ARMENIA: La visita del Papa e la riconciliazione nel Caucaso (Ilsole24 ore 11.07.16)

Lo scorso 24 giugno papa Francesco si è recato in visita in Armenia, dove si è trattenuto 3 giorni per visitare i luoghi simbolici del genocidio e per far sentire la propria vicinanza ad una popolazione che attraversa una fase storica particolarmente complessa. In occasione della visita al memoriale del genocidio armeno di Yerevan ha ribadito, dopo averlo già affermato lo scorso anno alla presenza di Karekin II in Vaticano, che la persecuzione da parte dei turchi è stata e rimane un genocidio.

Il pontefice si è recato poi in un luogo particolarmente esemplificativo della situazione armena: la città di Gyumri dove il terremoto avvenuto alla fine degli anni ’80 ha sortito gli effetti più catastrofici, causando la morte di 25000 persone. La ricostruzione iniziata successivamente è proceduta a rilento a causa della fine della parabola sovietica: la città non si è più ripresa dal disastro e la popolazione attuale è inferiore alla metà rispetto a quella degli anni ’80.

Nel corso della sua visita in Armenia, Francesco ha inoltre voluto mettere sotto i riflettori la realtà particolarmente complessa del paese, dovuta ad una situazione economica fortemente compromessa. L’Armenia, a differenza di altri paesi dell’area caucasica, non detiene risorse nel sottosuolo e ha un indice di sviluppo umano tra i più bassi rispetto ai paesi appartenenti all’area post-sovietica. A ciò si aggiunge un isolamento imposto da circostanze esterne; infatti l’Armenia oggi ha due frontiere chiuse: quella turca, per le tensioni legate alla questione del genocidio, e quella azera, a causa del problema del Nagorno-Karabakh. Nell’ultimo periodo lo scenario azero è stato caratterizzato da un intensificarsi delle tensioni, e proprio nel territorio separatista del Nagorno-Karabakh sono avvenuti degli scontri che hanno portato anche all’uccisione di diversi civili.

Il papa e la riappacificazione del Caucaso

La figura di Francesco ha iniziato ad essere vista di buon occhio dal popolo armeno già un anno fa, in occasione delle parole pronunciate lo scorso anno dallo stesso Papa riguardo al genocidio. L’incontro di fine di giugno è stato perciò il coronamento del sodalizio con la chiesa apostolica armena, che sembra avere alle spalle un progetto molto più ampio di quello che si potrebbe pensare.

Papa Francesco, fin dall’inizio del suo pontificato, ha inteso dare ai suoi interventi una forte impronta informale, avulsa dalle dinamiche diplomatiche tradizionali, con istanze a favore del dialogo e della pace. Proprio sulla strada di questa missione conciliatrice si colloca il prossimo viaggio di Francesco in Georgia e Azerbaijan del prossimo settembre, durante il quale molto probabilmente il Pontefice tenterà una mediazione altamente conciliatoria tra Yerevan e Baku.

La prospettiva di un riavvicinamento tra i due paesi sembra però allontanarsi con il tempo, poiché l’Azerbaijan continua a compiere operazioni militari nel Nagorno-Karabakh con il benestare turco, contro il quale sostegno si è scagliato il Catholicos Karekin II proprio in occasione della visita pontificia.

Il papa e la chiesa ortodossa moscovita

Con i suoi viaggi nel Caucaso, papa Francesco sta tentando di ricucire i rapporti con le chiese orientali (come quella armena, con la quale si sono già avuti riscontri positivi) e ortodosse (georgiana e moscovita) della regione.

In particolare la chiesa ortodossa moscovita non ha mai nascosto la sua intenzione di diventare, con il sostegno politico del Cremlino, il riferimento per le chiese ortodosse nel Caucaso, con lo scopo di superare le divergenze interne a tutt’oggi presenti. In questa prospettiva si è ricercato anche il sostegno del papato romano, con il quale si è cercato un punto di incontro durante la visita a Cuba lo scorso febbraio. In quella sede sono stati trattati argomenti di ordine teologico e morale, nella probabile prospettiva di una convergenza su tematiche geopolitiche. Per una maggiore unità di intenti sulle questioni caucasiche, lo stesso Putin ha avuto un incontro con il Papa.

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Missione di pace in Caucaso. Il programma del viaggio in Azerbaigian e Georgia (Farodiroma 11.07.16)

 Papa Francesco completerà la sua missione di pace in Caucaso (iniziata lo scorso giugno in Armenia) visitando Georgia e Azzerbaijan, dal 30 settembre al 2 ottobre prossimi. A Tiblisi è prevista una visita al Presidente della Repubblica e nel cortile del Palazzo presidenziale il Papa terrà un discorso alle autorità, la società civile e con il Corpo diplomatico. Presso il Palazzo del Patriarcato ci sarà invece l’incontro con sua Santità e Beatitudine Ilia II, Catholicos e Patriarca di tutta la Georgia.

