SANGUE: ISS, Accordo Italia-Armenia 790 mila unità di fattori coagulazione in dono (Agenziagiornalisticaoopinione.it 07.06.17)

(Fonte: Ufficio stampa Iss, Istituto superiore Sanità) – Sistema Sangue, al via collaborazione Italia-Armenia. Primo passo donazione 790mila unità di fattori coagulazione per pazienti armeni.

Inizierà con una donazione di farmaci plasmaderivati ai pazienti armeni la collaborazione tra il Centro Nazionale Sangue e il Centro Ematologico Prof. R. H. Yeolyan” del ministero della Salute della Repubblica di Armenia.

I due centri hanno siglato oggi un memorandum di intesa durante il primo meeting della Commissione Intergovernativa per la Cooperazione economica tra i due paesi nella sede del Ministero degli Esteri.

Il memorandum, della durata di cinque anni, è stato siglato da Giancarlo Maria Liumbruno, Direttore del Centro Nazionale Sangue, e da Smbat Daghbashyan del centro ematologico armeno, e prevede la collaborazione per il raggiungimento di una serie di obiettivi, dallo sviluppo di standard per un uso ottimale dei componenti del sangue (Patient Blood Management) in Armenia all’introduzione nel paese di un sistema per la raccolta di sangue e componenti da donatori volontari sul modello italiano.

Sono previsti anche progetti di ricerca comuni e lo scambio di informazioni attraverso seminari e visite reciproche degli specialisti coinvolti sul campo, grazie al supporto delle società scientifiche interessate e delle associazioni e federazioni di donatori.

L’accordo si inserisce nelle attività del Memorandum di Cooperazione per la collaborazione nel campo della salute e delle scienze mediche siglato tra il ministero della Salute della Repubblica di Armenia e il ministero della Salute della Repubblica Italiana il 2 aprile 1997.

“Questa collaborazione tra i due paesi è molto importante – ha sottolineato Daghbashyan – e siamo molto grati al Cns per l’opportunità di condividere le esperienze, che ci permetterà di aumentare il numero di donatori nel nostro paese”.

Con la sigla dell’accordo verranno donate 790mila unità di fattori di coagulazione che saranno utilizzate per i pazienti armeni con emofilia.

I farmaci plasmaderivati, in eccedenza rispetto al fabbisogno regionale e nazionale, sono stati messi a disposizione dal sistema sangue della Regione Lombardia.

La donazione, resa possibile dalla collaborazione tecnica dell’azienda Kedrion, si inserisce nel contesto dell’Accordo Stato Regioni del 7 febbraio 2013 per la promozione ed attuazione di accordi di collaborazione per l’esportazione di prodotti plasmaderivati ai fini umanitari.

“Iniziative come quelle previste dal memorandum – ha sottolineato Liumbruno – possono servire ad assicurare una risposta efficace alle necessità terapeutiche di quei pazienti che altrimenti, in caso di bisogno, non avrebbero adeguato accesso alle cure”.

SANGUE: ISS, ACCORDO ITALIA-ARMENIA 790 MILA UNITÀ DI FATTORI COAGULAZIONE IN DONO

All’ex Gil di Arborea la mostra ‘Artisti armeni’ (Sardiniapost.it 07.06.17)

Sarà visitabile fino al prossimo 11 giugno, ad Arborea nelle sale dell’ex Gil, la mostra internazionale d’arte contemporanea ‘Artisti armeni’. Inaugurata il 3 giugno scorso durante la manifestazione ‘Istoria’, il festival multiartistico di storia contemporanea, ha l’obiettivo primario di rafforzare il legame che unisce personalità artistiche quasi tutte in diaspora che si sono affermate in varie nazioni europee ed extraeuropee, con quelle che rimaste in patria elaborano attività di ricerca nel campo dell’espressione artistica contemporanea con uno sguardo rivolto verso l’estero.

Il ‘varo’ di questa operazione culturale è nato a Napoli nel settembre 2010 ed è proseguito in molte città italiane ed ora approda in Sardegna ad Arborea. Le opere esposte denunciano esperienze di sperimentazione artistica che testimoniano il travaglio di una cultura ‘in fermento’, dopo i fatti politici del secolo scorso; una cultura che vuole fare i conti con la propria storia in relazione alla storia dei Paesi occidentali. Tutto questo sarà evidenziato nell’allestimento espositivo che creerà una forma di immersione nella cultura armena.

