L’Armenia entra a far parte di Horizon 2020 (Eunews.it 19.05.16)

Il Paese eurasiatico diventa il 16° associato al programma per la ricerca e l’innovazione dell’Ue

Bruxelles – L’Armenia entra a far parte di Horizon 2020. Ricercatori e innovatori provenienti dallo stato eurasiatico potranno ora accedere al programma per la ricerca e l’innovazione dell’Unione europea alle stesse condizioni dei loro colleghi cittadini Ue o di altri Stati associati. L’intesa è stata firmata oggi dal commissario Ue per la Ricerca, Carlos Moedas, e dal ministro per l’Educazione e la scienza armeno, Levon Mkrtchyan.

L’Armenia diventa così il 16° Paese associato a Horizon 2020, il programma pubblico per la ricerca più grande al mondo. Finora lo Stato aveva potuto parteciparvi solo come Paese terzo, non avendo quindi accesso a parti importanti del programma, come le iniziativa di supporto al business innovativo.

Vai al sito

Armenia – Azerbaigian: La “guerra dei quattro giorni” non è finita (Il Manifesto 19.05.16)

REPORTAGE. Nel Nagorno-Karabakh si spara ancora in seguito all’escalation di aprile che ha riacceso il conflitto tra armeni e azeri come mai era avvenuto dal cessate il fuoco del 1994. Con centinaia di vittime militari e civili. Il piccolo centro di Talish è un villaggio fantasma. Tra campi abbandonati, mine, cecchini. E bombe a grappolo israeliane inesplose

di Simone Zoppellaro – Il Manifesto

Stepanakert (Nagorno Karabach), 19 maggio 2016, Nena News – «Stai lontano dalla finestra, lì ci sono i cecchini azeri». Il funzionario dei servizi segreti che mi accompagna mi indica la prima linea del conflitto, visibile ad occhio nudo dal vano. Tutt’intorno, libri e quaderni sparsi per terra fra i calcinacci e la polvere. Siamo in una scuola elementare colpita dai razzi Grad, nel villaggio di Talish, in Nagorno-Karabakh. Oggi una città fantasma dopo i combattimenti di inizio aprile, che hanno provocato in questo piccolo insediamento la morte di decine di soldati, ma anche di alcuni civili.

Qui si è combattuto casa per casa, e i segni di proiettili e esplosioni sono ben visibili sulla larga parte degli edifici presenti nel villaggio. Altri sono sventrati da bombe e razzi, come un grande salone usato per matrimoni e feste, completamente distrutto. L’emblema di una guerra senza fine, quella fra armeni e azeri, combattuta alla frontiera dell’Europa da un quarto di secolo, ma che il mondo si ostina a dimenticare.

Anche i trattori sono bersagli

E si continua a sparare, anche dopo l’escalation di aprile. Poche ore prima del nostro arrivo, proprio a Talish un soldato armeno è stato ucciso dai colpi di un cecchino.

L’intero villaggio, abitato ormai solo da soldati e volontari, è rimasto scoperto e inagibile. Gli azeri a inizio aprile hanno guadagnato terreno, spostando in avanti la prima linea del fronte di circa un chilometro, come mi spiega il funzionario, che chiede di rimanere anonimo.

Fino a un mese fa qui i contadini lavoravano ancora la loro terra, ormai abbandonata. Anche i trattori oggi sono possibili bersagli. Ma non è solo il villaggio di Talish a essere sotto tiro. Anche l’unica strada per arrivarci da Martakert è assai pericolosa. Il fronte corre parallelo ad essa a pochi chilometri, e più ci si avvicina a Talish più la distanza si riduce, fino ad arrivare a meno di un chilometro. Per ripararla dal fuoco nemico, gli armeni del Karabakh hanno fatto una nuova strada, con a fianco un alto terrapieno ancora in costruzione. Una scavatrice lavora senza sosta per completarlo, a rischio della vita di chi la guida. In questa strada i mezzi accelerano più che possono, per evitare di essere colpiti dall’artiglieria o dai cecchini.

Gli edifici di Talish, spesso semidistrutti, sono oggi abitati dai soldati del Karabakh e dai volontari armeni accorsi da ogni parte del mondo dopo la grande paura di inizio aprile. Mentre passiamo, si scorge un soldato farsi la barba all’aperto, nello scheletro di un edificio, altri lavarsi e mangiare.

Scene desolanti dominate da povertà, precarietà e sporcizia. Frequenti i posti di blocco della polizia militare, e continua mentre passiamo il viavai di gruppi di volontari che vanno e vengono da questo villaggio dimenticato da Dio.

A Stepanakert incontro alcune famiglie di sfollati provenienti da Talish. Sarebbero oltre una cinquantina, secondo le stime che ci fornisce il Ministero degli Esteri dello stato de facto del Karabakah. Si tratta di donne con figli, alloggiate in alcuni hotel cittadini, come il Nairi. Sole, dato che i mariti sono rimasti al fronte a combattere. Alla domanda fatta ad una di loro, se pensa di tornare un giorno a vivere a Talish, la donna risponde con un no secco: manca la sicurezza, troppa la paura dopo quei giorni terribili. Sua figlia di pochi anni in quel momento scoppia in lacrime: «Mi manca la mia casa».

