È morto Charles Aznavour: «Esaltava l’identità francese con il cuore sempre in Armenia» (Cds 01.10.18)

«Charles Aznavour è stato un immenso interprete che ha incarnato la Francia restando profondamente legato al suo Paese del cuore che era l’Armenia. Ha rappresentato la Francia legata alle migrazioni e alle tragedie della Storia. Era il simbolo di tutto questo, anche se lo si sentiva nella personalità e nelle sue prese di posizione, mentre nelle canzoni non traspariva immediatamente». Aurélie Filippetti, ministra della Cultura dal 2012 al 2014, nata in Lorena in una famiglia originaria di Gualdo Tadino (Perugia), ha conosciuto e apprezzato Aznavour, condividendo con lui un’identità plurale fatta di amore per la Francia e di radici mai dimenticate.

Che cosa ama nelle canzoni di Aznavour?
«C’è una parte tragica, sempre in sottofondo, che lascia intendere una specie di nostalgia, forse legata alla sua storia personale, e che non era mai esplicitata nelle canzoni».

Forse è questa profondità ad averlo reso universale?
«Credo di sì, non ci sono in Francia artisti internazionali quanto lui. Lo possiamo paragonare solo a Édith Piaf, la sua poesia era universale».

Lo ha incontrato quando era ministra?
«Sì, ho avuto la fortuna di conoscerlo e me lo ricordo come un uomo davvero impegnato. Al di là delle canzoni, teneva moltissimo alle cause che gli stavano a cuore, in particolare quella legata agli armeni. Ma poi mi parlò anche della sua voglia di aiutare i giovani artisti a crescere».

Come se lo ricorda da un punto di vista personale?
«Me lo avevano descritto come un uomo talvolta difficile, un po’ caratteriale. Invece mi sono trovata davanti una persona di straordinaria gentilezza. La sua personalità mi aveva molto toccata».

Senza mai sconfinare nella militanza politica, Aznavour ha affrontato certi temi con coraggio. Nel 1972 pubblica «Comme ils disent», una canzone sull’omosessualità nella Francia di Pompidou, quando era punita dal Codice penale e considerata una malattia mentale.
«È stato uno dei primi ad affrontare questo argomento, un fatto eccezionale per l’epoca, e Aznavour non era omosessuale».

Da ministra lei ha voluto attribuire la Legion d’Onore a Bob Dylan, provocando qualche polemica poi ripresa quando Dylan ha vinto il Premio Nobel per la Letteratura. Come giudica i testi di Aznavour? Hanno anche loro dignità letteraria?
«Credo che Aznavour sia uno dei quattro o cinque più grandi cantanti francesi di sempre non solo per la musica o la sua voce straordinaria, che pure all’inizio era molto criticata, ma per la scelta delle parole».

Sono giorni questi in cui si parla continuamente di identità nazionale. Aznavour è nato in Francia, diceva che il suo Paese era la Francia, ma questo non gli impediva di amare anche l’Armenia. «Sono come il caffè latte — disse una volta —, una volta mescolato non si può separare l’uno dall’altro». Era moderno anche in questo?
«Proprio così, era la prova che non esiste un problema di lealtà. Era profondamente francese, lo rivendicava e sapeva di essere una bandiera del nostro Paese nel mondo, e allo stesso tempo non ha rinunciato alla sua parte armena e questo non dava fastidio a nessuno. Incarnava bene il popolo francese nella ricchezza delle sue origini».

È un atteggiamento che sente di avere anche lei, nata in Francia in una famiglia di immigrati italiani?
«Certamente. Noi non siamo stati vittime di un genocidio come gli armeni, ma sento che è possibile avere un’identità composita, essere profondamente francese mantenendo un legame con le origini, nel mio caso italiane. Vicino a Lione ho avuto l’occasione di inaugurare un centro nazionale per la memoria armena. È una parte importante della storia della Francia, e Aznavour ha saputo esprimerlo alla perfezione».