Armenia-Ue: presidente Sargsyan il 27 e il 28 febbraio in visita a Bruxelles (Agenzianova 24.02.17)

Bruxelles, 24 feb 17:46 – (Agenzia Nova) – Il presidente della Repubblica di Armenia, Serzh Sargsyan, il 27 e il 28 febbraio sarà in visita a Bruxelles per una serie di incontri di alto livello. Lunedì Sargsyan incontrerà separatamente il presidente del Consiglio Ue, Donald Tusk, e il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, mentre martedì sarà ricevuto dal presidente dell’Europarlamento Antonio Tajani, dal presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker, e dall’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini. La visita di Sargsyan giunge a pochi giorni dal referendum costituzionale del 20 febbraio in Nagorno-Karabakh, la regione autoproclamatosi indipendente dall’Azerbaigian con il sostegno esterno dell’Armenia. Promosso dal presidente dell’autoproclamata repubblica, Bako Sahakyan, il referendum riguardava alcuni emendamenti che prevedono il passaggio dalla forma di governo semi-presidenziale, attualmente in vigore, a quella presidenziale.  (Beb)

Georgia-Armenia: incontro premier a Tbilisi, focus su rapporti economico-commerciali (Agenzianova 24.02.17)

Tbilisi, 24 feb 08:56 – (Agenzia Nova) – Sviluppo dei rapporti economico-commerciali, con particolare focus sui trasporti, l’energia e il turismo: questi i temi principali dell’incontro fra i premier di Georgia e Armenia, rispettivamente, Giorgi Kvirikashvili e Karen Karapetyan, avvenuto a Tbilisi. L’incontro si è svolto nell’ambito della prima visita di Karapetyan dalla sua elezione avvenuta nel 2016. Il primo ministro Kvirikashvili ha detto che l’impegno reciproco a intensificare gli scambi, economici, gli investimenti e ad approfondire l’integrazione regionale porterà non solo la stabilità economica, ma anche politica per la regione. “L’Armenia è un paese con cui condividiamo tradizioni secolari. Il 2017 è un anno significativo nella nostra storia moderna perché celebriamo 25 anni di cooperazione diplomatica”, ha detto Kvirikashvili, che ha parlato anche delle imminenti elezioni parlamentari che si svolgeranno in Armenia il 2 aprile. “Siamo fiduciosi che le elezioni si svolgeranno in maniera democratica”, ha detto Kvirikashvili affermando che l’Armenia compirà un altro passo verso un ulteriore sviluppo. “Siamo venuti qui con uno spirito di fratellanza e per confermare le nostre relazioni commerciali costruttive, e sono convinto che i nostri negoziati si tradurranno in un nuovo stimolo per utilizzare il potenziale delle nostre relazioni. Vogliamo creare un ambiente favorevole per le imprese”, ha detto il premier armeno. Kvirikashvili e Karapetyan hanno sottolineato l’importanza della pace e della stabilità nella regione del Caucaso meridionale. (Res)

Armenia: Intervista a S.E. Victoria Bagdassarian, Ambasciatrice della Repubblica d’Armenia in Italia (Agenparl 22.02.17)

(AGENPARL) – Roma, 22 feb 2017 – Armenia, Intervista a S.E. Victoria Bagdassarian, Ambasciatrice della Repubblica d’Armenia in Italia: la propaganda azera è una strategia mirata, se la tua bugia è grossa e la ripeti a oltranza, tutti ci crederanno

Domanda. Ambasciatrice Bagdassarian, 25 anni fa nella città di Khojaly si verificarono dei tragici eventi su cui ancora oggi ci sono diverse interpretazioni. Può raccontarci il punto di vista armeno?

S.E. Victoria Bagdassarian. Per consentire ai lettori di capire cosa accadde veramente a Khojaly, bisogna innanzitutto dare delle informazioni storiche sul Nagorno-Karabakh. Nel 1921, su iniziativa di Iosif Stalin, questa regione, storicamente armena e a maggioranza armena, veniva annessa come enclave all’allora repubblica socialista sovietica dell’Azerbaijan con tutte le conseguenze in termini di discriminazioni di Baku nei confronti degli armeni nel Nagorno-Karabakh.

E Khojaly, piccola città dell’ex enclave autonoma del Nagorno-Karabakh, è stata interamente popolata da armeni fino al 1935, quando vi arrivò la prima famiglia azera. Nel 1969 l’ultima famiglia armena lasciò Khojaly. Dal 1988 fino al 1990 le autorità dell’allora Repubblica socialista Sovietica dell’Azerbaijan popolarono massivamente Khojaly con i turchi mescheti dalla valle di Fergana dell’Uzbekistan.