L’episodio incriminato

Avevano fatto un grande scalpore in Armenia a inizio aprile le foto di alcuni civili di Talish uccisi e mutilati, diffuse dalla stampa. Fonti ufficiali del Karabakh parlano dell’incursione di un commando di una cinquantina di persone, che dopo aver fatto irruzione nel villaggio da tre punti diversi della frontiera avrebbe sparato su civili e soldati. Questo, secondo quanto riportano le fonte armene, sarebbe stato l’episodio all’origine di quella che ormai tutti qui chiamano la seconda guerra del Karabakh (dopo quella dei primi anni novanta) o guerra dei quattro giorni.

Dal 2 al 5 aprile hanno perso la vita alcune centinaia di soldati e civili da entrambe le parti. Tanti i feriti e i mutilati, come ho modo di vedere nell’ospedale militare di Stepanakert. In quei pochi giorni di aprile, sono stati abbattuti elicotteri, droni e carri armati. Una tragedia che non si è conclusa, non solo per il perdurare degli scontri e delle vittime. Solo pochi giorni fa, durante la visita nelle trincee del Karabakh insieme ai soldati, abbiamo sentito esplodere non lontano da noi alcuni colpi di artiglieria. Ma i danni collaterali e le vittime dureranno ancora per mesi, forse per anni. Le bombe a grappolo di produzione israeliana lanciate lungo tutta la linea del fronte vanno ad aggiungersi alle mine anti-uomo e anti-carro di cui il Karabakh è pieno fin dagli anni novanta. Ogni razzo – spiega Yuri Shahramyan, programme manager dell’organizzazione inglese Halo Trust – contiene 104 bozzoli, che una volta raggiunto l’impatto lanciano schegge di metallo tutt’intorno per ferire e uccidere. Sono tanti – mi spiega – i bozzoli ritrovati in villaggi e insediamenti lungo la frontiera.

 Molte le armi di ultima generazione in mano agli azeri, anche di produzione russa. Al boom petrolifero degli anni duemila è seguita una corsa al riarmo vertiginosa. Difficili valutare gli armamenti in mano agli armeni del Karabakh, che in molti casi hanno in dotazione vecchie armi sovietiche. Altre sono invece reperite sul mercato nero. Non essendo uno stato riconosciuto, non c’è altro modo per Stepanakert di procurarsi le armi. Certo, anche da questa parte del conflitto non mancano le armi moderne, droni inclusi, ma per una precisa scelta delle autorità non vengono mostrate ai giornalisti.

Trincee e soldati d’altri tempi

Ed ecco allora che la visione che mi si apre davanti nella trincea a Mataghis, nei pressi di Talish, è una scena di altri tempi. Giovani soldati con un fucile in mano che aspettano giorni e mesi nel fango, come nella grande guerra. A meno venti d’inverno, o nel calore dell’estate, poco importa. Un’attesa che logora e sfinisce. Forse più ancora che il conflitto, qui a pesare sono l’isolamento, la noia e la solitudine senza appello. File di barattoli di latta vuoti pendono ai lati delle trincee: un espediente per scongiurare, con il rumore, possibili incursioni nella notte. Cani lupo hanno la stessa funzione, ma a far la differenza sono soprattutto le mine. Frequenti, indicate da una M maiuscola sul tratto corrispondente della trincea. Tanti, in questo tratto di frontiera, anche i mezzi nascosti dietro la prima linea armena, per scongiurare un attacco come quello di aprile.

Quando – anche se sembrano in pochi a accorgersene – si è combattuto davvero, come mai era avvenuto dopo il cessate il fuoco del 1994. Tanti gli interrogativi sul futuro di un conflitto che si trascina ormai da un quarto di secolo. E una sola certezza: oggi in Karabakh la pace è più lontana che mai. Nena News

Vai al sito

Viaggio del Papa in Armenia: resi noti il motto e il logo (Radio Vaticana 19.05.16)

Sono stati resi noti oggi il motto e il logo del viaggio apostolico che Papa Francesco compirà dal 24 al 26 giugno prossimi nella Repubblica d’Armenia. Il motto è ”Visita al primo Paese cristiano”. La conversione dell’Armenia, infatti, risale al 301, grazie all’opera di San Gregorio l’Illuminatore e può dunque definirsi – come ha detto Papa Francesco – “la prima tra le nazioni che nel corso dei secoli hanno abbracciato il Vangelo di Cristo” (Messaggio agli Armeni, 12 aprile 2015).

Il logo
Il logo, di forma circolare, raffigura il Monte biblico Ararat, simbolo dell’Armenia, e il “Khor Virap” di Artashad (“pozzo profondo”) in cui San Gregorio l’Illuminatore venne imprigionato per quasi 14 anni, dove oggi sorge il Monastero omonimo. Una volta liberato, San Gregorio, che divenne il primo primate dell’Armenia, dichiarò, insieme a Re Tirdate III, il cristianesimo religione di Stato dell’Armenia. Nel logo sono riportati gli emblemi e i colori, il viola e il giallo, della Chiesa Armeno Apostolica e della Santa Sede.

