L’Armenia scrive alla città: “Grazie per non dimenticare il genocidio” (Varesenews.it 02.03.16)

 La lettera porta in calce la firma dell’ambasciatore Sargis Ghazaryan ma il ringraziamento è in nome di tutto il popolo armeno. In occasione della “giornata dei giusti” in programma per il prossimo 6 marzo Busto Arsizio ha infatti deciso di ricordare la tragedia che tra il 1915 e il 1916 causò la morte di un milione e mezzo di persone.
Un evento che avrà il suo cuore nella proiezione del film “la masseria delle allodole” dei fratelli Taviani, in programma domenica 6 marzo alle 16 nella sala Tramogge dei Molini Marzoli.
Alla proiezione era stato invitato anche l’ambasciatore dell’Armenia in Italia ma che, non potendo partecipare, ha comunque deciso di ringraziare la città concedendo il proprio patrocinio e inviando una lettera che vi proponiamo integralmente.

L’Ambasciata della Repubblica d’Armenia in Italia è lieta di concedere il patrocinio all’evento dedicato alla memoria del Genocidio armeno in occasione della Giornata Europea dei Giusti il 6 marzo.

Mi fa piacere che l’approfondimento sul primo genocidio del XX secolo prenda spunto dalla proiezione del film dei fratelli Taviani “La masseria delle allodole”. La forza evocativa delle immagini può dove spesso falliscono più di mille parole.

A cent’anni dal Medz Yeghern (II Grande Male) abbiamo sempre e costantemente bisogno di evocare per non dimenticare, di parlare per non sottovalutare, di adoperarci affinché la memoria sia prescrittiva e vada, insomma, oltre il semplice ricordo ma sia impegno e monito per il futuro, affinchè simili crimini -non puniti e non riconosciuti- non abbiano a ripetersi.

Sono sicuro che il Consigliere Genoni, che qui ringrazio, e tutta l’amministrazione comunale di Busto Arsizio intendevano questo quando hanno sollecitato l’organizzazione di un momento dedicato al Genocidio armeno con lo scopo, e di ciò sono ancor più grato, di stimolare una riflessione nelle giovani generazioni.

Purtroppo a causa di impegnti presi da tempo, non potrò essere lì con voi.

A Lei, all’amministrazione comunale, ai cittadini di Busto Arsizio e a tutti gli studenti che saranno presenti va il mio personale e sincero auspicio di continuare senza paura un percorso di coscienza e di verità.

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Minacce azere (Osservatorio Balcani e Caucaso 29.02.16)

Venerdì scorso si è tenuto a Roma un incontro organizzato da Amnesty Italia e FNSI per parlare delle violazioni dei diritti umani e delle libertà di espressione in Azerbaijan. L’incontro è stato ostacolato con lettere dell’ambasciata dell’Azerbaijan e tentativi di boicottaggio si sono ripetuti in sala. Richiesto l’intervento delle forze dell’ordine.

“Azerbaijan e la repressione invisibile”, è il titolo dell’incontro organizzato da Amnesty Italia nella sede romana della Federazione nazionale della stampa italiana (FNSI) che si è tenuto venerdì 26 febbraio a Roma. Un incontro a cui hanno partecipato, Beppe Giulietti presidente FNSI, Riccardo Noury portavoce di  Amnesty International Italia, Simone Zoppellaro, corrispondente di OBC, Elena Gerebizza, dell’associazione Re: Common, e Dinara Yunus, figlia di due noti dissidenti azeri Leyla e Arif Yunus, entrambi incarcerati e poi rimessi in libertà vigilata per motivi di salute.

Si è trattato di un’importante occasione per parlare in Italia di un regime repressivo come quello dell’Azerbaijan, della violazione dei diritti umani, delle gravi limitazioni alle libertà di espressione di stampa in atto nel paese caucasico. I lettori di OBC sanno che da anni cerchiamo di portare l’attenzione su questi temi, sia in Italia che a livello internazionale. Ben venga quindi che insieme ad Amnesty e FNSI si sia riusciti ad organizzare un incontro a Roma dove poter parlare pubblicamente e apertamente di questioni poco conosciute e poco presenti sui media italiani.