Durante la guerra scatenata dall’Azerbaijan contro la pacifica popolazione armena del Nagorno-Karabakh, Khojaly divenne una roccaforte militare, da cui si bombardava Stepanakert – capitale del Nagorno-Karabakh – con i sistemi di lanciarazzi multipli da combattimento “Alazan”, “Kristal” e “Grad”, il cui uso è vietato contro i civili. Dal 1991, per un intero anno la popolazione armena di Stepanakert subì pesanti bombardamenti. In aggiunta a ciò, Khojaly era l’unico luogo provvisto di aeroporto, particolare importante per rompere il blocco del Nagorno-Karabakh imposto dall’Azerbaijan. La regione era stata isolata da ogni possibilità di rifornimento di cibo, acqua, elettricità e combustibili. La situazione era critica, la gente del Nagorno-Karabakh stava affrontando un disastro umanitario e un’operazione militare, per fermare gli attacchi dell’artiglieria azera, e mettere fine al blocco era vitale.

So bene che la propaganda azera usa in maniera distorta quegli eventi, come ha fatto qualche giorno fa l’ambasciatore dell’Azerbaijan in un’intervista alla vostra agenzia. D’altronde, se la tua bugia è grossa e la ripeti a oltranza, tutti ci crederanno. Tornando a Khojaly, voglio ribadire che l’operazione venne effettuata nel pieno rispetto del diritto internazionale umanitario. Due mesi prima del 26 febbraio del 1992, data di inizio dell’operazione militare, i comandanti dell’esercito di autodifesa del Nagorno-Karabakh avevano annunciato pubblicamente, attraverso vari canali, l’esistenza di un corridoio umanitario e l’inizio delle operazioni. Cosa questa confermata da molte organizzazioni internazionali nei loro rapporti, così come da molte altre fonti tra cui anche fonti azere. Più tardi alcuni residenti di Khojaly furono trovati a 12 chilometri di distanza da Khojaly, nella zona vicino alla città di Agdam che fino al 1993 era stata sotto l’effettivo controllo del Fronte nazionale azero. Durante l’operazione militare a Khojaly, le forze di autodifesa del Nagorno-Karabakh liberarono 13 ostaggi armeni, tra cui un bambino e sei donne, e presero come trofei due strutture per il lancio di razzi Grad MM-21, quattro strutture Alazan, un obice da 100 mm, e tre unità di attrezzature corazzate. Il servizio di soccorso della Repubblica del Nagorno-Karabakh recuperò 12 corpi di civili in Khojaly e nella sua periferia. C’erano anche circa 700 abitanti in città perché le autorità azere avevano impedito loro l’evacuazione.

Domanda. Lei ha parlato di fonti. Può farci qualche esempio di fonti e di prove?

S.E. Victoria Bagdassarian. Certamente. È un ulteriore atto di ipocrisia il modo in cui il governo azero abusa dei sentimenti umani con la sua propaganda e le sue bugie. Quando Ambasciatore dell’Azerbaijan parla di Khojaly e delle stragi della sua popolazione, non riesce a ricordare che gli abitanti di Khojaly sono state le vittime predestinate di una politica criminale interna tra le autorità azere e il Fronte Nazionale dell’Azerbaijan, un movimento ultra-nazionalista che all’epoca lottava per prendere il potere. I fatti di Khojaly rientravano nella strategia del Fronte Nazionale dell’Azerbaijan per rovesciare il presidente Ayaz Mutalibov e arrivare così al controllo del paese. Ciò fu confermato dallo stesso Presidente Mutalibov, un mese dopo le sue dimissioni, in un’intervista alla giornalista ceca Dana Mazalova, pubblicata dalla Nezavisimaya Gazeta.

E ci sono altre testimonianze di giornalisti ed ex funzionari. Come quella di Chingiz Mustafaev, un corrispondente che ha riportato una versione dissenziente dalla propaganda azera di regime e che in seguito è stato ucciso in circostanze misteriose. O la testimonianza di Tamerlan Karaev, l’allora presidente del Soviet Supremo della Repubblica azera, che ha dichiarato: “La tragedia fu opera delle autorità azere, in particolare di un alto funzionario” (Mukhalifat, quotidiano azero, 28 aprile 1992). In un’intervista al “Russian Mind” il 3 marzo 1992, l’allora sindaco di Khojaly Elman Mamedov, oggi membro del Parlamento azero, confermò l’esistenza del corridoio umanitario, dichiarando tra l’altro di averlo utilizzato in modo sicuro, assieme ad altri i civili, per fuggire dalla città. Fu lo stesso Heydar Aliev, ex leader e padre dell’attuale presidente azero, ad ammettere che «l’ex dirigenza dell’Azerbaijan è colpevole” per gli eventi Khojaly. Salvo poi, nel mese di aprile del 1992 secondo l’agenzia di stampa Bilik-Dunyasi Agency, esprimere un’idea di un cinismo allarmante: “Trarremo beneficio dallo spargimento di sangue. Non dobbiamo interferire col corso degli eventi “.

Molti sono ancora i fatti che potrebbero essere raccontati – e, per inciso, sto citando solo fonti azere – che vanno in direzione opposta all’attuale sprezzante propaganda azera a cui siamo stati abituati. Naturalmente è impossibile presentare in modo esaustivo tutto il materiale documentario all’interno di questa intervista. E, purtroppo, la propaganda ufficiale azera si adopera con ogni mezzo per incolpare degli eventi la parte armena e instillare così nuovo odio verso gli armeni nelle menti della sua generazione più giovane. Senza dimenticare che la diffusione di queste informazioni mendaci è stata un ulteriore tentativo per distogliere l’attenzione dalle atrocità che hanno perpetrate contro le popolazioni armeni nelle città azere di Baku, Sumgait, Kirovabad e altri luoghi ancora.