Programma del viaggio
Secondo il programma ufficiale, Francesco arriverà il pomeriggio di venerdì 24 nella capitale Yerevan. Subito la preghiera alla Cattedrale armeno apostolica di Etchmiadzin con il saluto al Catholicos, quindi l’incontro con il presidente e le autorità civili e il discorso al corpo diplomatico. Sabato 25 sui passi di San Giovanni Paolo II, il Papa visiterà il Memoriale dell’eccidio degli armeni sotto l’Impero ottomano tra il 1915 e il 1916. A Gymuri, seconda città più popolosa in Armenia colpita da un violento sisma a fine anni Ottanta, Francesco celebrerà la Messa e visiterà la Cattedrale armeno apostolica delle Sette Piaghe e la Cattedrale armeno cattolica dei Santi Martiri. In serata, di nuovo a Yerevan l’incontro ecumenico e la preghiera per la pace. Domenica 26 giugno, terzo e ultimo giorno della visita in Armenia, l’incontro del Papa con i vescovi cattolici armeni nel Palazzo Apostolico ad Etchmiadzin e la partecipazione alla Divina Liturgia nella Cattedrale armeno apostolica. Dopo il pranzo, l’incontro con i delegati e benefattori della Chiesa armena apostolica e la firma di una Dichiarazione congiunta. Prima del rientro in Vaticano il Santo Padre pregherà nel Monastero di Khor Virap.

Vai al sito

Avvicinare le culture? A Canosa un incontro sull’Armenia (Pugliain.net

Un incontro ed una mostra fotografica per favorire il dialogo e l’avvicinamento tra culture distanti ma vicine

canosa-armenia

A sostegno del Decennio Internazionale UNESCO per l’avvicinamento delle culture (The International Decade for the Rapprochement of Cultures, 2013-2022) il Club per l’UNESCO di Canosa di Puglia ha organizzato, con la collaborazione delle associazioni cittadine Inner Wheel, Rotary Club, IDAC, FIDAPA, Fondazione Archeologica Canosina, UTE e Proloco, con il Patrocinio della Regione Puglia Assessorato all’industria turistica e culturale, della Provincia Barletta Andria Trani e del Comune di Canosa di Puglia e dell’assessorato alla Cultura, l’incontro culturale che si terrà nella  Cattedrale di S. Sabino alle ore 20,00 di sabato prossimo, 21 maggio dal titolo “Armenia, tra cultura e memoria“.

“L’idea di fondo – racconta Patrizia Minerva, che è presidente del Club Unesco – è che  “la nostra diversità culturale è patrimonio comune dell’umanità. Si tratta di una fonte di rinnovamento delle idee e delle società, attraverso il quale aprirsi agli altri e creare nuovi modi di pensare. Questa diversità offre opportunità per la pace e lo sviluppo sostenibile“ (Irina Bokova, Direttore Generale UNESCO), attraverso un dialogo che faciliti la mutua comprensione fra soggetti appartenenti a culture diverse. L’incontro sarà tenuto da illustri relatori, cui seguirà, a partire da domenica 22 maggio fino al 28 maggio, l’esposizione di una mostra fotografica, allestita per l’occasione preso l’androne del Museo dei Vescovi,  tratta dal  ricco archivio del Centro Studi Hrand Nazariantz di cultura armena ed orientale di Bari”.

Dunque nella Giornata Internazionale della Diveristà culturale e del dialogo, questo incontro può rappresentare anche un valido strumento per favorire un proficuo scambio tra culture e paesi differenti, in un momento nel quale la curiosità e la conoscenza hanno lasciato il posto a sentimenti di intolleranza e paura.

Nagorno Karabagh e vertice di Vienna: un orologio in contro-tempo (Spondasud 18.05.16)

di Bruno Scapini – ex ambasciatore d’Italia in Armenia

L’incontro a Vienna tra i due Presidenti dell’Armenia e dell’Azerbaijan, svoltosi lo scorso 16 maggio a Vienna nella cornice dell’ OSCE, ha dato i suoi frutti: è riuscito infatti a riportare indietro le lancette dell’orologio cui si lega il processo di pace per una soluzione del conflitto sul Nagorno Karabagh.

Un orologio in “contro-tempo” che conferma quanto doveva essere già scontato e acquisito a livello negoziale dopo tanti anni – se non decenni – di ondivaghe trattative e di incontri inconcludenti.