Gli artisti partecipanti sono Khachik Abrahamyan, Gagik Badalyan, Aaron Grigorian, Lilit Hovhannisian, Eduard Manukyan, Vardan Voskanyan (di stanza in Russia), Ashot Avagyan, Ashot Baghdasaryan, Garegin Davtyan, Gagik Ghazanchyan, Albert Hakobyan, Grant Mirzoyan, Lilit Soghomonyan (Armenia), Gor Avetisyan, ( Repubblica Ceca), Samvel Saghatelyan (Usa), Sonia Orfalian e Vighen Avetis ( Italia).

L’evento è promosso da Comune di Arborea, Consulta Giovanile Arborense e Associazione Artisti Armeni, con il patricinio dell’Ambasciata della Repubblica di Armenia in Italia, della Regione Autonoma della Sardegna e della Regione Veneto.

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Armin Wegner, unico scrittore tedesco che protestò contro Medz Yeghern e Shoah (Reset.it 05.06.17)

Un secolo fa, nel 1917, era in pieno svolgimento il “Medz Yeghern”, il “Grande male”: la pulizia etnica decisa dal Governo ottomano, a Guerra mondiale in corso, ai danni delle popolazioni armene, sbrigativamente accusate di connivenza coi nemici franco-inglesi, e destinato a causare – secondo le stime più accreditate – almeno 1.500.000 morti. Al Memoriale della Shoah di Milano, si è svolta, fino al 24 maggio, una mostra fotografico-documentaristica che ripercorreva la genesi del “Medz Yeghern”, con particolare attenzione a quel che rimane il nucleo essenziale delle testimonianze visive sul genocidio, cioè le foto scattate nel 1915- 16, in condizioni a dir poco difficili, dallo scrittore tedesco Armin Wegner.

Armin Theophil Wegner (1886-1978), scrittore, poeta, giornalista, di famiglia discendente dagli antichi cavalieri dell’Ordine teutonico, cresciuto a Konigsberg, città di Kant, si conferma, a quasi quarant’anni dalla morte e dopo un lungo periodo di semi-oblìo (durato, in Germania, sino a fine anni ‘60, e seguìto invece dalla riscoperta della sua opera), come uno dei pochi veri intellettuali europei del Secolo breve. Soprattutto (insieme a pochi altri, come Orwell, Koestler, Huxley, Camus, Silone, Solzenicyn), uno dei massimi accusatori degli Stati leviatani novecenteschi, dall’Impero ottomano al comunismo sovietico, sino a quel regime nazista il cui capo supremo, Adolf Hitler, Wegner non esitò a interpellare direttamente con la celebre “Lettera aperta” della Pasqua 1933, cercando di distoglierlo – in un misto di razionalità e ingenuità – dai piani per il genocidio ebraico. Pagando, poi, direttamente di persona.

Col figlio di Wegner, Michele (nato nel 1941, vive a Roma, di professione architetto), abbiamo avuto modo di parlare a fondo delle difficili scelte di Armin, nel tragico contesto degli “anni di ferro”; e del suo rapporto con il padre.

D. Dottor Wegner, Lei è nato nel ‘41, in Italia, dal rapporto tra suo padre e la sua seconda compagna, l’artista austriaca, d’origine polacca, Irene Kowaliska (in difesa della quale, tra l’altro, Wegner nel ‘38 scrisse a Mussolini, affinché Irene, d’origini in parte ebraiche, non rischiasse l’espulsione dall’Italia). Ma quando suo padre iniziò a parlarle della sua incredibile vita, di quel che gli era accaduto nei decenni precedenti?

R. È una domanda che mi fanno spesso: diciamo che mio padre, in realtà, non parlava mai molto di queste vicende, per modestia naturale preferiva mantenere sempre un certo riserbo.

D. Un po’ direi, come Giorgio Perlasca…

R. Sì: né io ho voluto mai forzare questo suo riserbo. L’unico momento in cui si apriva di più era quando in casa venivano altre persone, e si parlava, allora, anche di quelle lontane tragedie. Ma per capire bene il senso della vita e dell’opera di Armin Wegner, bisogna tener presenti due aspetti fondamentali.