L’abbraccio con la comunità assiro-caldea si terrà invece preso la chiesa cattolica di S.Simone il tintore. Il giorno dopo, sabato primo ottobre, ci sarà la santa messa nello stadio M. Meskhi, poi l’incontro con i sacerdoti, religiosi e religiose presso la chiesa dell’Assunta. Toccante sarà la visita agli assistiti e con gli operatori delle opere di carità della Chiesa davanti al Centro di assistenza dei Camilliani. Quindi la visita alla cattedrale patriarcale Svietyskhoveli di Mskheta.

Domenica 2 ottobre dopo la cerimonia di congedo all’aeroporto internazionale di Tbilisi la partenza in aereo per Baku. All’arrivo all’aeroporto internazionale “Heydar Aliyev” è prevista l’accoglienza ufficiale. Poi la Santa Messa nella chiesa dell’Immacolata nel Centro salesiano a Baku e il pranzo con la comunità salesiana e con il seguito papale. La cerimonia protocollare di benvenuto si terrà nel Piazzale del Palazzo presidenziale di Genclik. Poi la visita di cortesia al Presidente. L’incontro con le autorità si terrà nel Centro “Heydar Aliyev”.

Nell’omonima Moschea si terrà il colloquio privato con lo Sceicco dei Musulmani del Caucaso. Dopo l’incontro con il vescovo ortodosso di Baku e con il presidente della Comunità ebraica si terrà la cerimonia di congedo all’aeroporto di Baku e la partenza per Roma.

Mons. Minassian: il Papa ha toccato il cuore di tutti gli armeni (Radio Vaticana 04.07.16)

E’ trascorsa una settimana dal rientro del Papa dal viaggio in Armenia, tre giorni in cui Francesco ha lanciato molti messaggi: ha chiesto di custodire la memoria, fonte di pace e di futuro, ma ha soprattutto reso omaggio al primo popolo cristiano. Francesca Sabatinelli ha intervistato mons. Raphael Minassian, ordinario per gli armeni cattolici dell’Europa orientale:

R. – Il messaggio del Santo Padre è arrivato, è arrivato immediatamente nel cuore di tutto il popolo armeno, anche nella diaspora: parliamo di un messaggio che ha penetrato il cuore di 13 milioni di armeni nel mondo. Lui è venuto per il primo popolo cristiano, che durante tutti questi secoli è riuscito a resistere a tutte le tentazioni della vita di un popolo. Il genocidio è stato già proclamato il 12 aprile del 2015 e quindi non era questo né lo scopo, né la meta della visita del Papa. E’ piuttosto questo legame spirituale di un pastore verso il gregge di Gesù.

D. – La memoria del passato per disinnescare le vendette, gli scontri, per portare perdono e riconciliazione. Mons. Minassian, è stato potente questo messaggio del Papa…

R. – Ha perfettamente ragione, perché in questo messaggio c’era il lavoro per la pace, il lavoro dell’unità nella testimonianza evangelica. E questo viene proprio dal cuore del pastore che sa dove va e per quale scopo va. Questo messaggio è arrivato pure negli animi di tutti quelli che lo hanno incontrato, lo hanno sentito o lo hanno visto anche solo sullo schermo televisivo. Io non mi aspettavo di vedere questa gente, questo popolo così ardente nella sua fede, che è riuscito ad esprimerla completamente nella pura semplicità, nella sua povertà, con i sacrifici, però era presente. La presenza alla Messa del Santo Padre, del 25 giugno, si è basata su un sacrificio, perché voi non conoscete il popolo e come vive, vivono tutti nei villaggi, ma sono venuti, hanno lasciato le loro famiglie, le loro mucche, le loro pecore, il lavoro quotidiano, per venire a vedere e sentire e toccare il Papa. Questo è un segno molto popolare della fede popolare.

D. – Lei ha ringraziato più volte il Papa nei suoi interventi…

R. – E’ vero. Io ho usato il ringraziamento in tutte le mie parole, ma in ogni mio ringraziamento c’era un desiderio, un modo di esprimere e di chiedere di continuare questo legame. E’ stato fatto un primo passo, adesso tocca a noi. Il messaggio era per noi, per noi clero. E qui non faccio differenza fra armeno cattolico e apostolico, tutto il clero è chiamato al servizio delle anime. Questo passo del Santo Padre in Armenia è un richiamo al servizio profondamente attivo. Un primo passo che ha cambiato l’amicizia, la fratellanza tra il clero cattolico e apostolico. Questo lo abbiamo avuto: abbiamo cancellato tutto il passato con questa collaborazione assieme al servizio del Santo Padre, il Santo Padre è al servizio di tutto il popolo.

D. – In settembre la visita in Azerbaigian del Papa: ci si possono aspettare frutti?

R. – Primo: il Papa è libero di andare dove vuole. Secondo: anche il parlare con il nemico è un passo positivo per una pace internazionale. Io credo sempre all’ottimismo, perché in ogni contatto c’è un punto positivo.