In ogni caso, da un esame degli esiti dell’incontro di Vienna possiamo con certa fondatezza affermare che il risultato è andato sicuramente in favore dell’Armenia. Yerevan, infatti, oltre a porre la questione delle violazioni azere del “cessate-il-fuoco” sul tavolo di un negoziato allargato questa volta alla partecipazione del Segretario di Stato USA , John Kerry, e al Ministro degli Esteri russo, Lavrov, ha ottenuto – e questo non è poco – il riconoscimento dell’impegno di tutte le parti, e sopratutto di Baku, a riaffermare come punto di ripartenza per una soluzione del conflitto, gli accordi del “cessate-il-fuoco” del 1994/1995. Una circostanza, questa, non indifferente in quanto ammette implicitamente la partecipazione all’impegno di rispettare gli accordi dello stesso Nagorno Karabagh – che Baku vorrebbe invece estromettere – , ovvero riconosce l’originario formato “trilaterale” cui ispirare un potenziale futuro processo negoziale che possa includere – come auspicato da Yerevan – la stessa dirigenza di Stepanakert.

Altro risultato del vertice sarebbe, poi, la “disponibilità” manifestata da Baku ad accettare un qualche meccanismo di monitoraggio da parte dell’ OSCE lungo la “linea di contatto”. Parliamo di “disponibilità” e non di altre espressioni negoziali semplicemente perché non si è trattato di vere e proprie decisioni assunte al riguardo, bensì di mera “buona volonta’” esplicitata da parte azera a considerare possibili formule di controllo sul rispetto del “cessate-il-fuoco” che dovranno essere proposte e accettate in sede di prossimi incontri.

Sul terreno, intanto, Baku non demorde, né si lascia dissuadere da questo incontro al vertice dalle provocazioni. Le violazioni del “cessate-il-fuoco”, infatti, continuano sui confini, con mortali colpi di sniper, mortai e varia artiglieria, per cessare momentaneamente solo in occasione dei sporadici controlli di “monitoring” condotti dai “Co-chairs” in qualche punto della linea di contatto.

Una vittoria per l’Armenia, dunque, quella di Vienna. Una “vittoria di Pirro” però, potremmo definirla, in quanto vittoria inutile sul piano tecnico-negoziale avendo unicamente prodotto come esito il “riconoscimento” di quello che avrebbe dovuto essere già acquisito da anni di trattative bi-multilaterali, e che è stato improvvisamente compromesso dall’improvvido tentativo dell’Azerbaijan di risolvere il conflitto militarmente con l’attacco condotto ad inizio aprile contro il Nagorno Karabagh.

L’orologio del negoziato è così tornato indietro. Le sue lancette sono state riportate dove avrebbero dovuto essere: si torna al tavolo del negoziato, si riapre lo scorcio della speranza, si ripropone una prospettiva risolutiva negoziata. E ciò nel presupposto di un più convincente impegno alla pacificazione di tutte le parti interessate. Una vittoria, però, di cui avremmo ben fatto a meno, che serve unicamente il fine di rilanciare un ruolo dei “Co-chairs” dell’ OSCE, palesemente paludato e inconcludente negli ultimi anni, come forse, anche quello di restituire credibilità ad un negoziato in cui nessuno realisticamente ispirato più crederebbe. E tanto meno la stessa Yerevan che, avvezza ormai alla inaffidabilità azera, certamente non si lascerà illudere da queste “promesse” di buona volontà per guardare con disincanto agli eventi, traendone la giusta esperienza per mettere in atto una “real politik” capace di servire effettivamente il legittimo interesse all’auto-determinazione del popolo del Nagorno Karabagh.

Una vittoria – aggiungeremmo ancora – di cui avremmo ben fatto a meno sopratutto per evitare l’inutile spendita di vita dei soldati caduti il cui orologio, contrariamente al negoziato, non potrà mai più tornare indietro.

Vai al sito

Tensioni Ankara-Germania sul genocidio armeno (Cdt.ch 18.05.16)

BERLINO – La decisione del Bundestag tedesco di votare il prossimo 2 giugno una risoluzione che riconosce come genocidio le uccisioni di massa degli armeni avvenute 101 anni fa nell’Impero ottomano è stata ufficialmente criticata dalla Turchia.

Come riporta lo Spiegel online, il portavoce del presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha definito “un abuso politico” la scelta del parlamento tedesco. “Parlare di questa vicenda senza prove storiche e giuridiche è un abuso politico”, ha detto.


Germania | al Bundestag mozione per riconoscere genocidio armeni in Turchia (Zazoom social news 17.05.16)

Germania, al Bundestag mozione per riconoscere genocidio armeni in Turchia (Di martedì 17 maggio 2016) Nel Bundestag, il Parlamento tedesco, è stata introdotta una risoluzione che chiede di riconoscere il genocidio della popolazione armena nell’Impero Ottomano. Lo riporta il giornale “Bild am Sonntag”. Il documento si chiama “Memoria delle vittime del genocidio degli armeni e delle altre minoranze cristiane nell’Impero Ottomano 101 anni fa.” La mozione è stata presentata in una … L’articolo Germania, al Bundestag mozione per riconoscere genocidio armeni in Turchia


 

Germania, al Bundestag mozione per riconoscere genocidio armeni in Turchia (Sputinik 16.05.16)

Nel Bundestag, il Parlamento tedesco, è stata introdotta una risoluzione che chiede di riconoscere il genocidio della popolazione armena nell’Impero Ottomano. Lo riporta il giornale “Bild am Sonntag”.