Perché scrivere di questo? Per il semplice fatto che l’ambasciata dell’Azerbaijan ha provato con tentavi di “intimidazione”,come li ha definiti Riccardo Noury, con avvertimenti e numerose lettere recapitate alla FNSI e ad Amnesty Italia di impedire che un evento come questo si svolgesse. Beppe Giulietti, nel suo intervento introduttivo, ha precisato di aver ricevuto una ventina di lettera dell’Ambasciata dell’Azerbaijan che chiedevano di sospendere l’incontro, lettere che ovviamente sono tornate al mittente. Il clima che si è creato prima ancora che si tenesse l’incontro ha richiesto la presenza dei Carabinieri e infine anche della Digos. Questo non ha impedito che alcuni individui, identificati dagli organizzatori come legati all’ambasciata dell’Azerbaijan, filmassero e fotografassero i presenti all’incontro.

Gli organizzatori hanno quindi scelto di non lasciare spazio al dibattito, per evitare che si arrivasse ad uno scontro verbale dai toni accesi. Cosa che però non è stata evitata fino in fondo. Nonostante la richiesta di non dibattere esplicitata da Beppe Giulietti nell’introduzione all’evento e ripetuta da Ricardo Noury a conclusione dello stesso, c’è stato qualcuno che ha alzato la voce in sala cercando di mettere in discussione quanto detto dai relatori.

L’intervento della Digos ha prima bloccato le inopportune lamentele, poi la polizia ha scortato i relatori dell’evento, con Dinara Yunus visibilmente scossa per l’accaduto, fino a che non sono saliti su un taxi.

Simone Zoppellaro ci ha raccontato di cori da stadio in sala che scandivano “Khojaly”, il riferimento è al massacro di Khojaly avvenuto il 25-26 febbraio 1992, quando l’esercito armeno uccise centinaia di civili azeri nella città omonima, durante la guerra nel Nagorno Karabakh.

Ora, come far capire alla Baku ufficiale che parlare di diritti umani in Azerbaijan, di gravi violazioni delle libertà di espressione e dei media, di diritti civili ecc., non significa negare che ci sia stato un massacro di civili azeri a Khojaly e soprattutto che non significa assolutamente essere filo armeni. Sulle pagine di OBC abbiamo sempre parlato nel modo più oggettivo possibile dei crimini commessi da tutte le parti in conflitto, nei vari conflitti di cui ci siamo occupati. Ma allo stesso tempo abbiamo sempre fatto in modo di non prestare il fianco a regimi autoritari e repressivi, anzi ne abbiamo sempre cercato di denunciare la cattiva condotta.

Ci occupiamo di quasi una trentina di paesi, compresi gli stati de facto, in un’area che va dalla Slovenia all’Azerbaijan. Con nessuno di questi paesi abbiamo mai avuto problemi per quello che scriviamo, ad eccezione dell’Azerbaijan che di regola quando pubblichiamo un articolo ritenuto “scomodo” ci recapita una lettera tramite la sua ambasciata in Italia.

Forse se oltre ai pochi giornalisti e attivisti dei diritti umani che si occupano di questi temi, ad Amnesty e alla FNSI, ci fosse qualcun altro, comprese le alte sfere della politica e dell’economia, che portasse l’attenzione su questo tipo di comportamento da parte delle autorità azere, ci sentiremmo meno soli nel lavoro che stiamo facendo e forse ancora si eviterebbero situazioni altamente sgradevoli come quelle dell’incontro di Roma.