D. – Difficile spostare questo ottimismo sul fronte della Turchia, dopo le critiche forti lanciate al Papa…

R. – La gente è libera di criticare e di esprimersi nel modo che vuole. Come padre spirituale di tutta la Chiesa cattolica nel mondo, il Papa ha il dovere di dire la verità e di andare avanti. La missione è quella di dire la verità. Noi dobbiamo difendere la gente che ha bisogno della nostra assistenza e poi gli altri sono liberi di esprimersi nel modo che vogliono. Non è una nostra preoccupazione cosa diranno di noi: la nostra preoccupazione è cosa dirà di noi il nostro Salvatore Gesù, se abbiamo compiuto il nostro dovere o no. Le altre cose sono secondarie…

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L’Armenia verso l’Eurovision 2017 con una selezione televisiva (Eurofestivalnews.com 04.07.16)

Nonostante gli ottimi risultati che le scelte interne hanno portato all’Armenia negli ultimi anni – con un unico “scivolone” registrato nel 2011 – il paese caucasico non è mai riuscito a condurre a Yerevan l’Eurovision Song Contest (nel 2011 ha però ospitato la versione Junior del festival europeo).

Dopo anni di selezioni interne dell’artista in gara, per l’Eurovision 2017 l’Armenia ha deciso di cambiare idea e affidarsi stavolta al pubblico.

depi evratesil

Il format individuato dall’emittente armena AMPTV si chiamerà Depi Evratesil (in italiano, Verso l’Eurovision), e durerà circa tre mesi. Secondo i piani, saranno diverse le fasi televisive del meccanismo di selezione, che comprenderanno audizioni, commenti da parte di rappresentanti delle scorse edizioni dell’Eurovision Song Contest e pareri di giurie di professionisti del settore musicale.

Le iscrizioni si apriranno il 6 luglio e saranno consentite non solo ai cittadini armeni, ma anche a tutti coloro che hanno discendenza armena, nonostante vivano all’estero. Questo dettaglio è in accordo con la linea percorsa durante la partecipazione dell’Armenia all’Eurovision 2015, quando a rappresentare il paese fu un gruppo di sei cantanti, sotto il nome di Genealogy, provenienti dai cinque continenti e i cui parenti furono vittima della diaspora armena.

 

Le candidature potranno essere presentate fino al 25 agosto, mentre nel mese di settembre si terranno le audizioni. I vari show televisivi andranno invece in onda da ottobre a dicembre 2016 sulle frequenze della televisione armena.

Non è ancora chiaro se, oltre all’artista partecipante, tramite Depi Evratesil sarà scelto anche il brano per l’Eurovision 2017 in Ucraina: a tale proposito, saranno rilasciati ulteriori dettagli nelle prossime settimane.

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La visita del Papa in Armenia tra memoria e condanna dei genocidi (toscanaoggi.it 02.07.16)

Il tema della memoria da conoscere e da vivere in una prospettiva che alimenti riconciliazione e dialogo è stato il filo rosso della visita pastorale di Papa Francesco in Armenia, che è stata la prima tappa nel Caucaso, dove il Papa tornerà alla fine di settembre per visitare la Georgia e l’Azerbaijan

«Prego, col dolore nel cuore perché mai più vi siano tragedie come questa, perché l’umanità non dimentichi e sappia vincere con il bene il male; Dio conceda all’amato popolo armeno e al mondo intero pace e consolazione. Dio custodisca la memoria del popolo armeno. La memoria non va annacquata né dimenticata; la memoria è fonte di pace e di futuro». Papa Francesco ha scritto queste parole sull’albo d’oro del memoriale del Genocidio armeno, a Tzitzernakaberd, dove sulla «collina delle rondini» si trova il Memoriale con il quale l’Armenia vuole ricordare al mondo il genocidio del popolo armeno del 1915 da parte dell’Impero Ottomano. Il tema della memoria da conoscere e da vivere in una prospettiva che alimenti riconciliazione e dialogo è stato il filo rosso della visita pastorale di Papa Francesco in Armenia, che è stata la prima tappa nel Caucaso, dove il Papa tornerà alla fine di settembre per visitare la Georgia e l’Azerbaijan. Nei suoi incontri, a vario livello, dalla visita di preghiera alla cattedrale apostolica di Etchmiadzin, all’incontro con le autorità civili e con il corpo diplomatico nel palazzo presidenziale, all’omelia della celebrazione eucaristica a Gyumri, fino alle parole durante la divina liturgia ancora nella cattedrale apostolica Papa Francesco è tornato più volte sulla storia del popolo armeno, delle sue sofferenze che hanno rafforzato la sua fede cristiana.