Il documento si chiama “Memoria delle vittime del genocidio degli armeni e delle altre minoranze cristiane nell’Impero Ottomano 101 anni fa.” La mozione è stata presentata in una sessione parlamentare dai deputati del partito dei “Verdi”, del “Partito Socialdemocratico di Germania” (SPD) e da altri gruppi.

Come affermato dal leader dei Verdi Cem Özdemir, uno degli autori della mozione, “è possibile che possano sorgere dei problemi nei rapporti con Ankara. Ma il Bundestag non si presterà ai ricatti di un despota come Erdogan”.

“I documenti del ministero degli Esteri sulle uccisioni di massa degli armeni parlano da soli. Dopo la nostra decisione per la Turchia sarà molto più difficile negare il genocidio ancora a lungo,” — ha aggiunto Özdemir.

A sua volta il capogruppo dei socialdemocratici tedeschi Thomas Opperman ha detto: “La Germania ha una particolare responsabilità storica in qualità di ex alleato dell’Impero Ottomano. E’ una questione del tutto indipendente dal dibattito politico sulla crisi migratoria. Sono contrario all’obbedienza nei rapporti con Erdogan.”

Nel Bundestag il voto sulla risoluzione è previsto per il prossimo 2 giugno.

Ad aprile dello scorso anno il Bundestag aveva approvato a larga maggioranza una risoluzione in cui le uccisioni di massa degli armeni nell’Impero Ottomano venivano equiparate ad un genocidio.

Il genocidio armeno è l’annientamento sistematico della comunità armena nell’impero Ottomano avvenuto durante e dopo la Prima Guerra Mondiale. Secondo varie fonti, a seguito delle azioni delle autorità turche sono rimasti uccisi da 800mila a 1,5 milioni di armeni.

La Turchia nega il nesso di questi fatti con la definizione di genocidio. Secondo la posizione ufficiale di Ankara, non era voluto lo sterminio degli armeni.

Il genocidio armeno ufficialmente è stato riconosciuto da molti Paesi, compresa la Russia. In alcuni Paesi (Francia, Svizzera, ed altri) la negazione del genocidio armeno è un reato penale.

Leggi tutto: http://it.sputniknews.com/politica/20160516/2694655/Ottomani-sterminio-Erdogan-profughi.html#ixzz49Cyols2D

 


 

Veritice Vienna. Accordo per cessate il fuoco in Nagorno-Karabakh tra Armenia e Azerbaigian (Euronews e altri 17.05.16)

Il Presidente armeno Serge Sarkissian e l’azero Ilham Aliev si sono incontrati per la prima volta da quando il conflitto si è aggravato in Nagorno-Karabakh.

A Vienna Stati Uniti, Russia, Francia, sotto l’egida dell’Osce, fanno da mediatori per una distensione tra Armenia ed Azerbaigian sul conflitto nel territorio conteso del Caucaso meridionale. Protagonisti della mediazione sono il Segretario di Stato Americano John Kerry, il Ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov e il Segretario di Stato francese agli Affari Europei Harlem Désir.

L’incontro ha permesso di evidenziare la comune volontà di stabilire un cessate il fuoco e lanciare un processo di pace. Un prossimo incontro tra le parti è stato fissato per giugno. L’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce) finanziera un piano di monitoraggio per il rispetto della tregua.

Nel mese di aprile sono stati circa 110 i morti nei nuovi, duri scontri scoppiati in Nagorno-Karabakh, sia civili che militari. Si è trattato dei peggiori scontri dalla sottoscrizione del precedente cessate il fuoco, risalente al 1994 e stipulato dopo una guerra che aveva fatto 30.000 morti e centinaia di migliaia di rifugiati, principalmente in Azerbaigian.

Vai al sito


 

Armenia e Azerbaijan si impegnano per la pace in Nagorno-Karabakh (Tpi.it 17.05.16)


Karabakh, nuova tregua tra Armenia e Azerbaigian (Askanews.it 17.05.16)

Vienna, 17 mag. (askanews) – I presidente di Armenia e Azerbaigian hanno concordato un nuovo cessate il fuoco nella regione contesa del Nagorno Karabakh e la ripresa del dialogo politico. Il presidente azero Ilham Aliyev e l’omologo armeno Serzh Sarkisian hanno annunciato la tregua in una nota congiunta con i mediatori Usa, russo e francese. Baku ed Erevan hanno concordato anche un sistema di osservatori del cessate il fuoco, sotto l’egida dell’Ocse, e la ripresa dello scambio di dati sulle persone scomparse nel conflitto, vecchio di un quarto di secolo. “Abbiamo ragione di credere che i negoziatori armeni e azeri saranno inclini a cercare un compromesso” ha detto il capo della diplomazia russa Sergei Lavrov, presente all’incontro.