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Amnesty International contro l’Azerbaigian: caos in una conferenza a Roma

Ue: Mogherini domani e martedì in visita in Arzerbaigian e Armenia, previsti incontri con presidenti Aliyev e Sargsyan (Agenzianuova.com 28.02.16)

Bruxelles, 28 feb 13:15 – (Agenzia Nova) – L’Alto Rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, si recherà in Azerbaigian domani 29 febbraio e in Armenia il primo marzo nell’ambito della serie di visite nei paesi del partenariato orientale, che l’avevano portata l’anno scorso in Ucraina e Georgia. In Azerbaigian la Mogherini incontrerà il presidente Ilham Aliyev e il ministro degli Esteri, Elmar Mammadyarov. A Baku, parteciperà anche al Consiglio consultivo ministeriale sul Corridoio meridionale del gas insieme al vicepresidente Maros Sefcovic. Durante la sua visita in Armenia invece la Mogherini incontrerà il presidente Serzh Sargsyan, il ministro degli Esteri Edward Nalbandian e i membri dei vari partiti politici in parlamento, così come i rappresentanti della società civile.

Altri MiG-29 russi in Armenia (Analisidifesa.it 28.02.16)

Secondo quanto pubblicato dall’agenzia di stampa Press TV, il Cremlino avrebbe rinforzato la presenza militare russa nel Caucaso rischierando sulla base armena di Erebuni 4 cacciabombardieri MiG-29 Fulcrum e un numero non precisato di elicotteri da trasporto in versione armata  Mi-8MT.

L’ordine del Ministero della Difesa russo è arrivato a poche ore dalla minaccia turca di un’operazione terrestre congiunta con l’Arabia Saudita nel nord della Siria.

Sull’aeroporto di Erebuni, periferia sud di Yerevan, a 14 chilometri dal confine con la Turchia, staziona  la componente aerea della 102a Base Militare di Gyumri, la 3624a Base Aerea con 16 Mikoyan-Gurevich MiG-29S permanentemente assegnati.

Lo squadrone elicotteri dispone invece di velivoli da attacco Mil Mi-24P Hind-F e di mezzi da trasporto Mil Mi-8MT Hip e Mi-8SMV Hip-J. In Armenia le forze russe schierano oltre 5.000 uomini. (IT log defence)

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Bergoglio e l’Armenia fra ecumenismo, diplomazia e memoria (VaticanInsider 27.02.16)

L’ipotesi è quella di un viaggio del papa in Armenia il prossimo settembre; ma appunto di ipotesi, per quanto probabile sia, bisogna parlare poiché la Santa Sede non ha confermato fino ad ora la notizia diffusa invece dalla Chiesa armena attraverso dichiarazioni e comunicati ufficiali. La Chiesa armena precisa per altro che i collaboratori di Karekin II, il ’Catholicos’ di tutti gli armeni, sono in contatto con il Vaticano per studiare gli aspetti organizzativi della visita. Secondo quanto ha fatto sapere l’agenzia russa Tass, inoltre, la tappa armena si inserirebbe in un viaggio di Francesco in alcuni Paesi del Caucaso, fra i quali Azerbaijan e Georgia.

Il possibile viaggio del papa del resto, non è frutto di una decisione improvvisa, il presidente armeno, Serzh Sargsyan e lo stesso Karekin, avevano già invitato il papa nel settembre del 2014. Poi nell’aprile di un anno fa, il papa celebrò una messa in San Pietro in occasione delle commemorazioni per i 100 anni del genocidio armeno, di nuovo, in quell’occasione, il presidente si disse certo che «nel corso del prossimo anno avremo la sua visita in Armenia», in riferimento naturalmente a papa Francesco. Così il cammino di riavvicinamento ecclesiale, ecumenico, si completava ulteriormente con un pieno riconoscimento della storia e delle sofferenze di una popolazione la cui tradizione cristiana era antichissima.

Dunque, secondo quanto afferma la Chiesa armena, a questo punto la visita è già in programma anche se non c’è una data precisa. Va detto che la notizia è diventata di dominio pubblico all’indomani del ripristino delle normali relazioni diplomatiche fra Turchia e Santa Sede. Quando il 12 aprile dell’anno scorso infatti, Papa Francesco celebrò una messa per i fedeli di rito armeno, nel saluto pronunciato all’inizio della cerimonia, toccò in modo esplicito il tema del genocidio generando l’immediata reazione di Ankara; le autorità turche prima convocavano l’ambasciatore del Vaticano in Turchia poi ritiravano temporaneamente il proprio rappresentate presso la Santa Sede. La vicenda si è chiusa nei giorni scorsi con il ritorno dell’ambasciatore Mehmet Pacaci in Vaticano; ma andiamo con ordine.