Domanda. Come vede la risoluzione del conflitto in Nagorno-Karabakh? Cosa può dirci a proposito?

S.E. Victoria Bagdassarian. Quando si parla del conflitto tra l’Azerbaijan e la Repubblica del Nagorno-Karabakh, in generale, e prima di considerare l’Azerbaijan come una vittima in quel conflitto, si deve ricordare che il Nagorno-Karabakh non ha mai fatto parte dell’Azerbaijan indipendente e che, nel momento della dissoluzione dell’Unione Sovietica, si sono formati due soggetti indipendenti e legalmente uguali. Alla richiesta, pacifica e legittima, per l’auto-determinazione, l’Azerbaijan avviò pogrom e uccisioni sistematiche della popolazione armena, come ho detto prima, nelle città “tolleranti” di Baku, Kirovabad e Sumgait e scatenò un’offensiva militare contro la popolazione pacifica del Nagorno-Karabakh. Ancora oggi gli armeni del Nagorno-Karabakh stanno lottando per la loro esistenza e per il diritto a vivere liberamente sulla terra dei loro padri. Nel moderno e progredito Azerbaijan uccidere un armeno è una gloria e si viene incoraggiati e promossi ai più alti gradi militari. È stato il caso dell’ufficiale azero Ramil Safarov che decapitò con un’ascia nel sonno il collega armeno Gurgen Margaryan durante i corsi della Nato a Budapest. Il presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliyev non solo ha promosso quel criminale al rango di eroe nazionale ma gli anche corrisposto un altissimo premio in denaro.

Anche la guerra del 4 aprile 2016 è stata scatenata dall’Azerbaijan. L’offensiva azera è stata lanciata all’alba, con bombardamenti pesanti di insediamenti civili e villaggi, scuole e asili. Durante i bombardamenti uno studente è stato ucciso e un altro è stato ferito. A seguire c’è stato un attacco sovversivo e un intero plotone è penetrato nel villaggio di confine di Talish. Durante le diverse ore dell’occupazione del villaggio tre anziani, che non erano riusciti a fuggire, sono stati uccisi e i loro corpi mutilati. La fallita guerra lampo dell’Azerbaijan è stata caratterizzata da atrocità in stile ISIS, con decapitazioni e mutilazioni di cadaveri di soldati armeni. E anche questa volta coloro che hanno commesso siffatti crimini di guerra e crimini contro l’umanità sono stati promossi e premiati da Aliyev in persona. Come può quindi la popolazione del Nagorno-Karabakh fidarsi dell’Azerbaijan? È ormai chiaro che non è possibile un “ritorno al futuro”: è fuori da ogni logica presentare la causa del conflitto come una soluzione dello stesso.

Domanda. Secondo l’ambasciatore dell’Azerbaijan ci sono 4 risoluzioni ONU sul conflitto…

S.E. Victoria Bagdassarian. Vorrei ricordare all’ambasciatore Ahmadzada che le 4 risoluzioni ONU sul conflitto tra Azerbaijan e Nagorno-Karabakh sono state adottate in un determinato periodo di tempo e con lo scopo specifico di fermare la violenza. L’esigenza primaria e incondizionata di tutte e quattro le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulla questione del Karabakh del 1993 era infatti la cessazione delle ostilità e delle attività militari. Ma, a causa dell’inadempienza dell’Azerbaijan al requisito principale (cessazione delle ostilità e delle attività militari), l’attuazione delle risoluzioni è stata resa impossibile. Inoltre è doveroso sottolineare che nessuna delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU si riferisce all’Armenia come parte del conflitto. L’Armenia è chiamata in causa solo “per continuare a esercitare la sua influenza ” sul Nagorno-Karabakh ed è quest’ultimo a essere riconosciuto come parte del conflitto, cosa che l’Azerbaijan continua pervicacemente a ignorare. L’Azerbaijan ha anche respinto un altro requisito delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU sul ripristino delle relazioni economiche, del sistema dei trasporti e dell’energia nella regione. Come se non bastasse, le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU esortavano ad astenersi da qualsiasi azione che potesse ostacolare una soluzione pacifica del conflitto e di esercitare sforzi per risolvere il conflitto nel quadro del gruppo di Minsk. E che cosa ha fatto l’Azerbaijan? Assolutamente il contrario: dopo ogni risoluzione ha lanciato nuove attività militari su larga scala.

È perciò più che mai ridicolo che l’Azerbaijan continui a fare riferimento a quelle risoluzioni, quando è lo stesso governo di Baku a disattenderle.