Anche la fede cristiana era la causa della persecuzione alla quale gli armeni sono stati sottoposti, più volte nel corso dei secoli; il martirio del popolo armeno rappresenta una ricchezza spirituale per tutti i cristiani che possono trovare nell’esempio che gli armeni hanno dato una forza del tutto particolare per testimoniare Cristo. Il papa ha ricordato il genocidio degli armeni del 1915, sottolineando le responsabilità non solo di coloro che lo hanno compiuto abbandonando ogni senso di umanità ma anche di coloro che hanno voltato lo sguardo di fronte alla tragedia che si stava compiendo; papa Francesco è così tornato a parlare del genocidio degli armeni sul quale già era intervenuto un anno fa, quando si era rivolto agli armeni, uniti a Roma, che stavano celebrando il proprio Sinodo, citando la dichiarazione comune di Giovanni Paolo I e di Karekin I che già nel 2001 aveva condannato il genocidio degli armeni, il primo del XX secolo: allora, come in questi giorni, il governo turco ha espresso la sua contrarietà per queste affermazioni, contestando ancora una volta l’uso del termine genocidio e accusando papa Francesco di volersi ingerire in questioni politiche che per Ankara non devono appartenere alla Chiesa Cattolica se non nell’ottica del recupero di una mentalità di «crociata».

Papa Francesco ha chiesto di coltivare la memoria del genocidio per favorire un cammino di riconciliazione che rappresenta un passo fondamentale nella costruzione della pace con la quale sconfiggere la violenza; papa Francesco si è rivolto a tutti, con una particolare attenzione ai giovani, che per il papa devono essere protagonisti di un tempo di dialogo e di accoglienza, uscendo da quella apatia che toglie la speranza per un domani nel quale, grazie all’impegno dei giovani, la pace deve essere realmente il fondamento di una società diversa da quella presente.

Nella visita ampio spazio è stato dedicato alla dimensione ecumenica: fin dal tempo del concilio Vaticano II la Chiesa Armena Apostolica e la Chiesa Cattolica hanno iniziato un dialogo per la riscoperta del comune patrimonio spirituale; con Giovanni Paolo II questo dialogo ha avuto un ulteriore sviluppo, anche per la visita compiuta dal pontefice polacco proprio in Armenia, che papa Francesco ha ricordato nel suo primo incontro con Karekin II, a Roma, nel maggio 2014. Di fronte alle parole del catholicos Karekin II, che proprio nell’incontro ecumenico di preghiera per la pace ha ricordato tensioni e conflitti nei quali è immersa l’Armenia, minacciata della sua stessa esistenza dai vicini, papa Francesco ha rilanciato la forza della riconciliazione come elemento fondamentale nella testimonianza ecumenica che i cristiani del XXI secolo devono vivere per superare lo scandalo della divisione e per rafforzare la missione della Chiesa.

In questa prospettiva, accanto ai gesti di fraternità evangelica di papa Francesco e del catholicos Karekin II, anche durante questa visita,  si deve leggere  la Dichiarazione comune, firmata nell’ultimo giorno della visita, dove si ribadisce che «lo spirito ecumenico […] impedisce la strumentalizzazione e manipolazione della fede, perché obbliga a riscoprirne le genuine radici, a comunicare, difendere e propagare la verità nel rispetto della dignità di ogni essere umano e con modalità dalle quali traspaia la presenza di quell’amore e di quella salvezza che si vuole diffondere. Si offre in tal modo al mondo – che ne ha urgente bisogno – una convincente testimonianza che Cristo è vivo e operante, capace di aprire sempre nuove vie di riconciliazione tra le nazioni, le civiltà e le religioni».

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La settimana di Papa Francesco: in Armenia, la luce della fede (Lastampa.it 02.07.16)

Vatican Magazine (Ctv)
La visita apostolica del Papa in Armenia; il suo colloquio con i giornalisti sul volo di ritorno, durante il quale ha parlato di Brexit, riforma protestante e Benedetto XVI; la Messa del Pontefice nella solennità dei Santi Pietro e Paolo. Approfondisce tutto questo l’edizione in uscita oggi, sabato 2 luglio 2016, di Vatican Magazine, il settimanale tv di notizie e approfondimenti che il Centro televisivo vaticano mette a disposizione delle televisioni di tutto il mondo, per seguire le attività del Papa, le iniziative della Santa Sede e i principali avvenimenti mondiali visti dal cuore della Chiesa.