Un anno fa il papa parlò della tragedia armena scegliendo di usare la parola genocidio, quindi mise in relazioni quegli eventi drammatici con l’attualità delle persecuzioni cristiane in Medio Oriente e poi con altri genocidi contemporanei. Insomma un discorso non chiuso in una polemica storica o anti-turca ma che certamente affermava una verità precisa sulla vicenda armena, dandogli anzi risalto in un contesto storico ampio. Francesco, sulla scorta di quanto aveva in parte fatto Giovanni Paolo II, definiva il massacro degli armeni all’inizio del ’900, «il primo genocidio del XX secolo». Quindi spiegava: «essa ha colpito il vostro popolo armeno – prima nazione cristiana –, insieme ai siri cattolici e ortodossi, agli assiri, ai caldei e ai greci. Furono uccisi vescovi, sacerdoti, religiosi, donne, uomini, anziani e persino bambini e malati indifesi».

Quindi il pontefice osservava come i due eventi paragonabili successivi fossero stati i genocidi perpetrati dal nazismo e dallo stalinismo. «E più recentemente – affermò ancora – altri stermini di massa, come quelli in Cambogia, in Ruanda, in Burundi, in Bosnia. Eppure sembra che l’umanità non riesca a cessare di versare sangue innocente. Sembra che l’entusiasmo sorto alla fine della seconda guerra mondiale stia scomparendo e dissolvendosi. Pare che la famiglia umana rifiuti di imparare dai propri errori causati dalla legge del terrore; e così ancora oggi c’è chi cerca di eliminare i propri simili, con l’aiuto di alcuni e con il silenzio complice di altri che rimangono spettatori. Non abbiamo ancora imparato che ’la guerra è una follia, una inutile strage’».

A questa e ad altre affermazioni, faceva seguito un irrigidimento dei rapporti con Ankara, già non tanto facili per la piccola Chiesa cattolica turca che attende da molto tempo riconoscimenti giuridici minimi. Tuttavia dopo la burrasca diplomatica ricominciava un lavoro di ricucitura, anche perché era interesse sia della Santa Sede che della Turchia non rovinare relazioni comunque positive, e necessarie in un dialogo che andava oltre il dettaglio polemico e tocca da vicino la crisi mediorientale, senza considerare poi anche la visita compiuta dal papa a Istanbul. Alla fine era un comunicato vaticano a sancire formalmente la fine della crisi diplomatica.

Il 3 febbraio infatti, veniva presentato al papa il volume dal titolo «La Squadra Pontificia ai Dardanelli 1657 / İlk Çanakkale Zaferi 1657», autore Rinaldo Marmara, a capo Caritas turca, già portavoce della conferenza episcopale. Il libro contiene una traslitterazione italiana e turca di un manoscritto dal fondo Chigi della Biblioteca Apostolica Vaticana, ed è un resoconto della flotta pontificia che partecipò nella seconda battaglia dei Dardanelli nel 1657. Secondo lo steso autore, in tal modo veniva portato a conoscenza degli studiosi turchi un’importante documentazione contenuta negli archivi vaticani.

La presentazione del volume era accompagnata da un comunicato nel quale si precisava quanto fosse importante il lavoro di ricerca negli archivi storici per ricostruire vicende del passato. In tal senso si affermava, «è stato notato e apprezzato il rinnovato impegno della Turchia a rendere i propri archivi disponibili agli storici e ai ricercatori delle parti interessate, con l’intenzione di arrivare congiuntamente ad una migliore comprensione degli eventi storici, del dolore e delle sofferenze sostenute, indipendentemente dalla propria identità religiosa o etnica, da tutte le parti coinvolte in guerre e conflitti, inclusi i tragici eventi del 1915. Eventi tragici, la parola genocidio stavolta non c’era, e Ankara parlava di «sviluppo positivo» della vicenda quindi si scioglieva il nodo dell’ambasciatore. E d’altro canto proprio il tema degli archivi, della loro apertura, era stato più volte offerto dal governo turco come terreno di mediazione e d’incontro per affrontare il tema del genocidio armeno, rompere un tabù storico del Paese, e far venire alla luce una memoria lacerata e drammatica come base di una possibile riconciliazione.