Parlando alla risoluzione del conflitto, poi, l’ambasciatore azero minaccia di invocare l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, cioè minaccia il ricorso alla guerra, mentre, allo stesso tempo, parla di negoziati di pace nel quadro dei copresidenti del gruppo di Minsk dell’OSCE. Direi che questo è un chiaro esempio della posizione distruttiva e della tattica ricattatoria dell’Azerbaijan. I copresidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE in una recente dichiarazione del 16 febbraio scorso hanno ancora una volta ribadito che “… non c’è alternativa ad una soluzione pacifica del conflitto e che la guerra non è un’opzione, e ha invitato le parti alla moderazione sul terreno, come pure nelle loro comunicazioni pubbliche e a preparare le loro popolazioni alla pace e non alla guerra. I copresidenti hanno anche sollecitato le parti a rispettare rigorosamente gli accordi di cessate il fuoco del 1994/95 che costituiscono il fondamento della cessazione delle ostilità “.

Io nutro una profonda speranza che il buon senso prevalga un giorno in Azerbaijan, anche se al momento i segnali provenienti da quel paese sono allarmanti e spaventosi.

Il buco nero del Nagorno Karabakh, a 25 anni dalla strage di Khojaly (Panorama.it 22.02.17)

Quello di Khojaly è un massacro terribile, un capitolo oscuro in una guerra dimenticata, quella del Nagorno Karabakh. Tra il 25 e il 26 febbraio del 1992, mentre l’attenzione internazionale era concentrata sui Balcani, a Khojaly vennero uccisi 161 civili di etnia azera durante la guerra in Nagorno Karabakh, un fazzoletto di terra tra Armenia e Azerbaijan che dal crollo dell’impero sovietico rivendica la sua indipendenza. Il Nagorno Karabakh,  la Repubblica di Artsakh, è considerato dalla comunità internazionale uno Stato “sospeso”, uno Stato che non c’è. L’Azerbaijan lo reclama come suo, l’Armenia lo protegge sostenendone le istanze di autodeterminazione.

Quattro giorni prima degli eventi di Khojaly: il 22 febbraio, alla presenza del Presidente, del Primo Ministro, del capo del KGB e di altri, ebbe luogo una sessione del Consiglio di sicurezza nazionale (dell’Azerbaijan) durante la quale venne presa la decisione di non evacuare i civili da Khojaly

Il conflitto viene definito a bassa intensità e dal 1992 ad oggi non si è mai fermato. Ad aprile dello scorso anno il regime azero è intervenuto militarmente in Karabakh, facendo di fatto saltare ogni fragile tavolo di negoziazione auspicato fino ad allora. In Karabakh la guerra non si è mai spenta e tuttora il Paese vive blindato, irraggiungibile se non dal confine con l’Armenia, e tutti i suoi abitanti sono pronti a combattere ancora, perché la guerra non è mai finita.
Dal massacro di Khojaly è passato un quarto di secolo, ma su quei morti non c’è ancora chiarezza. Secondo il regime azero e alcune organizzazioni internazionali, la strage fu compiuta dalle truppe armene del 366esimo reggimento. Gli azeri dichiarano numeri più alti, 613 civili uccisi tra cui 106 donne e 63 bambini, e gridano al “genocidio”. Ma genocidio non fu.

Khojaly è una pagina terribile e infame nella guerra del Nagorno Karabakh, ma non fu “genocidio”.
E’ noto che il regime azero attua un controllo capillare sulla totalità dell’informazione e dei media azeri. Come riportato da prestigiosi e indipendenti indici internazionali, il regime di Baku è tra i più liberticidi e autoritari al mondo e il presidente azero Ilham Aliyev, dopo aver ereditato il potere dal padre, è giunto al terzo mandato presidenziale consecutivo con l’85% dei voti.