ARMENIA: Il governo di Yerevan riconoscerà il Nagorno-Karabakh? (East Journal 17.05.16)

L’Armenia starebbe seriamente pensando di riconoscere ufficialmente la Repubblica del Nagorno-Karabakh. In seguito alle recenti tensioni che hanno riportato la questione del Karabakh all’attenzione della comunità internazionale, a oltre vent’anni dalla fine della sanguinosa guerra tra armeni e azeri per il controllo della regione, conclusasi con la secessione dell’Artsakh (nome con cui gli armeni riconoscono il Karabakh) dall’Azerbaigian, il governo di Yerevan ha iniziato a valutare il riconoscimento dell’indipendenza della regione, come risposta alle azioni militari di Baku.

La questione del riconoscimento è tornata improvvisamente d’attualità in seguito ai violenti scontri verificatisi nel Nagorno-Karabakh all’inizio di aprile, considerati i più gravi degli ultimi vent’anni, in quanto hanno causato la morte di centinaia di persone e hanno visto l’utilizzo contemporaneo di carri armati, elicotteri, missili e artiglieria pesante. Nonostante non si possa stabilire con certezza quale dei due schieramenti abbia fatto la prima mossa, considerate anche le versioni contrastanti a riguardo, le autorità della Repubblica de facto del Nagorno-Karabakh hanno denunciato un massiccio attacco da parte dell’esercito azero, che avrebbe invaso diversi villaggi armeni situati lungo la linea di confine. Questa breve ma intensa escalation di violenza è stata seguita con grande coinvolgimento in tutta l’Armenia, tanto che parte dell’opinione pubblica si è mossa per convincere il governo di Yerevan a trattare il riconoscimento della regione.

Per rispondere all’aggressione azera, all’inizio di maggio due parlamentari dell’opposizione, Zaruhi Postanjyan (Patrimonio) e Hrant Bagratyan (Movimento Nazionale Pan-Armeno), hanno deciso di presentare al governo una proposta di legge riguardante proprio il riconoscimento del Nagorno-Karabakh. Lo scorso 5 maggio la proposta di legge è stata presentata al Consiglio dei ministri, che l’ha approvata senza obiezioni, passando così la palla al parlamento, al quale spetta l’ultima parola. Secondo quanto previsto dalla legislazione armena, infatti, ogni proposta di legge deve venire approvata dal governo prima di essere portata in parlamento per la decisiva votazione.

Se la proposta di legge venisse approvata anche dal parlamento, l’Armenia diventerebbe il primo paese delle Nazioni Unite a riconoscere ufficialmente la Repubblica del Nagorno-Karabakh. Attualmente infatti, il governo di Stepanakert è riconosciuto solamente da tre altre repubbliche dallo status a loro volta discusso come Abkhazia, Ossezia del Sud e Transnistria. Negli ultimi 25 anni l’Armenia ha sempre sostenuto sia economicamente che militarmente il Nagorno-Karabakh, chiedendo a più riprese anche alla comunità internazionale di sostenerne la causa. Nel corso di questi anni diversi parlamentari armeni hanno inoltre provato più volte a chiedere al proprio governo di riconoscere l’indipendenza del Karabakh, anche se fino a questo momento Yerevan si è sempre dovuta trattenere dal riconoscere ufficialmente Stepanakert a causa delle imposizioni dettate dal Gruppo di Minsk, struttura presieduta da Russia, Francia e Stati Uniti incaricata di trovare una soluzione pacifica al conflitto.

L’ipotesi di un riconoscimento armeno del Karabakh ha fatto infuriare le autorità azere, che da anni denunciano l’occupazione di questa regione da parte proprio dell’esercito di Yerevan. Il  Ministero degli Esteri dell’Azerbaigian, attraverso il proprio portavoce Khikmet Gadzhiyev, ha affermato che riconoscendo l’indipendenza del Nagorno-Karabakh l’Armenia verrebbe meno alle promesse fatte al Gruppo di Minsk, mettendo così fine ai colloqui di pace, in quanto lo stesso Gruppo di Minsk dovrebbe rinunciare al suo mandato. Per Gadzhiyev questa decisione avrebbe pesanti ripercussioni, e la responsabilità ricadrebbe sull’Armenia e sul proprio governo. Secondo Arye Gut, politologo israeliano vicino alle posizioni di Baku, la recente minaccia di riconoscere il Karabakh non è altro che l’ennesima provocazione messa in atto dall’Armenia, che però è sia geopoliticamente che economicamente dipendente dal Cremlino, senza l’approvazione del quale Yerevan non può essere libera di prendere questo tipo di decisioni.

Da parte armena, a cercare di chiarire la situazione ci ha pensato Shavarsh Kocharyan, vice ministro degli Esteri di Yerevan, il quale ha dichiarato che il governo ha approvato la discussa proposta di legge in seguito ad una serie di colloqui tra i rappresentanti dell’Armenia e del Karabakh, aggiungendo però che il riconoscimento del Karabakh è subordinato all’evolversi della situazione nella regione. Se l’Azerbaigian lancerà una nuova offensiva militare la questione del riconoscimento del Nagorno-Karabakh entrerà all’ordine del giorno nell’agenda del parlamento armeno. Dello stesso parere è sembrato essere Davit Babayan, collaboratore di Bako Sahakyan, presidente de facto del Nagorno-Karabakh, il quale ha affermato che il riconoscimento avverrà solo nel caso in cui l’Azerbaigian dovesse scatenare una nuova guerra. Inoltre, nonostante il governo de facto di Stepanakert faccia il possibile per promuovere la propria causa, per una serie di ragioni politiche esso ritiene che l’Armenia non dovrebbe essere la prima nazione a riconoscerne l’indipendenza.