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Le macerie di Aleppo e lo sguardo di Gregorio XX (Ilsole24ore 27.02.16)

Quanti di voi, in questi ultimi mesi, hanno sentito parlare di Aleppo! Una città bellissima e piena di storia, che ho avuto la possibilità di visitare qualche anno fa e che oggi è ridotta a un cumulo di macerie. In questi giorni ho incontrato un uomo ottantaduenne, nativo proprio di Aleppo, Gregorio Pietro XX, Patriarca della Chiesa armeno-cattolica. Una “persona di varia umanità”, come si diceva un tempo sulle riviste di studi classici. E così mi è apparso nel mio ufficio; un uomo che per la sua notevole attenzione verso gli altri è oggi un punto di riferimento nei rapporti diplomatici con la Siria e il Libano.

Era già in pensione – mi ha raccontato – quando nel 2015 il Sacro Sinodo lo ha indicato come Patriarca. «Sai – mi ha detto – prima di accettare, ho fatto di tutto per avere la benedizione di Papa Francesco. Non me la sentivo di accettare, data la mia età e date anche le difficoltà in cui stiamo come Chiesa armena e come cristiani di Oriente». La benedizione e l’incoraggiamento arrivarono subito da Francesco, un uomo, anch’egli avanti negli anni, ma che non smette di sorprendere per i suoi gesti e per le sue parole! Anche l’amico e fratello Gregorio Pietro XX mi ha sorpreso; mi ha confidato di guardare con preoccupazione alla situazione siriana e ai profughi, soprattutto ai bambini. «Sono tanti – mi ha detto – e molti non sono accompagnati!». Il suo sguardo un po’ malinconico è cambiato solo quando gli ho assicurato che, dopo aver parlato con il cardinale Bagnasco, come Chiesa italiana e attingendo alle risorse dell’8×1000, avremmo sicuramente contribuito alla ristrutturazione dell”“Orfanotrofio Agagianian” in Libano, destinato ai minori provenienti dalla Siria. Credetemi, il suo volto portava impressi i segni e l’angoscia dei racconti delle famiglie siriane che vediamo aggirarsi per la nostra Europa. Accogliendo la sua richiesta di sostenere questo progetto mi è parso di asciugare un po’ quelle lacrime e aprire qualche varco di speranza. Lo so, è troppo poco!

Di recente ho letto un bel libro di un siriano armeno, Jamil Boloyan, un professore universitario che insegna a Lecce, autore del Richiamo del sangue. Oggi noi che viviamo più o meno sereni, anche se a Piazza San Pietro e per le nostre strade di tanto in tanto spunta doverosamente l’esercito, non possiamo capire che cosa vuol dire avere il richiamo del sangue, sapere di avere la guerra in casa, sapere di avere la propria famiglia in quei luoghi. Gregorio XX mi ha fatto notare un aspetto ancora più drammatico della storia che vive il suo popolo: gli armeni portano il senso della tragedia, come un lamento impresso in loro e ben sintetizzato nei famosi romanzi della Arslan: i genocidi non sono tutti uguali, purtroppo. Gli armeni fanno ancora tanta fatica a veder riconosciuto il loro massacro, il loro Olocausto, per il quale, invece, ha avuto parole chiare Papa Francesco. Il Patriarca mi faceva notare con amarezza che, dopo le parole del Santo Padre, il governo italiano ritenne di non prendere una posizione ufficiale: non è compito dei governi decidere che cosa sia successo, i genocidi sono affari degli storici, fu detto. Mi piacerebbe capire di più su tutto questo! Gregorio XX mi ha ricordato con uno sguardo a tratti riconoscente i Paesi che riconoscono il genocidio armeno; tra questi la Svezia, la Lituania la Svizzera, la Finlandia, la Russia, la Slovacchia, la Grecia, la Polonia e il Vaticano. Nella Turchia di Erdogan, oggi, nonostante la scarsa libertà, come racconta anche l’Arcivescovo Zekiyan, nonostante le polemiche con il Papa, si possono tenere conferenze sulla cultura armena e concerti in memoria del genocidio. Loro sperano che giungano esponenti del governo turco e, pur considerando le difficoltà, anche segnali più chiari dall’Italia.