Andiamo ai fatti. Alla fine degli anni Ottanta, incoraggiati dalla relativa libertà di espressione introdotta da glasnost e perestrojka in Unione Sovietica, gli armeni del Nagorno-Karabakh ribadirono il loro diritto all’autodeterminazione con un referendum per l’indipendenza svoltosi regolarmente il 10 dicembre del 1991, secondo le modalità sancite dalle leggi vigenti e dalla costituzione dell’Urss. Al referendum seguì una vera e propria invasione militare da parte dell’Azerbaijan contro il Nagorno-Karabakh.
Per più di un anno la popolazione civile di Stepanakert, la capitale del Nagorno-Karabakh, fu sotto il fuoco diretto di missili Grad e sottoposta a bombardamenti con bombe a grappolo dall’aviazione azera. Il ruolo dell’Armenia nella fase armata del conflitto, in mancanza di forze internazionali di interposizione, era quello di protezione dei civili nonché di assistenza umanitaria, economica e diplomatica. Invece, nelle operazioni militari erano coinvolte le forze armene di autodifesa del Nagorno-Karabakh. Il 5 maggio del 1994 fu firmato l’accordo di Bishkek tra l’Armenia, l’Azerbaijan e la Repubblica del Nagorno Karabakh.
Per quel che riguarda i fatti di Khojaly, da più parti vengono rigettate le considerazioni di ong e organismi internazionali che non erano presenti sul posto durante gli eventi e che sostengono che “la strage fu commessa dalle forze armate armene”. Molte fonti azere e molte  voci di alcuni giornalisti occidentali attivi in Caucaso in quegli anni parlano di fatti diversi, e la consueta manipolazione dell’informazione attuata dal regime azero porta nella loro direzione.
Il comune di Khojaly era un avamposto dei lanciarazzi Grad delle forze armate azere che bombardavano la popolazione civile armena. Alcune settimane prima del 25 febbraio 1992, il comando delle forze armene di autodifesa del Nagorno-Karabakh cominciò a informare via radio le autorità militari e la popolazione civile azere sull’imminenza di una azione militare armena tesa a neutralizzare i lanciarazzi azeri posti all’interno di Khojaly e sulla presenza di un corridoio umanitario per l’evacuazione dei civili.
Come riportato da fonti azere, quindi non armene, Salman Abbasov, un abitante di Khojaly, dichiara: ”Alcuni giorni prima della tragedia, gli armeni hanno ripetutamente annunciato via radio che sarebbero avanzati nella nostra direzione e ci chiedevano di lasciare la città (…). Infine quando fu possibile evacuare donne, bambini e anziani, loro, gli azeri, ce lo vietarono”.
E poi Elman Mamedov, all’epoca sindaco di Khojaly, dice: “Alle 20.30 del 25 febbraio fummo informati che i mezzi militari armeni erano in posizione di combattimento nelle vicinanze della città. Informammo tutti via radio. Io chiesi elicotteri per evacuare anziani, donne e bambini. L’aiuto non arrivò mai…”.
Illuminante è anche la testimonianza di Ramiz Fataliev, Presidente della Commissione di indagine sugli eventi di Khojaly: “Quattro giorni prima degli eventi di Khojaly: il 22 febbraio, alla presenza del Presidente, del Primo Ministro, del capo del KGB e di altri, ebbe luogo una sessione del Consiglio di sicurezza nazionale (dell’Azerbaijan) durante la quale venne presa la decisione di non evacuare i civili da Khojaly”.
Da questa dichiarazione risulta più che evidente l’utilizzo criminale dei civili azeri come scudo per i lanciarazzi da parte delle stesse autorità azere. Si parla insomma della cosiddetta shield policy, che è una netta violazione del diritto umanitario internazionale . Inoltre, in una sua intervista alla Nezavisimaya Gazeta del 2 aprile 1992, il deposto Presidente azero Mutalibov afferma: “Gli armeni avevano lasciato un corridoio per la fuga dei civili. Quindi perché avrebbero dovuto aprire il fuoco? Specialmente nell’area intorno ad Agdam, dove, all’epoca c’erano abbastanza forze (azere) per aiutare i civili”.
Nei dintorni di Agdam (a molti chilometri di distanza dal teatro delle operazioni) erano dislocate le formazioni paramilitari del Fronte Popolare Azero. Sempre Mutalibov, in un’altra intervista nel 2001 ribadisce: “Era ovvio che qualcuno aveva organizzato il massacro per cambiare il potere in Azerbaijan”, alludendo così al Fronte Popolare Azero le cui truppe erano di stanza nei pressi di Khojaly. Quelle stesse truppe che, alcuni giorni dopo i fatti di Khojaly, organizzarono il golpe a Baku.
Dichiarazioni e valutazioni di questo tipo sugli eventi di Khojaly sono state fatte da diverse personalità azere e da giornalisti. Il regime azero degli Aliyev ha invece confezionato una “verità” armenofoba e finora i dissidenti azeri che hanno contestato tale “verità” sui fatti di Khojaly sono stati o arrestati o uccisi. Tutto questo, in aggiunta all’uso dei civili come scudo, rende le responsabilità criminali azere ancora più evidenti.
E i numeri sono importanti: negli ultimi sette anni, secondo i dati SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute) la spesa militare azera è aumentata del 2.500 %, dati questi comparabili con il riarmo della Germania nazista negli anni trenta.
Tale circostanza, combinata con frequenti violazioni dell’accordo di tregua firmato nel 1994, con dichiarazioni palesemente guerrafondaie dalle più alte istanze dello Stato azero, dagli ambasciatori al Presidente, e con una campagna armenofoba nelle scuole azere promossa dallo Stato, è certamente l’ostacolo maggiore per il successo del negoziato mediato dal Gruppo di Minsk (Usa, Russia e Francia) per la soluzione pacifica del conflitto in Nagorno Karabakh. La retorica guerrafondaia e armenofoba del regime azero ha un sapore anacronistico e rimanda agli anni bui del Novecento.
Purtroppo, per la pace in Nagorno Karabakh quelle di Baku sono parole gravissime e creano instabilità e precarietà in tutto il sistema di sicurezza internazionale.
Oggi l’Azerbaijan si rifiuta di negoziare direttamente con il governo democraticamente eletto del Nagorno-Karabakh e rimanda al mittente le proposte OSCE sul ritiro dei cecchini dalla linea di contatto e sulla messa a punto di un meccanismo congiunto per indagini sulle violazioni del regime di tregua. L’Armenia invece è determinata ad arrivare a una soluzione negoziata del conflitto, soluzione che escluda alla base l’utilizzo dello strumento militare per la composizione finale. Posizione questa condivisa dalla comunità internazionale e richiesta alle parti in conflitto.
A fronte di tutto ciò, a venticinque anni dal massacro di Khojaly, l’augurio è che la classe politica azera trovi una nuova coscienza e possa finalmente condividere quanto scrisse Andrej Sacharov nel 1975 per il discorso di consegna del Premio Nobel per la Pace: “La pace, il progresso, i diritti umani, sono indissolubilmente collegati: è impossibile raggiungerne uno se gli altri sono trascurati”.