 

Papa in Armenia. Il programma del viaggio (Radio Vaticana 14.05.16)

La Sala Stampa vaticana ha reso noto il programma del viaggio apostolico di Papa Francesco in Armenia, dal 24 al 26 giugno prossimi. Il servizio di Paolo Ondarza:

Francesco arriverà il pomeriggio di venerdì 24 nella capitale Yerevan. Subito  la preghiera alla Cattedrale apostolica di Etchmiadzin con il saluto al Catholicos, quindi l’incontro con il presidente e le autorità civili e il discorso al corpo diplomatico. Sabato 25 sui passi di san Giovanni Paolo II, il Papa visiterà il Memoriale dell’eccidio degli armeni sotto l’impero ottomano tra il 1915 e il 1916. A Gymuri, seconda città più popolosa in Armenia colpita da un violento sisma a fine anni Ottanta, Francesco celebrerà la messa e visiterà la Cattedrale armeno apostolica delle Sette Piaghe e la Cattedrale armeno cattolica dei Santi Martiri. In serata, di nuovo a Yerevan l’incontro ecumenico e la preghiera per la pace. Domenica 26 giugno, terzo e ultimo giorno della visita in Armenia, l’incontro del Papa con i vescovi cattolici armeni nel Palazzo Apostolico ad Etchmiadzin e la partecipazione alla Divina Liturgia nella Cattedrale armeno apostolica. Dopo il pranzo, l’incontro con i delegati e benefattori della Chiesa armena apostolica e la firma di una Dichiarazione congiunta.Prima del rientro in Vaticano il Santo Padre pregherà nel monastero di Khor Virap, luogo del pozzo in cui, secondo la tradizione, fu tenuto imprigionato per 12 anni Gregorio l’Illuminatore, fondatore del Cristianesimo in Armenia.

Vai al sito


BERGOGLIO IN ARMENIA, ECCO IL PROGRAMMA DEL VIAGGIO (In Terris 14.05.16)

Papa in Armenia a giugno: la gioia della comunità armena (Radio Vaticana 14.05.2016)

Grande gioia nella comunità armena per la visita del Papa in Armenia dal 24 al 26 giugno prossimi. Ieri il programma è stato reso noto dalla Sala Stampa Vaticana: le tre dense giornate prevedono la visita al memoriale dell’eccidio del 1915-16,  momenti di ecumenismo come la preghiera per la pace e la dichiarazione congiunta con la Chiesa armeno apostolica e l’incontro con la comunità cattolica. Al microfono di Paolo Ondarza l’arcivescovo degli armeni cattolici di Aleppo in Siria, mons. Boutros Marayati

R. – Per noi armeni si tratta di una notizia che ci fa onore e che ci dà una grande, grande gioia. E questo anzitutto perché il Santo Padre, che conosce bene la storia degli armeni, viene come pellegrino per ricordare la memoria dei martiri armeni. L’anno scorso – il 12 aprile – ha celebrato la Messa in occasione del centenario dei martiri armeni, del genocidio perpetrato dagli ottomani nel 1915. E quest’anno, a coronazione di questa celebrazione, verrà personalmente a visitare questa terra cristiana, in cui c’è il sangue dei martiri, e a pregare. Avrà anche un incontro ecumenico con la Chiesa armeno-ortodossa: così questa visita avrà anche un valore ecumenico. Ma viene anche per incoraggiare la presenza della Chiesa armeno-cattolica: noi siamo presenti in Armenia, con il nostro arcivescovo, con i sacerdoti, le suore e tanti fedeli che stanno qui, che hanno vissuto qui durante il regime sovietico e che adesso sono liberi ed hanno incominciato a riaprire le loro chiese. La visita del Santo Padre e la sua Santa Messa nel centro di Gymuri è per noi un grande incoraggiamento. Cominciando dal Presidente fino ad arrivare all’ultimo cittadino saremo lì ad accogliere il Santo Padre. Speriamo che possa darci anche speranza per una vita di pace con tutti i Paesi che confinano con questo piccolo Paese, che è l’Armenia; ma anche per una collaborazione fra gli armeni della Repubblica Armena e tutti gli armeni che stanno nella diaspora.