D. Cioè?

R. Mio padre, anzitutto, se non è stato un ‘eroe per caso’, non è stato, però, neanche uno di quei personaggi ‘programmatisi’, sin dall’adolescenza, a fare egregie cose, a lasciare segni essenziali nella storia del cammino umano. È stato un intellettuale, interessatosi di molti temi, che più volte, nella vita, è stato messo dal corso degli eventi davanti a incroci di fondamentale importanza. Si può (anzi, si deve, come per ogni uomo) discutere se abbia scelto o meno le strade giuste; ma è certo che lui, ogni volta (qui, senz’altro calza il paragone con Giorgio Perlasca, o col “desaparecido” del 1945 Raoul Wallenberg, N.d.R.), cercò di fare quello che, obbiettivamente, sentiva come doveroso: senza stare a farsi troppe domande oziose. Chi ha focalizzato bene tutto questo è stato il giornalista e saggista, ebreo italiano, Gabriele Nissim con “La lettera a Hitler”, edito da Mondadori nel 2015, che resta tuttora la biografia critica essenziale di Armin Wegner.

D. D. A proposito di Nissim, presidente di Gariwo, la “Foresta dei Giusti” (organismo di ricerca sulle figure di resistenza morale a tutti i genocidi e totalitarismi), e promotore della Giornata europea dei Giusti, istituita il 10 maggio 2012 dal Parlamento europeo, non dimentichiamo che Wegner dal 1967 è Giusto d’ Israele con un albero in sua memoria nel giardino di Yad Vashem a Gerusalemme) e che, nel 1996, con una cerimonia al memoriale del genocidio armeno di Erevan, la stessa qualifica gli è stata riconosciuta dalla nazione armena. Mi diceva della spontaneità, della sincerità alla base delle scelte di suo padre: ovviamente, questo non esclude ingenuità, errori, contraddizioni, anche, in cui egli è incappato. Come aver continuato a pensare, anche dopo l’ascesa del nazismo, che, alla fine, sarebbe prevalsa quella che storicamente, era stata sempre la Germania migliore, quella di Kant (autore fondamentale nella fomazione di Wegner), Goethe, Thomas Mann: contro l’ altra dell’ intolleranza e della barbarie, dalla Guerra dei Trent’anni al nazismo, appunto..

R. Sì: proprio a Nissim, però, dissi chiaramente che, nell’ aprile del ‘33, mio padre assolutamente non poteva far altro che scrivere quella lettera (purtroppo inutile) ad Hitler (in cui Wegner esortava il Cancelliere a non avviare la temuta persecuzione degli ebrei, in nome sia dei princìpi generali d’uno Stato di diritto, sia del futuro onore della Germania, che sarebbe rimasto inesorabilmente macchiato da una scelta del genere, N.d.R.). Lo fece per il bene di tutti i tedeschi, quindi anche suo: non perché si sentisse investito d’una particolare missione. E proprio la coscienza d’essersi ricollegato, così, alla parte migliore della Germania gli dette la forza di superare la persecuzione di cui poi rimase vittima, con la reclusione, per quasi un anno, in tre diversi lager.

D. Sempre Nissim, nel suo libro, ipotizza che la molla che spinse Wegner a scrivere quella lettera al Führer fu anche un senso di colpa per aver troppo tardi denunciato, in passato, le corresponsabilità della Germania nel genocidio armeno del 1915 “e dintorni”… Lei è d’accordo?

R. Sì, ma non dimentichiamo che nel 1915-16, quando Wegner aveva partecipato alla Prima guerra mondiale come sottotenente del Corpo Sanitario tedesco (che era distaccato alla VI Armata ottomana), in un distaccamento dislocato lungo la ferrovia per Baghdad tra la Siria e la Mesopotamia (posizione ottima per scrutare le “marce della morte”, verso le più sperdute regioni dell’Impero, cui furono costretti gli armeni), si era trovato in una posizione oggettivamente difficile e delicata. Da un lato, questa sua vicinanza agli armeni gli permise di scattare quelle foto del loro genocidio, quasi “in diretta”, risultate poi determinanti nei processi postbellici ai responsabili (conobbe, però, anche numerosi casi in cui i funzionari ottomani rifiutarono d’obbedire ad “ordini di sterminio”). Dall’ altro, come militare tedesco, non poteva certo divulgarle in Germania in quel momento…