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“Mayrig”, alla Ginestra un approfondimento dedicato al genocidio armeno (Valdarnopost.it 22.02.17)

Uno dei primi genocidi della storia, quello del popolo armeno, compiuto all’inizio del ventesimo secolo, sarà protagonista di una mattinata di approfondimento in programma sabato 25 febbraio al Centro Culturale di Ginestra Fabbrica della Conoscenza, a Montevarchi.

Un evento che vedrà la partecipazione di Letizia Leonardi, che ha curato la traduzione del romanzo biografico del regista francese Henri Verneuil “Mayrig”  edito da Divinafollia nel 2015. Mayrig è il racconto dell’odissea della famiglia di Azad Zakarian, dalle persecuzioni in Anatolia all’arrivo a Marsiglia, fino a narrare tutte le difficoltà incontrate da parte della famiglia “mediorientale” nel tentativo di integrarsi nella società francese dell’epoca.

Durante la presentazione saranno proiettate alcune scene del film omonimo, foto e documenti originali sul genocidio degli armeni. Porteranno i loro saluti il vicesindaco Luciano Bucci e l’assessore Maura Isetto. All’iniziativa saranno presenti anche due classi del Liceo scientifico del Varchi.

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Armenia, ministro difesa: Nostre forze armate gestiscono missili Iskander (IlVelino.it 22.02.17)

I sistemi missilistici Iskander sono stati forniti all’Armenia dalla Russia e sono gestiti dalle locali forze armate armene. Lo ha detto a Sputnik il ministro della difesa di Erevan, Vigen Sargsyan. “È ovvio che il sistema Iskander sia stato consegnato in Armenia perche tutti li hanno visti – ha detto il ministro -. Il fatto che questo sistema missilistico appartenga alle nostre forse armate lo posso confermare con assoluta certezza”, ha detto Sargsyan che non ha voluto rispondere ad altre domande – tra cui quando, quanto e quali termini di pagamento sono previsti – in quando sono informazioni classificate come “top secret”. “Noi li gestiamo e noi li possediamo”, ha proseguito il ministro. Il sistema missilistico russo Iskander è stato mostrato per la prima volta durante la parata del 21 settembre scorso, festa dell’indipendenza dell’Armenia. Questi sarebbero stati adottati dalle forze armate armene gia precedentemente a quella data e sono stati allertati durante la crisi del Nagorno-Karabakh dell’aprile 2016.

Iskander missile systems supplied by Russia in 2016 are owned and managed by the Armenian Armed Forces, Armenian Defense Minister Vigen Sargsyan told Sputnik. “The fact that Iskanders were delivered to Armenia I think is obvious, because everyone clearly saw them. The fact that they belong to the Armenian Armed Forces I can confirm with absolute certainty,” Sargsyan said. The minister said other questions are classified as “top secret,” including “when, how much, what payment terms and others.” “We do manage them, we are the ones own them. This is where I can open the veil of secrecy for you,” Sargsyan said. Iskanders were first demonstrated on September 21 at a military parade in Yerevan marking the 25th anniversary of Armenia’s independence. They were reportedly adopted by Armenia’s Armed Forces earlier and were put on combat alert during the escalation in Nagorno-Karabakh in April 2016

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Ministero della Difesa Armenia: cooperazione con la NATO non è né sarà contro la Russia (Sputnik 22.02.16)

L’interazione dell’Armenia con la NATO non è mai stata e non sarà mai diretta contro gli interessi dell’alleanza con la Russia. Lo ha detto il ministro della Difesa dell’Armenia Vigen Sarkisian.

“I nostri rapporti con la NATO sono sempre e pubblicamente in linea con quelli dei nostri partner alleati. Non ne abbiamo mai fatto un segreto, la nostra interazione non sarebbe potuta essere, né sarà mai, diretta contro gli interessi della nostra alleanza strategica con la Russia” ha detto il ministro in un’intervista a Ria Novosti, ricordando che la NATO realizza una serie di operazioni di mantenimento della pace, sanzionate delle Nazioni Unite.

Secondo Sarkizian, “per l’Armenia è molto importante e utile acquisire conoscenza e esperienza di partecipazione a tali operazioni di pace multinazionali”.

Il ministro ha anche sottolineato che il programma di partenariato individuale dell’Armenia e della NATO “si rivolge in primo luogo allo sviluppo di sistemi di controllo democratico sulle forze armate, il loro rafforzamento, che si basa su forme di governo parlamentari, come in molti paesi membri della NATO”.