VIDEO E APPROFONDIMENTI

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“Caro amico (armeno) ti scrivo” (Portodimare 01.07.16)

NARDO’ – In un momento di particolare attenzione per l’Armenia ed il suo popolo, con le parole del Santo Padre e della cancelliera tedesca Angela Merkel, il sindaco di Nardò, Pippi Mellone, rinnova il rapporto di affetto tra la comunità neritina ed il popolo armeno.
In una missiva, inviata all’Ambasciatrice della Repubblica d’Armenia in Italia, Victoria Bagdassarian, il sindaco di Nardò ha espresso la volontà di rafforzare il rapporto di amicizia tra la città e i fratelli armeni, auspicando che i rapporti già in essere abbiano a proseguire e rinsaldarsi ulteriormente e che si rafforzino quei sentimenti di pace e condivisione di intenti.
Parole di apprezzamento in risposta da parte dall’ambasciatrice che, “sicura che il Santo Patrono Gregorio veglierà sul Suo mandato, sulla città e sui cittadini tutti di Nardò”, ha inviato al primo cittadino i suoi migliori auguri per l’impegnativo incarico di sindaco della Città.
I rapporti tra Nardò e l’Ambasciata armena sono affettuosi e cordiali sin dal 2007.
Nel marzo 2012, peraltro, il comune di Nardò ha approvato una delibera, dal profondo significato simbolico, per il riconoscimento del genocidio armeno.
Nardò fu una delle primissime città d’Italia (la quinta in Puglia, dopo Bari, Conversano, Trani e Casamassima) a legarsi, sotto l’egida del comune santo patrono, San Gregorio Illuminatore, ai fratelli d’Armenia.

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Hesemann: “In Armenia il Papa è venuto come un amico” (Vatican Insider 01.07.16)

Lo scrittore e storico tedesco Michael Hesemann è autore di diversi libri sulla Chiesa e il cristianesimo. Ha scritto, tra gli altri – insieme a Georg Ratzinger – il volume «Mio fratello, il Papa». Nel 2015 ha pubblicato il suo ultimo libro, «Il genocidio armeno», dopo aver studiato più di 3mila pagine dell’Archivio segreto vaticano sul tema, portando alla luce nuove evidenze su questa tragedia a lungo dimenticata. Lo abbiamo incontrato pochi giorni dopo il suo ritorno da Yerevan, in Armenia.

 

Hesemann, la settimana scorsa ha seguito la visita di papa Francesco in Armenia. Secondo lei, quali sono stati gli aspetti più significativi del suo viaggio? Che cosa rappresenta questa piccola ma antica terra per il Pontefice?

«Papa Francesco aveva uno stretto legame con la comunità armena in Argentina quando era ancora arcivescovo di Buenos Aires, già conosceva la ricca e tragica storia dell’Armenia prima di diventare papa. Durante i primi mesi del suo pontificato ha ricevuto numerosi patriarchi armeni e ha dimostrato che il suo amore e l’affetto per gli armeni è rimasto forte. Egli non solo ha fatto il primo armeno, san Gregorio di Narek, dottore della Chiesa, ma ha anche commemorato le vittime del genocidio armeno con questo termine che è così importante per il popolo armeno, dato che è l’unico che descrive in modo adeguato la dimensione dei crimini commessi dai loro persecutori e assassini. Così gli armeni sapevano che era loro amico già prima del suo arrivo. E ha soddisfatto le loro aspettative nel modo più alto. È venuto come un amico nella più antica nazione cristiana al mondo, come messaggero di pace e riconciliazione, di dialogo ed ecumenismo. Il suo viaggio ha avuto tre dimensioni. In primo luogo la commemorazione dei martiri della più grande persecuzione di cristiani nella storia, poi l’amicizia ecumenica con la Chiesa apostolica armena e la sua riconciliazione con la Chiesa cattolica armena e – ultimo, ma non meno importante – la situazione politica attuale riguardo alla nuova persecuzione dei cristiani in Medio Oriente, e ai conflitti della Repubblica di Armenia con entrambi i suoi vicini, turchi e azeri, soprattutto dopo la recente escalation del conflitto per l’enclave armena del Nagorno-Karabakh».

 

A Yerevan papa Francesco ha parlato ancora una volta del «genocidio» armeno. Non solo. Ha anche sottolineato come «le grandi potenze guardavano dall’altra parte». Un’ammissione simile a quella inclusa nella risoluzione recentemente approvate dal Bundestag tedesco. Come valuta le sue parole?

«Non è solo in conformità con la recente risoluzione del Bundestag tedesco, che è stata ispirata in modo decisivo dall’affermazione fatta del papa il 12 aprile 2015, ma anche da altre dichiarazioni di papa Francesco, quando, in modo ripetuto, ha criticato la “globalizzazione dell’indifferenza”, l’ignoranza collettiva delle potenze mondiali e dei popoli, e di noi cristiani, circa il destino dei nostri fratelli e sorelle perseguitati in Medio Oriente dove, secondo diversi eminenti politologi, un nuovo genocidio – una continuazione dei massacri del 1915-16 – si svolge proprio di fronte ai nostri occhi. Abbiamo il dovere di non ripetere gli errori del passato, ma di imparare da questi e agire, questa volta».

 

Nel suo libro ha studiato migliaia di documenti inediti provenienti da fonti vaticane sul «genocidio» armeno, gettando nuova luce su questo crimine a lungo dimenticato. Quali sono i risultati più importanti del suo lavoro in questo proposito?