D. Lo so: solo nel marzo 1919, a Berlino, gli sarebbe stato possibile tenere proprio una conferenza sul tema specifico “La deportazione degli armeni nel deserto”, con un centinaio di diapositive (scatenando, ovviamente, un putiferio). L’ importanza di questa denuncia, direi, risalta, a posteriori, anche dal “filo rosso” che avrebbe finito per collegare il “Medz Yeghern” coi piani di sterminio nazista: non dimentichiamo che Hitler molto tempo dopo, nei primi anni Trenta, ai suoi gerarchi, titubanti se avviare o no la “Soluzione finale”, avrebbe chiesto beffardamente chi, all’ epoca, si ricordava ancora del genocidio armeno

R. Mio padre, infatti, unico scrittore nella Germania nazista che alzò pubblicamente la voce contro la persecuzione degli ebrei, dopo aver già scritto varie cose sul genocidio armeno negli anni ‘20, nei ‘30 dedicò molto impegno a un romanzo appunto sul “Medz Yeghern”. Voglio ricordare, però, che l’aver condannato il Medz Yeghern e la Shoah non gli impedì, comunque, di condannare, in seguito, qualsiasi forma di nazionalismo esasperato, anche ebraico.

D. Negli anni ‘20, infatti, Wegner fu segretario della Lega Obiettori di coscienza, e seguace della nonviolenza assoluta, sull’esempio di Tolstoj e Gandhi: a queste idee sarebbe rimasto, poi, sostanzialmente fedele tutta la vita, aderendo anche, durante lo stesso regime nazista, a quel Pen Club, organismo internazionale per la libertà degli scrittori, di cui attivo militante sarebbe stato, in seguito, Ignazio Silone. Cito quest’ ultimo anche perché, proprio come Silone, Armin, a fine anni ‘20, si sarebbe innamorato del comunismo sovietico: denunciandone poi, però, la natura violentemente totalitaria nel saggio “Cinque dita sopra di te”, scritto dopo il viaggio illuminante del ‘27- ‘28 in URSS (repubblica dell’Armenia Sovietica inclusa). Ma mi parlava, prima, di due aspetti fondamentali nella vita e nell’ opera di Armin: qual è il secondo?

R. L’essersi trovato, per le particolari vicende della sua vita, in una condizione umana quasi di “Senza patria”: lui, che era profondamente tedesco, lasciò poi la Germania nel dicembre del ‘36, optando per il trasferimento in Italia, a Positano (dove viveva, tra l’altro, una consistente colonia di esuli tedeschi). Intanto, i disaccordi di anni con la moglie, l’ebrea tedesca Lola Landau (sposata nel 1920), avevano causato il crollo della sua famiglia (Lola e l’amata figlia Sibylle, per sfuggire al nazismo, s’erano trasferite in Palestina, dove però lui non era riuscito ad ambientarsi, N.d.R.). Oltre all’esperienza del “Nemo propheta in patria”, insomma, mio padre conobbe anche quella del trovarsi senza patria o, quantomeno, del doversi adattare ad averne diverse: oltre alla Germania (in cui non si sarebbe più sentito, anche dopo il nazismo, a casa propria), l’Armenia, la Turchia, l’Inghilterra (dove Lola, i figli nati dal  precedente matrimonio e la mamma, avevano a lungo soggiornato), l’Italia, appunto, e, in ultimo, la stessa Israele (subito dopo la guerra, ricorda ancora Nissim, Wegner, probabilmente per espiare quel senso di colpa collettiva, tipico di molti tedeschi, per le infamie naziste, avrebbe chiesto inutilmente, alla Comunità ebraica di Napoli, di diventare ebreo, N.d.R.). C’è un termine tedesco, Heimat, che esprime proprio il legame col proprio ambiente d’origine: più che “Patria”, o “Nazione”, andrebbe tradotto con “Dove ci si sente a casa”.

D. Un “Apolide dell’esistenza”, diremmo, col titolo della celebre biografia di Nietzsche scritta da Massimo Fini. In qualche misura, Mischa, questa condizione esistenziale di suo padre, da “ebreo errante”, o da armeno del “1915 e dintorni”, si è trasferita – col suo carico d’angoscia – anche a Lei?