Abbiamo ricordato insieme la intensa e commovente mostra che si è tenuta al Vittoriano, «Armenia, il popolo dell’Arca», articolata in maniera complessa e dotta, in sette sezioni ricche di reperti archeologici, codici miniati, opere d’arte, illustrazioni e documenti, tra cui il testo di Antonio Gramsci e promossa dal ministero della Cultura armeno e dall’Ambasciata della Repubblica d’Armenia in Italia. Facendo memoria di qualche mia lettura giovanile, ho riletto col Patriarca quello che lo stesso Antonio Gramsci scrisse nel 1916: «L’Armenia non ebbe mai, nei suoi peggiori momenti, che qualche affermazione platonica di pietà per sé o di sdegno per i suoi carnefici; “le stragi armene” divennero proverbiali, ma erano parole che suonavano solo, che non riuscivano a creare dei fantasmi, delle immagini vive di uomini di carne ed ossa. Sarebbe stato possibile costringere la Turchia, legata da tanti interessi a tutte le nazioni europee, a non straziare in tal modo chi non domandava altro, in fondo, che di essere lasciato in pace. Niente mai fu fatto, o almeno niente che desse risultati concreti. Dell’Armenia parlava qualche volta Vico Mantegazza nelle sue prolisse divagazioni di politica orientale. La guerra europea ha messo di nuovo sul tappeto la questione armena. Ma senza molta convinzione. Alla caduta di Erzerum in mano dei russi, alla probabile ritirata dei turchi in tutto il Paese armeno non è stato dato nei giornali neppure lo stesso spazio che all’atterramento di uno “Zeppelin” in Francia. Gli armeni che sono disseminati in Europa dovrebbero far conoscere la loro patria, la loro storia, la loro letteratura. È avvenuto in piccolo per l’Armenia ciò che è avvenuto in grande per la Persia. Chi sa che i più grandi arabi (Averroè, Avicenna ecc) sono invece… persiani? Chi sa che quella che si è soliti chiamare civiltà araba è invece in gran parte persiana? E così quanti sanno che gli ultimi tentativi di rinnovare la Turchia furono dovuti agli armeni e agli ebrei? Gli armeni dovrebbero far conoscere l’Armenia».

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Il genocidio armeno raccontato da una mostra (valledaostaglocal.it 27.02.16)

Sabato 5 marzo alle ore 16.30 verrà inaugurata, presso la Biblioteca regionale Bruno Salvadori, la mostra fotografica dedicata al genocidio armeno nel suo centenario. L’organizzazione è a cura dell’Istituto storico della Resistenza e della società contemporanea in Valle d’Aosta, in collaborazione con l’Associazione Italiarmenia, Deutsches Literaturarchiv di Marbach, l’Unione degli Armeni d’Italia, con il patrocinio della Presidenza della Regione autonoma Valle d’Aosta, dell’Assessorato Istruzione e Cultura e della Sovraintendenza agli Studi.

“Dopo la visita del Console onorario della Repubblica d’Armenia Pietro Kuciukian ad Aosta il 28 e il 29 gennaio scorsi, in occasione del giorno della Memoria 2016 – spiega la Direttrice Daria Pulz – vogliamo offrire alla cittadinanza la visione delle intense fotografie scattate cent’anni fa da Armin T. Wegner, ufficiale sanitario al seguito dell’esercito tedesco in Medio Oriente, testimone oculare del genocidio e riconosciuto giusto per gli Armeni e per gli Ebrei, che cercò di difendere con una lettera rivolta direttamente a Hitler: un’occasione da non perdere per riflettere insieme su una tragedia del passato che, a partire dalla figura di un uomo straordinario, si riverbera ancora sul presente e ha sorprendenti addentellati anche con la Valle d’Aosta”.