«A causa del negazionismo turco tuttora in corso, è di grande importanza trovare una conferma indipendente del numero presunto di vittime, un milione e mezzo, sostenuto da molti storici autorevoli, ma anche al fatto che lo sterminio degli armeni, il genocidio, sia stato già pianificato anni prima dello scoppio della prima guerra mondiale dagli ideologi dei “Giovani Turchi”, che seguivano una sorta di ideologia protofascista secondo la quale una nazione può essere forte solo se diventa religiosamente ed etnicamente omogenea. Questi ideologi accusavano la multietnicità dell’impero ottomano per il suo declino e lenta dissoluzione svoltasi a partire dalla metà del XIX secolo, e volevano creare un nuova “Turchia per i turchi” sulla base dell’omogeneità etnica e religiosa. E naturalmente, i molti dettagli duri e raccapriccianti riportati da osservatori neutrali – spesso religiosi romano-cattolici e cappellani sul campo – sono così toccanti e impressionanti che diverse dozzine di lettori mi hanno detto di aver letto il mio libro con le lacrime agli occhi».

 

Come hanno reagito il Vaticano e papa Benedetto XV in quegli anni alla «prima delle immani catastrofi del secolo scorso», come il Pontefice l’ha chiamata di recente?

«Dopo che ebbe ricevuto delle relazioni, agì in diversi modi. Protestò apertamente, chiedendo pietà per gli armeni perseguitati in due lettere scritte di suo pugno al sultano; cercò di costruire un’alleanza soprattutto con Austria e Germania – alleate della Turchia nella guerra –, di esercitare pressioni sulla Turchia per fermare le uccisioni. Quando si rese conto che nessuno era in grado o disposto ad aiutare gli armeni, donò soldi per costruire orfanotrofi per i bambini armeni ad Angora (Ankara) e a Costantinopoli».

 

Qual è stato il ruolo dell’arcivescovo Angelo Maria Dolci, delegato apostolico a Costantinopoli, nel tentare di prevenire il Metz Yeghern, il «Grande Male», come gli armeni chiamano il loro genocidio?

«Il Vaticano non aveva relazioni diplomatiche con l’Impero Ottomano, e così non aveva un nunzio e una nunziatura a Costantinopoli, ma solo un delegato apostolico, cui era permesso di usare una stanza come suo ufficio presso l’ambasciata austro-ungarica. Pertanto, i suoi mezzi erano limitati. Scrisse diverse note al gran visir del sultano, che furono semplicemente ignorate. Cercò di ottenere sostegno per i suoi sforzi da parte di altri diplomatici occidentali in Turchia. Alla fine si rese semplicemente conto che nulla avrebbe cambiato le intenzioni dei turchi rispetto a questo punto. Gli mentirono, fecero false promesse e sabotarono il suo lavoro. Per esempio, gli ci vollero sei settimane prima di essere ricevuto dal sultano in udienza per presentare la lettera scritta dal Papa. Altre quattro settimane passarono prima che la lettera ricevesse una risposta».

 

Un’ultima domanda. Più di un secolo è passato, ma il «genocidio» armeno non è ancora considerato come un fatto storico in diversi paesi del mondo. Pensa che l’apertura degli Archivi vaticani – che lei ha studiato per molti anni – e le parole di papa Francesco metteranno fine a questa controversia e al negazionismo?

«Per essere precisi, ho ricevuto il permesso di lavoro presso l’Archivio segreto vaticano nel 2008, otto anni fa. Qualsiasi storico che studi questi documenti – più di 3mila pagine – arriverà alla conclusione che quanto avvenne nel 1915-16 non era solo un genocidio, ma la “Madre di tutti i genocidi”. Ma il motivo per cui alcuni paesi ancora si rifiutano di usare il termine “genocidio” è solo politico, e non può essere risolto con semplici fatti. La Turchia fa di tutto per sopprimere la verità e per evitare una discussione aperta, perché sanno che non fu solo la più grande persecuzione dei cristiani nella storia, ma fu anche il trauma all’origine della Turchia moderna, uno stato che si è formato su questo e altri genocidi: non solo quella degli armeni, ma anche di assiri e aramei, greci e yazidi, aleviti e, oggi, i curdi. Tutti furono vittime di “pulizie etniche”. Non ci sono molte famiglie nell’élite turca moderna che non abbiano tratto profitto dal genocidio e dalla successiva confisca dei beni agli armeni. Anche Erdogan ha costruito il suo palazzo dalle mille stanze sul terreno di una famiglia armena. Questo fatto da solo spiega l’esitazione della Turchia ad avere a che fare con i fatti storici e le loro conseguenze. Ma nessuno può evitare la sua responsabilità per sempre. Se un giorno la Turchia vorrà diventare una nazione rispettata, deve ammettere e chiedere perdono apertamente per i suoi crimini, e cercare almeno di compensare le sue vittime. Si può perdonare solo qualcuno che ammette le sue azioni, non è vero? Così la verità è la conditio sine qua non per la riconciliazione e la pace».