Nagorno-Karabakh: esito posistivo per il referendum, ma il vero risultato è un passo indietro nei negoziati fra Armenia e Azerbaigian (Agenzia Nova 21.02.17)

Erevan, 21 feb 16:32 – (Agenzia Nova) – Il referendum costituzionale che si è tenuto ieri nel Nagorno-Karabakh, a prescindere dal risultato positivo, ha riacceso i riflettori sulla…

Promosso dal presidente dell’autoproclamata repubblica, Bako Sahakyan, e proposto dopo l’approvazione ottenuta dal parlamento locale, il…

E proprio dall’Armenia giungono dei pareri positivi sul voto. Secondo quanto affermato dal vicepresidente del parlamento armeno, Eduard Sharmazanov,…

“Il Nagorno Karabakh può e deve ottenere l’indipendenza”, ha affermato la delegazione di osservatori russi – Vladimir Yevsen, Valery Korovin…

“L’affluenza del 76 per cento al referendum costituzionale dimostra la volontà diretta degli abitanti della regione di partecipare al loro…

Il conflitto tra Armenia e Azerbaigian per l’area contesa è iniziato nel febbraio 1988, quando la regione autonoma del Nagorno-Karabakh…

Lo scorso aprile, dopo un periodo di relativa stabilità, la situazione si è nuovamente inasprita in quella che è stata denominata in Nagorno-Karabakh…

Lo scorso 20 giugno la Russia ha tentato di assumere un ruolo di mediazione diretta nel conflitto fra Armenia e Azerbaigian relativo alla… (Res)

Cagliari, apre il primo ristorante armeno: il cibo è multietnico (Castedduonline 20.02.17)

Il personaggio del giorno di Cagliari Online è Edo: laureato in Russia, è sbarcato in Sardegna per occuparsi di turismo e villette, poi ha avuto un’idea originale. Aprire a Cagliari il primo ristorante armeno. Intanto spopolano i sushi e spariscono i kebab

C’è un angolo di Armenia a Cagliari, mimetizzato e semi sconosciuto. Il personaggio del giorno di Cagliari Online oggi è Edo: laureato in Russia, è sbarcato in Sardegna per occuparsi di turismo e villette, poi ha avuto un’idea originale: aprire a Cagliari il primo ristorante armeno, insieme al socio Garik Behlarian. Il locale si chiama Nur. E per farlo ha acquistato un enorme forno interrato, tipico del suo paese, dove la carne viene cotta alla brace letteralmente a puntino. “Carne rigorosamente sarda però, infatti le quaglie sono di Dolianova e il maiale è di Samassi- spiega Edo- diciamo che ci fa piacere portare qui in Sardegna le tradizioni dell’Armenia. Di nostro abbiamo a volte i dolci, i vini ma soprattutto il modo di cucinare”.

In viale Regina Margherita c’è dunque l’Armenia a Cagliari, in un panorama della ristorazione che diventa sempre più multietnico in città. Stanno letteralmente sparendo i kebab, ma spopola il cibo indiano con Namastè e Tandoori. Si assiste a un vero e proprio boom di ristoranti di sushi in città, gestiti da giapponesi e cinesi, come quello di Luca Wang in viale Diaz. Mentre il cinese storico resiste con La Pagoda e la Muraglia. Poi resiste la Kasbah africana. Ma la vera novità sembra davvero questo piccolo ristorantino armeno: “Noi ci proviamo- spiega Edo- ci piace fondere la bontà della carne sarda con la cottura alla brace tipica del nostro Paese. D’estate affitto villette a Villasimius, ma mi piacerebbe restare qui e aprire presto un ristorante più grande”.

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Il Catholicos armeno Karekin II convoca un summit per affrontare i problemi interni del Patriarcato armeno di Costantinopoli (Agenzia Fides 20.02.17)

Erevan (Agenzia Fides) – Il Patriarca Karekin II, Catholicos di tutti gli Armeni, ha convocato a Erevan, presso la Sede patriarcale del Catholicosato di Echmiadzin, alcuni dei protagonisti della disputa in atto intorno alla prossima elezione del Patriarca armeno apostolico di Costantinopoli, nel tentativo di sciogliere i nodi di una vicenda che continua ad aggrovigliarsi. Il summit tra il Catholicos Karekin e i membri autorevoli del Patriarcato armeno apostolico di Costantinopoli – riferiscono fonti armene – è in programma per la settimana corrente.
La guida del Patriarcato armeno apostolico di Costantinopoli, con sede a Istanbul, appare incerta da quando, nel 2008, il Patriarca Mesrob II Mutafyan è stato colpito da una malattia incurabile. Da allora, le funzioni di Vicario del Patriarca sono state assolte dall’Arcivescovo Aram Ateshyan. Negli ultimi anni la comunità armena apostolica di Turchia vive un dibattito, a tratti lacerante, sulla possibile successione di Mesrob, con membri autorevoli della comunità armena presente in Turchia che sostenevano la necessità urgente di eleggere un Co-Patriarca con funzioni piene, e altri che si richiamavano alle strette regole secondo cui non era possibile procedere all’elezione di un nuovo Patriarca fino a quando era in vita il suo predecessore.
La situazione si era sbloccata lo scorso ottobre, quando l’Assemblea sinodale del Patriarcato armeno aveva annunciato il ritiro di Mesrob dalle funzioni patriarcali, ed erano state avviate, con il placet delle autorità civili, le procedure per l’elezione di un nuovo Patriarca. Nelle scorse settimane si era consumato un nuovo scontro tra il Vescovo armeno apostolico Sahak Mashalyan e il Vicario generale Aram Ateshyan, con il primo che aveva accusato il secondo di ostacolare dalla sua posizione il processo elettorale. Tra i due contendenti – riferiscono fonti mediatiche turche, consultate dall’Agenzia Fides – era poi stato concordato un protocollo in base al quale l’elezione del nuovo Patriarca si sarebbe dovuta tenere il prossimo 28 maggio. Ma proprio questo accordo locale sembra aver provocato obiezioni da parte del Catholicosato di Echmiadzin: secondo i media turchi, il Catholicos Karekin ha giudicato il protocollo sottoscritto da Ateshyan e Mashalyan come una violazione dei regolamenti in vigore per l’elezione patriarcale, e per questo ha convocato a Erevan i due Vescovi e altri rappresentanti del Patriarcato armeno apostolico di Costantinopoli, con l’intento di superare le divergenze e concordare insieme una procedura elettorale legittima e riconosciuta da tutti. (GV) (Agenzia Fides 20/2/2017).