La mostra resterà aperta al pubblico dal 2 al 17 marzo. Martedì 8 marzo e martedì 15 marzo sono previste visite guidate per le scuole che ne faranno richiesta all’Istituto storico, tra le ore 9 e le ore 12.

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Turchia nella Nato: alleati si, ma a quale prezzo? (Assesempione.it 25.02.16)

Milano – Giovedì 25 febbraio, alle ore 17.00, a Palazzo Isimbardi (via Vivaio, 1), tavola rotonda e dibattito sul tema “Turchia nellaNato: alleati sì, ma a quale prezzo? Dal genocidio del popolo armeno alla questione curda, dal ruolo nella guerra civile in Siria agli appetiti sui territori ex ottomani: l’ambigua politica del Paese che bussa alle porte dell’Europa”.

L’incontro è organizzato dall’Unione armeni d’Italia. Intervengono: Baykar Sivazliyan, docente di Lingua e Letteratura armena alla Statale di Milano e presidente dell’Unione armeni d’Italia, Fausto Biloslavo, inviato speciale del Giornale, Luca Bernardini, storico ed esperto di minoranze alla Statale di Milano. Modera il giornalista Matteo Carnieletto.

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Il bambino e i venti d’Armenia (quinewspisa.it 25.02.16)

Presentazione dell’opera prima di Arthur Alexanian. Appuntamento domenica 28 febbraio alle 17,30, nella chiesa di Sant’Anna

PISA — L’Associazione ex-allievi della scuola superiore Sant’Anna prosegue i suoi incontri di presentazione di libri appena pubblicati.

Domenica 28 febbraio è il turno dell’opera prima di Arthur Alexanian “Il bambino e i venti d’Armenia”, alla presenza dell’autore. E’ prevista la lettura di brani tratti dal volume dell’ex allievo Gino Bartalena; gli intervalli musicali sono curati da Vincenzo Di Nubila.

Arthur Alexanian è nato a Grenoble, in Francia, da genitori Armeni. Ha conseguito la maturità al collegio armeno di Venezia per poi laurearsi in chimica industriale all’università di Bologna. Ha vissuto per alcuni anni in Algeria e frequentato molti paesi europei e del Medio Oriente prima di stabilirsi a Firenze. Titolare di un laboratorio di analisi e consulenza ambientali, svolge attività per il settore pubblico e privato

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Ecco le cinque nazioni più militarizzate d’Europa (Il Sole 24 Ore 24.02.16)

E’ l’Armenia, secondo il “Global Militaritazion Index” redatto ogni anno dal 1990 dal centro studi tedesco Bonn International Center for Conversion, lo Stato più militarizzato d’Europa (e il terzo al mondo dopo Israele e Singapore). Il BICC analizza in particolare il rapporto tra spese militari e Pil, quello tra militari e popolazione e la percentuale di armi pesanti rispetto al numero di cittadini.PUBBLICITÀinRead invented by Teads
La militarizzazione armena si deve allo storico conflitto contro il vicino Azerbaijan, altra repubblica ex sovietica. Dopo l’implosione dell’Urss, tra il 1992 e il 1994 i due Stati combatterono una sanguinosa guerra per l’enclave del Nagorno-Karabakh, con 30mila morti e milioni di profughi. L’esercito azero venne sconfitto, con alcune regioni dell’Azerbaijan a tutt’oggi occupate dagli armeni, ma gli scontri di fatto non sono mai cessati. Anche grazie alla Russia, che getta benzina sul fuoco nel nome dell’antico “divide et impera”.
Più in generale, sono molti gli Stati dell’Est Europa che – intimoriti dall’aggressività di Mosca – hanno annunciato piani di riarmo. E’ il caso della Repubblica Ceca (11° in Europa per grado di militarizzazione), che dopo anni di tagli ora è intenzionata ad aumentare la spesa militare dall’1% al 1,4% del Pil entro il 2020. La Lituania vuole arrivare al 2% del Pil, reintroducendo tra l’altro il servizio di leva obbligatorio abolito nel 2008, mentre anche Romania e Bulgaria stanno riarmandosi.
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