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Nagorno-Karabakh: Cremlino, ne hanno parlato Putin e Hollande (Swissinfo.ch 01.07.16)

Il presidente russo Vladimir Putin e quello francese Francois Hollande hanno discusso ieri sera al telefono della situazione in Nagorno-Karabakh e di Ucraina.

Lo riporta il Cremlino, secondo il quale Putin “ha informato Hollande, come capo dello Stato che co-presiede il Gruppo di Minsk dell’Osce sul Nagorno-Karabakh, dei risultati dell’incontro trilaterale del 20 giugno avuto con il presidente azero Ilham Aliyev e quello armeno Serzh Sargsyan, a San Pietroburgo”.

I due leader, spiega la nota del Cremlino, “hanno auspicato che i risultati raggiunti nell’incontro contribuiscano alla promozione del processo di pace” e hanno concordato sul proseguimento del lavoro congiunto all’interno del Gruppo di Minsk dell’Osce.

Questo è guidato da Francia, Russia e Usa e comprende Bielorussia, Germania, Italia, Svezia, Finlandia, Turchia, Armenia e Azerbaijan. Putin e Hollande hanno anche discusso “altre questioni di carattere internazionale, concentrandosi anche sugli sforzi per la soluzione della crisi ucraina”.

È dal 1988 che l’Armenia reclama l’autodeterminazione della regione che Stalin aveva annesso all’Azerbaijan e che, crollata l’Urss, decise per la secessione e l’annessione all’Armenia, scatenando un conflitto tra i due Paesi.

E proprio nello scorso aprile, dopo oltre vent’anni, sono ricominciati gli scontri: 300 i soldati uccisi, mille i feriti. La Turchia appoggia l’Azerbaigian ed Erdogan si dice convinto che il territorio conteso “un giorno tornerà certamente al suo padrone legittimo, l’Azerbaijan”.

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Papa in Armenia: pace e riconciliazione (Osservatorio Balcani e Caucaso 30.06.16)

La recente visita in Armenia di Papa Francesco si è svolta all’insegna della pace e della riconciliazione, senza mancare di fare esplicito riferimento al genocidio del 1915

30/06/2016 –  Simone Zoppellaro Yerevan

Un viaggio di tre giorni destinato a lasciare il segno. Una visita storica, quella effettuata da papa Francesco in Armenia fra  il 24 e il 26 giugno, che segue di quindici anni la prima di un pontefice nel Paese: quella di Giovanni Paolo II nel 2001. Parole e gesti importanti, quelli del papa argentino, che tracciano una linea politica e morale molto chiara nei confronti dei conflitti che affliggono la regione.

Non solo di genocidio – parola destinata a suscitare scandalo, paradossalmente, a più di un secolo da quegli eventi – si è parlato a Yerevan e nelle altre tappe del suo viaggio. Un ruolo di primo piano hanno avuto anche temi quali la riconciliazione fra Turchia e Armenia, e la pace in Nagorno-Karabakh, regione contesa dove ad aprile si sono avuti oltre trecento morti in pochi giorni.

Un “pellegrinaggio”, nelle parole del pontefice, fatto “per attingere alla sapienza antica di quella popolazione” – gli armeni – per la cui storia e tradizioni ha dimostrato un grande affetto. Ultimo motivo conduttore nella visita è stato poi l’ecumenismo, e in particolare il dialogo con la Chiesa apostolica armena, rappresentata dal catholicos Karekin II. Tutt’attorno – sempre presente – il calore della gente, accorsa da ogni angolo dell’Armenia e dai Paesi limitrofi per prestare omaggio a un gigante del nostro tempo.

“Mi inchino di fronte alla misericordia del Signore, che ha voluto che l’Armenia diventasse la prima nazione, fin dall’anno 301, ad accogliere il Cristianesimo quale sua religione, in un tempo nel quale nell’impero romano ancora infuriavano le persecuzioni”. Queste le parole pronunciate da papa Francesco al suo arrivo ad Etchmiadzin, cittadina a pochi chilometri dalla capitale Yerevan, cuore spirituale della Chiesa armena. Questa la prima tappa del viaggio del pontefice, venerdì 24 giugno, dopo la cerimonia all’aeroporto di Yerevan. Al centro della visita, il dialogo religioso.

Genocidio armeno

Dopo l’incontro con Karekin II, massima autorità spirituale armena, si è passati alle autorità civili con la visita al palazzo presidenziale a Yerevan. E qui, alla presenza del presidente Sargsyan, il pontefice è andato subito dritto al nodo fondamentale della sua visita: il ricordo degli eventi del 1915, quando un milione e mezzo di armeni persero la vita nell’allora impero ottomano. “Quella tragedia, quel genocidio, inaugurò purtroppo il triste elenco delle immani catastrofi del secolo scorso, rese possibili da aberranti motivazioni razziali, ideologiche o religiose, che ottenebrarono la mente dei carnefici fino al punto di prefiggersi l’intento di annientare interi popoli.”.

