprendono ai vari livelli tutte le questioni bilaterali di reciproco interesse. È bene precisare che la Russia è il primo investitore straniero in Armenia in termini di volume. Siamo anche membri delle stesse organizzazioni regionali. Ciò non significa che non stiamo sviluppando le nostre relazioni con l’Unione Europea o con gli Stati Uniti o con qualsiasi altro stato. L’approccio multi-direzionale è al centro della nostra politica estera. Un esempio lampante è che, dopo intensi colloqui, l’Armenia ha completato i negoziati con l’Unione Europea sull’accordo di partenariato globale e rafforzato che dovrà essere concluso entro la fine di quest’anno. Per quel che riguarda le tensioni tra Russia e occidente, sono sicura che nessuno ne stia traendo vantaggio e auspichiamo che i nostri partner giungano a una soluzione di problematiche così complesse. Solo col miglioramento di queste relazioni tutte le parti interessate potranno beneficiarne.

– Con la diaspora popolazioni armene vivono in tutto il Medio Oriente: le crisi siriana ed irachena si sono tradotte con inenarrabili violenze sulla popolazione. Lo Stato armeno ha contatti con tali comunità ed programmi per accogliere ed integrare eventuali rifugiati armeni?
Per far capire quanto siamo legati a una regione che ha dato rifugio a migliaia di armeni dopo il genocidio armeno del 1915, è sufficiente dire che il Consolato generale armeno di Aleppo è l’unica istituzione diplomatica funzionante in città e che l’Ambasciata armena di Damasco è tra le poche ancora attive.
La guerra in Siria e le crisi in Iraq hanno colpito in maniera massiccia le comunità armene in questi paesi. Dall’inizio della crisi, l’Armenia ha accolto oltre 22mila profughi dalla Siria e questo fa del nostro paese il terzo destinatario – in Europa – di rifugiati pro capite. L’integrazione inizia subito, al loro arrivo e infatti, in Armenia, non esistono centri per migranti, campi o altro.
Il servizio di migrazione statale è impegnato costantemente nell’ospitare i rifugiati e i migranti.
Per spiegare l’efficacia dell’ospitalità/integrazione sociale armena, è sufficiente citare, tra tanti, il progetto “Adottare una famiglia” che mette insieme i nuovi arrivati e gli armeni ospitanti. E sono proprio questi ultimi a offrire sostegno emotivo e psicologico ai rifugiati, aiutandoli a integrarsi in ogni aspetto – sociale, legale, culturale – della vita in Armenia. Al momento più di 100 famiglie sono coinvolte nel progetto.
Ma i rifugiati hanno altre opportunità: possono frequentare corsi di lingua gratuiti (in armeno, inglese e in altre lingue) per superare le barriere linguistiche; ricevono consulenza legale gratuita; una vasta gamma di progetti di assistenza d’emergenza e di progetti di integrazione (ad esempio un sistema di sovvenzioni per l’affitto) è stata introdotta a supporto delle famiglie degli sfollati in condizioni vulnerabili, con particolare attenzione ai bambini, alle donne, agli anziani e alle persone con esigenze particolari.
Finora oltre 4mila rifugiati hanno beneficiato di assistenza sanitaria gratuita, farmaci e supporto psicologico. Più di 6mila nuovi arrivati hanno usufruito di sostegno legale. Almeno 5mila giovani rifugiati frequentano istituzioni scolastiche pubbliche armene e molti corsi di formazione, dall’alfabetizzazione informatica all’imprenditoria sociale, dai corsi per guida turistica all’istruzione professionale sono aperti anche ai migranti.
Ma non è tutto, oggi in Armenia i rifugiati provenienti dalla Siria fanno impresa: 245 le startup registrate e di queste 92 hanno beneficiato di un sistema di microcredito grazie ai fondi forniti dal governo armeno e dall’UNHCR. E ancora, i rifugiati provenienti dalla Siria sono stati inclusi in un programma – frutto di una partnership tra le rappresentazioni armene dell’UNDP, dell’UNHCR e dell’Associazione missionaria armena dell’America
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