R. Purtroppo sì. La scienza ormai ha appurato, con certezza quasi totale, che nel DNA che trasmettiamo ai nostri figli non sono impressi solo dati somatici, ma anche la memoria di fatti particolarmente rilevanti, nel bene e nel male, della nostra vita: con tutte le relative conseguenze emozionali (questo, negli ultimi decenni, s’è rivelato particolarmente vero, ad esempio, nei sopravvissuti alla Shoah e nei loro discendenti, a volte sino alla terza generazione, N.d,.R.). Così, anche io sono, in un certo senso, figlio d’un genocidio: in me, specialmente ora da anziano, sento d’avere molto di mio padre. E come lui, anche io ho più patrie: anche se culturalmente sono tedesco, mi sento anche profondamente italiano. La riprova di tutto questo, l’ho avuta anni fa, quando incontrai mia sorella, Sibylle (scomparsa poi nel 2016): pur non avendo mai vissuto insieme, ci siamo sentiti subito, in pieno, fratello e sorella. Per capire meglio questo tipo di cose, chiaramente, bisogna dialogare molto con sé stessi.

D. Quando, esattamente, ha avvertito in pieno quest’ eredità psicologica, esistenziale, morale, di suo padre?

R. Nel 1995, a Milano, in occasione d’una mostra sui personaggi tedeschi rifugiatisi in Italia negli anni ‘30, Pietro Kuciukian (oggi console onorario d’Armenia a Milano) mi chiese delle foto per l’esposizione. Andai tranquillamente alla mostra, dove fu onorata appunto anche la memoria di Armin Wegner: ma poi, improvvisamente, avvertendo d’un tratto, tutto insieme, il peso dei ricordi delle esperienze vissute da mio padre, scoppiai a piangere. Poi, nel 2004 anche il Museo di Montreal, in Canada, allestì una mostra su Wegner, in California (dove esiste anche un premio cinematografico intitolato alla sua memoria): importante anche perché, in quest’ occasione, per la prima volta s’è aperto un dialogo ebraico-armeno, a proposito dei due genocidi. Infine, 3-4 anni fa l’Ordine dei medici armeno negli USA m’invitò per altre iniziative culturali, e in quell’occasione potei approfondire, con loro, il tema della sopravvivenza, in me, della memoria di mio padre.

D. Tutto questo è avvenuto, comunque, dopo la morte di Armin nel 1978…

R. Sì: quando lui era vivo, non m’ interessavo molto a tutti questi temi. Dopo la sua scomparsa, come capita a molti, avrei voluto chiedergli tante cose, ma ormai era troppo tardi. Su tutte queste tematiche, negli ultimi anni, in Germania ho tenuto varie conferenze.

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Nagorno-Karabakh: domani Osce monitorerà il confine fra Azerbaigian e Armenia (Agenzianova 06.06.17)

Baku, 06 giu 15:14 – (Agenzia Nova) – L’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) monitorerà il confine fra l’Azerbaigian e l’Armenia domani, mercoledì 7 giugno. Lo ha riferito il ministero della Difesa azero. Il monitoraggio si svolgerà sotto il mandato del personale rappresentante il presidente dell’Osce nel villaggio Alibayli di Tovuz, in Azerbaigian. Lungo il lato azero, il monitoraggio sarà gestito dagli assistenti di campo Mikhail Olaru e Simon Tiller. Lungo il lato armeno, il monitoraggio sarà effettuato da assistenti di campo, Gennady Petrica e Martin Schuster. Il conflitto tra Armenia e Azerbaigian per l’area contesa è iniziato nel febbraio 1988, quando la regione autonoma del Nagorno-Karabakh ha chiesto il trasferimento dalla Repubblica sovietica dell’Azerbaigian a quella armena. Nel settembre 1991, a Stepanakert – autoproclamata capitale – è stata annunciata la costituzione della Repubblica del Nagorno-Karabakh. Nel corso del conflitto sorto in seguito alla dichiarazione unilaterale di indipendenza, l’Azerbaigian ha perso de facto il controllo della regione: Stepanakert, infatti, conta poco più di 50 mila abitanti, tutti di origine armena, dato che quelli di origine azera sono stati costretti a lasciare la città in seguito al conflitto. Dal 1992 proseguono i negoziati per la soluzione pacifica del conflitto all’interno del Gruppo di Minsk, formato che opera sotto l’egida dell’Osce. L’Azerbaigian insiste sul mantenimento della sua integrità territoriale, mentre l’Armenia protegge gli interessi della repubblica separatista, dal momento che la Repubblica del Nagorno-Karabakh, in quanto non riconosciuta come entità statale, non fa parte dei negoziati. (segue) (Res)