Parole importanti, in linea con quanto affermato da papa Francesco lo scorso anno, e che ancora una volta hanno destato le ire del governo turco, ostinato nel suo negazionismo. Non è mancato, infine, in questo discorso, un omaggio ai 25 anni dell’indipendenza dell’Armenia, alle sue radici cristiane e alla sua cultura.

Il giorno seguente, sabato, la visita papale è ripresa da Tsitsernakaberd, il memoriale del genocidio che si trova su un colle subito fuori dal centro di Yerevan. Qui papa Francesco ha deposto una rosa bianca al fuoco perenne, cuore del memoriale, e ha pregato in silenzio. Lungo il percorso del giardino ha benedetto e innaffiato – come da tradizione, in questo luogo – un albero posto a memoria della visita. Ha poi incontrato alcuni discendenti di perseguitati armeni che furono messi in salvo e ospitati a Castel Gandolfo da Papa Benedetto XV e da Papa Pio XI.

Toccanti le parole scritte dal pontefice sul Libro d’Onore del memoriale: “Qui prego, col dolore nel cuore, perché mai più vi siano tragedie come questa, perché l’umanità non dimentichi e sappia vincere con il bene il male; Dio conceda all’amato popolo armeno e al mondo intero pace e consolazione. Dio custodisca la memoria del popolo armeno. La memoria non va annacquata né dimenticata; la memoria è fonte di pace e di futuro”.

Pace e riconciliazione

Folla a Yerevan per la visita di Papa Francesco (foto S. Zoppellaro)

Folla a Yerevan per la visita di Papa Francesco (foto S. Zoppellaro)

La visita è poi proseguita a Gyumri, seconda città armena, dove si trova concentrata la maggior presenza di cattolici nel Paese. Una città povera e allo stremo, che non si è più ripresa dal terremoto del 1988, quando qui e nei dintorni morirono circa 25.000 persone. Dei 222.000 abitanti registrati nel censimento sovietico del 1984, oggi ne restano poco più di 120.000. Una perdita costante, che non ha avuto fine neanche in anni più recenti.

E proprio dalla memoria del terremoto ha avuto inizio l’omelia pronunciata da Francesco nella piazza principale di Gyumri. Al termine della messa, il Santo Padre ha raggiunto il convento Nostra Signora dell’Armenia, delle suore armene dell’Immacolata Concezione. Qui il Papa ha salutato le religiose, gli orfani curati dalle suore nel Boghossian Educational Centre annesso al convento e gli studenti della scuola professionale Diramayr gestita dalla congregazione.

Ultimo appuntamento di sabato, l’incontro ecumenico e la preghiera per la pace in piazza della Repubblica a Yerevan, al quale hanno preso parte oltre 50.000 persone. Qui papa Francesco è ritornato ancora sulla storia armena e sulla tragedia del genocidio, un dolore che non guarda solo al passato ma che – nelle parole del pontefice – “può diventare un seme di pace per il futuro”. Da qui, il discorso si è mosso sul tema della riconciliazione: “Farà bene a tutti impegnarsi per porre le basi di un futuro che non si lasci assorbire dalla forza ingannatrice della vendetta; un futuro, dove non ci si stanchi mai di creare le condizioni per la pace”.

Con un appello ai giovani: “Ambite a diventare costruttori di pace: non notai dello status quo, ma promotori attivi di una cultura dell’incontro e della riconciliazione”. Con un riferimento esplicito sia alla Turchia che al conflitto per il Nagorno-Karabakh, Francesco ha invitato gli armeni a farsi testimoni di un “grande messaggio cristiano di pace”. “Il mondo intero ha bisogno di questo vostro annuncio, ha bisogno della vostra presenza, ha bisogno della vostra testimonianza più pura”.

Nell’ultima giornata di visita, Francesco ha preso parte alla liturgia nel Piazzale di San Tiridate del palazzo apostolico a Etchmiadzin. “Lo Spirito Santo faccia dei credenti un cuore solo e un’anima sola: venga a rifondarci nell’unità”, ha ribadito il papa, muovendo i suoi passi ancora una volta sulla via dell’ecumenismo.

Ultima tappa, la visita al Monastero di Khor Virap, uno dei luoghi sacri della Chiesa armena, ai piedi del Monte Ararat e a poche centinaia di metri dal confine con la Turchia. Qui papa Francesco e Karekin II dalla terrazza del belvedere hanno liberato due colombe che hanno spiccato il volo – quale auspicio di pace – verso il Monte Ararat e la frontiera chiusa da molti anni. Un’immagine divenuta simbolo di questo viaggio, che ha colpito l’immaginario di molti armeni, e che ha avuto ampia diffusione su stampa e TV locali, e sui social media. Nell’isolamento diplomatico e nell’indifferenza delle grandi potenze verso questo piccolo Paese, gesti come questo valgono più di mille parole.

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