D. – Guardando agli avvenimenti che scandiranno questa visita, lei ricordava la visita al memoriale del martirio degli armeni; ci sarà poi la firma di una dichiarazione congiunta con la Chiesa armena apostolica; il Papa pregherà poi presso il Monastero di Khor Virap, che è il luogo della prigionia di Gregorio Illuminatore… Quindi sarà un viaggio con contenuti molto forti per l’Armenia, ma anche – potremmo dire – per la situazione internazionale…

R. – Senz’altro, anche perché l’Armenia pensa e vorrebbe entrare nella Comunità Europea. L’Armenia ha anche problemi di guerra e di pace con gli altri Paesi vicini… Sarà occasione di pensare a una pace, a una intesa. Credo che la cosa più bella e più poetica sarà proprio quando andrà a visitare il Convento di Khor Virap: da lì si vede il Monte Ararat, il monte biblico, il monte armeno, che oggi si trova in territorio turco… Noi lo vediamo da questa parte e ci dice che l’Arca di Noè è arrivata lì e che un giorno tutto il popolo armeno sarà vicino a Dio grazie ai martiri che ha dato per Cristo.

D. – Una visita che si pone in continuità con quella di San Giovanni Paolo II: cosa è rimasto di quel viaggio apostolico?

R. – Quel viaggio apostolico – al quale ho partecipato – ha avuto un carattere molto privato; questo viaggio avrà, invece, un’apertura più forte, perché il Santo Padre andrà a Gymuri, nel nord dell’Armenia, dove c’è una presenza molto forte di armeni cattolici. E questo anche con la benedizione del Catholicos apostolico armeno di Etchmiadzin, che lo accompagnerà. Presiederà una Messa lì, nella piazza di questa città di Gymuri, dove c’è una presenza cattolica. Quindi c’è davvero questa grande apertura.

Vai al sito

Eurovision, sul palco la Guerra fredda: la cantante ucraina fa infuriare Mosca. È un caso anche la sexy-armena Iveta (Il Messaggero 14.05.16)

MOSCA – Un festival canoro che rischia di trasformarsi in uno scandalo continentale. La finale di “Eurovision 2016” a Stoccolma è ormai così politicizzata che alcuni osservatori l’hanno definita il “nuovo campo di battaglia” tra russi ed ucraini. Ma non solo. Rappresentanti di altri Paesi, con qualche sassolino nelle scarpe, guardano interessati. A nulla è infatti valsa la decisione degli organizzatori di qualche settimana fa di vietare lo sventolio di bandiere di alcune regioni-Stato contese, tra le quali quelle del Kosovo o della Crimea. La cantante armena Iveta Mukhchyan se n’è infischiata ed ha già esibito bellamente sul palco il vessillo dell’enclave del Nagorno-Karabakh, suscitando l’ira degli azeri.
LA LETTONIA E L’OSSEZIA
Questo festival canoro viene preso terribilmente sul serio in Europa centro-orientale. Su questi palcoscenici nacque l’immagine della Lettonia come “nazione cantante” a ridosso dell’allargamento ad Est dell’Unione europea tra il 2002 ed il 2003. Qui i georgiani, all’indomani della guerra per l’Ossezia meridionale combattuta contro Mosca nell’agosto 2008, presentarono una canzone dal titolo “We don’t wanna Put In”. L’assonanza chiarissima entrò nelle case di milioni di spettatori tra i quali quelli russi. L’anno prima Dima Bilan aveva ricevuto le congratulazioni dell’allora presidente federale Dmitrij Medvedev pochi minuti dopo la sua vittoria.

La vera mina vagante dell’edizione 2016 è, però, la splendida cantante tataro-crimeana, la 32enne Jamala. La rappresentante ucraina canta “1944” sulla tragica deportazione in Asia da parte di Stalin del suo popolo, accusato ingiustamente di aver “collaborato con gli occupanti nazi-fascisti”. Dopo “l’annessione” della penisola contesa da parte di Mosca nel marzo 2014, la ragazza non è più tornata a casa dai suoi genitori. «Canta Jamala! Canta! – ha scritto il famoso giornalista Ayder Muzhdabayev -. Fai sentire loro il nostro dolore e vedere la nostra dignità. Canta per i nostri morti, i nostri scomparsi ed i prigionieri di coscienza». Durante la semifinale di giovedì, denunciano gli ucraini, i giornalisti della tv di Stato federale hanno falsificato il significato di “1944”, spiegando che trattava di gente che lasciava il Paese in cerca di una vita migliore e non di deportati.
I FAVORITI
Secondo i bookmakers specializzati Jamala – il cui testo è in tataro ed in inglese – è tra le favorite alla vittoria finale insieme al cantante russo, Serghej Lazarev. Gli ucraini hanno, però, tirato già le mani avanti: se verrà creata ad arte una qualche situazione strana ed il rappresentante russo vincerà, la repubblica ex sovietica non parteciperà più per protesta ad Eurovision. Come in passato, è prevedibile che l’Europa ex satellite del Cremlino voterà in massa per la tatara, mentre quelli filo-russi per Lazarev. Insomma un bel grattacapo per gli organizzatori, che, forse, preferirebbero soluzioni diverse. Chissà, l’Australia? Così lontana da tutte queste lotte!

Vai al sito


 

Eurovision Song Contest 2016, stasera la seconda semifinale: Celentano appoggia la Michielin e l’Armenia viene sanzionata (Rockol 14.05.16)