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Armenia-Italia: domani ministro Esteri Nalbandian a Roma per prima riunione commissione intergovernativa (Agenzianova 05.06.17)

Erevan, 05 giu 09:18 – (Agenzia Nova) – Prenderà il via domani la visita in Italia di una delegazione del governo di Erevan che parteciperà alla prima riunione della commissione intergovernativa Armenia-Italia. Lo riferisce l’agenzia di stampa locale “Armenpress”. La missione, guidata dal ministro degli Esteri Edward Nalbandian, durerà sino all’8 giugno e prevede l’organizzazione di un business forum. Nalbandian, inoltre, si recherà presso la sede della Società per l’organizzazione internazionale (Sioi) dove, accolto dal presidente Franco Frattini, terrà una lecture sul tema “La politica estera dell’Armenia”. Faranno parte della delegazione, inoltre, il viceministro degli Esteri Karen Nazaryan, il viceministro della Cultura Arev Samuelyan, il viceministro dei Trasporti Aram Khachatryan e altri rappresentanti governativi. (Res)

Arborea, artisti armeni in mostra: ecco l’anteprima di “Istoria” (Unionesarda.it 03.06.17)

Inaugura stasera, alle 19, negli spazi della Ex-Gil in Corso Italia ad Arborea, una piccola anteprima rispetto alle date ufficiali di Istòria – Festival Multiartistico di Storia Contemporanea (sabato 10 e domenica 11).

Si tratta della mostra di arte contemporanea degli artisti armeni, un viaggio espositivo e narrativo che prosegue nella città dopo aver toccato nel 2009 Avellino, nel 2010 Napoli e nel 2012 Scafati.

È un progetto che vuole mettere in mostra la cultura del popolo armeno attraverso le opere realizzate da artisti contemporanei armeni: persone che, pur in diaspora in varie nazioni, non hanno mai cancellato il legame che gli unisce alla terra di origine.

Come ogni evento culturale, la mostra di Arborea vuole essere occasione di stimolo e riflessione su una realtà lontana. Il progetto è curato da Giacomo Carlo Tropeano.

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La Turchia usa il fact-checking per diffondere fake news (Il foglio 01.06.17)

Roma. Il 24 aprile 2016, un aereo acrobatico ha lasciato alcuni “messaggi di fumo” piuttosto criptici nel cielo sopra Manhattan, New York. Lo stunt ha creato le scritte “GR8 ALLY : TURKEY”, “STOP : PYD : PKK : ASALA : DAESH”, “RUSSIA + ARMENIA”, “# LET HISTORY DECIDE”, “101 YEARS OF GENO-LIE” (che suona come “101 anni di bugie sul genocidio”) e infine l’indirizzo del sito web “FACT CHECK ARMENIA.COM”. Per chi stava osservando il cielo in quelle ore, gli ultimi due messaggi hanno chiarito lo scopo dello spettacolo: si trattava di un tentativo di promuovere il negazionismo dello sterminio di un milione e mezzo di armeni da parte dell’impero ottomano tra il 1915 e il 1916. Il sito è stato pubblicizzato anche sui risultati di Google per le query di ricerca sul genocidio.

Se è ben noto il pugno di ferro che l’attuale governo turco esercita sulla stampa – con intimidazioni e arresti arbitrari di giornalisti critici – meno nota è la campagna di disinformazione orchestrata da falsi gruppi di fact-checking legati al governo, che un articolo di Poynter Institute analizza in dettaglio: il genocidio armeno è una menzogna; il governo non ha cercato di censurare Wikipedia; per le migliaia di dipendenti statali licenziati per ragioni politiche c’è una procedura di ricorso molto efficace. In un commento approfondito pubblicato dal Guardian, la giornalista Ece Temelkuran sostiene che la post verità in Turchia abbia preso il posto della realtà, in un processo che dura da almeno 15 anni. “Questo processo ha coinvolto l’abile e volontaria manipolazione delle narrative”. L’uso propagandistico del fact-checking è una di queste strategie.