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Molto più di un profumatore d’ambiente: la Carta d’Armenia (Greenme.it 16.02.17)

Amanti degli incensi e delle atmosfere un po’ mistiche, quella di cui vi parlo oggi è una validissima ed ecologica alternativa al più comune bastoncino, che spesso brucia sprigionando non si sa bene cosa.
Parliamo della Carta d’Armenia o Papier d’Arménie: una carta aromatica officinale dalle numerose proprietà e dalle origini antiche, apprezzata per i suoi fumi balsamici.
Questa carta cosiddetta medicinale nasce nel XIX° secolo grazie al medico francese Auguste Ponsot, che dopo un viaggio in Armenia rimase così colpito dal profumo con cui gli abitanti purificavano le loro abitazioni, ottenuto bruciando una resina balsamica naturale: il Benzoino, che tentò di riproporlo in Europa e vi riuscì, dopo numerosi tentativi, con l’aiuto del farmacista Henri Rivier.

Quest’ultimo solubilizzò tale resina nell’ alcool e produsse una tintura di Benzoino nella quale intinse della cellulosa.

La preziosità della Carta d’Armenia viene soprattutto dalla presenza del Benzoino, dalle proprietà tonificanti, balsamiche e antiossidanti, molto utile contro il raffreddore perchè ottimo espettorante e fluidificante del catarro, in caso di mal di gola, influenza, sinusite, tosse e bronchite.
I suoi fumi balsamici rilassano e distendono in caso di ansia, allontanando cattivi pensieri e negatività.

Ma vediamo come si realizza una Carta d’Armenia.
La resina di Benzoino è ricavata dal Sitrax benzoin: un albero che cresce nelle foreste del Sud-Est asiatico, in particolare nelle zone a clima tropicale come Laos, Vietnam, Cambogia, Cina, Tailandia.

Quando raggiunge un diametro di circa 15 cm, alcune tacche vengono realizzate nella corteccia grigia in modo che la resina possa fluire e sei mesi più tardi essere raccolta.

Il rituale di produzione è lungo e tutto manuale: la resina viene disciolta in alcool per due mesi. Poi vengono aggiunte delle essenze. La miscela risultante viene usata per impregnare uno speciale tipo di carta assorbente. Dopo l’ ammollo è il momento dell’essiccazione e dopo sei mesi i fogli vengono tagliati e assemblati in un blocchetto.

La carta aromatica è un prodotto ecologico, privo di sostanze inquinanti, la cui carta è certificata dal FSC, un’organizzazione internazionale indipendente, che agisce per la gestione responsabile delle foreste in tutto il mondo.

Oggi può essere utilizzata per sfruttarne le proprietà balsamiche e purificanti, per eliminare gli odori persistenti in casa come fumo di sigarette, fritture o animali, oppure come ottimo profumatore per i cassetti dell’armadio.

In passato era un rimedio efficace per la sanificazione di ambienti a rischio come ospedali o luoghi affollati come collegi, tende da campo…

Come si usa?

Si preleva una cartina, si piega a fisarmonica, si accende un lembo e vi si soffia subito sopra per spegnerlo e per dare vita al fumo, quindi si tratta di una combustione senza fiamma.

Si lascia su di un piattino facendo in modo che sprigioni la sua essenza e profumi l’ambiente.

Esiste anche la versione italiana e si chiama Carta Aromatica d’Eritrea.

E’ stata creata nel 1927 dal Dott.Vittoriano Casanova, farmacista di Piacenza, che dopo un viaggio in Eritrea e in Somalia venne a conoscenza dell’uso di resine ed essenze naturali per profumare e purificare i palazzi.
Dopo oltre tre anni di ricerca realizzò La Carta Aromatica d’ Eritrea che da allora viene realizzata con la stessa formulazione: muschi e resine di origine Africana ed Asiatica, che vengono polverizzate a mano nel mortaio e lasciate per settimane in infusione in alcool puro, poi unite a un mix di oltre 30 oli essenziali
Con questa miscela viene imbevuta la carta composta da cellulosa pura e dopo l’asciugatura viene tagliata per realizzare i classici libretti.

E allora, soprattutto in questo periodo di malanni… Buon respiro a tutti!

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