 

Il caso di Factcheckarmenia.com è esemplare: la Turchia nega ufficialmente il genocidio armeno e ha realizzato in tutto il mondo campagne e attività di lobby contro il suo riconoscimento. Ankara sostiene che gli armeni non furono deportati ma solo “ricollocati” e che nessuno fu ucciso. Un sito come Factcheckarmenia va proprio in questa direzione, anche se non è chiaro chi davvero possieda il sito web. Secondo i registri la proprietà è registrata a nome di una società delle Bahamas. Ma la loro pagina Facebook dice che sono finanziati dalla ” Turkic Platform”, un’ong con sede a Istanbul della quale a sua volta sono sconosciuti i proprietari ma che, anche secondo i media filogovernativi turchi, realizza molte attività negli Stati Uniti. In più, Ayhan Özmekik, portavoce del sito, è anche il fondatore della fondazione Turkish American Youth and Education e ha avuto un ruolo in attività di sensibilizzazione del partito di governo Akp negli Stati Uniti.

Anche “Factcheckingturkey.com”, lanciato nel 2016, non è davvero un servizio di fact-checking. Si tratta invece di un progetto con l’obiettivo di contrastare gli autori degli articoli che criticano il governo dell’Akp. Il sito usa una metodologia non trasparente e raggiunge le sue conclusioni facendo riferimento solo alle dichiarazioni del governo. Il recente articolo, “La storia dietro al divieto di Wikipedia in Turchia” ne è un esempio: un anonimo funzionario dello stato turco è l’unica fonte utilizzata per “sfatare” nove report di media globali riguardo alla censura applicata da Ankara all’enciclopedia online.

La Cina ha in cantiere un progetto online per soppiantare Wikipedia. Con il controllo dello stato. Intanto anche la Turchia va alla guerra con la piattaforma

Su Twitter, il gruppo ha recentemente preso di mira il rapporto di Amnesty International sulle purghe post-colpo di stato in Turchia. Sulla base di 61 interviste, Amnesty aveva concluso che “nonostante la chiara arbitrarietà delle decisioni di licenziamento, non v’è alcuna procedura di ricorso efficace per i lavoratori del settore pubblico contro le loro espulsioni”. Factcheckingturkey risponde con il discorso (vecchio di mesi) di un consigliere del presidente Erdogan, Mehmet Uçar, che in uno show televisivo dice che una commissione d’appello “dovrebbe partire presto”.

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Assente alla consegna del premio Aurora, l’attore spiega: “Se nascessero i miei figli mentre non ci sono, mia moglie non me lo perdonerebbe” (Huffingtonpost 30.05.17)

È arrivato il momento, dopo 9 mesi di indiscrezioni, voci di corridoio e supposizioni: George Clooney sta per diventare papà per la prima volta. L’attore 56enne, sposato dal 2014 con l’avvocatessa Amal Alamuddin, ha infatti annunciato in un video che tra poche ore la sua dolce metà darà alla luce i due gemelli – un maschio e una femmina – che porta in grembo.

L’occasione è stata quella del ritiro del premio Aurora, conferito all’interprete di Ocean’s Eleven per l’impegno umanitario profuso in tutti questi anni. Clooney è stato costretto a disertare la consegna del riconoscimento, che si è tenuta a Yeveran (capitale dell’Armenia), proprio perché il parto di Amal sarebbe vicinissimo.

“Mi sarebbe piaciuto veramente esserci” ha detto l’attore nel filmato inviato in Armenia. “Ma se nascono i miei gemelli mentre sono lontano, mia moglie non mi fa più tornare a casa” è stato il commento finale, tra il divertito e il serio.

La storia tra l’avvocatessa e l’attore si è avviata nel 2013 e dopo solo un anno i due sono convolati a nozze, facendo così depennare il nome di Clooney da quelli degli scapoli d’oro. Quando – 8 mesi fa – è iniziata a trapelare la notizia della gravidanza di Amal, molti giornali hanno insinuato che la coppia litigasse molto, poiché Clooney non voleva diventare padre.

Il video, tuttavia, sembra smentire ogni voce e George sembra pronto a vivere questa nuova avventura.

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Armenia: ministro Esteri Nalbandian incontra segretario generale Osce Zannier in visita a Erevan (Agenzianova 30.05.17)

Erevan, 30 mag 12:31 – (Agenzia Nova) – L’Armenia è impegnata in tutte le attività dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce): l’attuazione dei programmi dell’istituzione internazionale nel paese è esemplare. Lo ha affermato il ministro degli Esteri armeno Eduard Nalbandian nel corso della conferenza stampa congiunta oggi a Erevan con il segretario generale dell’Osce Lamberto Zannier. “La visita del segretario generale Osce avviene in un momento in cui l’organizzazione ha dovuto chiudere il suo ultimo ufficio nella regione a causa dell’Azerbiagian. Questa è un’azione contro l’Osce”, ha dichiarato Nalbandian come riferisce il profilo Twitter del ministero degli Esteri di Erevan. Nalbandian ha inoltre rimarcato in conferenza stampa che l’Armenia ritiene molto importante l’attuazione degli accordi di Vienna e San Pietroburgo, la cui attuazione a suo modo di vedere “continua ad essere ostacolata dall’Azerbaigian”. (Res)

Hrant Dink, martire armeno della verità (Frammentidipace.it

Hrant Dink era un uomo buono e mite, cercava sempre il dialogo anche con la gente che non la pensava come lui. E’ stato il fondatore e il redattore capo della rivista Agos, un giornale scritto in armeno e in turco per avvicinare i due popoli e per facilitare la loro riconciliazione. Ma, da giornalista, era amante della verità e della libertà di pensiero.

Per questo motivo non nascondeva il fatto che non si sentiva turco ma armeno in Turchia e scriveva apertamente sul genocidio armeno avvenuto tra il 1890 e il 1917. Nella Turchia, anche all’inizio del XXI, tale atteggiamento era insopportabile per il potere sempre più nazionalista e intollerante: nel 2005 fu condannato a sei mesi di reclusione perché i tribunali avevano ritenuto i suoi articoli un insulto all’identità turca secondo il famigerato articolo 301 del codice penale turco.

Insieme alla condanna è cominciata nei media una violenta campagna denigratoria che lo descriveva come nemico viscerale dei turchi. Sono arrivate anche continue minacce che sconvolgevano la vita di quest’uomo pacifico. Non voleva scappare, non voleva fuggire all’estero e, malgrado il clima pesante, era convinto che non gli sarebbe successo niente.

Nel suo ultimo articolo scriveva, tra l’altro: “Sono come un colombo che si guarda sempre intorno, incuriosito e impaurito. Chissà quali ingiustizie mi troverò davanti. Ma nel mio cuore impaurito di colombo so che la gente di questo Paese non mi toccherà. Perché qui non si fa male ai colombi. I colombi vivono fra gli uomini. Impauriti come me, ma come me liberi”.

Sbagliava Dink: è stato assassinato a Istambul, davanti ai locali del suo giornale Agos, con tre colpi di pistola alla gola.

Il suo assassino, Ogun Samast, nato nel 1990 a Trebisonda, la città dove è stato assassinato don Andrea Santoro, all’epoca del delitto aveva soltanto 17 anni. E’ stato riconosciuto colpevole di omicidio premeditato e condannato a ventidue anni e dieci mesi di reclusione. Ma a tutti è stato chiaro che il giovane è stato solo l’esecutore materiale del delitto e che l’assassinio del giornalista scomodo coinvolgeva apparati dello Stato, servizi segreti e gruppi ultranazionalisti. In questo senso la morte di Dink è stato un crimine di stato.

L’assassinio provocò enorme sgomento non soltanto in Turchia ma in tutto il mondo. In Italia la scomparsa di Hrant Dink è ricordata dalla Comunità armena di Roma con un riconoscimento giornalistico a lui intitolato la cui prima edizione si è tenuta nel 2008.

Quest’anno si è arrivati alla decima edizione di tale iniziativa.

Ad essere insignita del riconoscimento, nello splendido scenario della storica Biblioteca Vallicelliana di Roma, è stata la giornalista italiana Marta Ottaviani, considerata uno dei maggiori esperti di Turchia dove ha passato tanti anni della sua vita professionale.

Il suo ultimo libro: “Il Reis. Come Erdogan ha cambiato la Turchia” (Textus Edizioni, 2016) tratta anche della storia recentissima e travagliata di quel Paese.

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